GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Al Senato, il 27  marzo, gli Stati Generali dell’ingegneria dell’Informazione

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Mercoledì 27 marzo 2024, dalle ore 9:00, presso la Sala Capitolare del Chiostro di Santa Maria sopra Minerva a Roma, si terranno gli “Stati Generali Ingegneria dell’Informazione 2024”, evento organizzato su iniziativa della Sen. Clotilde Minasi.

I lavori affronteranno le principali tematiche e sfide dell’ingegneria dell’informazione, con l’obiettivo di stimolare il dialogo e il confronto costruttivo tra gli stakeholder del settore.

Previsti i saluti istituzionali della Sen. Minasi, dell’Ing. Domenico Perrini (Presidente CNI), dell’Ing. Massimo Cerri (Presidente Ordine Ingegneri Roma) e dell’Ing. Alessandro Astorino (Coordinatore C3 CNI).

Seguiranno le sessioni:

  • “Libertà di stampa, digitale e fake news” coordinata dal Dott. Antonio Delfino con gli interventi dell’On. Paolo Emilio Russo, del Prof. Francesco S. Vetere, del Prof. Giuseppe Corasaniti e del Prof. Walter Quattrociocchi.
  • “Digital health humanities” coordinata dall’Avv. Marco Corica con gli interventi dell’On. Simona Loizzo, del Dott. Paolo Petralia, dell’Avv. Roberta Mancia, dell’Ing. Antonio Scorpiniti, dell’Ing. Paola Rocco, della Prof.ssa Annita Sciacovelli, dell’Avv. Gennaro M. Amoruso e del Dott. Michelangelo Bartolo.
  • “Intelligenza artificiale: benefici e rischi”, coordinata dall’Avv. Giuseppe Proietti, vedranno gli interventi del Dott. Agostino Ghiglia, della Dott.ssa Luisa Franchina, dell’Avv. Luca Bolognini, della Dott.ssa Maria A. Spadorcia, dell’Ing. Diego Franzoni, del Dott. Matteo Forte e del Dott. Carmelo Cutuli.

In quest’ultima sessione mattutina, verranno approfonditi i temi legati all’intelligenza artificiale e al suo impatto sulla società, con un confronto tra esperti sul delicato bilanciamento tra opportunità e criticità di queste tecnologie.

La sessione pomeridiana, coordinata dalla Dott.ssa Maria R. Ruggirello, si avvierà invece sul tema “Nuove tecnologie e AI: opportunità e strumenti digitali a tutela dei consumatori” che vedrà la partecipazione dell’On. Francesco Lollobrigida, dell’Ing. Carla Cappiello, dell’Avv. Giuseppe Sorrentino, dell’Avv. Alessandro De Propris, del Prof. Maurizio Pimpinella, dell’Ing. Mario Ascari e del Prof. Luigi Rizzi.

A seguire, la sessione “La trasparenza e la digitalizzazione nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici” sarà coordinata dall’Ing. Gennaro Annunziata e vedrà la partecipazione dell’On. Erica Mazzetti, dell’Ing. Massimo Sessa, dell’Avv. Francesca Ottavi, dell’Ing. Sandro Catta, dell’Ing. Andrea De Maio e del Dott. Vincenzo Varchetta.

A conclusione, spazio al tema “Blockchain e informazione”, con una tavola rotonda coordinata dall’Avv. Salvatore L. Furnari e gli interventi del Dott. Alessandro Orsetti, dell’Ing. Pasquale Sorgentone, dell’Ing. Massimo Staniscia, del Dott. Mirko Maggiore, del Dott. Alan Taronna, dell’Ing. Francesco Betrò e dell’Ing. Antonio Napolitano.

I lavori del convegno saranno trasmessi in diretta streaming sul canale WebTV (https://webtv.senato.it) e sul canale YouTube (https://www.youtube.com/user/SenatoItaliano) del Senato della Repubblica. La partecipazione all’evento riconosce n. 6 CFP agli ingegneri iscritti all’Albo.

L’accreditamento per gli ospiti è disponibile al seguente link: https://statigenerali2024.eventbrite.it

Conflitto nella striscia di Gaza, urgente il cessate il fuoco

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Mentre dai fronti di guerra dell’Ucraina, dopo quasi due anni, non viene percepito alcun segnale di possibile cessazione e soluzione del conflitto, un’altra polveriera è esplosa nella fin troppo martoriata terra di Palestina, con l’attacco a Gaza deciso dal governo di Tel Aviv, a seguito del terribile e sanguinoso attentato di Hamas del 7 ottobre che ha provocato una strage di militari e civili, seguita dal sequestro di circa 250 ostaggi, ai fini di aprire nuovi margini di trattativa con Israele.

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12 novembre 1961 a Kindu caduti per la Pace

AFRICA/Difesa/EVENTI/Senza categoria di

Il 12 novembre di vent’anni fa, l’Italia si fermò per onorare 19 italiani: 12 Carabinieri, 5 militari dell’Esercito e 2 civili. A Nassiriya, rimasero vittime di un vile attentato alla base Maestrale dell’Arma. Nel ventennale di quella strage, auspico che possa rimanere sempre viva la memoria di quegli Uomini che erano in Iraq per portare la Pace. Erano in quel travagliato paese sotto l’egida delle Nazioni Unite, dopo la risoluzione 1483 del 22 maggio 2003 approvata dal Consiglio di Sicurezza, che invitava tutti gli Stati a contribuire alla rinascita dell’Iraq, favorendo la sicurezza del popolo iracheno e lo sviluppo della nazione.

