GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 5

Presentato a Washington l’ultimo film di Tony Lo Bianco, portavoce dell’Order Sons and Daughters of Italy in America

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L’Ambasciata d’Italia e il Middleburg Film Festival hanno organizzato a Washington una serata di celebrazione del successo della comunità italo-americana nella cinematografia, con un ricevimento e la proiezione del lungometraggio del produttore e regista Ray Romano “Somewhere in Queens”, commedia su una famiglia al centro della comunità italo-americana nel Queens a New York.

All’evento ha partecipato il protagonista Tony Lo Bianco, attore italoamericano figlio di immigrati siciliani, portavoce nazionale dell’Order Sons and Daughters of Italy in America.

Erano, inoltre, presenti Susan Koch (Direttore Esecutivo del Middleburg Film Festival) e Sheila C. Johnson (Fondatrice e Presidente del Middleburg Film Festival), oltreché i produttori Ron Yerxa e Albert Berger.

“Una storia semplice ma significativa, che mette in luce l’autenticità di una famiglia italo-americana” ha evidenziato l’Ambasciatrice Zappia in apertura dell’evento al Cafe Milano a Georgetown, nel cuore di Washington, seguito dalla proiezione all’AMC Theatre.

Una sessione di domande e risposte ha concluso l’anteprima.

La dieta mediterranea, ponte tra Italia e Stati Uniti

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Il settore agroalimentare e la dieta mediterranea possono trovare opportunità significative negli Stati Uniti. A Roma, nella sala stampa della Camera dei deputati, si è svolta la presentazione delle attività del think tank Mediterranean Diet Roundtable, con la partecipazione di esponenti istituzionali e imprenditoriali, moderati dalla giornalista Cristina Del Tutto.

Tra gli italiani più attivi in questa area c’è Daniela Puglielli, residente dal 1995 negli Stati Uniti, fondatrice della Mediterranean Diet Roundtable: iniziativa mirata ad unire gli aspetti scientifici, culturali ed economici della dieta mediterranea, con particolare riferimento alle opportunità in America.

L’incontro ha permesso di fare il punto sulle opportunità per le imprese italiane legate alla dieta mediterranea, che possono trovare spazio in un mercato ampio e ricettivo come quello statunitense, anche grazie al lavoro di realtà come la Mediterranean Diet Roundtable. La promozione di stile di vita e abitudini alimentari tipicamente italiane è un modo per rafforzare ulteriormente legame e scambi tra Italia e Stati Uniti.

Il deputato Simone Billi, membro della Commissione Affari Esteri della Camera, eletto all’estero nella Ripartizione Europa, ha affermato: «Nelle città estere dove c’è una forte comunità italiana c’è anche la capacità di riconoscere la vera enogastronomia italiana e di contrastare il cosiddetto italian sounding».

Sono intervenuti, inoltre, Giusy Malcangi, Presidente Sapori mediterranei-Puglia Top Quality Associazione di Poduttori, il senatore Dario Damiani, membro della Commissione Bilancio del Senato, Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica, Simonetta Pattuglia, curatrice dell’evento Food Wine & Co. e Direttrice del Master in Economia e Management della Comunicazione e dei Media dell’Università Tor Vergata di Roma, Giuseppe Traversa, imprenditore pugliese e CEO della società Go Up, Fabio Casasoli, amministratore unico Fiera di Roma.

L’Impero su cui non tramonta mai il sole

La geopolitica dell’impero di Roma venne regolata da un criterio semplice ma efficace: divide et impera!

E il successo di tale formula fu così elevato che, nel corso dei secoli, tale pratica venne adottata da molte altre potenze che giocarono un ruolo fondamentale nella costruzione dell’ordine internazionale. Quindi non c’è da meravigliarsi se anche la Cina abbia fatta sua questa formula diplomatica, adeguandola alla sua visione pragmatica di sviluppo delle relazioni internazionali basata sulla formulazione di accordi bilaterali asimmetrici.

La diplomazia cinese, infatti, ha adottato lo stesso concetto sia nel campo delle relazioni internazionali di carattere collettivo, sia in quello delle relazioni con i singoli Stati, impostando una linea diplomatica che, nel primo caso, si propone come alternativa ai valori occidentali, ricalcandone le linee concettuali generali, mentre nel secondo caso, quando si tratta dei singoli Stati, tende a impostare un rapporto bilaterale dove il membro privilegiato del rapporto è la Cina stessa.

Se gli USA hanno dato vita al Summit for Democracy, la Cina presiede l’International Forum on Democracy: Shared Human Values; quando l’Occidente si riunisce a Davos per il World Economic Forum, Pechino mette in campo il suo China Development Forum e presiede la Boao Forum for Asia Annual Conference.

In pratica, la Cina propone una versione alternativa a ciò che viene ritenuto, a torto o a ragione, l’imposizione di un modello univoco, con l’intento di presentare la propria visione di un ordine internazionale che propone valori morali e culturali simili a quelli occidentali, ma declinati in modo differente.

Tale innovazione concettuale sembra suscitare interesse anche in alcuni Paesi della Vecchia Europa, soprattutto quelli, come la Spagna, il cui retaggio storico li indirizza a sviluppare i propri interessi secondo una visione legata più verso il Nuovo Mondo che nella direzione del fronte orientale.

Ed è proprio da questo Paese che riparte l’azione cinese volta a rinforzare la politica del bilateralismo delle relazioni che ha come obiettivo l’Europa.

Infatti, il Primo Ministro spagnolo, Pedro Sànchez è il primo leader occidentale che ha ricevuto un invito per un incontro da Xi Jinping dopo il vertice di Mosca di quest’ultimo con, il quasi alleato, Putin.

I motivi alla base dell’incontro sono principalmente due, uno formale, quello di sottolineare il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatico ispano cinesi al fine di rilanciare e rafforzare i rapporti economico finanziari tra i due Paesi, già evidenziato con la partecipazione spagnola alla recente edizione del Boao Forum, e un altro, molto più sostanziale, che guarda con interesse al prossimo ruolo che la Spagna ricoprirà in luglio, quando assumerà il turno di presidenza dell’Unione Europea.

