GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Happy International Museum Day!

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This is just a small tribute to all the incredibly brave people, who have been fighting and risking their own lives, to preserve and rescue our worldwide historical and archaeological heritage, as well as the core of our often forgotten thousand-year-old civilizations.

Inside Mosul Museum/ Eleonora Vio

 

Inside what ISIS left of Mosul Museum/ Eleonora Vio

 

Head of the Heritage Buildings in Mosul and archaeologist Layla Salih assesses the damages inside Mosul Museum/ Eleonora Vio

 

Because of ISIS snipers located all around, archaeologist Layla Salih is forced to leave Mosul Museum from a hole carved on a side wall/ Eleonora Vio

Special thanks to Layla Salih, one of the most courageous women I’ve ever met.

All pictures were taken at Mosul Historical Museum, in the western side of Mosul city, in April 2017.

Mosul, I bambini del fronte

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Sorry, this entry is only available in Italian. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language.

Children on the frontline/ Eleonora Vio

Mentre a Mosul la battaglia contro lo Stato Islamico avanza lentamente alle porte della città vecchia, i quartieri liberati che delimitano la linea del fronte riflettono l’incubo da cui molti iracheni faticano a svegliarsi. I colpi di mortaio rimbombano in continuazione, facendo traballare i palazzi pericolanti e animando le strade deserte ricoperte da cumuli di macerie. E i bambini, con sguardi spenti ma interrogativi, sono le vittime di questa terrificante e surreale desolazione.

Questa foto è stata scattata il 9 aprile a Mosul.

To be continued…

IL BLOG NAWART PRESS SU VITA

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Narin vota a un seggio elettorale di Silvan.

Con la voce scossa, Narin ha detto che sarebbe uscita dalle scene per un po’. Due giorni prima era stata arrestata per aver scortato alcuni stranieri al di là delle barricate, lì dove la città di Silvan, situata nel sud-est turco, ha recentemente dichiarato l’indipendenza dallo stato turco. Con il clima di tensione in città e le elezioni alle porte, lei, in quanto membro del Congresso delle Donne Libere curde (KJA) e del partito filo-curdo HDP, non voleva attirare nuove attenzioni su di sé e la sua famiglia. Come biasimarla.

Ma la notte del 31 ottobre ricevetti una telefonata: “Domani vi va di monitorare il clima elettorale e l’affluenza ai seggi qui a Silvan? Vi porto io.” La notte deve averle portato un diverso consiglio, ho pensato senza farmi però ulteriori domande.

La mattina seguente, 1 novembre, veniamo accolte da Narin nella sede dell’HDP di Silvan. E’ di ottimo umore, tutt’altra immagine rispetto a quella che mi prefiguravo. Fino a qualche mese fa Narin era una giornalista per l’agenzia mediatica DIHA ma, “dopo aver coperto l’assalto e il massacro contro i curdi da parte dello Stato Islamico a Kobane,” spiega, “ho capito che ero troppo coinvolta e che non potevo, e non mi andava, di essere solo una testimone di quello che succedeva.”

“Volevo impegnarmi per la mia gente, e lottare assieme alle donne curde,” Narin continua. In poche ore, e con lei a farci da guida in una città spaccata a metà, dove da un lato regna una calma strana, fatta di tanti elettori che si affrettano verso le urne mentre mezzi corazzati ne osservano i movimenti, e dall’altro ci sono barricate, trincee, tendoni e guerriglieri armati pronti a sfidare l’esercito turco, ci avviciniamo a un mondo dove le donne sono in assoluto primo piano.

Camminare con Narin per la città significa essere fermati ogni due per tre da amici, parenti, compagni di partito. A lavorare dentro uno dei seggi è la sorella, una timida studentessa della facoltà di legge di Kahramanmaras, nel sud conservatore e religioso del paese, dove attacchi e provocazioni contro la minoranza curda si sommano giorno dopo giorno. “Non potete neanche immaginare quante delle sue compagne di classe hanno mollato tutto e si sono unite al PKK,” dice Narin. “Lei dice di non volerlo ma, se decidesse di prendere le armi e reagire contro il sistema, non potremmo farci nulla.”

Al di là delle barricate incontriamo una giovane sorridente dalle guance arrossate dal freddo e il kalashnikov a tracolla, e un’anziana signora in abiti tradizionali seduta di fronte a lei. L’una coordina le azioni paramilitari tra i giovani del suo quartiere, l’altra porta approvvigionamenti ai combattenti perché, “questa battagli ci riguarda tutti, ma proprio tutti, da vicino,” afferma con veemenza.

La lancetta dell’orologio scorre veloce e si fa sempre più vicina alle 4, ora di chiusura dei seggi. Narin deve affrettarsi e tornare al centro dell’HDP per monitorare lo spoglio dei voti, e noi andiamo con lei.

Mentre scompare richiamata da mille voci, ci sediamo in una stanza, dove un gruppo di donne del partito, fumando una sigaretta dopo l’altra e sorseggiando del tè, consultano freneticamente i loro smartphone. “Ottenere seggi in Parlamento è un’ottima opportunità per entrare nell’arena politica,” spiega Zuhal Tekiner, co-sindaca di Silvan, “ma noi abbiamo già il nostro Congresso che, sebbene non riconosciuto dalle autorità turche, viene implementato in tutte le municipalità del Kurdistan turco e da equa rappresentazione a tutte le classi sociali.”

“Donne e uomini indistintamente,” conclude ammiccando alle amiche e colleghe sedute intorno, mentre Narin sporge la testa dentro la stanza e ci saluta tutte con la mano.

What’s next?

