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Preoccupazione di Save the Children nella Repubblica democratica del Congo: nuovi casi di Ebola in un paese già segnato dalla guerra

AFRICA di

Diamanti, Coltan, Oro, Cobalto, Rame, Niobio, risorse minerarie preziose nel sottosuolo, legni pregiati, risorse naturali del suolo, la seconda foresta più estesa del mondo e tanta tantissima terra coltivabile. Questo è ciò che possiede la Repubblica Democratica del Congo, questo scatena gli appetiti internazionali e questo sta alla base delle lotte interne di potere. Nella regione del Kivu sono all’ordine del giorno i conflitti “tutti contro tutti” fra l’esercito e il centinaio di bande armate e gruppi ribelli, inoltre si è registrata un impennata dei rapimenti; nella regione di Kinshasa si ripetono gli scontri fra i soldati e i militanti della setta mistico-politica Bundu dia Kongo; nella Provincia di Tanganyika e nell’Alto Katanga sono riprese le tensioni e le violenze fra etnie; nel Kasai è esploso un ulteriore conflitto fra i militari governativi e le milizie del gruppo Kamwina Nsapu che ha provocato centinaia di vittime; nella regione di Beni i civili sono stati presi di mira e uccisi, il 7 ottobre degli uomini armati hanno ucciso 22 persone. Ai conflitti si aggiunge il traffico di risorse del paese e lo sfruttamento da parte delle altre nazioni. Emblematico, curioso e controverso è il sequestro nel 2017 da parte delle autorità dello Zambia di 499 camion di proprietà dell’esercito congolese. I camion contenevano il cosiddetto “legno rosso”, chiamato cosi perché una volta tagliato assume una colorazione rosso sangue, ed è così emerso lo scandalo del traffico illegale di questo legname pregiato che finisce perlopiù in Cina, dove viene impiegato per la fabbricazione di mobili di lusso. È un attività illegale poiché è una specie arborea protetta che si stima porta l’abbattimento di 150 alberi nella sola Repubblica democratica del Congo, ciò simboleggia lo sfruttamento delle risorse del paese e un disastro ambientale. A ciò si aggiunge che questo clima di totale e diffusa instabilità e conflitto ha contributo al verificarsi di violazioni dei diritti umani, di abusi e di enormi crisi umanitarie.

     La situazione a marzo 2018 contava 2,2 milioni di bambini gravemente malnutriti; 13,1 milioni di persone bisognose di aiuti per sopravvivere e oltre 4 milioni di civili sfollati a causa del conflitto. Recentemente Save the Children ha espresso forte preoccupazione per la conferma di cinque nuovi casi di Ebola identificati negli ultimi giorni nella Repubblica Democratica del Congo, due dei quali localizzati nella zona di Tchomia, nella provincia di Ituri, vicino al confine con l’Uganda. Tchomia, situata sul lago Alberto, si trova 62 km a sud del capoluogo di provincia di Bunia, a circa 200 chilometri da Beni, in Nord Kivu, l’area in cui si è sviluppato il decimo focolaio di Ebola in Repubblica Democratica del Congo. In queste zone nell’ultimo anno decine di gruppi armati e le forze di sicurezza hanno continuato a compiere omicidi, stupri, estorsioni e a saccheggiare illegalmente il territorio, allo scopo di sfruttarne le risorse naturali. Il conflitto in corso tra hutu e nande nel Nord Kivu ha causato morti, sfollati e distruzione d’infrastrutture, specialmente nelle aree di Rutshuru e Lubero. Save the Children sta lavorando in stretto coordinamento con il governo della Repubblica democratica del congo, le agenzie delle Nazioni Unite, le organizzazioni umanitarie internazionali e i servizi sanitari locali per contenere la diffusione del virus Ebola. L’Organizzazione, inoltre, è impegnata nella sensibilizzazione della comunità locali per ridurre la paura della malattia, offrendo informazioni e tecniche su come le famiglie possono proteggersi dal virus. Nell’ambito della sua risposta al virus Ebola, Save the Children sta fornendo supporto anche alle comunità e alle autorità ugandesi, in modo da essere pronte nel caso in cui l’Ebola dovesse diffondersi oltre il confine, formando i team sanitari nei villaggi e predisponendo strutture per il lavaggio delle mani. Alla situazione si aggiunge che i forti timori della popolazione riguardo al virus Ebola hanno reso difficile l’accettazione da parte della comunità di organizzazioni umanitarie. Heather Kerr, direttore di Save the Children nella Repubblica Democratica del Congo, ha dichiarato “I nostri operatori sanitari stanno svolgendo un lavoro straordinario visitando le famiglie porta a porta e alleviando la paura riguardo all’Ebola. Se le persone arrivano in tempo in un centro di trattamento hanno buone possibilità di sopravvivere. Ma le famiglie hanno visto alcuni pazienti entrare nei centri e non uscirne e questo può scatenare la paura tra la comunità, causando anche la fuga di persone che presentano sintomi. Gli ultimi casi identificati rafforzano ancora di più la convinzione che in questo momento il nostro lavoro dentro e fuori Beni è particolarmente cruciale”.

