GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 52

Patto di Stabilità, al via la revisione in Commissione europea

EUROPA di

La Commissione europea ha dato il via alla revisione del Patto di Stabilità e Crescita attraverso un riesame della governance economica, presentando un documento per aprire il dibattito con gli Stati membri: “Rivedere le regole UE che fissano i vincoli per i conti pubblici dei Paesi dell’Eurozona” è uno degli obiettivi principali, mantenendo un equilibrio tra stabilità e investimenti.

L’analisi della Commissione

A seguito delle misure adottate dall’Unione Europea per far fronte alla crisi 2007-2008, si è resa necessaria la periodica revisione e la sorveglianza del bilancio nell’ambito del patto di stabilità e crescita. Il Six-pack e il Two-pack prevedono che la Commissione riveda e riferisca sull’applicazione della legislazione ogni cinque anni. Da quando sono state introdotte le regole principali dell’economia europea il mondo è cambiato, così come il contesto economico: c’è dunque bisogno di una semplificazione per Bruxelles, anche in vista della comprensione dei cittadini; allo stesso tempo, anche l’inizio di un nuovo ciclo politico a livello europeo è un momento opportuno per valutare l’efficacia delle norme attuali.

Il 5 febbraio 2020 La Commissione ha presentato una comunicazione che esamina il quadro di governance economica dell’UE, basandosi su tre obiettivi: “garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche e della crescita economica evitando squilibri macroeconomici; consentire un maggiore coordinamento delle politiche economiche e promuovere la convergenza dei risultati economici degli Stati membri”. La comunicazione stabilisce inoltre come la Commissione intende consultare le parti interessate per ricevere le loro opinioni sul funzionamento del quadro economico finora e sui possibili modi per migliorarne l’efficacia. In realtà, la commissione europea non dà indicazioni sul futuro ma si limita ad analizzare gli ultimi anni: ciò che è emerso è che alcuni Paesi hanno un debito elevato e vi sono bassi livelli di investimenti. Allo stesso tempo, vi è stata una convergenza duratura dei risultati economici degli Stati membri e un coordinamento più stretto delle politiche di bilancio nella zona euro.

Senz’altro, si può affermare che il quadro di bilancio è diventato eccessivamente complesso a causa della necessità di tener conto di un’ampia gamma di circostanze in continua evoluzione; questa complessità ha reso il quadro meno trasparente e prevedibile.

Il dibattito

Un momento fondamentale è stato senz’altro il riconoscimento dell’importanza del dibattito inclusivo tra gli attori coinvolti, poiché per la Commissione europea “è fondamentale che tra tutti i principali portatori d’interessi vi sia un grado di consenso e di fiducia ampio, perché la sorveglianza economica nell’UE sia efficace”. Tutti i portatori di interesse – le altre istituzioni europee, le autorità nazionali, le parti sociali e il mondo accademico – sono stati invitati a partecipare ad un dibattito per esprimere il loro parere sul quadro di governance economica, se questo abbia funzionato o meno e su come rafforzarne l’efficacia.

Data la molteplicità degli attori, il dibattito si articolerà in diverse forme, quali riunioni dedicate, seminari, una piattaforma di consultazione online. Entro la fine del 2020, la Commissione concluderà il processo considerando i pareri di ogni gruppo interessato, e basandosi sulle conclusioni di ognuno di questi.

Argomento delicato sarà l’obiettivo di Ursula von der Leyen, il piano decennale da 1,000 miliardi di euro per raggiungere la neutralità climatica: questo si dovrà conciliare con la promozione degli investimenti e con il sostegno all’economia. Il dibattito servirà anche a comprendere come far quadrare tutti questi aspetti fondamentali da portare avanti.

Le dichiarazioni

Valdis Dombrovskis, Vicepresidente esecutivo per Un’economia al servizio delle persone, ha dichiarato: “Le nostre regole di bilancio condivise sono fondamentali per la stabilità delle nostre economie e della zona euro. Garantire la stabilità finanziaria è un requisito essenziale per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.” Tuttavia, riconoscendo la complessità delle regole e la difficoltà nel comunicarle, Dombrovskis aggiunge che “auspichiamo una discussione aperta su ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato, e sul modo di creare consenso per razionalizzare le regole e renderle ancora più efficaci”.

Paolo Gentiloni, Commissario per l’Economia, ha aggiunto che “le politiche economiche in Europa devono affrontare le sfide odierne, che sono palesemente diverse da quelle di un decennio fa. La stabilità resta un obiettivo essenziale, ma vi è l’altrettanto urgente necessità di sostenere la crescita e in particolare di mobilitare gli enormi investimenti che servono per affrontare i cambiamenti climatici. Dobbiamo inoltre elaborare politiche di bilancio più anticicliche, tenuto conto dei vincoli crescenti con cui deve confrontarsi la BCE”.

Economia blu: la Commissione europea vara il fondo BlueInvest

EUROPA di

Nel corso della conferenza BlueInvest Day a Bruxelles, la Commissione europea, in collaborazione con il Fondo europeo per gli investimenti, ha varato il fondo BlueInvest: un fondo di investimento a sostegno dell’economia blu con una dotazione di 75 milioni di €. Nel dettaglio, si tratta di un’azione congiunta condotta dalla Vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), Emma Navarro e da Virginijus Sinckevicius, Commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca.