Nel ricordare quegli Uomini, oggi gradirei rinnovare la memoria di altri militari italiani caduti per la Pace, sulla via del Dovere. Anche loro furono vittime di un eccidio forse proprio il 12 novembre, ma del 1961. Anche loro operavano sotto l’egida dell’ONU, ma a Kindu, in Congo. Erano 13 aviatori, membri degli equipaggi dei due bimotori C-119 Lyra 5 e Lupo 33, effettivi alla 46ª Brigata aerea di Pisa.

Nel novembre 1961, i 13 militari dell’Aeronautica Militare operavano da oltre un anno nella missione ONUC (Operazione delle Nazioni Unite in Congo), stabilita con la risoluzione 143 del Consiglio di Sicurezza. Il Congo, dopo la proclamazione dell’indipendenza dal dominio coloniale belga il 30 giugno 1960, fu caratterizzato da una forte instabilità. La missione militare ONU, avviata il 15 luglio, aveva lo scopo di assicurare il ritiro delle forze belghe ed assistere il governo locale nell’instaurare una situazione ordinata. L’ONUC si occupava anche di garantire l’integrità territoriale e l’indipendenza del Paese con una provincia, il Katanga, che si era dichiarata indipendente, per cercare di impedire il verificarsi di una guerra civile.

Proprio come quest’anno, l’11 novembre 1961 era un sabato. Quella mattina i due aerei italiani decollarono dalla capitale Leopoldville (oggi Kinshasa), per portare rifornimenti al contingente militare del Malawi, che controllava un aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale. La zona, da mesi, era sconvolta dal passaggio delle truppe della Repubblica libera del Congo dirette nel Katanga. Erano soldati indisciplinati, spesso ubriachi e dediti a saccheggi in danno delle popolazioni locali. Poche settimane prima, il 25 settembre, nel corso di scontri tra i locali, era rimasto ferito a morte, proprio a Kindu, Raffaele Soru, un caporale infermiere del Corpo militare della Croce Rossa Italiana.

Quell’ 11 novembre, gli aerei italiani dovevano fermarsi a Kindu solo per il tempo necessario a scaricare i rifornimenti. Gli equipaggi avrebbero approfittato della breve sosta per mangiare. I due C-119 atterrarono intorno alle 14:00. Da giorni in città vi era un’agitazione maggiore del solito: fra i duemila soldati del regime di stanza a Kindu si era sparsa la voce che fosse imminente un lancio di paracadutisti mercenari al soldo del regime indipendentista del Katanga. I due aerei italiani furono scambiati per velivoli katanghesi carichi di paracadutisti. Questo scatenò la reazione incontrollata dei soldati di stanza a Kindu: diverse centinaia di congolesi si recarono all’aeroporto. In quel momento i tredici militari italiani erano alla mensa dell’ONU, una villetta distante un chilometro dalla pista. Intorno alle 16:15 i congolesi fecero irruzione nell’edificio, dove italiani e malawensi, quasi tutti disarmati, si erano barricati: un’ottantina di soldati congolesi sopraffecero rapidamente gli occupanti della palazzina e li malmenarono duramente. Si accanirono in particolare contro gli italiani scambiati per mercenari belgi al soldo dei katanghesi. Il Tenente medico Francesco Paolo Remotti provò a fuggire lanciandosi da una finestra, ma fu subito raggiunto dai congolesi, che lo uccisero. Verso le 16:30 arrivarono altri 300 miliziani congolesi, guidati dal comandante del presidio di Kindu. Il comandante malawense, maggiore Maud, provò inutilmente di convincerlo che gli aviatori erano italiani dell’ONU. Intorno alle 17 i dodici italiani, costretti a portare con loro il cadavere di Remotti, furono con la forza rinchiusi in una prigione locale. Mentre il maggiore Maud e il suo vice discutevano se fosse meglio trattare il rilascio pacifico degli italiani o tentare un’azione per liberarli, quella notte giunsero all’aeroporto di Kindu alti funzionari dell’ONUC, per aprire una trattativa con i miliziani locali. Il tentativo purtroppo fallì. Appariva chiaro che gli ufficiali congolesi avessero perso il controllo sui loro uomini. Quella notte, diversi soldati locali entrarono nella cella dove erano detenuti i dodici aviatori italiani, uccidendoli tutti a colpi di mitra. I loro corpi senza vita furono abbandonati lì per diverse ore. In seguito il custode del carcere, temendone lo scempio, li trasportò nella foresta fuori città, seppellendoli in una fossa comune. I miliziani congolesi poi accusarono falsamente gli italiani di fornire le armi ai secessionisti del Katanga.

Per diversi giorni non si seppe nulla della sorte degli aviatori. Lo stesso comando ONU temporeggiò per evitare di scatenare una rappresaglia contro gli italiani, senza sapere che questi erano già stati uccisi. Solo alcune settimane dopo, l’eccidio il custode del carcere raccontò le circostanze dell’eccidio, contattando le autorità ONU per predisporre il recupero delle salme.