Su quest’ultimo fattore sono puntati gli interessi di Pechino in quanto Madrid è l’unico membro della NATO e dell’Unione Europea che abbia, seppure con delle riserve, considerato con favore la proposta cinese per la soluzione della crisi ucraina. Inoltre, anche se parte attiva dell’Alleanza e dell’Unione Madrid vive, comunque, l’esperienza del confronto con l’Orso Russo ovattata dalla sua condizione di retrovie strategiche lontane e, quindi, nella considerazione di Pechino potrebbe rappresentare un elemento su cui fare leva per supportare la visione di una Cina neutrale, equidistante e desiderosa di risolvere la crisi ucraina.

L’applicazione del citato concetto del divide et impera è, quantomai, attuale se consideriamo la non casualità della linea cinese che, oltre al ruolo che la Spagna è in procinto di assumere, combina altre due considerazioni importanti: la prima è la posizione particolare di Madrid che rappresenta l’ala geografica della NATO e dell’Unione che sta perdendo terreno a favore di un baricentro sempre più orientato all’area baltico-orientale; la seconda è la vocazione secolare che lega e attrae gli interessi spagnoli verso il loro vecchio impero nelle America Centro Meridionale e nel Pacifico.

In quest’area geografica la penetrazione diplomatica cinese ha già iniziato a conseguire diversi successi di rilievo, con il corteggiamento del Brasile nell’ambito dell’impulso dato al partenariato del BRIC, riorientando il supporto diplomatico di alcuni Paesi a suo favore nella disputa con Taiwan (l’Honduras è l’ultima recente dimostrazione dell’efficacia dell’azione di Pechino), oltre all’attrazione che il nuovo modello di ordine mondiale esercita su Stati di non cristallina impronta democratica. La possibilità di sfruttare positivamente la valenza un protagonista fondamentale nelle relazioni con quella parte dell’Emisfero Sud come Madrid, amplierebbe le chances di successo di Pechino nel suo programma di estensione globale della sua influenza anche nell’America del Sud.

Un ultimo criterio da considerare per comprendere la via cinese della diplomazia nei confronti dei barbari europei (che è la denominazione usata da secoli dalla Cina nel definire quelli che non sono figli del cielo come loro) e che indica quanto poco elevata sia la considerazione politica di cui gode la nostra Unione Europea a Pechino, è quello che deriva dall’attenzione rivolta ai vertici europei, che sono ammessi ai meeting con la Cina solo se accompagnati dai rappresentanti di Paesi considerati come interlocutori autorevoli.

In quest’ottica vanno interpretate sia le visita che il Presidente Macron effettuerà ad aprile in Cina, sia quella effettuata dal Cancelliere Scholz nello scorso fine anno, alle quali sono stati ammessi, nel primo caso la Presidente della Commissione Europea (che questa volta potrà contare su un posto a tavola seduta)e nel secondo caso il Presidente del Consiglio Europeo.

La considerazione che viene riservata a Francia e a Germania da Pechino non consiste però nella riconosciuta egemonia alla guida dell’Unione, come i due Paesi ancora si illudono di avere, ma probabilmente risiede nella loro importanza ai fini economico-commerciali che il binomio può avere per gli interessi della Cina ai fini di un’affermazione nel cuore economico del continente. E il fatto che questi due Paesi effettuino le visite accompagnando, di fatto, i vertici dell’Unione, sottolinea la scarsa considerazione che Pechino ha dell’Unione Europea, vista non come una organizzazione autonoma e comunitaria interprete di un sentimento condiviso di valori e cultura, ma considerata alla stregua di un’appendice locale e di contorno alle due economie principali.

Questa interpretazione assume maggior peso se si considera che l’invito ricevuto da Madrid non implica anche l’aggiunta di un qualsiasi rappresentante dell’Unione e che, dall’altra parte Sànchez si è ben guardato dal coinvolgere la stessa Unione per l’evento.

La Spagna è vista da Pechino come un interlocutore, sì utile in un contesto europeo di cui fa parte marginalmente, ma principalmente favorevole a supportare la politica verso l’America del Sud. Quindi niente connessioni con l’Unione Europea nella visita di Stato.

La Cina, come detto inizialmente, ha dato nuova vita al principio del divide et impera di latina memoria, dimostrando di essere una grande Potenza Planetaria, le cui ambizioni non sono quelle di costruire un impero territoriale come in Occidente siamo siano soliti considerare, abbinando al concetto di imperium il dominio fisico e materiale di una regione. L’impero di Pechino è un impero basato sullo sviluppo di relazioni commerciali, economiche e finanziarie bilaterali e asimmetriche dove l’interesse cinese si combina, da una posizione di forza, con quello del partner di turno e dove, però, le regole del gioco sono quelle dettate da Pechino.

Considerando la proattività del leader cinese e il progredire della espansione dell’influenza che la Cina sta proiettando nel contesto geopolitico globale Xi Jinping potrà con orgoglio affermare al prossimo Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese che la sua illuminata presidenza ha donato alla Cina un impero su cui non tramonta mai il sole!!!!

Ai nastri di partenza Confassociazioni Canada. L’Avvocato Paolo Quattrocchi nominato Presidente

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Il 29 marzo, presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati a Roma, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione di Confassociazioni Canada, la nuova branch estera della confederazione nazionale che rappresenta 740 organizzazioni in rappresentanza di oltre un milione e 260mila professionisti e più di 213mila imprese. La delegazione canadese di Confassociazioni ha l’obiettivo di rafforzare le relazioni tra Italia e Canada attraverso la collaborazione con le istituzioni italo-canadesi operanti in ambito commerciale, produttivo e culturale.

Alla conferenza stampa, moderata dal Direttore di Radio Parlamentare, Cristina Del Tutto, hanno partecipato: On. Simone Billi, deputato e componente della Commissione Permanente III Affari Esteri, Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni, Gianni Lattanzio, presidente di Confassociazioni International, Carmelo Cutuli, vicepresidente di Confassociazioni International con delega ai rapporti con il Nordamerica e l’Oceania, Stefano Potorti, presidente di Confassociazioni UK e consigliere delegato per il coordinamento delle strutture internazionali, e infine Paolo Quattrocchi, presidente di Confassociazioni Canada.

Il presidente di Confassociazioni, Angelo Deiana, ha dichiarato che l’aggiunta del Canada alla lista delle rappresentanze estere è un passo importante per l’organizzazione, che è già presente nel Regno Unito, negli Emirati Arabi Uniti e in Spagna. Le relazioni tra l’Italia ed il Canada sono sempre state molto strette e vantaggiose per entrambi i paesi, e Confassociazioni Canada intende svolgere un ruolo importante nel rafforzare ulteriormente le eccellenti relazioni tra i due paesi.