Il contesto

L’economia blu è un modello di economia globale dedicato alla creazione di un ecosistema sostenibile grazie alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia. Il modello prevede attività legate a oceani, mari e coste, e comprende tutte le imprese operanti nella produzione di beni e servizi che contribuiscono all’economia marittima, attive in mare e a terra. Nel settore rientrano molte iniziative ed imprese promettenti, nate spesso da programmi di ricerca e di sviluppo finanziati dall’Unione europea. Queste sviluppano soluzioni per le energie rinnovabili, i prodotti ittici sostenibili, le biotecnologie blu, i sistemi informatici marittimi e molto altro ancora.

BlueInvest si pone come un’iniziativa della Commissione europea che persegue il miglioramento dell’accesso ai finanziamenti, la loro predisposizione per le start-up, le imprese e le PMI in fase iniziale attive nell’economia blu. L’iniziativa prevede una comunità online, l’assistenza alle imprese per stimolarne la propensione agli investimenti, l’impegno degli investitori, molteplici eventi, un’accademia nonché la preparazione di vari progetti.

Il contesto è quello del Piano di investimenti per l’Europa, il quale intende stimolare gli investimenti per creare crescita ed occupazione, facendo ricordo ad un uso più intelligente delle risorse finanziarie, eliminando gli ostacoli agli investimenti ed offrendo visibilità ed assistenza tecnica ai progetti di investimento. Il nuovo programma è sostenuto dal Fondo europeo per gli investimenti strategici, pilastro finanziario del Piano di investimenti per l’Europa.

Fondo BlueInvest: i dettagli

Il fondo BlueInvest varato a Bruxelles sarà gestito dal Fondo europeo per gli investimenti e finanzierà fondi sottostanti che si rivolgono strategicamente all’economia blu e la sostengono. Si tratta di un settore cruciale, in grado di svolgere un ruolo importante nella transizione verso un’economia neutra, in termini di emissioni di carbonio, entro il 2050, una delle ambizioni annunciate nel Green Deal europeo.

Il fondo è completato dalla piattaforma BlueInvest della Commissione europea che stimola la propensione agli investimenti e l’accesso ai finanziamenti per le imprese, le PMI e le scale-up in fase iniziale.

Attraverso il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, la Commissione finanzia, inoltre, un regime supplementare di sovvenzioni di 40 milioni di € per sostenere le PMI dell’economia blu a sviluppare e commercializzare prodotti, tecnologie e servizi nuovi, innovativi e sostenibili.

Le dichiarazioni

Virginijus Sinkevičius, Commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, in prima linea per l’attivazione di questo fondo, ha dichiarato: “Se gli oceani sono tra i più colpiti dai cambiamenti climatici, essi offrono anche molte soluzioni in ogni singolo settore marino – dalla pesca e acquacoltura, all’energia eolica offshore, del moto ondoso e mareomotrice, alle biotecnologie blu e a molti altri settori legati all’innovazione – che consentono di rispondere all’emergenza climatica. Il fondo di investimenti di 75 milioni di € serve a sbloccare il potenziale dell’economia blu per contribuire al Green Deal europeo e provvedere alla crescita economica delle PMI europee che sviluppano prodotti e servizi innovativi e sostenibili”.

La Vicepresidente della BEI, Emma Navarro, responsabile per l’economia blu, ha invece affermato: “Gli oceani sono indispensabili per la vita sulla Terra, eppure sono in pericolo e occorre proteggerli. È per questo che stiamo sviluppando soluzioni innovative di finanziamento a sostegno dell’economia blu che ci consentano di stanziare finanziamenti per proteggere gli oceani e trasformare le superfici marine in una risorsa economica sostenibile. Il fondo BlueInvest che avviamo oggi darà un contributo importante per mobilitare investimenti privati in questo settore e far decollare progetti essenziali. Questa iniziativa rappresenta un altro partenariato fondamentale tra il Fondo europeo per gli investimenti e la Commissione europea”.

“Gli oceani offrono un potenziale enorme di crescita economica che deve però essere sostenibile. Gli investimenti nel settore dell’economia blu che abbiamo sottoscritto oggi mostrano come i finanziamenti pubblici dell’UE possano essere impiegati per attirare gli investimenti privati e catalizzare lo sviluppo in questo settore. Sono lieto che possiamo varare oggi il fondo BlueInvest che, insieme agli ulteriori capitali privati, contribuirà a portare avanti il programma europeo di economia blu” queste, infine, le parole di Alain Godard, amministratore unico del Fondo europeo per gli investimenti.

Vertice Italia-Libia: al centro i temi pace e immigrazione

AFRICA di

È durato oltre due ore l’incontro di lunedì 3 febbraio tra il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ed il suo omologo libico Fathi Bashagha a cui hanno partecipato anche il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e le rispettive delegazioni. L’incontro ha fornito l’occasione per ribadire il sostegno italiano al Governo di Accordo Nazionale Libico, nonché l’impegno e la volontà di giungere ad una soluzione politica della crisi libica. Il governo italiano ha quindi lanciato un nuovo appello, affinché tutte le parti coinvolte nel conflitto rispettino la tregua, evitando di contravvenire a quanto stabilito dalla Conferenza di Berlino per riportare stabilità nello Stato nordafricano in termini economici, politici e militari. 

Quello dei migranti è stato un altro tema al centro del vertice con il Ministro libico Bashagha. In particolare, si è discusso del Memorandum d’intesa che l’Italia ha siglato con la Libia nel 2017 con il quale, tra le altre cose, il nostro Paese si impegnava a fornire sostegno alle autorità libiche per il contrasto all’immigrazione clandestina. Al termine del vertice, il Ministro Di Maio ha rivelato la volontà di entrambe le parti di proseguire nella collaborazione, insieme all’intenzione del governo italiano di presentare una serie di emendamenti per migliorare il contenuto del documento in materia di diritti dei richiedenti asilo e dei migranti.