Nel febbraio del 1962 un convoglio della Croce Rossa austriaca, scortato da un contingente di caschi blu etiopi e accompagnato da due ufficiali della 46ª Aerobrigata, rinvenne la fossa comune dove erano stati seppelliti gli italiani. Erano nel cimitero di Tokolote, un villaggio ai margini della foresta. I cadaveri furono facilmente identificati, perché erano stati protetti da una grossa crosta di argilla, che ne agevolò la conservazione. Le salme furono riesumate il 23 febbraio 1962. Arrivarono poi all’aeroporto di Pisa l’11 marzo. All’indomani furono celebrati i funerali solenni, alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni.

Non dobbiamo dimenticare i loro nomi:

  • Maggiore pilota Amedeo Parmeggiani, 43 anni, da Bologna;
  • Capitano pilota Giorgio Gonelli, 31 anni, da Ferrara;
  • Tenente medico Francesco Paolo Remotti, 29 anni, da Roma;
  • Sottotenente pilota Onorio De Luca, 25 anni, da Treppo Grande (UD);
  • Sottotenente pilota Giulio Garbati, 22 anni, di Roma;
  • Maresciallo motorista Filippo Di Giovanni, 42 anni, da Palermo;
  • Maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani, 42 anni, da Montefalco (PG);
  • Sergente maggiore montatore Silvestro Possenti, 40 anni, da Fabriano (AN);
  • Sergente maggiore marconista Antonio Mamone, 28 anni, da Isola di Capo Rizzuto (KR);
  • Sergente maggiore montatore Nicola Stigliani, 30 anni, da Potenza;
  • Sergente maggiore elettromeccanico di bordo Armando Fausto Fabi, 30 anni, da Giuliano di Roma (FR);
  • Sergente elettromeccanico di bordo Martano Marcacci, 27 anni, da Collesalvetti (LI);
  • Sergente marconista Francesco Paga, 31 anni, da Pietrelcina (BN).

Le loro salme sono tumulate nella Cappella Sacrario ai Caduti di Kindu presso l’aeroporto di Pisa.

Le circostanze esatte dell’eccidio sono ancora oggi poco chiare. A lungo, varie voci hanno sostenuto che il massacro fosse avvenuto con la partecipazione o comunque davanti alla popolazione locale. Si è persino detto che i corpi degli avieri italiani fossero stati mutilati. La ricostruzione dei fatti in seguito al ritrovamento delle salme ha smentito buona parte di questi dettagli.

Nel 1994, alla loro memoria fu concessa la Medaglia d’Oro al Valore Militare. La motivazione evidenzia che ognuno di quei militari “nel quadro della partecipazione italiana all’intervento di intermediazione delle Forze dell’ONU nell’Ex-Congo, consapevole dei pericoli cui andava incontro, ma fiducioso nei simboli dell’Organismo internazionale e convinto della necessità di anteporre la costruzione della nascente Nazione all’incolumità personale, sopraffatto da un’orda di soldati sfuggiti al controllo delle forze regolari, percosso gravemente sotto la minaccia delle armi, interveniva in difesa dei suoi uomini/colleghi, protestando la nazionalità italiana e la neutralità delle parti. Preso in ostaggio e fatto oggetto di nuove continue violenze, veniva barbaramente trucidato, offrendo la propria vita per la pacificazione dei popoli e destando vivissima commozione nel mondo intero. Luminoso esempio di estrema abnegazione e di silenzioso fino al martirio”.

Nel 2007, un monumento ai caduti di Kindu è stato inaugurato presso l’ingresso dell’aeroporto internazionale “Leonardo da Vinci”, a Fiumicino.

Sono trascorsi oltre sessant’anni da quell’eccidio, come venti da Nassiriya. La memoria continua, da parte delle Istituzioni militari italiane, ci insegna che i decenni sono solo un attimo sulla via del Dovere.

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Presentato al Circolo “La Contea” il libro di Andrea Rey sulla scomparsa del Banco di Napoli

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Il Circolo Culturale “La Contea”, ha ospitato la presentazione del volume di Andrea Rey, “La Scomparsa del Banco di Napoli”, per l’Editoriale Scientifica. La presentazione, in presenza dell’autore, è stata introdotta da Luciano Schifone, Presidente del Circolo Culturale “La Contea”. Durante l’evento sono intervenuti Adriano Giannola, Presidente della SVIMEZ, Francesco Caia, Ex Presidente Facente Funzioni della Fondazione Banco di Napoli, e Paolo Pantani, Primo Presidente e Socio fondatore di ABC Acli beni culturali.

“Il libro di Andrea Rey – ha sottolineato il Presidente della SVIMEZ, Prof. Adriano Giannola, non solo aggiorna illustrandola ma certifica fino a rendere -per molti aspetti- definitiva la videnda che tra il 1994 e il 1998 ha portato alla fine del Banco di Napoli commentando la paradossale conclusione dell’ attività della SGA nel 2016. “

“Quello del prof. Rey, – continua il Prof. Giannola – è un testo, agile, redatto con inappuntabile rigore tecnico rende -al contempo- comprensibile anche ai non addetti ai lavori quella che a lungo è rimasta una vicenda oscura segnata dalla sedicente asta competitiva con la quale il Tesoro Italiano di allora, pilotando lo smantellamento della Banca, decretò la rovina della Fondazione. L’ analisi, senza enfasi, si commenta da sola; oggi è tanto più utile in quanto collega la vicenda del Banco al fantastico successo SGA, maturato in quindici anni, contabilizzato al valore di oltre 800 milioni di € …. bruciati dall’ esercizio di pegno sulle azioni SGA ad opera dell’ ineffabile Tesoro-anno 2016, all’ altezza dell’ ineffabile Tesoro-anni 1998-2000.”