Il presidente di Confassociazioni Canada, Paolo Quattrocchi, ha sottolineato che il Canada rappresenta una grande opportunità per le imprese italiane in diversi settori, tra cui il food and beverages, i settori manifatturiero, minerario ed energia, infrastrutture, alta tecnologia, ricerca scientifica e cultura. La nuova branch di Confassociazioni intende lavorare insieme con tutto il sistema già attivo nelle relazioni Italia-Canada per rafforzare il sistema associativo e ampliare la platea degli operatori, italiani e canadesi, che intendono impegnarsi nei reciproci mercati.

Stefano Potortī, presidente di Confassociazioni UK e consigliere delegato del presidente Deiana per le strutture internazionali, ha dichiarato che Confassociazioni UK è pronta a collaborare attivamente con Confassociazioni Canada, condividendo conoscenze e best practice per potenziare ulteriormente il sistema associativo a livello internazionale.

Gianni Lattanzio, presidente di Confassociazioni International, ha sottolineato che la presenza di una comunità italiana ben radicata sul territorio canadese può costituire un presupposto operativo per valorizzare la tradizione culturale italiana ed il nostro Made in Italy.

“Confassociazioni Canada – ha dichiarato il Vicepresidente di Confassociazioni International con delega per il Nord America e l’Oceania, Carmelo Cutuli, rappresenta un importante momento per l’affermazione del sistema associativo italo-canadese, con la creazione di nuovi spazi di collaborazione e di scambio, economico e culturale, tra le due nazioni. Confassociazioni si contraddistingue, da sempre, per il suo impegno nel creare reti fortemente collaborative e competenti, offrendo l’opportunità ai propri associati di guardare il globo a 360 gradi eliminando le distanze geografiche e ampliando le opportunità d’interazione.”

Il Dragone cambia pelle. L’evoluzione della politica estera di Pechino

 

Durante i giorni scorsi il Presidente russo Putin ha ospitato a Mosca il leader cinese Xi Jinping in visita ufficiale per una tre giorni di incontri diplomatico – politici.

Il vertice russo-cinese si è concluso con la pubblicazione di un documento congiunto nel quale sono stati ribaditi i parametri concettuali della convergenza delle posizioni geostrategiche dei due Paesi: la conferma dell’asse ideologico Mosca – Pechino quale alternativa al dominio USA, il supporto non condizionato alla Russia per l’Ucraina, la volontà di attrarre il Global SUD nella sfera di influenza russo-cinese e il consolidamento di una partnership economico finanziaria sino-russa in grado di bilanciare e annullare gli effetti del sistema occidentale delle sanzioni.

Indubbiamente, il profilo programmatico che deriva dalla formulazione di un tale documento rappresenta un elemento di estremo interesse per le conseguenze che investono lo sviluppo dello scenario internazionale, ma non risulta essere l’evento fondamentale che ha conferito un’estrema valenza geopolitica al vertice di Mosca.

Il fattore critico e di gran lunga più interessante per il prossimo futuro è risultato essere la conferma del ruolo che Pechino ha deciso di svolgere a livello internazionale con la presentazione della proposta di soluzione della crisi ucraina, che la Cina ha elaborato e discusso con il partner russo.

Anche se il documento era stato annunciato antecedentemente al meeting di Mosca, la sua presentazione durante l’incontro tra Putin e Xi conferisce un aspetto formale all’iniziativa di Pechino che si propone, non solo, come potenza neutrale interessata alla soluzione del conflitto, ma come grande potenza disposta a ricoprire il ruolo da protagonista nella gestione dell’ordine mondiale.

A sostegno di tale tesi deve essere intesa la dichiarazione di Xi di voler nei prossimi giorni contattare Zelensky per sondare la disponibilità dell’Ucraina a discutere la proposta cinese.

Questo cambiamento dell’orientamento della politica estera di Pechino risulta essere l’elemento di massima importanza che il vertice ha evidenziato, confermando che il successo del riavvicinamento diplomatico tra Arabia Saudita e Iran, conclusosi attraverso l’opera mediatrice della Cina, non ha rappresentato un’azione circoscritta nell’ambito di uno scenario locale, ma ha costituito il primo passo della nuova linea politica di Pechino.

Dopo la conferma della sua leadership interna con l’approvazione di un terzo mandato, il rafforzamento della cerchia di alleati fedeli con nuove nomine negli incarichi cardine del sistema politico, il superamento indenne delle critiche all’opzione Zero-Covid, adesso Xi Jinping ha intrapreso un nuovo step per condurre la Cina a imporre il proprio concetto di ordine internazionale e conquistare quel ruolo di egemonia mondiale che appartiene al DNA cinese da secoli.

Abbandonando la visione di Deng che rifiutava il coinvolgimento diretto nel contesto geostrategico mondiale, Xi ha dato inizio al nuovo corso della politica estera cinese.

Per poter consolidare la sua posizione in un tale contesto la partnership con la Russia – partnership e non alleanza, questo deve essere chiaro – risulta essere fondamentale per una serie di motivi di immediata comprensione. Innanzi tutto, questa amicizia senza limiti permette alla Cina di non dover distogliere parte delle sue risorse per fronteggiare un Paese ostile lungo le sue estese frontiere settentrionali. Successivamente, l’Orso Russo, agendo come lo spauracchio in una rinnovata Guerra Fredda, fantasticata e ardentemente rivissuta dall’Europa orientale e baltica, calamita l’attenzione di una NATO e di una Unione Europea sempre più a trazione orientale, focalizzandoli su uno scenario, oramai, di secondaria importanza, che li priva di una visione strategica globale e li costringe a concentrare le loro risorse nel punto sbagliato. Ultimo elemento di interesse, ma non meno importante, risulta essere la possibilità di usufruire delle enormi risorse naturali che la Russia possiede e che la Cina non ha, che consentirebbero a Pechino di disporre di un ulteriore vantaggio per supportare il processo di sviluppo interno.

L’elemento critico fondamentale della visione cinese nel sostenere il processo di costituzione di un ordine mondiale, alternativo a quella che viene percepita come un’egemonia occidentale, rappresenta un paradigma concettuale e ideologico certamente non originale, che, inizialmente, si è sviluppato attraverso gli schemi della contrapposizione di opposte teorie politiche basate, principalmente, sulla identificazione di sistemi economico finanziari differenti (capitalismo e socialismo).