 

Nonostante gli sforzi diplomatici ad oggi la Libia continua a vivere in una situazione di grave instabilità. Gli ultimi scontri tra le forze del governo di Tripoli e l’esercito guidato dal generale Khalifa Haftar hanno avuto luogo dei pressi dell’aeroporto della capitale, il 30 gennaio scorso. Diverse fonti hanno riferito che, negli ultimi giorni, le forze di Haftar stanno avanzando verso verso Misurata e Sirte, nell’ovest del Paese, nel tentativo di aprire un nuovo fronte, contravvenendo, di fatto, all’invito al cessate il fuoco della conferenza di Berlino. 

 

Abbattimento PS752: l’Ucraina rilascia comunicazioni intercettate sulla torre dimostrando che l’Iran era a conoscenza del lancio di missili

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L registrazioni dimostrano che gli iraniani hanno visto il missile dal momento in cui è stato lanciato e nel momento in cui ha colpito l’aereo ucraino.

Nelle ultime notizie dall’Ucraina, TSN ha intercettato comunicazioni intercettate.Tyzhden tra la torre dell’aeroporto di Teheran e il secondo pilota del volo iraniano Aseman Airlines al momento dello schianto del volo Ukraine International Airlines PS752.

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Brexit day, il Parlamento europeo approva l’uscita del Regno Unito

EUROPA di

La sera del 29 gennaio 2020, il Parlamento europeo riunito a Bruxelles ha approvato l’Accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione Europea. Dopo tre anni e mezzo dal referendum del 2016 e da numerosi negoziati, il Regno Unito lascerà l’UE alla mezzanotte del 1° febbraio 2020: si apre la fase della transizione.

L’approvazione del Parlamento

Con 629 voti favorevoli, 49 contrari e 13 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato l’Accordo di recesso per portare a compimento la Brexit, l’ultimo passaggio necessario per l’uscita dall’UE, secondo quanto concordato dal governo britannico e dalla Commissione europea.

Il referendum del 23 giugno 2016 – quando 17.4 milioni di persone hanno votato per l’uscita – ha dato inizio al processo; i tre anni di negoziato sono stati tutt’altro che facili, vi sono stati diversi rinvii e molteplici negoziazioni. Proprio per questo motivo, il voto del 29 gennaio è ritenuto di storica importanza. La votazione in Plenaria si è svolta dopo il completamento del processo di ratifica nel Regno Unito, con la raccomandazione positiva della commissione per gli affari costituzionali. I numerosi interventi che si sono susseguiti durante l’assemblea hanno ricordato l’importanza delle relazioni con il Regno Unito, e non sono mancati momenti emozionanti di saluti.

Dopo il voto, gli eurodeputati si sono presi per mano ed hanno cantato una canzone scozzese – Auld Lang Syne – conosciuta anche in Francia con il titolo “Ce n’es qu’un au revoir”, non è che un arrivederci. È stato proprio questo lo spirito che ha accompagnato gli eurodeputati nell’arco della serata: la tristezza dei saluti e la certezza di un futuro ancora insieme, seppur non da Stato membro. Non sono mancati i festeggiamenti però, soprattutto da chi negli ultimi tre anni ha spinto per l’uscita del Regno Unito: Nigel Farage ha affermato di adorare l’Europa e di odiare l’Unione Europea, aggiungendo “Niente più contributi finanziari, niente più Corte di Giustizia Europea, niente più Politica Comune della Pesca, niente più discussioni, niente più bullismo”.

Il Presidente dell’eurocamera è stato invece di tutt’altro avviso: “Mi rattrista profondamente pensare di essere arrivati a questo punto. Cinquant’anni di integrazione non possono dissolversi facilmente” ha affermato Sassoli, aggiungendo che “Dovremo impegnarci, tutti, per costruire nuove relazioni mettendo sempre al centro gli interessi e la protezione dei diritti dei cittadini. Niente sarà semplice. Ci saranno situazioni difficili che metteranno anche alla prova i nostri rapporti futuri. Ma questo lo sapevamo sin dall’inizio della Brexit”. Il Presidente rimane certo del fatto che, in ogni caso, le divergenze verranno sempre superate. Anche il capo negoziatore europeo Michel Barnier si è detto molto toccato dopo il dibattito, che è stato “emozionante e ha avuto toni gravi”.

Il periodo di transizione

Il Regno Unito lascerà l’Unione Europea a partire dal 1° febbraio 2020. Tuttavia, la fase che inizia può essere definita un vero e proprio periodo di transizione, in quanto ci vorrà ancora del tempo prima che i rapporti tra Regno Unito ed Unione Europea si definiscano, precisamente circa un anno. Scadrà a dicembre 2020 tale periodo, dunque qualsiasi accordo sulle relazioni future UE – Regno Unito dovrà essere concluso prima di tale data, così da entrare in vigore il 1° gennaio 2021. Anche questo periodo può essere sottoposto a una proroga, per uno o due anni, ma si dovrà decidere entro il 1° luglio dalla commissione congiunta UE – Regno Unito. Il Parlamento dovrà approvare qualsiasi accordo sulle relazioni future e, se tale accordo fa riferimento a competenze che l’UE condivide con gli Stati membri, anche i parlamenti nazionali dovranno ratificarlo.