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Rieccoci di nuovo qui dopo qualche settimana di silenzio e di meritato (?) riposo!

Siamo tornate e ci siamo già rimesse al lavoro, scavando in quella montagna di materiale di storie e immagini che abbiamo raccolto. Già, è ora di montare il documentario, ma anche di mettere per iscritto e in forma più narrativa le storie che ci hanno maggiormente colpito.

The Railway Diaries è terminato in Kyrgyzstan il 12 agosto, scendendo ai piedi di una montagna di Karakol con una jeep sovietica dell’anteguerra tutta sgangherata. E sì, siamo ancora vive – per chi si preoccupava – e decisamente soddisfatte. Sono stati tre mesi e mezzo di viaggio dove ci è capitato un po’ di tutto, siamo finite sulle montagne albanesi con le Vergini Giurate e in mezzo al mare Egeo per incontrare le migliaia di migranti in rotta verso l’Europa; abbiamo visto i curdi festeggiare la loro entrata in parlamento e incontrato la guerriglia del PKK in Iraq; le sacerdotesse zoroastriane d’Iran ci hanno aperto un mondo millenario e l’Asia Centrale ci ha regalato grandi perle che presto vi racconteremo.

E ora, what’s next?

Abbiamo in serbo un bel po’ di progetti e ben presto scoprirete quali…

Nel frattempo vi riproporremo in queste settimane alcune storie e momenti topici del viaggio in modo che possiate riviverlo con una continuità geografica e magari ritrovare anche qualcosa che vi siete persi per strada.

Buona lettura!

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What’s next?

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Rieccoci di nuovo qui dopo qualche settimana di silenzio e di meritato (?) riposo!

Siamo tornate e ci siamo già rimesse al lavoro, scavando in quella montagna di materiale di storie e immagini che abbiamo raccolto. Già, è ora di montare il documentario, ma anche di mettere per iscritto e in forma più narrativa le storie che ci hanno maggiormente colpito.

The Railway Diaries è terminato in Kyrgyzstan il 12 agosto, scendendo ai piedi di una montagna di Karakol con una jeep sovietica dell’anteguerra tutta sgangherata. E sì, siamo ancora vive – per chi si preoccupava – e decisamente soddisfatte. Sono stati tre mesi e mezzo di viaggio dove ci è capitato un po’ di tutto, siamo finite sulle montagne albanesi con le Vergini Giurate e in mezzo al mare Egeo per incontrare le migliaia di migranti in rotta verso l’Europa; abbiamo visto i curdi festeggiare la loro entrata in parlamento e incontrato la guerriglia del PKK in Iraq; le sacerdotesse zoroastriane d’Iran ci hanno aperto un mondo millenario e l’Asia Centrale ci ha regalato grandi perle che presto vi racconteremo.

E ora, what’s next?

Abbiamo in serbo un bel po’ di progetti e ben presto scoprirete quali…

Nel frattempo vi riproporremo in queste settimane alcune storie e momenti topici del viaggio in modo che possiate riviverlo con una continuità geografica e magari ritrovare anche qualcosa che vi siete persi per strada.

Buona lettura!

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Essere un travestito a Tirana

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Vorremmo farvi assaporare un granello, un assaggio del retrogusto che avrà il documentario Railway Diaries in Albania. Come ogni assaggio, non sveleremo più dello stretto necessario.

Per incontrare una delle nostre due narratrici dobbiamo aspettare le 10 di sera. “Andate nel parchetto dietro il Teatro dell’Opera dopo le 10 e chiedete di Angela” ci consiglia Xheny, attivista di Tirana. Prima di farvi venire con noi nel parchetto però, dobbiamo chiedervi di sintonizzarvi sulle nostre stesse note. Vi ricordate quella scena particolare di Todo Sobre Mi Madre di Almodovar, quella in cui Manuela arriva a Barcellona per ritrovare Lola e si imbatte su Agrado? C’era una sequenza in taxi con il sottofondo musicale di Tajabone, una canzone senegalese cantata da Ismael Lo. Ecco, c’è bisogno di questa musica per entrare nella giusta atmosfera di quel giovedì sera in cui abbiamo incontrato Angela.

Non c’è stato bisogno di andare in periferia, non c’erano le ronde di macchine attorno ai fuochi. Non c’erano seni in mostra o provocazioni. Era tutto molto più tristemente reale. Proprio di fianco a Piazza Skanderbeg, dove c’è il Tirana International Hotel, il teatro dell’Opera e le sedi del municipio e del parlamento di Tirana, nel cuore pulsante delle istituzioni. Lì dietro, in un parchetto poco illuminato ci siamo imbattute nella nostra Agrado. Aveva un paio di enormi occhi lucidi e due gambe scheletriche semi visibili sotto le calze a rete. Le chiediamo dove possiamo trovare Angela e lei ci indica una rete metallica nel buio più totale. Vedendo la nostra titubanza ci accompagna gridando con i suoi toni più acuti “Angela! Angela! Vieni fuori!”. Aspettiamo massimo 2 minuti e arriva la Lola di Almodovar, che nel nostro caso si chiama Angela, traballando su un paio di tacchi 12 con strass.

Si schiarisce la voce rauca prima di chiedere la prima (delle tante) sigarette… con il suo sorriso sdentato. Lola/Angela accetta di passare due giorni insieme a noi, anzi, accetta di farsi seguire. E così abbiamo fatto…

Non vogliamo dirvi niente di più su Lola/Angela, non vogliamo svelarvi le controversie e le battaglie che ha vissuto in una vita più amara che vissuta. Ve lo mostreremo a tempo debito nel primo episodio del nostro documentario…

Giulia Bertoluzzi
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