Tale paradigma, persa questa sua connotazione ideologica, si è, quindi, trasformato in una lotta manichea tra il Bene e il Male, rappresentati dai sostenitori del sistema democratico opposto a quelli che perseguono una impostazione autoritaria.

Questa visione tipicamente occidentale si è sublimata nella narrativa che ha contraddistinto, dall’inizio, l’ultima e più attuale fase della crisi ucraina: l’Ucraina è l’ultimo baluardo della democrazia e della libertà dell’Occidente contro la barbarie autocratica che viene da oriente.

La miopia che contraddistingue questa visione geopolitica è stata usata dalla Cina per costruire la sua narrative a supporto della necessità di un nuovo ordine.

Senza dover inventare nulla ha ripreso i concetti culturali sviluppati dall’Occidente (pace, collaborazione, libero sviluppo della tecnologia a favore di tutti, benessere sociale, ruolo fondamentale delle Istituzioni Internazionali), li ha integrati con la propria visione (i concetti di democrazia e di libertà individuali non sono univoci, devono essere adattati alla realtà culturale dei vari Paesi, non ingerenza nelle tematiche interne degli Stati), li ha mischiati per bene e ha servito la propria mano, proponendo un nuovo ordine multipolare, democratico, pacifico dove le alleanze lasciano il posto alla collaborazione tra Stati, dove il Global Sud sia protagonista e non più terra di conquista e dove, soprattutto, la Cina sia la potenza dominante ed equilibratrice dell’intero sistema!

In linea di principio il discorso non fa una grinza in quanto usa e ripropone i valori culturali cari all’Occidente, anche se la loro declinazione è leggermente differente. Insiste sui principi geopolitici condivisi dall’Occidente e sulla preminenza delle Istituzioni da noi create. Fa riferimento a una pace cosmica e una collaborazione disinteressata.

Ma in realtà propone un sistema completamente differente, dove i valori culturali e i principi liberali sono stravolti a beneficio di un’organizzazione di relazioni internazionali non più guidate e sorrette da concetti universali e applicabili indistintamente al genere umano, ma adattate ai singoli casi a seconda della convenienza dello Stato.

E la Cina non ha fatto mistero di questa sua interpretazione, anzi, non ha perso occasione per propagandarla e dichiararla con documenti pubblici: la dichiarazione congiunta prima delle Olimpiadi a febbraio dello scorso anno, il documento di condanna degli Stati Uniti emanato dal Ministero degli Esteri cinese di inizio anno e adesso la dichiarazione finale del meeting appena concluso.

Tutto questo in aggiunta alla crescente proattività a tutto campo che ha contraddistinto la Cina negli ultimi anni con iniziative diplomatico-economico-finanziarie in Medio Oriente, in Africa, nel Pacifico.

Insomma, non si tratta di una operazione segreta volta a svelare all’improvviso un complotto teso a sovvertire l’ordine mondiale, ma una scelta programmatica precisa, chiara e pubblicizzata senza riserve e senza peli sulla lingua.

Ma questo non basta per un Occidente sempre più incapace di guardare al di là di un orizzonte limitato e senza profondità. Un Occidente che continua a giocare a Risiko invece di comprendere che il mondo è definitivamente cambiato, dove le regole che noi vogliamo usare non sono più accettate e condivise dagli altri, dove ancora pensiamo e ragioniamo in termini di interesse privato e nazionale, illudendoci che il Vecchio Continente sia ancora il centro del mondo.

Il sistema USA sta disperatamente cercando di tracciare una rotta da dare alla propria geopolitica, barcollando nell’illusione utopica di poter sanzionare il mondo intero, qualora questo non condivida la sua visione.

L’Europa bluffa con se stessa illudendosi di essere un modello di virtù e di valori da imitare a occhi chiusi, senza rendersi conto che ancora si rifà a un sistema di relazioni internazionali che risalgono a un concetto che ormai appartiene al passato, accanendosi nel sostenere un sistema che privilegia gli interessi delle singole nazioni a scapito di una unione europea reale e coesa.

Se non fosse estremamente pericoloso per il nostro futuro assetto nel contesto internazionale, sarebbe perfino ridicolo l’atteggiamento di paesi come la Francia e Germania, che ancora ritengono di potersi contendere la guida di un continente, o come il Regno Unito che, una volta svincolatosi dalla zavorra dell’Unione Europea, credeva di essere diventato di nuovo l’Impero Britannico.

L’Occidente, insomma, sta illudendo sé stesso, precipitato in un conflitto che non sa come fermare e che lo sta danneggiando sempre di più, travolto da una retorica che fa riferimento a un mondo scomparso (non ci darà una nuova Norimberga perché non ci sarà una resa senza condizioni), ma non è capace di fermarsi e di guardare al futuro con lucidità.

La Cina ci ha battuto sul tempo proponendosi come la Grande Potenza che dirime i conflitti, assicura la prosperità e garantisce l’ordine mondiale. Purtroppo, l’Occidente nella sua presunzione si ostina a non volerlo capire!

 

 

 

UCRAINA: PRIGOZHIN, RECLUTERO’ 30MILA UOMINI PER LA WAGNER ENTRO MAGGIO

Guerra in Ucraina di

Mosca, 18 mar. (Adnkronos) – Il capo del gruppo russo di mercenari Wagner, Yevgeni Prigozhin, ha dichiarato di voler reclutare altri 30mila uomini entro metà maggio. L’annuncio, riferisce la Cnn, arriva
in un messaggio video su Telegram, in cui Prigozhin afferma di reclutare 5-800 uomini al giorno, con punte di 1200. A gennaio, Prigozhin ha interrotto il reclutamento nelle carceri. Recentemente ha annunciato di aver aperto 42 centri in tutta la Russia per ingaggiare nuovi mercenari destinati a combattere in Ucraina.

Il manifesto di politica estera di Pechino

 

Mentre in Occidente ci auto illudiamo con una narrativa di “regime” unidirezionale e ingannevole che il conflitto ucraino rappresenti l’atto estremo dell’eterna lotta tra il Bene (noi Occidentali) e il Male (il resto del mondo che non la pensa come noi), non ci accorgiamo che la Cina sta ponendo le basi ideologiche del suo concetto di Ordine Mondiale in chiave dichiaratamente antioccidentale.

A un anno esatto di distanza dalla dichiarazione congiunta russo-cinese dove veniva affermato un nuovo paradigma del concetto di democrazia – uno Stato è democratico se si sente democratico – e una differente declinazione dell’idea dei diritti dell’individuo – finiscono dove inizia l’interesse dello Stato – la Cina ha emanato un nuovo documento particolarmente interessante.