Il ruolo del parlamento europeo risulta importante nelle relazioni future, poiché dovrà approvare anche l’accordo finale. Il gruppo di coordinamento del Regno Unito coopererà con la task force dell’UE per le relazioni con il Regno Unito e con le commissioni parlamentari per gli affari esteri e per il commercio internazionale e con tutte le altre commissioni competenti.

Durante questo periodo di 11 mesi, il Regno Unito continuerà a seguire tutte le norme dell’UE e le sue relazioni commerciali rimarranno le stesse, ma non potrà prendere parte ai suoi organi decisionali.

Il futuro accordo di libero scambio

Il periodo di transizione dovrebbe dare luogo ad un nuovo accordo di libero scambio, necessario perché il Regno Unito lascerà il mercato unico e l’unione doganale alla fine della transizione. Tale accordo consentirà alle merci di circolare nell’UE senza controlli o costi aggiuntivi. In mancanza dell’accordo invece, vi sarebbero maggiori tariffe da pagare e altri tipi di barriere commerciali. Commercio e sicurezza sono i due temi principali dei futuri accordi: dal sistema dei dazi al rapporto di concorrenza tra aziende britanniche ed europee, alla tutela dei diritti dei cittadini e alla salvaguardia di importanti progetti come l’Erasmus. Il Parlamento europeo è riuscito ad includere tutti i benefici e i diritti di sicurezza sociale nell’ attuale accordo, così come i diritti per le generazioni future e il controllo giudiziario della Corte di giustizia europea.

Il coordinatore del Parlamento per la Brexit Guy Verhofstadt ha affermato: “Idealmente, dovremmo essere in grado di andare oltre un accordo di libero scambio con il Regno Unito. Non soltanto “no tariffe” e “no quote” ma anche “no abbandono” – questo significa che le nostre norme sociali e ambientali europee saranno pienamente rispettate nelle nostre future relazioni commerciali”.

Bruxelles: la cerimonia in memoria delle vittime dell’olocausto ed il discorso di Liliana Segre

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Il 29 gennaio il Parlamento europeo ha aperto la sessione plenaria a Bruxelles con una cerimonia solenne in memoria delle vittime dell’olocausto.

La Giornata internazionale della memoria per le vittime dell’Olocausto si celebra il 27 gennaio per ricordare l’Anniversario della Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz nel 1945. Con il termine Olocausto si fa riferimento allo sterminio di 6 milioni di ebrei, rom e altri gruppi perseguitati dai regimi nazisti e fascisti.

“È mio dovere testimoniare”

Aprendo la cerimonia, il Presidente del Parlamento, David Sassoli, ha affermato: “Oggi ci inchiniamo davanti a tutte le vittime della Shoah e vogliamo assumerci il nostro dovere di ricordare”. Sassoli ha poi sottolineato che “il nazismo e il razzismo non sono opinioni, ma sono crimini, e ogni volta che leggiamo sul giornale notizie di violenze e insulti, noi dobbiamo considerarli rivolti a ciascuno di noi. Sono attacchi all’Europa e ai valori che essa rappresenta”.

La senatrice a vita Liliana Segre è intervenuta durante la cerimonia parlando della liberazione, con un discorso memorabile in cui ha condiviso la memoria del male inflitto ad Auschwitz ed il dovere di testimoniare con i deputati europei.

La senatrice italiana ha ricordato l’assoluta disumanità dei campi e delle cosiddette “marce della morte” organizzate dai nazisti nel 1945, alle quali sopravvisse da ragazza a differenza di molti altri che non ce l’hanno fatta. “La loro unica colpa era quella di essere nati”, ha affermato.

La senatrice ha poi spiegato il motivo per cui ha deciso di porre fine agli incontri con gli studenti sulla Shoah (l’ultimo si terrà in primavera ad Arezzo): “Da trent’anni parlo nelle scuole e sento una difficoltà psichica molto forte di continuare. È mio dovere testimoniare”, tuttavia “da tre anni sento di essere io che salto fuori dalle mie memorie, quella ragazzina magra, denutrita, disperata, sola e non la posso più sopportare. Sono la nonna di me stessa e sento che se non la smetto di parlare, se non mi ritiro quel tempo che mi resta a ricordare da sola e a pensare alle grandi gioie della mia famiglia ritrovata, non lo potrò più fare comunque perché non ce la farò più”, ha continuato. “Sento che i ricordi di quella ragazzina che sono stata non mi danno pace: quella ragazzina lì che ha fatto la marcia della morte, che ha brucato nei letamai e non piangeva più è un’altra da me e io sono anche la nonna di me stessa ed è una sensazione che non mi abbandona”, ha concluso.

“L’antisemitismo ed il razzismo ci sono sempre stati”

“Anche oggi qualcuno non vuole guardare e anche adesso qualcuno dice che non è vero” ha detto la senatrice. Ha poi ricordato con le parole di Primo Levi “lo stupore per il male altrui”, che “nessuno che è stato prigioniero ha mai potuto dimenticare”.

Liliana Segre ha continuato soffermandosi sulla constatazione che “l’antisemitismo ed il razzismo ci sono sempre stati “ci sono corsi e ricorsi storici”. La parola razza ancora è utilizzata e per questo è necessario combattere il razzismo strutturale, che c’è ancora.

Durante il suo discorso, ha ricordato una bambina del campo di Terezin, che – prima di essere uccisa dai nazisti – disegnò una farfalla gialla che vola sopra ai fili spinati. “Anche oggi fatico a ricordare”, ha detto la senatrice, provata da molti anni passati a essere testimone dell’Olocausto, “ma mi è sembrato un grande dovere accettare questo invito per ricordare il male altrui, ma anche per ricordare che si può, una gamba davanti all’altra, essere come quella bambina di Terezin”.