“Al di là degli enormi conflitti di interesse che segnano la vicenda -ora del tutto evidenti (e lo erano anche allora)- questo esemplare caso di studio, a fronte delle persistenti condizioni del dualismo creditizio -più intenso ora di allora- consente di distillare due conclusioni. In primis, quanto frettolosa e logicamente infondata fosse la -tuttora- autorevole “dottrina sul consolidamento” del sistema bancario centrata sull’ acquisizione cross border del controllo e della proprietà delle principali banche meridionali ad opera delle banche esterne al Mezzogiorno.  Perentoriamente ed autorevolmente raccomandata nel 1992 essa fu immediatamente (e opportunisticamente!) recepita, inaugurata ed attuata a Napoli facendo tesoro delle raccomadazioni. Detto-Fatto! Le autorevoli raccomandazioni del 1992 furono tempestivamente recepite e applicate con effetti che durano fino ad oggi.”

“La seconda conclusione – chiosa il prof. Giannola – è l’inerzia degli azionisti e delle istituzioni territoriali, devastate da “quel consolidamento” della banca più antica del mondo occidentale. Una inerzia inopinata che non ha saputo -a quel che si sa- attivare e reclamare quanto previsto dall’ unico spazio conquistato dall’ allora Presidente della Fondazione nella Legge 588 del 19.11.1996 che converte il decreto legge del 24.9.1996, n.497 contenente le disposizioni urgenti per il salvataggio del Banco. In quella legge, l’ articolo 2, comma 1 detta le “disposizioni relative agli (allora) attuali azionisti e le connesse condizioni che rendono applicabili quelle disposizioni” al momento della conclusione dell’ attività di recupero della SGA (oggi frettolosamente cancellata e fatta “emigrare al Nord”). Un appuntamento era stato dato allora nella fiducia di poter “riscattare a tempo debito” l’onore del Banco ed esercitare i diritti negati e “congelati” all’ atto dell’ azzeramento del capitale ad opera del Tesoro. Un appuntamento andato deserto.”

 

Il Comandante

È in uscita al cinema il film “Il Comandante”, che ci farà conoscere la figura di Salvatore Todaro, interpretato dal bravo Pierfrancesco Favino. Andrò a vedere il film, ma prima della visione intendo ricordare la figura di quest’eroico sommergibilista, pluridecorato al Valor Militare. È una figura epica della nostra Storia militare. Il suo è stato un eroismo connotato da intelligenza e da profonda umanità. Nei prossimi giorni uscirà anche un film su Napoleone, che sarà molto acclamato. Napoleone è una figura molto nota al grande pubblico. Todaro lo è molto meno, anche se, nel mio piccolo, ho già tentato di ricordarlo in varie occasioni, poiché lo considero un simbolo dell’ardimento italiano.

Salvatore Bruno Todaro, nato a Messina nel 1908, crebbe a Sottomarina, oggi frazione di Chioggia (Venezia), dove la sua famiglia, di chiare origini siciliane, trasferì dopo il terremoto che colpì la città dello stretto, per seguire il padre, sottufficiale del Regio Esercito.

Ammesso all’Accademia Navale di Livorno, completò gli studi nel 1927 con la nomina a guardiamarina. Nel 1928, riuscì a frequentare il corso da osservatore aereo, così unendo i due suoi grandi amori: il mare e l’aria. In una mirabile sintesi di questi due elementi, nella sua carriera avrebbe sempre tentato di vincere il mare per elevarsi verso l’alto.

L’ardimento nel volo sarebbe, però, tramontato nel 1933 a causa di un incidente, che, a soli 25 anni, l’avrebbe costretto a portare il busto per tutta la vita. Dal punto di vista tattico, fu un sommergibilista “sui generis”, poiché preferì il contatto in superficie con l’avversario, prediligendo l’uso del cannoncino dalla torretta piuttosto che l’impiego dei siluri in profondità. Fu un idolo per i suoi marinai, ai quali donò un pugnale, come arma da combattimento, per poter guardare sempre negli occhi l’avversario. Era uomo di profonda cultura: conosceva testi antichi e aveva una passione per la nascente psicanalisi, fino a sperimentare sui suoi la teoria dell’inconscio collettivo. Per questo lo chiamarono “Mago Bakù”. Molti a bordo gli davano addirittura del “Tu”, una anomalia nel mondo militare. Erano quelli che il Comandante Todaro aveva decorato sul campo con la frase: “Da oggi tu mi darai del Tu”. Questa “onorificenza del Tu” valeva tantissimo per i suoi fedelissimi, che lo adoravano. Era un Capo che dava sempre l’esempio per ardimento e spirito di sacrificio: era il primo ad esporsi ai pericoli, a soccorrere o incoraggiare i suoi, ai quali trasmetteva autorevolezza e fiducia. La sua figura di Comandante, con quel pizzetto di barba nerissima e con quello sguardo magnetico, generava subito emulazione.