Il Ministro degli Esteri della Repubblica Cinese ha infatti emesso un documento intitolato “L’egemonia degli Stati Uniti e i suoi pericoli”.

Se il titolo non fosse abbastanza esplicito da chiarire il contenuto, basta dare un’occhiata all’indice: dopo una breve, ma significativa, introduzione dove gli Stati Uniti sono presentati come il peggiore dei mali, seguono cinque capitoli dedicati a tutti quei settori dove gli USA impongono la loro egemonia politica, militare, economica, tecnologica, culturale.

Il fine che il documento si propone di conseguire è rappresentato dalle ultime due righe dell’introduzione dove si cita testualmente:

This report, by presenting the relevant facts seeks to expose the U.S. abuse of hegemony in the political, military, economic, finance, technological and cultural fields, and to draw greater international attention to the perils of the U.S. practises to world peace and stability and the well-being of all people.

Un incipit che farebbe sembrare dei principianti l’Imperatore Palpatine o il Signore dei Sith, i super cattivi galattici che impersonano il male assoluto nella saga di Star Wars.

Nel corso dei vari capitoli il documento spiega come gli USA impongano la loro egemonia nei differenti settori a detrimento del bene universale e della pace dei popoli.

Senza andare nel particolare di quelle che sono, in realtà, dichiarazioni di una propaganda che affonda le sue radici in una retorica derivante da una visione social-comunista da Libretto Rosso, è opportuno notare come alcuni argomenti, quasi accennanti casualmente, definiscano, invece, la visione cinese che propaganda un nuovo ordine mondiale.

Il primo di questi concetti riguarda l’accusa di aver fabbricato una falsa narrativa della “democrazia verso l’autoritarismo” per incitare all’allontanamento, alla divisione, alla rivalità e al confronto tra le varie nazioni. Anche l’idea USA della creazione di un “Summit per la democrazia” è un’iniziativa che viene aspramente criticata e accusata di causare la divisione nel mondo.

Il secondo concetto riguarda la sfera economico finanziaria, dove viene messo in discussione il sistema che regola la struttura globale ritenuto esclusivamente vantaggioso per il binomio USA – Occidente (probabilmente ci si dimentica due terzi del debito USA sono finanziati dalla Cina).

Il terzo elemento evidenzia un certo fastidio per il sistema di alleanze che gli USA hanno impostato nella gestione della loro visione diplomatico – strategica, percepito da Pechino come elemento coercitivo e destabilizzante perché escludente la sua partecipazione.

Il paragrafo finale delle conclusioni contiene una affermazione programmatica che invita le grandi nazioni a prendere l’iniziativa nel perseguire un Nuovo Modello di relazioni tra stato e stato basato sul dialogo e la partnership, e non il confronto e le alleanze; rimarca, inoltre, la posizione contraria della Cina verso qualsiasi forma di egemonia e di potere politico e sottolinea il rigetto di qualsiasi interferenza negli affari interni di altri paesi (concetti cari a Pechino per la risoluzione dei vari problemi come il Tibet, la minoranza uigura, Taiwan).

Non poteva mancare, a conclusione del tutto, l’invito agli USA a fare autocritica conducendo una seria introspezione al fine di esaminare con visione critica le loro malefatte, rifuggire dal loro comportamento arrogante e pregiudizievole e smettere di adottare comportamenti egemonici, prepotenti e bullizzanti!!!!!!  (“The United States must conduct serious soul-searching. It must critically examine what it has done, let go of its arrogance and prejudice, and quit its hegemonic, domineering and bullying practises”).

L’importanza del documento non risiede nelle affermazioni che vengono fatte o nella demonizzazione del comportamento degli Stati Uniti, ma nell’aspetto concettuale che esso si propone di realizzare.

Gli USA e i loro valori culturali (che in definitiva sono ampiamente condivisi dall’Occidente per intero) sono un pericolo per il mondo e contro questa visione la Cina si erge a baluardo proponendo un Nuovo Ordine.

Questo Nuovo Ordine non si basa sulla condivisione di quei concetti culturali e sociali che hanno ispirato l’Occidente come la democrazia, la libertà individuale, la libertà di espressione, la libertà di commercio e di movimento, ma un sistema dove tutti questi valori si fermano quando un superiore interesse da parte di un concetto di Stato astratto e imposto si inserisce e prevarica su tutto.

E la Cina, con estrema scaltrezza non propone sé stessa come elemento guida di questo nuovo sistema di relazioni internazionali, ma elenca i mali che il sistema occidentale, tiranneggiato dagli USA, comporta e produce, proponendolo all’attenzione del resto del mondo come il pericolo da cui è necessario e fondamentale difendersi.

Il problema da affrontare non è costituito dalla retorica da Libretto Rosso che la propaganda cinese usa o la veridicità o meno delle sue affermazioni, ma risiede nei concetti politici che la Cina intende veicolare per impostare una nuova concezione di valori culturali.

Il sistema proposto è un chiaro e mirato attacco contro gli USA che sono individuati come l’ostacolo principale verso un’egemonia cinese, mentre considera l’Europa come un sistema in completo decadimento, disunito e privo di peso politico, la cui insignificante importanza globale non costituisce alcun problema per l’affermazione del sistema cinese.

La forza di questa linea strategica che la Cina persegue da tempo, deriva, non tanto dall’efficacia della critica dei valori occidentali e dalla proposta di valori culturali alternativi, ma dalla nostra mancanza di visione globale del contesto internazionale, persi come siamo nella nostra piccola gabbia dorata dalla quale non vogliamo uscire.

Purtroppo, l’Europa non ha una visione strategica globale ma si dibatte tra vecchi rancori (il deuteragonismo franco-tedesco nel voler dominare l’Unione Europea), l’incapacità di uscire dal passato (la crisi ucraina ne è un esempio), la tendenza a rimanere ancorati a un orizzonte limitato (assenza della percezione del lato Sud dell’Europa e del mondo) e questo la porta a essere vulnerabile nei confronti dell’evoluzione che caratterizza lo scenario internazionale.