“Questo è un semplicissimo messaggio da nonna che vorrei lasciare ai miei futuri nipoti ideali: che siano in grado di fare la scelta della non indifferenza e con la loro responsabilità e la loro coscienza essere sempre quella farfalla gialla che vola sopra i fili spinati” ha concluso.

Un lungo applauso del Parlamento europeo ha salutato il discorso della senatrice a vita. L’Europarlamento ha poi osservato un minuto di silenzio su richiesta del Presidente David Sassoli. Molto emozionati gli europarlamenti. stando alle immagini diffuse. Era presente anche Anita Lasker-Wallfisch, membro sopravvissuto dell’orchestra delle donne ad Auschwitz.

Gli altri contributi

È stato poi il turno delle dichiarazioni della Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sull’inviolabilità della dignità di ogni persona e sul dovere dei cittadini europei di lottare contro l’antisemitismo, il razzismo e la discriminazione. “Lo sterminio di 6 milioni di ebrei è il male assoluto, la barbarie peggiore che l’umanità ha potuto realizzare ad altri uomini e come tedesca avverto un senso profondo di colpa”-ha dichiarato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen-“Come tedesca sento anche un senso di responsabilità particolare, perché in Europa so che sono stati i nostri vicini a tenderci la mano riaccogliendoci tra i popoli democratici”. “Lottiamo contro ogni forma di antisemitismo, non dimentichiamo mai” ha concluso.

“Per noi italiani è una grandissima emozione e anche motivo di orgoglio perché certamente l’esperienza di Liliana Segre è una esperienza che può dare insegnamenti e può essere di straordinaria importanza non solo per noi italiani ma per tutta l’Europa” ha detto il Commissario europeo Paolo Gentiloni. “Il fatto che oggi sia Liliana Segre a prendere la parola” ha aggiunto “è un grandissimo motivo di orgoglio e di soddisfazione, è un modo per dire che l’Italia è uno di quei Paesi in cui si coltiva la memoria e in cui nonostante qualche gesto estremista e incredibile, i cittadini, le istituzioni e le grandi figure di prestigio tengono alto l’onore del nostro Paese sui temi della memoria”.

Francia, chiusura di 14 reattori nucleari per un approvvigionamento differenziato

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Électricité de France (EDF), la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, ha presentato un piano per la chiusura, entro il 2035, di 14 reattori nucleari in 7 centrali presenti nel territorio nazionale. Si tratta dei reattori più vecchi, vale a dire a più alto rischio e con la manutenzione più complessa. Le 7 centrali interessate non saranno eliminate, bensì lavoreranno a metà servizio.

Il piano di EDF

La scadenza per il processo di chiusura è fissata tra 15 anni ma già durante quest’anno verranno spenti due reattori, al confine con la Germania, nella località di Fessenheim. Gli altri reattori sono presenti negli impianti di Blayais, Bugey, Chinon, Cruas, Dampierre, Gravelines e Tricastin.

Puntare sull’energia rinnovabile e liberarsi dei reattori più vecchi sono gli obiettivi del piano presentato da EDF al Governo, con la prospettiva di un passaggio dalla condizione attuale in cui oltre il 70% di energia è prodotta dalle centrali nucleari, ad un approvvigionamento maggiormente differenziato. Nel dettaglio, l’obiettivo è un calo del 20% dell’energia proveniente dalle centrali nucleari entro il 2035.

“Il principio generale sarà quello di spegnere i reattori, escluso Fessenheim, al termine della loro quinta interruzione decennale, vale a dire spegnimenti tra il 2029 e il 2035” come si legge nella prima versione della Programmazione pluriennale dell’energia, che stabilisce le priorità del Governo per l’azione energetica nella Francia continentale nei prossimi sei anni. Il testo sarà sottoposto alla consultazione pubblica fino al 19 febbraio.

Maxence Cordiez, ingegnere nel settore energetico, ha posto l’accento sull’importanza della fusione tra la necessaria lotta contro il cambiamento climatico e la volontà politica di chiudere le centrali nucleari ai massimi livelli dello stato.

L’azione del Governo

Da parte sua, il Governo francese ha stanziato 1 miliardo e 800 milioni di euro per la produzione del biogas. Un altro campo che attira molto l’amministrazione francese è l’eolico: la scommessa è quella di raddoppiare l’energia prodotta da pale off shore, sfruttando l’oceano. “La visualizzazione di una traiettoria leggibile e anticipata consentirà alle regioni e ai dipendenti di prepararsi meglio, iniziare la loro conversione con largo anticipo e strutturare il settore dello smantellamento. Porterà inoltre visibilità a tutte le parti interessate nel sistema elettrico per i loro investimenti”, ha aggiunto il Governo francese.

La Ministra della transizione ecologica e solidale, Élisabeth Borne in un’intervista rilasciata lunedì 20 gennaio al quotidiano Le Monde, ha dichiarato: “Questa è la prima strategia nazionale a basse emissioni di carbonio che fornisce una traiettoria settore per settore per raggiungere il neutralità del carbonio a metà del secolo”. La Ministra ha poi aggiunto “Diamo obiettivi credibili, che traduciamo in azione, spegnendo il primo reattore della centrale di Fessenheim a febbraio e spegnendo le centrali a carbone”.

François Brottes, il Presidente del Consiglio Direttivo di Réseau de Transport d’Électricité (RTE) -il gestore della trasmissione di elettricità- ha spiegato in una conferenza stampa che “Entro il 2030, 45 GW di carbone saranno chiusi (equivalente di 45 reattori nucleari), 27 reattori nucleari entro il 2035 tra Francia e paesi vicini in Europa. Questo è ciò che è in gioco, è la decarbonizzazione”.