Oggi, ben oltre i racconti sul Comandante, ricordiamo il fatto che, su tutti, ha unito il suo ardimento militare ad un profondo senso di umanità. Era la notte del 16 ottobre 1940. Al largo delle Canarie, Todaro, a capo del sommergibile “Comandante Cappellini”, affondò il cargo belga Kabalo, che trasportava ricambi aeronautici inglesi. Per quell’azione, sarebbe stato decorato in vita con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, ma sarebbe rimasto nella Storia per quanto avrebbe compiuto dopo l’affondamento. Infatti, decise di raccogliere tutti i 26 naufraghi della nave belga e di rimorchiarli su una zattera per 4 giorni nell’Atlantico. Quando si spezzò il cavo che tirava quella scialuppa, il Comandante non esitò ad ospitare i naufraghi a bordo. Li sbarcò, poi, incolumi, in un porto neutrale alle Azzorre. Nel salutare l’incredulo comandante belga, l’Italiano gli disse: “Sono un uomo di mare come lei. Sono convinto che al mio posto lei avrebbe fatto come me”. Lo salutò, poi, militarmente alla visiera, ma, notando che il belga rimase a guardarlo, gli chiese: “Ha dimenticato qualcosa?”, “Sì” – gli rispose il belga con le lacrime agli occhi -“Ho dimenticato di dirle che ho quattro bambini: se non vuole dirmi il suo nome per mia soddisfazione, accetti di dirmelo perché i miei bambini la possano ricordare nelle loro preghiere”. “Dica ai suoi bambini di ricordare nelle loro preghiere Salvatore Todaro”.

Il salvataggio di naufraghi nemici non era una novità per gli italiani: due mesi prima, il 12 agosto 1940, anche il sommergibile “Alessandro Malaspina” del comandante Mario Leoni aveva rimorchiato i 45 uomini dell’equipaggio della petroliera britannica “British Fame” verso il primo porto sicuro. Il caso del Cappellini fu peculiare perché, a causa della citata rottura del cavo, Todaro imbarcò i 26 naufraghi nemici nel suo sommergibile. Qualcun altro avrebbe detto che la sua umanità pose a rischio affondamento il sommergibile con tutti i suoi uomini, ma, per lui, quel gesto rientrava nel Codice d’Onore del Mare.

Lo straordinario comportamento del Comandante non fu, però, apprezzato dall’ammiraglio Dönitz, comandante in capo dei sommergibilisti tedeschi, che criticò aspramente: “questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il Signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”. Todaro rispose, con una frase lapidaria, riportata da molte fonti e mai smentita, rimasta celebre nella storia della nostra Marina: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle!”.

Todaro continuò le sue azioni epiche nell’Atlantico: il 5 gennaio 1941, tra le Canarie e l’Africa, il Cappellini affondò, sempre col cannone della torretta, il piroscafo armato inglese “Shakespeare”. Anche in questo caso il Comandante raccolse 22 nemici superstiti, alcuni gravemente feriti, ponendoli in salvo sull’isola di Capo Verde.

Proseguendo la crociera, il sommergibile giunse a largo di Freetown (Sierra Leone), dove affondò la nave britannica Emmaus. Durante la battaglia un aereo inglese colpì con due bombe il Cappellini, causando gravi danni. Nonostante ciò, Todaro riuscì a portare il sommergibile fino al porto neutrale di Gran Canaria, ove sbarcò i feriti e riparò lo scafo per riprendere il mare il 23 gennaio 1941. Raggiunse poi con successo il porto di Bordeaux, sede del Comando BETASOM, da dove i sommergibili italiani combatterono la “Battaglia dell’Atlantico” con gli U-Boot tedeschi.

Per queste missioni, Todaro fu decorato in vita con la sua prima Medaglia d’Argento al Valor Militare (durante la sua carriera gli furono concesse in vita tre Medaglie d’Argento e due di Bronzo al Valor Militare).

Il Comandante, poi, chiese di essere sbarcato dai sommergibili. Nel novembre 1941 fu trasferito alla Xª Flottiglia MAS, un’unità speciale, il cui nome rimase legato a memorabili imprese, come quella di Alessandria d’Egitto del 19 dicembre 1941. Todaro, con il grado di capitano di corvetta, fu assegnato all’“autocolonna Moccagatta“, con cui avrebbe partecipato dal maggio 1942 al blocco navale di Sebastopoli, nel Mar Nero. In queste ardite operazioni si distinse ancora, tanto da meritare la terza Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Nel novembre 1942 Todaro fu destinato alla base dell’arcipelago di “La Galite” in Tunisia, al comando del motopeschereccio armato “Cefalo”, con l’obiettivo di condurre una serie di attacchi al porto di Bona, importante base avversaria. Nel dicembre 1942, uno “Spitfire” inglese mitragliò il peschereccio, prima di essere messo in fuga dalla contraerea. Subito dopo, i suoi marinai chiamarono Todaro, ma non sentirono risposta. Entrarono nella sua cuccetta, dove lo trovarono con gli occhi chiusi, come se dormisse. Guardandolo meglio, notarono che una piccola scheggia gli aveva trapassato la tempia. “Il Comandante Todaro è morto”, gridò un marinaio, piangendo. Era il 14 dicembre 1942. Salvatore Todaro aveva 34 anni. La sua memoria è onorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, per la seguente motivazione: “Ufficiale superiore di elette virtù militari e civili. Capacissimo, volitivo, tenace, aggressivo, arditissimo, al comando di un sommergibile prima e di reparto d’assalto poi, affrontava innumerevoli volte armi enormemente più potenti e numerose delle sue, e dimostrava al nemico come sanno combattere e vincere i marinai d’Italia. Assertore convinto della potenza dello spirito, malato ma non esausto, mai piegato da difficoltà materiali, da considerazioni personali, da logoramento fisico, ha sempre conservato intatte volontà aggressiva e fede e mistica dedizione al dovere intesa nel senso più alto e più vasto. Mai pago di gloria e di successi, non sollecito di sé. ma solo della vittoria, riusciva ad ottenere il comando di sempre più rischiose imprese finché, nel corso di una di esse, mitragliato da aerei nemici, immolava la sua preziosa esistenza alla sempre maggiore grandezza della Patria. Purissima figura di uomo e combattente, esempio fulgidissimo di sereno, intelligente coraggio e di assoluta dedizione.”