L’Occidente europeo si è fatto trascinare in un conflitto provocato da interessi che non gli appartengono e alimentato da vecchi rancori, dove una retorica ormai appartenente al passato vagheggia vittorie impossibili e imposizione di trattati di Versailles irrealistici (l’Ucraina sta vincendo su Facebook ma perde sul terreno!!!!!!). La nostra società annaspa in una crisi sempre più profonda e l’unica reazione è quella di chiudere gli occhi di fronte alla realtà di un mondo in evoluzione e illuderci che la Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative), la rete 5G a basso costo, i finanziamenti ai progetti universitari, l’acquisto di proprietà ed esercizi commerciali da parte cinese, siano esclusivamente l’espressione di una benevola e innocua aspirazione a fare parte del nostro sistema e di interesse a condividere i nostri valori.

Non è così, e il documento del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese lo conferma senza ombra di dubbio.

Se non vogliamo essere schiacciati nel confronto per il Nuovo Ordine ed essere ridimensionati allo stato di colonie, dobbiamo aver il coraggio di guardare al di là del nostro piccolo orizzonte, utilizzare le capacità che l’Unione Europea ci consente di avere, se agiamo come un unico, solido, coeso organismo (lasciando perdere idiozie concettuali come i Paesi Frugali, quelli Virtuosi, i Quattro di Visegard e via dicendo) e quelle intrinseche che un istituzione di difesa collettiva e di integrazione come la NATO rende possibili, se trasforma la sua accezione di club in funzione anti Russia e si trasforma in un elemento di sviluppo dei valori e dei concetti condivisi da un Occidente unito e in grado di svolgere un ruolo da protagonista nel contesto internazionale.

I valori culturali che hanno disegnano e formato la nostra società sono senz’altro validi e meritano di essere proposti come un modello da seguire e da adottare e non dobbiamo vergognarci di sostenerli e di veicolarli, ma dobbiamo farlo senza l’arroganza che siano gli unici e che possano essere imposti come merce di scambio. Il modo migliore è dimostrare che la nostra società Occidentale non è decadente, immorale e pericolosa come la Cina la descrive ma, invece, rappresenta un modello i cui valori sono degni di essere accettati e condivisi anche dagli altri.

L’alternativa è di iniziare a imparare a usare le bacchette per mangiare!

Alfredo Bosco e Andrea Sceresini bloccati a Kiev, revocati gli accrediti per seguire la Guerra in Ucraina

Guerra in Ucraina di


Dal 6 febbraio dopo oltre un anno di attività sul campo ai due giornalisti è stato revocato l’accredito necessario per seguire il conflitto. I due reporter – che lavorano per varie testate europee, tra cui LA7, Mediaset, il Manifesto, l’emittente tedesca Rtl, l’Espresso, il Fatto Quotidiano, le Figaro Magazine, la Croix, sono esperti di reportage in zona di guerra, Alfredo Bosco ha seguito dal 2014 la crisi Russo-Ucraina ma nel suo curriculum ci sono attività giornalistiche nei punti più caldi del globo, dal medio oriente al Messico dove ha raccolto le testimonianze della lotta al narco traffico. Leggi Tutto

Ceterum censeo Carthaginem esse delendam!

I rapporti tra Iran e Azerbaigian sono sempre stati caratterizzati da un’accesa rivalità dovuta sia alla politica di potenza regionale di Teheran sia alle aspirazioni della minoranza azera in Iran di entrare a far parte di un Azerbaigian allargato.

Recentemente questo stato di tensione si è acuito a seguito dell’interesse iraniano di svolgere un ruolo più attivo nel decennale conflitto che investe il Nagorno-Karabakh. Il supporto che Teheran ha offerto all’Armenia ha scatenato una reazione decisa da parte di Baku che ha elevato il livello del confronto portando a un dispiegamento di forze da parte di entrambi i due Paesi lungo la linea di confine.

Tuttavia, se la possibilità di arrivare a uno scontro militare appare abbastanza remota, è opportuno sottolineare quali siano le premesse di questa nuova mossa di Teheran.

In primo luogo, questa escalation nei rapporti con Baku conferma la strategia iraniana di svolgere un ruolo importante, non solo nella regione mediorientale ma anche nel vicino Caucaso, nell’ottica di rafforzare e consolidare il ruolo di potenza regionale che rappresenta l’obiettivo del regime di Teheran.

In secondo luogo, dimostra che le recenti ondate di proteste interne, ritenute spesso in Occidente la premessa di una primavera iraniana, non hanno minimamente scalfitto la linea di politica estera perseguita dall’Iran, confermando la solidità dell’impianto statale del Paese.

Da ultimo, ma sicuramente di non minore rilevanza, questi recenti sviluppi dimostrano che è in atto un processo di ridefinizione degli equilibri regionali come conseguenza dell’andamento del conflitto in Ucraina.

La Russia pur continuando a essere la potenza protagonista dell’area caucasico-mediorientale, deve accettare come contropartita del supporto diretto o indiretto ricevuto nella gestione della crisi ucraina che sia la Turchia sia l’Iran possano svolgere un ruolo più incisivo nel perseguimento dei loro obiettivi geostrategici locali.

In tale scenario, infatti, Ankara cerca di risolvere i problemi legati alla componente militare del PKK che viene percepita come una minaccia costante alla sua integrità territoriale mentre Teheran vorrebbe eliminare la possibilità dell’espansione azera, considerata un probabile stimolo per pericolosi secessionismi nell’area settentrionale dell’Iran.

Ma il fattore più importante da valutare è che, lontano dall’essersi cristallizzato sulla crisi ucraina, lo scenario geopolitico mondiale continua a essere in continua evoluzione e che l’Occidente non lo percepisce.

Quanto avviene nella regione del Caucaso meridionale dovrebbe stimolare nell’Occidente una riflessione a più ampio spettro sulla gestione della crisi ucraina.

Ogni giorno la narrative che i nostri media ci propongono è quella dell’impossibilità di pervenire alla fine della crisi se non attraverso la sconfitta totale della Russia, il suo annichilimento politico, l’imposizione di un cambio di regime che, nella visione utopico-ipocrita dell’Occidente, preconizza la nascita di un sistema democratico, liberale, sottomesso e privo di identità nazionale.

La resa incondizionata, il ritiro oltre gli Urali, l’assunzione della piena e unica responsabilità del conflitto, il pagamento dei danni di guerra, e delle spese di ricostruzione, una nuova Norimberga, sono dei vaneggiamenti politici che fanno riferimento a un passato che non si ripeterà, semplicemente perché le condizioni e la situazione sono profondamente differenti.

