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Attacco ISIS

Autobomba esplode nella città di Aden, attacco rivendicato dall’ISIS

MEDIO ORIENTE/SICUREZZA di

Un’autobomba è esplosa nel quartiere Al-Mansoura della città di Aden, in Yemen. L’attacco è stato rivendicato dalle forze dello Stato Islamico.

L’automobile esplosa nella città di Aden mirava a colpire un accampamento usato forze di sicurezza della coalizione Saudita avversa ai ribelli Houthi. Nell’attacco è stata danneggiata anche la moschea Zayen bin Sultan, situata nei pressi dell’accampamento.  A quanto riportato dai testimoni il numero dei morti sembra ammontare alla decina mentre non si hanno dati precisi sul numero dei feriti, tra sono presenti cui alcuni civili.

La dinamica dell’attacco non è del tutto chiara, in quanto lo Stato Islamico rivendicando l’accaduto ha rivelato che vi fosse un solo uomo, Abu Hajar al-Adani, nella macchina carica di esplosivi, i quali sono stati detonati a distanza. Mentre i testimoni locali hanno riportato la presenza di due uomini.

Dalla rivendicazione si evince anche che il vero bersaglio di Adani fosse la “Security Belt” fondata dagli Emirati Arabi Uniti, la quale doveva essere distrutta uccidendo e ferendo tutti coloro al suo interno. Gli Emirati Arabi Uniti sono un alleato chiave dell’Arabia Saudita che dal 2015 combatte contro i ribelli Houthi, che hanno fatto della città di Aden la loro capitale temporanea.

Questo inoltre non è il primo attacco che la città subisce, il 5 Novembre scorso un’autobomba esplose nei pressi di un posto di blocco, uccidendo 15 persone e ferendone altre 20. Anche in quel caso l’attacco fu rivendicato dalle forze dello Stato Islamico.

Attentato a San Pietroburgo: la Russia di Putin ancora sotto attacco

BreakingNews/Defence di

Fumo, fuoco, una carrozza della metropolitana di San Pietroburgo sventrata da una bomba. Uno scenario drammatico: almeno 11 vittime, 45 feriti di cui 14 in condizioni molto gravi. Il terrorismo colpisce ancora. La Russia è di nuovo ferita da un attentato. L’esplosione avviene circa alle 14.45 ora locale del 3 aprile 2017, quando un’esplosione coinvolge il terzo vagone di una metro della linea blu in direzione dell’Istituto di Tecnologia, ma il macchinista decide di proseguire la sua corsa fino alla fermata successiva, permettendo così il soccorso immediato di molti dei feriti. Le autorità locali decidono per l’immediata chiusura dell’intera rete di trasporto sotterraneo della città. La decisione si rivela quanto più sensata, considerato che durante l’ispezione effettuata in tutte le stazioni, in un’altra viene rinvenuto un secondo ordigno esplosivo.

Questo drammatico evento si colloca in un quadro molto complesso: secondo i quotidiani russi, i servizi segreti erano a conoscenza di un piano d’azione da parte dell’ISIS proprio con obiettivo San Pietroburgo. Le notizie erano state riportate da un uomo che era rientrato sin Russia dalla Siria dove operava come foreign fighter per lo Stato Islamico ed arrestato immediatamente, ma purtroppo non era in un grado della gerarchia molto alto, tale da essere a conoscenza dei dettagli di questo folle piano omicida. Purtroppo tutti gli sforzi messi in campo dai Servizi Segreti sono stati vani. A causa dell’impossibilità di risalire all’identità reale di alcuni soggetti che avevano acquistato delle schede telefoniche non c’è stata la possibilità di rintracciarli. Le ricerche stavano proseguendo con urgenza, ma i terroristi non hanno dato il tempo necessario, colpendo in tempi molto più brevi di quelli che ci si potessero aspettare.

L’attentato è avvenuto in un giorno particolare: la visita di  Vladimir Putin nella grande città baltica. L’obiettivo  – secondo le fonti estremiste cecene – sarebbe stato proprio lo stesso Putin, visto come grande nemico, sia dalle milizie dell’ISIS, sia dai Ceceni che spesso diventano braccio armato di Daesh come forza esterna estremamente specializzata. L’attentatore infatti – come comunicato dalle fonti di intelligence sovietica – sarebbe stato identificato: si tratta di un ragazzo di 22 anni, originario del Kirghizistan e residente da 6 anni a San Pietroburgo. Secondo le fonti, sarebbe stato da sempre in contatto con i combattenti ceceni in Siria.

L’attentato a San Pietroburgo di matrice fondamentalista islamica si inserisce in un quadro già drammatico che aveva visto una lunga scia di sangue a partire dal 1999 quando l’allora Primo Ministro Vladimir Putin aveva lanciato una campagna contro il governo separatista della regione della Russia Meridionale: la Cecenia.  Da quel momento iniziano gli attacchi armati: nel 2002 la polizia fece irruzione in un teatro di Mosca per porre fine a una presa di ostaggi e il bilancio finale fu di 120 ostaggi uccisi. Nel 2004 ricordiamo il massacro di Beslan in cui persero la vita oltre 330 persone di cui la metà erano bambini. Seguendo questo triste filo rosso arriviamo al 2010 quando due donne kamikaze di origine cecena si fecero esplodere nella metropolitana di Mosca mietendo 38 vittime e numerosi feriti.

La Duma ha annunciato di non voler  – almeno per il momento – apportare modifiche all’attuale legge antiterrorismo, ma ONG , associazioni che operano sul territorio, molti membri della stampa internazionale sono convinti che qualcosa all’atto pratico succederà. Non si sa se in termini legislativi o di operazioni militari, ma quasi tutti gli attori in gioco credono che Putin inizierà a valutare l’idea di utilizzare drastiche contro misure.

Laura Laportella
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