Nei prossimi giorni, sentiremo parlare di Salvatore Todaro, questo guerriero del mare che, come visto, combatté sempre “a viso scoperto”. Nel film, rivedremo l’epopea del soccorso ai naufraghi del Kabalo, un gesto che è rimasto nel Libro d’Oro della nostra marineria. Rimorchiare le loro zattere per salvarli e, poi, ospitarli addirittura nello spazio claustrofobico del battello non fu solo una prova di generosità, ma mise a rischio la vita dell’equipaggio.

Nell’attesa di vedere il film, per chi volesse immergersi nell’atmosfera vissuta da Todaro consiglierei di vedere su “YouTube” gratuitamente “Uomini sul fondo”, film girato nel 1940 con l’assistenza di Roberto Rossellini: un’opera che, sebbene voluta dalla propaganda dell’epoca, anticipa la forza del neorealismo. In rete è disponibile anche il film del 1954 «La grande speranza» di Duilio Coletti, che ricorda, in forma romanzata, le vicende del Cappellini e, in particolare, il salvataggio dei naufraghi del Kabalo.

Oggi intendo ricordare un Uomo, che non sognava un mondo senza confini o identità. Salvatore Todaro era un Uomo, che non sognava un mondo senza armi e senza guerra. Appartiene a quella schiera di Militari morti per la nostra Nazione, per difendere Valori che, oggi, in tanti sono fortunatamente liberi di ritenere persino superflui o retrogradi.

L’auspicio è che il lettore che ha avuto la pazienza di leggere tutto quest’articolo, così come lo spettatore che vedrà il film su Todaro, possa riappropriarsi, al di là dei revisionismi, di una Storia fatta di eroismo italiano – militare oltre che umanitario – purtroppo spesso rimosso. Mi auguro che il film possa restituire alla Nazione il Comandante nella sua autenticità, anche nelle sue apparenti contraddizioni, ma senza polemiche e senza che nessuno se ne serva per sbandierare “concetti ideologici” moderni che il nostro Eroe forse non avrebbe mai condiviso.

“Venerdì 13” e la sfortuna

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“Venerdì 13” è sinonimo di sfortuna in tanti paesi. La giornata del venerdì e il numero 13 combinati insieme avrebbero un effetto avverso, innescando spesso la scaramanzia. La superstizione secondo cui questo giorno sarebbe nefasto è in voga in tante nazioni sia anglosassoni che latine. L’idea che la giornata sia portatrice di cattivi auspicii è talmente forte che il numero 13 è stato eliminato dalle file di sedili sugli aerei di linea.

Da dove deriva questa credenza popolare?

Da un punto di vista storico, l’unico episodio degno di nota avvenne proprio un venerdì di ottobre. Dopo sette secoli, ricordiamo ancora che venerdì 13 ottobre 1307 il re di Francia Filippo IV “Il bello” ordinò l’arresto dei cavalieri templari. Appartenevano ad un potente ordine religioso e militare, creato in Terra Santa nel 1120. I templari furono incarcerati con accuse gravi per l’epoca, ma l’obiettivo della corte di Francia era forse l’ingente patrimonio del sodalizio. L’ordine dei templari fu poi soppresso dal Papa, ma la fama di quei cavalieri è ancora viva. Esistono ancora oggi molte leggende che coinvolgono i templari. Esiste un legame tra i Templari e la superstizione del venerdì 13? Non saprei. La verità rimane spesso oscura, ma tenderei ad escludere una relazione tra venerdì 13 e i templari. Il motivo è semplice: esistono connessioni tra il venerdì e il 13 già prima del 1307.

Si pensi che già nella mitologia scandinava il 13 porta sfortuna: in origine c’erano 12 semidei. Quando poi arrivò il tredicesimo, Loki, gli uomini scoprirono la sua crudeltà. Da qui, in quelle terre, il 13 è divenuto segno di malaugurio.

Il legame tra il numero 13 e la sfortuna è documentato anche nell’Antica Grecia. Lo storico greco Diodoro Siculo (I secolo a. C.) narra che Filippo II (IV secolo a. C.), re di Macedonia e padre di Alessandro Magno, fu ucciso da una guardia del corpo, dopo aver fatto inserire una sua statua accanto a quelle delle 12 divinità dell’Olimpo. La sua la morte sarebbe stata la conseguenza di questo “sgarbo” agli dei.

La diffidenza verso il 13 risalirebbe addirittura agli assiro-babilonesi, che, secondo antiche valutazioni astrologiche, ritenevano il 12 un numero sacro perché agevolmente divisibile. Proprio perché il 13 viene dopo il 12 avrebbe dato a questo numero la fama di porta sfortuna. In molte culture il numero 12 è storicamente associato alla completezza (ci sono 12 mesi e 12 segni zodiacali, 12 le fatiche di Ercole, come le divinità dell’Olimpo o le tribù di Israele, solo per fare alcuni esempi). Il 13, come numero successivo, ha una lunga storia quale segno di sfortuna.