Se questa narrative mediatica ha sviluppato un suo appeal che ha consentito di giustificare quelle che sono state in realtà le conseguenze di una valutazione geopolitica sbagliata, l’evoluzione del contesto mondiale ci deve spingere a un approccio al problema più pragmatico, più realista e meno intriso di morale spicciola, dove è imperativo porre fine a questa proxy war continuazione inutile della Guerra Fredda, con il conseguimento di una soluzione diplomatica bilanciata a beneficio di tutti: l’Ucraina, la Russia, l’Europa, gli Stati Uniti.

La domanda che i media occidentali dovrebbero fare è la seguente: è politicamente indispensabile che la crisi si concluda solo con una resa incondizionata e totale della Russia, come il mantra mediatico di Zelensky richiede in ogni apparizione pubblica del leader maximo dell’Ucraina, oppure non appare più opportuno (e diplomaticamente più corretto) ricercare una soluzione mediata che possa porre un termine al conflitto?

Fermo restando l’inaccettabilità del ricorso alla forza come risoluzione delle problematiche internazionali, siamo proprio sicuri che quanto sta avvenendo nell’Europa dell’Est sia solo il risultato di un delirio zarista – imperialista da parte di Putin e, magari, non sia invece la conseguenza di azioni politico-diplomatiche poco avvedute e di errori di valutazione geopolitica?

La visione dell’Occidente, nel corso della sua storia, è stata caratterizzata da un proselitismo con vocazione missionaria volta a propagandare i propri valori, sia nel campo religioso sia in quello culturale, nella convinzione assoluta che essi fossero non solo i migliori ma, anche, gli unici ai quali il genere umano dovesse aspirare per realizzarsi compiutamente.

Il punto non è quello di disquisire se il nostro sistema di valori sia realmente universale o meno, ma quello di chiederci se quello che noi, Occidente, consideriamo vero sia, realmente, ciò che gli altri percepiscono come realtà.

Nella fattispecie, il nostro costrutto culturale e sociale ci ha portato a identificare il significato che noi diamo ad alcuni valori come assioma assoluto e universale, senza il minimo dubbio che questo significato sia condiviso anche dagli altri a cui noi imponiamo, come assoluti, questi valori.

Inoltre, i traumi profondi che il XX secolo ha inciso nella nostra coscienza collettiva ci hanno spinto a identificare la soluzione ideale per sconfiggere i nostri incubi nella creazione di alcune istituzioni internazionali, che, permeate di buoni propositi e basate sui valori culturali di una società occidentale ritenuta universale, ci hanno consentito di sviluppare una specie di eden in un mondo dove il conseguimento del benessere e della pace sono ancora obiettivi di un orizzonte lontano.

L’ONU, l’Unione Europea, la NATO sono l’espressione diretta della nostra aspirazione a una serenità e una sicurezza universale e incondizionata. Chiunque metta in discussione questo assioma deve essere condannato e va fermato per il bene universale.

Anche qui il punto non riguarda la valutazione di merito di queste organizzazioni, ma concerne il fatto di come queste organizzazioni siano viste e percepite da chi non ne fa parte.

Nel particolare, sia l’Unione Europea sia, soprattutto, la NATO sono considerate con sospetto e con paura dalla Russia nella cui matrice storico-culturale queste organizzazioni sono identificate come una minaccia alla propria indipendenza e alla propria sicurezza.

Quando la dissoluzione dell’Unione Sovietica ha fatto emergere il problema del vuoto di potere nell’Est Europa la soluzione adottata è stata quella di inglobare i Paesi dell’Europa Orientale nella NATO e nell’Unione Europea nel tentativo di assimilare le nuove democrazie al contesto occidentale.

Ma questo processo non ha tenuto conto della percezione russa del problema, che si è manifestata nel momento in cui l’ombra della UE e della NATO si è proiettata sull’Ucraina (vertice NATO di Bucarest del 2008: Bucharest Summit Declaration – Issued by the Heads of State and Government participating in the meeting of the North Atlantic Council in Bucharest on 3 April 2008 – para 23. “NATO welcomes Ukraine’s and Georgia’s Euro-Atlantic aspirations for membership in NATO. We agreed today that these countries will become members of NATO…..”).

L’alternanza di governi pro Russia e pro USA che hanno caratterizzato la scena ucraina nel presente millennio, la difficoltà dei vari movimenti nazionalisti di accettare minoranze linguistico culturali di matrice russa in Ucraina e il tentativo di usare il Paese per conseguire obiettivi geostrategici da ambo le parti (Occidente e Russia) hanno avuto come conseguenza diretta l’acuirsi della crisi e il suo trasformarsi in conflitto.

Questo, nella narrativa occidentale, ha poi assunto la fisionomia di una crociata delle forze del bene dove un’Ucraina democratica e liberale difende la democrazia e la libertà dell’Europa minacciate dall’autocratismo zarista.

Purtroppo, la realtà è differente. La crisi ucraina è la conseguenza del concatenarsi di una serie di azioni diplomatico-politiche e di valutazioni geostrategiche superficiali, effettuate da parte di entrambe le parti in causa, dove gli interessi in gioco sono di carattere economico (l’Ucraina è un territorio enormemente ricco) e geopolitico (la percezione della sicurezza dei confini e il ruolo sulla scena mondiale). La Russia non attenta alla nostra democrazia e alla nostra libertà, che sono valori troppo radicati nella nostra cultura per essere minacciati da questa crisi.

La reale minaccia all’Europa siamo noi stessi quando abiuriamo ai nostri valori, quando non vogliamo vedere oltre la superficie, quando non ammettiamo una prospettiva differente dalla nostra, quando neghiamo la realtà perché mette in risalto i nostri errori. Questo è quello che sta accadendo nella gestione della crisi ucraina, vogliamo eliminare l’effetto perché non accettiamo la causa: Delenda Mosca!

La realpolitik di Ankara

Mentre la narrativa occidentale dà per imminente la vittoria dell’Ucraina nel revival all’inverso della Grande Guerra Patriottica e per scontata la scomparsa della Russia dalla scena internazionale, Mosca continua a svolgere un ruolo di protagonista negli altri scenari geopolitici che l’Occidente sembra aver dimenticato.

Recentemente, infatti, l’attività diplomatica del Cremlino ha conseguito un notevole successo nell’area mediorientale aprendo nuovamente, dopo un decennio di stasi, un canale di comunicazione tra la Turchia e la Siria.