     Nella Repubblica democratica del Congo i bambini sono i più colpiti e l’Unicef ha denunciato che solo nel corso del 2017 vi sono stati 800 casi di abuso sessuale e il reclutamento di circa 3 mila bambini soldato da parte delle milizie. A causa del conflitto armato migliaia di bambini hanno preso i loro genitori, sono stati reclutati nell’esercito e nelle milizie e sono in generale vittime di violenza. Inoltre, Devono affrontare stress e traumi del passato. La situazione generale ha portato 60 mila congolesi nei soli primi tre mesi del 2018 a passare il confine con l’Uganda per fuggire. Al 10 novembre 2017, l’Uganda ospitava circa 1.379.768 tra rifugiati e richiedenti asilo di varie nazionalità e circa il 61% era costituito da minori, prevalentemente non accompagnati o separati dai loro genitori. I richiedenti asilo provenienti Repubblica democratica del Congo hanno ottenuto il riconoscimento automatico dello status di rifugiati (prima facie) e quelli di altre nazionalità sono stati esaminati secondo il processo di determinazione individuale dello status di rifugiati, condotto dal comitato di eleggibilità dei rifugiati. Ai sensi della legge sui rifugiati del 2006 e del regolamento sui rifugiati del 2010, i rifugiati godevano di una relativa libertà di movimento, degli stessi diritti dei cittadini ugandesi di accedere ad alcuni servizi essenziali, come istruzione primaria e assistenza medica, e del diritto di lavorare e di avviare un’impresa. Il sistema è entrato però in crisi nel maggio 2017 poiché è stato costretto a dimezzare le razioni di cereali a oltre 800 mila rifugiati. A ciò sono seguiti appelli di richiesta di fondi ai donatori internazionali per affrontare la crisi regionale dei rifugiati ma non hanno ottenuto risultati sufficienti.

 

Le tante facce dell’esclusione: il rapporto di Save the Children sull’infanzia

EUROPA di

Save the Children ha recentemente lanciato il rapporto “Le tante facce dell’esclusionepoiché povertà, conflitti e discriminazioni di genere minacciano l’infanzia di oltre la metà dei minori al mondo. Più di 1,2 miliardi di bambini rischiano di morire prima di aver compiuto 5 anni, di soffrire le conseguenze della malnutrizione, di non andare a scuola e ricevere un’istruzione o di essere costretti a lavorare o a sposarsi troppo presto. Senza sufficienti azioni urgenti il mondo non riuscirà a raggiungere l’obiettivo di garantire, entro il 2030, salute, educazione e protezione a tutti i minori, come previsto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati dall’Onu nel 2015. In questo senso anche il nostro paese deve compiere moltissimi passi poiché povertà economica ed educativa continuano a privare bambini e adolescenti delle opportunità necessarie per vivere l’infanzia che meritano e costruirsi il futuro che sognano. Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children ha dichiarato: “Non possiamo più permettere che così tanti bambini corrano il rischio di perdere la propria infanzia già dal momento in cui vengono al mondo e che siano costretti sin da subito a fare i conti con condizioni di forte svantaggio e ostacoli difficilissimi da superare. Ciò avviene perché semplicemente sono delle bambine, oppure perché nascono e crescono in contesti caratterizzati dalla povertà o dalla guerra, dove per loro altissimo è il rischio di essere costretti al lavoro minorile, di subire sulla propria pelle le conseguenze della malnutrizione oppure, per quanto riguarda le ragazze, di essere costrette a sposare uomini spesso molto più grandi di loro quando sono ancora soltanto delle bambine”. Nel rapporto viene stilato il secondo End of Childhood Index di Save the Children che confronta i dati più recenti per 175 paesi e valuta dove il maggior numero di bambini sta perdendo la propria infanzia. Singapore e Slovenia si classificano al primo posto nella classifica punteggio di 987 e altri sette paesi dell’Europa occidentale si classificano tra i primi 10 poiché raggiungono punteggi molto alti per la salute, l’educazione e lo stato di protezione dei bambini. Il Niger è l’ultimo tra i paesi intervistati, con 388 punti.