I precedenti

L’attenzione della Francia al tema della differenziazione energetica è riconducibile a due eventi: la canicola estiva, che ha costretto a spegnere le centrali nucleari per il rischio di surriscaldamento, ed un recente terremoto di 5,4 gradi sulla scala Richter al Sud Est del Paese che ha fatto temere il peggio per una centrale, spenta per qualche giorno. In particolare, dopo quest’ultimo evento l’associazione “Sortir du nucleaire”, che milita per l’abbandono del nucleare ha ricordato che le centrali nucleari sono a norma per scosse fino a 5,2, mentre è stata espressa un’opinione diversa dal Direttore dell’Agenzia per la sicurezza nucleare Rémy Catteau, il quale ha dichiarato che “le installazioni sono pensate per resistere a scosse molto più elevate”. L’indice SMS (Sisma maggiorato di sicurezza) è stato calcolato nuovamente in seguito al disastro di Fukushima: è superiore al terremoto più grave che verosimilmente può prodursi una volta ogni mille anni, e che nel caso del Sud della Francia risale all’8 agosto 1873 di 4,7 gradi sulla scala Richter, a Chateauneuf-du-Rhone, a pochi chilometri dall’attuale centrale di Tricastin.

Un sondaggio pubblicato lo scorso giugno ha mostrato che il 69% della popolazione francese ritiene che l’energia nucleare contribuisca al cambiamento climatico. Date le sfide poste dal cambiamento climatico, l’obiettivo è evitare un atteggiamento sia irresponsabile che pericoloso.

Attualmente sono 417 i reattori nucleari esistenti al mondo e i Paesi che li gestiscono sono 31. È importante sottolineare, tuttavia, che la costruzione di centrali è diminuita negli ultimi 5 anni a causa del disastro di Fukushima del 2011, dovuto principalmente allo tsunami che ha seguito il terremoto di Tohoku.

 

 

Repubblica ceca, l’impegno militare nel Sahel e in Iraq

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Lunedì 27 gennaio, il governo ha approvato un piano per dispiegare 60 truppe in Africa, per una missione antiterrorista.

Allo stesso tempo, il Primo ministro ha affermato che non ci sono piani immediati per il ritiro dei soldati cechi dall’Iraq.

Le truppe in Africa

Il piano del Ministero della Difesa per dispiegare fino a 60 truppe nell’ambito della missione antiterroristica francese in Africa è stato approvato dal governo ceco lunedì 27 gennaio. Il piano di schieramento delle forze ceche nella missione – previsto fino alla fine del 2022 – necessita ancora dell’approvazione parlamentare. Tuttavia, il governo ha affermato che il Mali, il Niger e il Ciad hanno approvato lo spiegamento di forze ceche, aggiungendo poi che i cechi aiuteranno le truppe locali a combattere i militanti islamici. Tale missione infatti, lavora nella regione del Sahel proprio per sradicare i militanti islamici presenti, nella quale il governo di Babis ha già circa 120 truppe, come parte di una missione di addestramento dell’Unione europea. Le forze ceche che andranno dispiegate stazioneranno principalmente in Mali, poiché le operazioni in Niger comporterebbero operazioni logistiche e transfrontaliere, secondo quanto ha affermato il Ministero della Difesa. Tuttavia, dato che il quartier generale dell’Operazione si trova in Ciad, le truppe ceche si collocheranno in parte anche lì. Secondo le stime del ministero della Difesa, il dispiegamento avrà un costo minimo di 598 milioni di corone ceche (ovvero 26,38 milioni di dollari USA).

L’operazione Barkhane e l’EUTM Mali

Le forze ceche amplieranno la cosiddetta operazione Barkhane, un’operazione d’oltremare francese in corso nella regione africana del Sahel, contribuendo alla creazione di una task force di paesi europei per assistere le forze francesi già presenti nella regione. L’operazione Barkhane è un’operazione anti-insurrezione iniziata il 1° agosto 2014 e costituita da una squadra francese di 4500 forze; la sede permanente è nella capitale del Ciad, N’Djamena, ma l’operazione coinvolge ben cinque paesi, quali Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger – i cosiddetti G5 Sahel. L’obiettivo è quello di aiutare i governi dei paesi a mantenere il controllo del loro territorio, impedendo alla regione di diventare un rifugio per i gruppi terroristici.

Le truppe del governo ceco presenti in Mali assumeranno nel corso di quest’anno la guida della missione di addestramento dell’Unione europea. L’European Union Training Mission in Mali è una basata strategia dell’Unione Europea e riguarda il settore militare così come quello politico e umanitario. L’EUTM Mali è composta da quasi 600 soldati provenienti da 25 paesi europei, tra cui 21 membri dell’UE e 4 Stati non membri. Tale missione nasce nel 2013 per rispondere all’esigenza di rafforzare le capacità delle forze armate maliani, con il risultato finale di essere forze armate autosufficienti in grado di contribuire alla difesa della loro popolazione e territorio.