L’iniziativa preparata e condotta da Mosca, dopo una serie di incontri preliminari ad alto livello, ha portato a un incontro diretto tra Erdogan e Assad avvenuto a Mosca nello scorso dicembre. Come conseguenza dell’evento è stata stilata un’agenda di incontri a livello ministeriale, a cui oltre a Siria e Turchia parteciperanno anche Russia ed Emirati Arabi Uniti.

Per comprendere quali siano, quindi, le conseguenze dirette di questa azione diplomatica è necessario effettuare due differenti valutazioni.

La prima riguarda direttamente la Russia. Con il raggiungimento di questo successo Mosca ha ottenuto due risultati positivi contemporaneamente: con il primo ha ridotto le possibilità che gli attriti tra Ankara e Damasco, inerenti alle attività contro le People’s Protection Units (YPG)- la componente siriana del Turkish Kurdistan Workers’ Party (PKK)-, possano degenerare in un conflitto aperto che oltre a complicare, ulteriormente, la già intricata situazione siriana, metterebbe in pericolo il ruolo di potenza egemone che Mosca ha saputo conquistare nella regione.

Con il secondo, la Russia ha ribadito la sua abilità e, soprattutto, la volontà di svolgere il ruolo di grande potenza a livello globale, dimostrando che la crisi ucraina non ha effetti sulla sua capacità di proiezione geopolitica in altre aree del pianeta.

La seconda valutazione da fare è inerente alla Turchia. La disponibilità di Erdogan al riavvicinamento con Assad è motivata da considerazioni, prevalentemente, connesse agli sviluppi della politica interna della Turchia nell’immediato futuro: le elezioni presidenziali.

Spesso in Occidente i media hanno presentato la Turchia come un Paese retto da un regime autocratico, creando la convinzione che Erdogan sia un nuovo dispotico califfo con poteri illimitati, ma questa visione distorta non corrisponde, affatto, alla realtà politica del Paese.

La Turchia è uno stato democratico dove sia la percezione popolare dell’interesse nazionale, sia la possibilità di una opposizione politica strutturata e legalizzata sono ben presenti e dove il concetto di elezioni democratiche e libere è radicato e rispettato.

Non si può, certamente, negare che le pressioni di Mosca per pervenire al riavvicinamento siano state sicuramente efficaci, ma la spinta principale viene proprio dall’attenta valutazione politica che Erdogan ha fatto in merito all’appuntamento elettorale del maggio di quest’anno.

Un riavvicinamento alla Siria è visto dalla maggioranza dell’opinione pubblica turca come un fattore molto positivo, in quanto, nell’ottica della visione comune, questo elemento potrebbe risolvere i due problemi principali che preoccupano il mondo politico turco: la legittimazione delle aspirazioni di sicurezza dei confini meridionali del Paese con l’eliminazione della minaccia delle aspirazioni curde (sconfitta dello YPG) e il ritorno dei profughi siriani la cui permanenza rappresenta motivo di forti contrasti e preoccupazione sia a livello interno sia internazionale.

Sebbene Erdogan ritenga tale ipotesi di soluzione priva delle possibilità di un reale successo, due elementi hanno spinto il leader turco ad accettare la mediazione di Mosca.

Innanzi tutto, l’andamento sfavorevole dell’operazione Claw and Sword, bloccata nella decisiva fase terrestre dall’intransigenza russa e da un rafforzamento militare siriano nell’area interessata e, successivamente il rafforzarsi dell’opposizione interna che vede nella normalizzazione dei rapporti con Damasco la possibilità di collaborare con la Siria per giungere ad una soluzione delle due problematiche.

Il cambio di paradigma diplomatico effettuato dalla leadership di Ankara, oltre che dalle questioni di politica interna connesse alle elezioni, è stato condizionato, in modo piuttosto deciso, da altri due fattori internazionali.

Il primo riguarda la mancanza di un reale supporto nella questione dei rifugiati da parte dell’Unione Europea, che dopo un atteggiamento ambiguo e poco disponibile (sempre dettato dalla visione limitata, egocentrica e miope da parte dei rappresentanti del Nord Europa) ha adottato una strategia di chiusura e di rifiuto verso possibili forme di cooperazione con la Turchia. Di qui la necessità di impostare una politica per il ritorno in Siria dei rifugiati.

Il secondo aspetto è connesso alla incapacità USA di proporre una roadmap credibile e di impatto per la risoluzione del conflitto siriano. Il supporto alle forze dell’YPG e le sanzioni in atto contro il regime di Assad sottolineano l’incapacità dell’attuale Amministrazione USA di formulare una visione geostrategica della regione che tenga in considerazione sia le legittime preoccupazioni in termini di sicurezza della Turchia, sia la complessità di uno scenario delicato e articolato come quello mediorientale.

La mancanza di visione geopolitica europea e statunitense nella gestione degli sviluppi della crisi che coinvolge l’area turco-siriana ha contribuito notevolmente al successo della mediazione russa, concedendo a Mosca un doppio vantaggio: la possibilità di svolgere un ruolo importante rafforzando la sua leadership regionale; la capacità di aumentare l’attrazione nella propria orbita diplomatico-politica di Ankara allontanando sempre più la Turchia, non solo dall’Occidente, ma anche dall’Europa.

In conclusione, l’assenza di una vision chiara e condivisa degli obiettivi geopolitici e delle necessarie azioni geostrategiche da porre in atto, che affligge l’Occidente, ci ha portato a vivere una situazione paradossale.

Ci siamo lasciati condurre in una proxy war contro la Russia per dare soddisfazione prevalentemente a vecchi odi e rancori atavici, impegnandoci acriticamente a sostenere un Paese al quale non siamo direttamente legati né da un sistema di alleanze e neppure di unioni comuni, abbandonando invece, un Paese, la Turchia, che è membro della NATO (la stessa NATO che in un delirio di fantapolitica  difende a spada tratta un Paese non membro) e che è in lista d’attesa da trent’anni per entrare a far parte di quella Unione Europea snob e progressista che rimane legata al passato incapace di abbandonare la comfort zone della rivalsa contro la Russia.

Il risultato ultimo è che un elemento critico per il sistema di equilibrio della regione mediorientale si sta riallineando in un’orbita non occidentale, compromettendo le possibilità di Usa e Europa di svolgere un ruolo determinante nella gestione delle dinamiche regionali che sempre più dipendono dall’azione diplomatica della Russia, quell’arcinemico del nostro piccolo mondo europeo di cui con tanta determinazione l’Est europeo vuole la distruzione usando la NATO e l’UE come clava.

Maurizio Iacono
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