Classifica End of Childhood index

I contesti di povertà e le gravi conseguenze sul futuro dei bambini

Nei paesi in via di sviluppo un minore su cinque vive in povertà estrema ma questo problema riguarda anche le aree economicamente più avanzate, con ben 30 milioni di bambini e ragazzi che nei Paesi OCSE vivono in povertà relativa grave. Vivere in un contesto di povertà crea forti ostacoli alla sopravvivenza, allo sviluppo e alla protezione dei bambini, alla loro possibilità di partecipare attivamente alle decisioni che li riguardano da vicino e incide fortemente sulla possibilità di andare a scuola e ricevere un’educazione.  I bambini sperimentano in modo differente la povertà rispetto agli adulti: essere cresciuto in povertà ha un impatto negativo sullo sviluppo e l’apprendimento, oltre ad aumentare l’esposizione al rischio. Questi effetti durano una vita e vengono trasmessi da una generazione all’altra in quanto questi bambini non perdono l’infanzia perché poveri ma perché gli viene negato un buon inizio nella vita. Ciò avviene perché sperimentano una salute peggiore e tassi di malnutrizione e morte più alti, hanno una probabilità più alta di essere coinvolti nel lavoro minorile, di sposarsi precocemente o di essere precocemente in gravidanza. Non importa dove vivono, i bambini che vivono in povertà sono esposti a minacce di ogni tipo. Possono subire lo sfruttamento e l’abuso. Subiscono frequentemente bullismo e discriminazione, soprattutto a scuola, che causa ansia, frustrazione e rabbia. I bambini di tutto il mondo esprimono sentimenti di vergogna, insicurezza e disperazione. Nei paesi più ricchi, i bambini poveri riportano lo stigma e l’esclusione sociale nella ricezione di pasti scolastici gratuiti, di vestiti sporchi o non “alla moda”, o per non avere gli ultimi gadget, o perché non hanno i soldi per partecipare a eventi scolastici e altre attività di gruppo dei pari o perché non riescono a invitare gli amici a casa in quanto vivono in alloggi sovraffollati o sub-standard. Non mancano poi i bambini che lavorano per sostenere le proprie famiglie e così perdono il riposo, il gioco, la ricreazione e perdono l’opportunità di partecipare alla loro comunità, alla loro religione, allo sport e alle attività culturali. Dal rapporto di Save the Children emerge la stretta correlazione tra povertà e lavoro minorile, tra povertà e matrimoni precoci e tra povertà e gravidanze precoci.