Le attribuzioni nefaste del venerdì 13 troverebbero riscontro anche nella tradizione biblica: nell’Ultima Cena il tredicesimo commensale fu Giuda, l’apostolo traditore. Inoltre Gesù fu crocifisso di venerdì. Si narra che fosse un venerdì anche il giorno in cui Eva diede ad Adamo la fatidica mela, così come il giorno in cui Caino uccise suo fratello Abele.

Ovviamente una spiegazione razionale agli effetti del venerdì 13 non esiste. Questa chiara superstizione ha tuttavia conseguenze concrete: oltre la citata mancanza della fila 13 sugli aerei, negli Stati Uniti si evita di chiamare con il suo nome il 13° piano dei palazzi; si passa così dal 12° al 14° piano, come si nota anche negli ascensori.

La combinazione “venerdì 13” capita almeno una volta all’anno, con un massimo di tre. Il ospita due venerdì 13: uno a marzo e uno a novembre.

Nella nostra Italia, il 17 è ritenuto più “pericoloso” del 13. Nella smorfia napoletana il 17 equivale alla “disgrazia”. Già in Grecia il numero non era amato dai matematici perché intermedio al 16 e al 18, ideali nello studio dei quadrilateri. Anche nell’Antica Roma il 17 non era gradito: sulle tombe era scritto VIXI (“vissi”), anagramma di XVII. Opinione diametralmente opposta esiste in Israele, dove il 17 porta fortuna, perché, nella cabbala ebraica, il 17 è la somma di têt (9), waw (6) e bêth (2) che portano alla parola tôv “buono, bene”.

In tema di superstizione, Benedetto Croce, il filosofo morto a Napoli nel 1952, diceva: “non è vero, ma prendo le mie precauzioni”. Questa frase fu poi ripresa dal grande Eduardo che soleva dire “Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”. Il fratello Peppino De Filippo scrisse una commedia in tre atti dal titolo “Non è vero, ma ci credo”.

Quando a Benedetto Croce fu ricordato che era solito eseguire gesti scaramantici (‘fare le corna’), pur non essendo superstizioso (come aveva affermato), il grande pensatore rispose: ‘Ma no! Io non ho detto questo. Ho detto, invece, che il dubbio se credere o non credere alla iettatura è superato dal fatto che il rimedio contro la iettatura l’abbiamo sempre a portata di mano […]’.

Pensando oggi a Venerdì 13, potremmo forse tutti seguire il suo consiglio, “facendo le corna”?

7 ottobre 1943. La deportazione dei Carabinieri romani

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Ogni giorno abbiamo conferme che, per affrontare le sfide del futuro, servono risposte sempre nuove, basate su competenze specialistiche aggiornate. Qualsiasi soluzione, però, deve basarsi anche su valori, che sono immortali, senza tempo. Sono valori etici che trovano la loro più chiara esemplificazione in personaggi o fatti del passato. In questa nuova collaborazione con questa prestigiosa rivista, proverò periodicamente a ricordare un fatto o un esempio del Passato, che indica ancora oggi una Virtù o un Valore da coltivare, perché senza Memoria non c’è Futuro.

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Una velocissima riflessione sulla dimensione esterna dell’UE.

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Ho letto da poco l’ormai ennesimo statement del Consiglio dell’Unione europea circa il tristissimo e vicinissimo conflitto in Ucraina. 

Negli scorsi mesi mi è capitato spesso di leggere numerose dichiarazioni di differenti istituzioni unionali (o, comunque, di altre organizzazioni, think tank, agenzie e centri di ricerca collegati all’Unione europea e da questa finanziati in tutto in parte).

Ma l’ultima dichiarazione dell’Unione che ho letto recava dei commenti e dei giudizi di valore – tutt’altro che benevoli – sulle elezioni locali e regionali in Russia. 

Con questo statement il Consiglio dell’Unione europea ha ribadito la sua totale condanna verso l’occupazione Russa in Ucraina e non fa alcun mistero di non riconoscere assolutamente la validità di dette elezioni, specie nei territori abusivamente e violentemente occupati. 

Vieppiù, viene reiterata con forza la richiesta di immediato ritiro delle truppe Russe dai territori occupati. 

La questione, però, non mi ha colpito per il merito quanto, piuttosto, per la forma

Sono rimasto piacevolmente sorpreso di come l’Europa oggi si esprima quasi alla stregua di un’organizzazione internazionale “matura”, “anziana”, “esperta” quando si tratta di questioni che attengono alla sicurezza internazionale e alla politica estera in generale. 

Qualcuno dirà che ho scoperto l’acqua calda. 

È vero, ma nelle ultime dichiarazioni riguardanti il conflitto in corso, ho davvero notato un grande salto di qualità, una nuova rivelazione di autorevolezza, un maggiore slancio nonché la totale assenza di “timidezza”.

Quasi a voler rimarcare come l’Unione non sia più un’organizzazione internazionale con una primaria vocazione economica ma come, anzi, essa rappresenti ormai un attore sovranazionale importante, anche negli scenari globali e securitari e di come agisca più quale un attore politico che come un mero organismo macroeconomico.

Leggere posizioni nette, a tratti intransigenti e scomode, mi ha fatto intendere come la politica estera dell’Ue sia chiara, decisa e rapida. 