I soldati cechi in Iraq

A seguito degli ultimi fatti accaduti in Iraq, il primo ministro Andrej Babiš e i funzionari del ministero della Difesa si sono attivati per calmare le preoccupazioni sulla sicurezza dei soldati cechi e degli ufficiali di polizia in servizio nel paese. Il capo dello staff generale ha affermato che sono state prese le giuste precauzioni affinché sia garantita la sicurezza della squadra ceca, composta da 40 membri, per poi aggiungere che, in caso di necessità, è in atto un piano di emergenza di evacuazione. La Repubblica Ceca dispone di 13 specialisti della guerra contro le armi chimiche, che aiutano i soldati iracheni nell’addestramento, rendendoli pronti affrontare le conseguenze di un attacco chimico alla base militare di Al-Taji in Iraq. Altri 24 agenti di polizia militare stanno aiutando polizia irachena nelle fasi di addestramento, e altri due gruppi di soldati della forza di schieramento del paese stanno sorvegliando l’ambasciata ceca a Baghdad e il consolato ceco a Irbil.

Il primo ministro Babiš ha dichiarato in una conferenza stampa a Praga che il contingente ceco in Iraq è al sicuro e per questo motivo, al momento non ci sono piani per il suo ritiro.

“I soldati e gli ufficiali di polizia che abbiamo in Iraq sono al sicuro. Il ministero della Difesa ceco e l’esercito stanno consultando questioni di sicurezza e futuri passi da vicino con la leadership della NATO e nelle circostanze attuali non stiamo prendendo in considerazione un ritiro”. Il capo delle operazioni delle forze armate ceche, Josef Kopecký, ha confermato che i soldati cechi che erano proprio accanto all’ambasciata americana a Baghdad sono stati trasferiti in un altro sito in Iraq per motivi di sicurezza, ed ha poi aggiunto che “date le misure di sicurezza adottate, non è possibile chiedere un ritiro o una ricollocazione immediati”. Infine, il Ministero degli Esteri ceco ha ribadito l’avvertimento ai cittadini cechi in merito ai viaggi in Iraq e ha esteso il suo avvertimento anche all’Iran.

Visita del Presidente turco Erdogan in Algeria: al centro sempre il dossier libico

AFRICA di

Domenica 26 gennaio, il Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, accompagnato da una delegazione turca di alto livello, è stato accolto in Algeria, come prima tappa di una serie di bilaterali, che lo vedranno poi impegnato in Gambia e Senegal. La visita è stata finalizzata a permettere la partecipazione del leader di Ankara al Forum Economico turco-algerino, ma anche alla discussione sul dossier libico. Durante l’incontro con l’omologo algerino Abdelmadjid Tebboune, Erdohan ha sottolineato che la crisi libica non sarà risolta attraverso “soluzioni militari”, aggiungendo: “Stiamo portando avanti intensi negoziati con i Paesi della regione e con gli altri attori internazionali per garantire il cessate il fuoco in Libia e facilitare il ritorno al dialogo politico”.

La visita ha luogo a seguito delle accuse rivolte dal Presidente turco al capo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), il generale Khalifa Haftar, ritenuto responsabile di aver violato il cessate il fuoco concordato durante la Conferenza di Berlino, il 19 gennaio. In effetti, i combattimenti alle porte di Tripoli non si arrestano, con le forze di Haftar che, il 26 gennaio, hanno condotto un attacco militare su tre fronti, prendendo il controllo di alcune aree tra Misurata e Sirte. L’esercito del governo di Tripoli, noto come Governo di Accordo Nazionale (GNA), avrebbe tuttavia risposto con un contrattacco, costringendo l’LNA a ritirarsi. Inoltre, nel corso della giornata del 26 gennaio, le forze di Haftar hanno nuovamente attaccato l’aeroporto di Mitiga, dopo la sua riapertura, avvenuta il 24 gennaio, ferendo alcuni dipendenti.

 

Le violazioni della tregua sono state denunciate anche dal governo di Tripoli, che ha affermato che i continui scontri sono alimentati dall’appoggio degli attori stranieri, molti dei quali si erano tra l’altro espressi a favore della Conferenza di Berlino. In particolare, secondo fonti egiziane, riportate dal quotidiano The New Arab, Riad ha inviato al generale Haftar un nuovo pacchetto di aiuti, sia finanziari sia militari, con il fine di rafforzare la propria presenza nel Paese. Inoltre, sempre secondo tali fonti, il principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman Al Sa’ud, ha promesso al capo dell’LNA di inviare quanto prima ulteriori aiuti, volti a stabilire un nuovo status quo nel Paese.

 

L’Algeria, che condivide con la Libia circa 1.000 km di confine, sta cercando di imporsi come mediatore chiave nella risoluzione della questione libica, che mette a rischio l’intera stabilità della regione africana. Il 23 gennaio, Algeri ha ospitato un incontro tra i Ministri degli Esteri di 6 Paesi africani, ovvero Egitto, Tunisia, Sudan, Ciad, Mali e Niger, per cercare di favorire la pace nel Nordafrica e l’inclusione di tutti i vicini della Libia nei negoziati per una soluzione politica del conflitto.

 

In tale quadro, il presidente algerino Tebboune, a inizio gennaio, ha espresso un forte desiderio di allontanarsi da qualsiasi soluzione militare in Libia, invitando tutti i Paesi e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad assumersi le proprie responsabilità, facendo rispettare un cessate il fuoco immediato e ponendo fine all’escalation militare a Tripoli.

La visita di Mattarella in Qatar e in Israele

MEDIO ORIENTE/POLITICA di

La settimana appena trascorsa è stata per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricca di appuntamenti istituzionali per lo più centrati sui nodi del Medio Oriente e della questione libica. 