I diritti negati dei minori nelle zone di guerra

Nelle aree segnate da guerre e crisi umanitarie è molto complicato, oltre che pericoloso, poter raccogliere dati aggiornati e avere una fotografia esatta che rappresenti realmente le difficilissime condizioni che sono costretti ad affrontare i bambini, perché si tratta di Paesi al collasso, dove le persone fuggono in massa per mettere in salvo le proprie vite e dove in molti casi nemmeno gli aiuti umanitari riescono a raggiungere la popolazione. Pensiamo, per esempio, a Paesi come la Siria o lo Yemen, dove i bambini, nelle loro giovanissime vite, finora non hanno conosciuto altro che bombe, violenza e disperazione; oppure alle gravi crisi umanitarie di cui sono vittime i bambini Rohingya, i bambini in fuga dalla Repubblica Democratica del Congo o i tanti minori gravemente malnutriti che lottano per sopravvivere in Somalia, uno dei Paesi più poveri al mondo, sconvolto negli ultimi mesi da una gravissima siccità e da decenni dilaniato da instabilità e violenze. Contesti in cui i bambini vengono derubati della propria infanzia e in cui nessun di loro, in nessuna parte del mondo, dovrebbe mai trovarsi”, ha affermato Valerio Neri. Nelle aree di crisi, soffrire la violenza, assistere alla violenza o temere la violenza può causare disabilità permanenti e traumi emotivi profondi. Inoltre, la separazione dai familiari e le difficoltà economiche possono esporre ragazze e ragazzi allo sfruttamento sotto forma di lavoro minorile, matrimonio infantile, violenza sessuale e reclutamento da parte di gruppi armati. A questi si aggiungono i pericoli meno visibili per i bambini in conflitto, ovvero la mancanza di cibo e il crollo dei servizi essenziali come assistenza sanitaria, igiene e istruzione. Sebbene l’istruzione sia disponibile in alcuni campi profughi, questa è spesso disorganizzata, temporanea, con risorse insufficienti, sovraffollata e limitata all’istruzione elementare. I bambini spesso non possono accedere alle scuole nei campi esterni per motivi di sicurezza, mancanza di documentazione, restrizioni alla circolazione di determinati gruppi di popolazione, per il costo relativo all’istruzione (ad es. per uniformi, tasse scolastiche, scuola pranzi, libri, trasporti) o la mancanza di competenze linguistiche necessarie per partecipare. Per esempio, circa i due terzi dei rifugiati vivono in aree dove nessuna delle lingue ufficiali è la lingua ufficiale nel loro paese di origine. Anche la xenofobia e la stigmatizzazione sono sfide per molti bambini rifugiati che hanno perso l’istruzione. Senza istruzione, i bambini sfollati affrontano un triste futuro e, soprattutto in tempi di crisi, l’educazione può offrire stabilità al bambino, protezione e la possibilità di acquisire conoscenze critiche e abilità. Le scuole possono anche servire come spazi sociali che uniscono famiglia e membri della comunità creando legami di fiducia, guarigione e supporto. Non fornire istruzione per i bambini sfollati può essere estremamente dannoso, non solo per bambini, ma anche per le loro famiglie e le società poiché perpetuano i cicli di povertà e conflitto. Nei Paesi in conflitto, malnutrizione, malattie e mancanza di accesso alle cure sanitarie uccidono molto più delle bombe.  A causa dei conflitti, sono ben 27 i milioni di minori che sono attualmente tagliati fuori dall’educazione, perché le loro scuole sono prese di mira dagli attacchi, occupate dai gruppi armati o perché i genitori hanno paura di mandare i figli a scuola. La perdita delle necessità di base richieste per l’infanzia, minaccia sia la sopravvivenza immediata che il futuro a lungo termine dei bambini. Inoltre, il conflitto tende a deprimere l’economia e ad aumentare il genere di disuguaglianze nei paesi poveri, rendendo una brutta situazione peggio per i bambini più vulnerabili.

Cholera patients isolated in a tent due to lack of rooms in the isolation ward. Hospital in Sana’a governorate Yemen.

Le discriminazioni contro le bambine e le ragazze 

Oggi le bambine e le ragazze hanno certamente molte più opportunità che in passato, tuttavia ancora troppe di loro, specialmente quelle che vivono nei contesti più poveri, sono costrette ad affrontare quotidianamente discriminazioni ed esclusione in svariati ambiti, dall’accesso all’educazione alle violenze sessuali, dai matrimoni alle gravidanze precoci. Nei contesti di povertà, rispetto ai loro coetanei maschi, le ragazze hanno maggiori probabilità di non mettere mai piede in classe nella loro vita. Stime recenti rivelano che circa 15 milioni di bambine in età scolare (scuola primaria) non avranno mai la possibilità di imparare a leggere e scrivere rispetto a 10 milioni di coetanei maschi. Spesso le famiglie più svantaggiate credono che dare in sposa le proprie figlie sia l’unica via possibile per assicurare il loro sostentamento, ciò comporta che i matrimoni precoci siano tra i fattori trainanti della negazione dell’opportunità di apprendere e ricevere un’educazione. Oggi, nel mondo, 12 milioni di ragazze si sposano ogni anno prima dei 18 anni e ai ritmi attuali si stima che entro il 2030 tale cifra supererà i 150 milioni. Le ragioni del matrimonio infantile variano di molto a seconda del contesto ma la maggior parte di essi si basa su situazioni che peggiorano durante i conflitti. Paura di stupro e violenza sessuale, la paura di gravidanze prematrimoniali indesiderate, la vergogna o il disonore famigliare, la paura di rimanere senza un tetto o la fame sono le ragioni riportate dai genitori e dai bambini per il matrimonio precoce. In alcuni casi, il matrimonio è stato utilizzato per facilitare la migrazione da paesi colpiti dal conflitto e campi profughi.  Quindi il fenomeno delle spose bambine è particolarmente rilevante anche nelle aree colpite dai conflitti, dove in molti casi le famiglie organizzano i matrimoni per proteggere le figlie da abusi e violenze sessuali. Tra i rifugiati siriani in Giordania, ad esempio, la percentuale di ragazze sposate prima di aver compiuto i 18 anni è cresciuta dal 12% nel 2011 al 32% nel 2014. In Libano, attualmente, risulta sposata prima dei 18 anni più di 1 ragazza profuga siriana su 4, mentre in Yemen la percentuale di spose bambine supera i 2/3 del totale delle giovani nel Paese, rispetto alla metà prima dell’escalation del conflitto. Il problema consiste nel fatto che si stima che 1 donna su 3 a livello mondiale abbia avuto esperienza di violenza fisica o sessuale nella propria vita e per lo più per mano dei loro partner. I tipi di violenza sperimentati possono includere selezione del sesso prenatale (feticidio – rimozione del feto femminile), infanticidio femminile, abbandono, mutilazione genitale femminile, stupro, matrimonio infantile, prostituzione forzata e delitto d’onore. Spesso la violenza sessuale e la prostituzione forzata vengono camuffate dal “matrimonio”. Queste sono gravi violazioni di diritti umani e sono state usate come armi da guerra in tutti i continenti e a questo si aggiunge che i bambini che sfuggono alla guerra e alla persecuzione sono particolarmente vulnerabili a diventare vittime della tratta. Le Ragazze e i ragazzi sono entrambi colpiti, ma il doppio delle ragazze lo sono segnalato come vittime della tratta: mentre le ragazze tendono ad essere trafficate per matrimoni forzati e la schiavitù sessuale, i ragazzi sono tipicamente sfruttati nei lavori forzati o come soldati.