Si percepisce che le decisioni in ambito politico internazionale vengono prese in maniera più veloce (non certo precipitosa), perché su questi dossier gli Stati membri e le Istituzioni unionali appaiono essere sempre sulla stessa scia, anche se non sempre completamente all’unisono.

Un bel traguardo, questo, se pensiamo che l’Ue è un’organizzazione internazionale non più giovanissima, ma ancora abbastanza neofita per le questioni securitarie. 

È un risultato ancora più ragguardevole, se pensiamo ai problemi che quotidianamente sentiamo e leggiamo circa le sfide che l’Unione deve affrontare al suo interno. 

Problemi di stabilità economica, questioni di sicurezza interna, “viscosità” nel processo decisionale per quanto riguarda il Regolamento di Dublino e la gestione delle migrazioni, sono solo alcuni esempi.

Qualche opinionista registra malumori e dissapori anche sul possibile futuro allargamento, sempre più a est, verso i Balcani.

Da europeista convinto, quindi, auspico che l’Ue e le sue istituzioni possano operare in maniera sempre più rapida, decisa, veloce, sicura e meticolosa anche per le questioni che attengono alla sicurezza ed al mercato interni, ad un sempre maggiore miglioramento del coordinamento con i governi nazionali, a delle politiche economiche e sociali più vicine ai cittadini. 

Operando anche sul fronte interno con la stessa speditezza e schiettezza utilizzata per le questioni internazionali, “il messaggio” europeo ed europeista – risultando vincente e persuadendo i popoli dell’Unione della sua bontà – non potrà che perpetuarsi e perpetuare la stabilità, la sicurezza e la prosperità del vecchio continente.

Ogni tanto un po’ di ottimismo ci vuole no?.   

Il Consiglio dell’Unione europea

Il prof. Armao relatore sull’insularità al Congresso della Società internazionale di diritto pubblico (ICON•S)

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Il prof. Gaetano Armao del Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali (DEMS), delegato del Rettore allo sviluppo ed alla cooperazione nazionale ed europea sulla condizione di insularità, è stato invitato come relatore alla Conferenza annuale dell’International Society of Public Law (ICON- S) tenutasi a Wellington, presso la Te Herenga Waka-Victoria University di Wellington e dal New Zealand Centre for Public Law, dal 3 al 5 luglio 2023, sul tema “Islands and Oceans: Public Law in a Plural World”.

ICON-S è la società scientifica più grande e leader al mondo per i settori del diritto pubblico: diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto internazionale ed ha sede a New York-United States.

Il prof. Armao è intervenuto nella sessione dedicata al tema “Island as a contemporary legal issue”, il 3 luglio pomeriggio, con una relazione su “The perspective of insularity in Europe” mettendo in luce l’importanza del riconoscimento della condizione di insularità e dell’adozione di misure compensative per contrastare la marginalità insulare, al fine di garantire una maggiore coesione territoriale e sociale nell’UE.

L’intervento del professor Armao ha evidenziato i progressi ottenuti dalla condizione di insularità in Europa, grazie alle risoluzioni del Parlamento europeo, alle opinioni del Comitato delle Regioni e, in particolare, grazie al riconoscimento della condizione di insularità nella Costituzione italiana (art. 119) e all’impegno dello Stato  ad adottare misure compensative per contrastare la marginalità insulare.

Secondo uno studio recente del Parlamento europeo, non esiste un elenco sistematico o armonizzato delle isole e dei territori insulari dell’UE (ad esempio, gli arcipelaghi), tuttavia si stima che le regioni insulari abbiano una popolazione di oltre 20 milioni di persone (4,6% della popolazione totale dell’UE), di cui 6,5 milioni in Italia (il paese con il maggior numero di cittadini insulari dell’UE).

Le isole europee sono presenti in 13 Stati membri dell’UE, su un totale di 3 Stati insulari europei: Irlanda, Malta e Cipro. Una categoria diversa sono le Regioni Ultraperiferiche (RUP) con un regime costituzionale speciale, appartenenti a Francia, Spagna e Portogallo e situate in altre parti del mondo lontane dall’UE, come l’Atlantico o l’Oceano Indiano (art. 349 TFUE).

Per quanto riguarda l’Italia, la dottrina riconosce che il variegato insieme di regioni speciali dovrebbe essere distinto in due diverse tipologie di specialità: “autonomia alpina”, che include Valle d’Aosta, Trento, Bolzano e Friuli-Venezia Giulia, e “autonomia insulare”, che include Sicilia e Sardegna, differenziate da condizioni diverse.

In questo contesto, la recente reintroduzione di uno specifico comma nell’art. 119 della Costituzione italiana, che fa esplicito riferimento a misure e risorse aggiuntive dello Stato nei confronti delle isole, assume un significato ancora più pregnante rispetto alle regole in vigore in precedenza.

Il Metaverso come Strumento di Progettazione e Test per Veicoli Militari

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Il Metaverso come Strumento di Progettazione e Test per Veicoli Militari: una soluzione vincente per la riduzione dei costi e la sostenibilità. Questo articolo si pone l’obiettivo di fornireuna panoramica di come il metaverso potrebbe essere utilizzato come strumento innovativo per migliorare l’efficienza energetica, ridurre i costi e accelerare il processo di sviluppo di veicoli militari, con benefici significativi per l’industria e le forze armate.

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Lorenzo Midili
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