 

IL SUMMIT IN QATAR
Il Capo di Stato dopo aver ricevuto nel 2018 al Quirinale il sovrano del Qatar, l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani, si è recato a Doha lunedì 20 gennaio per sostenere dei colloqui assieme a quest’ultimo. Nei due giorni di permanenza sono stati toccati numerosi temi, dai problemi che affliggono la comunità internazionale e la stabilità della regione fino alle fruttuose relazioni economiche tra i due paesi, che negli ultimi anni hanno registrato 2 miliardi di euro in interscambio, ovvero nell’insieme di importazioni ed esportazioni, di cui uno per le esportazioni italiane; a testimonianza del rapporto saldo in materia economica tra Italia e Qatar erano presenti al vertice gli amministratori delegati di numerose aziende italiane, tra cui Eni, Fincantieri, Leonardo e Cassa depositi e prestiti.

Il rapporto tra i due paesi non è solo di cooperazione economica, difatti sia l’Italia che il Qatar nella questione libica appoggiano il governo di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj, nell’ultimo periodo sotto l’attacco del Generale Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico, che sta conducendo una grave offensiva sulla capitale nonostante le richieste di tregua avanzate sia dalla Conferenza di Berlino che dalla Russia e la Turchia, principali alleati delle rispettive compagini libiche.
Il presidente Mattarella non ha nascosto all’emiro al-Thani la sua preoccupazione per questa grave escalation di violenze, soprattutto alla luce dell’invio da parte del presidente turco Erdogan di un contingente militare in supporto di Tripoli sulla base di un accordo trovato tra Anakara e il Governo di Accordo Nazionale libico lo scorso 27 novembre. Tra i paesi che hanno condannato quest’intromissione, che sembra aver colpito l’intera comunità internazionale, c’è l’Italia. Il Presidente Mattarella ha definito la situazione preoccupante ed ha auspicato una maggiore saggezza; la crisi libica deve essere risolta tramite la mediazione poiché un ulteriore conflitto sarebbe devastante per un paese che dal 2011 ha perso la propria stabilità; è per questo che l’Italia, ha continuato il Capo di Stato, appoggia l’azione multilaterale dell’ONU e del suo alto rappresentante Ghassan Salamé.
Da parte sua l’emiro qatariota al-Thani supporta il governo di al-Serraj ed è al contempo stretto alleato di Ankara, da quando nel 2017 Erdogan supportò il Qatar a fronte di un blocco commerciale che altri Stati vicini come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, l’Egitto, lo Yemen e il Barhein gli imposero a seguito di accuse di finanziamento allo Stato Islamico; aiuto per cui la Turchia sta ora beneficiando di un piano d’investimenti pari a 15 bilioni di dollari da parte di Doha per contrastare la forte svalutazione della lira turca. L’incontro di Doha è stato quindi salutato con esito positivo,nonostante restino alcuni interrogativi circa il futuro della Libia; il multilateralismo e le richieste di tregua restano al contempo strumenti tanto solenni quanto poco efficaci, tant’è che il generale Haftar oltre a violare la tregua auspicata a Berlino sta limitando fortemente la produzione di greggio negli impianti sotto suo controllo, recando danni ingenti a compagnie come la NOC e l’Eni.

 

LA VISITA IN ISRAELE
Dopo gli incontri tenuti in Qatar per il Presidente Mattarella è stata la volta di Gerusalemme, invitato lì il 24 gennaio assieme agli altri capi di stato dal Presidente israeliano Reuven Rivlin per commemorare il 75imo anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau al memoriale della Shoah Yad Vashem. Il Presidente Rivlin per l’occasione si è voluto congratulare con l’Italia per il suo impegno in prima fila nella lotta contro l’antisemitismo, testimoniato anche dalla nomina di Liliana Segre a senatrice a vita nel 2018, a 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali. L’evento di commemorazione si è svolto linearmente; hanno preso parola molti capi di stato tra cui il Presidente russo Vladimir Putin, che anche se con un leggero ritardo ha voluto ringraziare Israele per conservare tutt’oggi la memoria dei tragici eventi legati al nazismo, eventi che uniscono il popolo russo a quello ebraico, e Mike Pence, vice-presidente statunitense, il quale ha rivolto l’attenzione dei partecipanti verso gli attuali nemici del popolo ebraico, prima fra tutti Teheran.
IL VICE USA AL QUIRINALE

All’indomani della commemorazione che si è svolta a Gerusalemme il Presidente Mattarella ha accolto venerdì 24 gennaio, presso il Quirinale, proprio il vice-presidente USA Mike Pence. Le buone relazioni che intercorrono fra Stati Uniti e Italia sono dato certo; le situazioni di crisi nella politica internazionale non ne hanno scalfito l’intesa sebbene l’Italia, come confermato dalle parole dello stesso Presidente, sia preoccupata dal graduale disimpegno americano in Siria e in Libia, oltre che dall’applicazione di dazi nei confronti del nostro paese.

A tal proposito Mattarella ha esortato gli Stati Uniti ad applicare il proprio peso poltico specialmente in Libia, dove l’Italia conserva numerosi interessi, al fine di dare efficacia alla tregua chiesta dalla Conferenza di Berlino. Sulla questione dazi il Presidente ha richiamato il concetto di alleanza come “comunità di valori”, la stessa che lega i due paesi nell’alleanza trans-atlantica, e che rischia però di essere indebolita dall’intromissione di strumenti commerciali nocivi come i dazi commerciali. Dopo il colloquio avuto al Quirinale il vice USA Mike Pence si è diretto a Palazzo Chigi dal premier Conte ma, prima di lasciare il Colle, questo si è voluto complimentare con il Presidente Mattarella per la sua forte leadership.
Andrea Elifani
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