A tale fenomeno è poi strettamente collegato quello delle gravidanze precoci: una questione particolarmente preoccupante considerando che le complicazioni durante la gravidanza e il parto rappresentano la prima causa di morte al mondo per le giovani tra i 15 e i 19 anni. La gravidanza da teenager è una sfida globale che colpisce sia i paesi ricchi che i paesi poveri allo stesso modo, ma i tassi di natalità sono più alti nei paesi dove ci sono meno risorse. In tutto il mondo, questo fenomeno ha più possibilità di manifestarsi nelle comunità emarginate, in cui vi è mancanza di istruzione e di lavoro, dove vi è disuguaglianza di genere, dove vi è mancanza di servizi di salute sessuale e riproduttiva e dove le donne e le ragazze hanno un basso status. È stato stimate che il 10-30% delle ragazze che abbandonano la scuola lo fanno a causa della gravidanza anticipata o del matrimonio; a causa del loro livello di istruzione inferiore, sono molte le madri adolescenti che hanno meno capacità e opportunità per occupazione e ciò alimenta i cicli di povertà. Save the Children ha sottolineato che mettere fine ai matrimoni e alle gravidanze precoci porterebbe a benefici economici entro il 2030 rispettivamente pari a 500 e 700 miliardi di dollari all’anno. La fine dei matrimoni precoci potrebbe risparmiare nei paesi in via di sviluppo trilioni di dollari poiché ridurrebbe la fertilità e la crescita della popolazione per migliorare i guadagni e la salute dei bambini. Il matrimonio minorile non colpisce solo la vita di milioni di ragazze ma ha anche un enorme impatto sull’economia. L’analisi di Save the Children mette, infine, in evidenza la piaga delle violenze fisiche e sessuali (dalle mutilazioni genitali femminili agli stupri alla prostituzione forzata) di cui troppo spesso le bambine e le ragazze sono vittime nel mondo.

Neri ha concluso dicendo che “Sono ancora troppi, come sottolinea il nostro rapporto, gli ostacoli che impediscono a tantissimi bambini e bambine al mondo di vivere a pieno la propria infanzia. Dalla lotta alla malnutrizione e a ogni forma di violenza, dall’accesso alla salute e all’educazione, chiediamo pertanto ai governi di impegnarsi concretamente ed efficacemente perché nessun bambino venga più lasciato indietro e a nessuno di loro venga più sottratto il proprio futuro”.

Women from a displaced community in a remote isolated location called ‘Found a Well’ in Western Sanaag under Somaliland rule. These pastoralist communities have congregated together at a known water source as their livestock herds have been depleted by the drought. Families report losing 80-90% of their livestock due to the drought. The only humanitarian assistance they have received to date has been a visit by Save the Children’s mobile Health Clinic.
Rainer Maria Baratti
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