GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 34

Sull’accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti

MEDIO ORIENTE di

Attraverso un tweet risalente al 16 agosto il presidente americano Donald J. Trump ha annunciato al mondo l’avvio verso una normalizzazione dei rapporti diplomatici tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele; l’intesa segna un passaggio storico per le relazioni tra gli stati del Medio Oriente e una vittoria diplomatica per la Casa Bianca.

Stando a quanto riporta la BBC i colloqui inizieranno nei prossimi giorni e probabilmente le parti si riuniranno a Washington per firmare l’accordo di normalizzazione dei rapporti entro le tre settimane; non solo, la futura apertura delle rispettive ambasciate nei due paesi darà il via a numerosi accordi bilaterali di commercio in più campi che, stando al comunicato congiunto rilasciato dalla Casa Bianca, riguarderanno investimenti, turismo, sanità e sicurezza mentre già da giorni è stata data la possibilità di chiamarsi da un Paese all’altro, cosa fino a qualche mese fa impensabile. Leggi Tutto

Perù e siti archeologici, continua l’isolamento

AMERICHE di

Machu Picchu deve aspettare per riavere i suoi turisti. Tra gennaio e maggio 2020, l’OMT (Organizzazione Mondiale del Turismo) ha registrato un abbassamento del 56 % di turisti nel mondo rispetto ai dati del 2019 calcolati per gli stessi mesi, sarebbe a dire circa 300 milioni di turisti internazionali in meno. A risentirne sono stati soprattutto i paesi che di turismo vivono tra cui sicuramente si colloca il Perù, e in particolar modo la fortezza di Machu Picchu. Leggi Tutto

Colpo di Stato in Mali: arrestati il Presidente e il Primo ministro. Arriva la condanna della Comunità internazionale

AFRICA di

Nella giornata di ieri, 18 agosto, il Presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keïta ed il suo primo ministro Boubou Cissè, sono stati arrestati a Bamako da un gruppo di soldati in rivolta.

A dare l’annuncio è stato uno dei leader dell’ammutinamento: “Possiamo dirvi che il Presidente e il Primo ministro sono sotto il nostro controllo. […] Non è un golpe, ma un’insurrezione popolare”.  La notizia dell’arresto è stata poi ufficializzata nella serata di ieri dal portavoce del governo maliano, il quale ha denunciato i conseguenti disordini interni. Secondo l’agenzia Ap, poco prima di questo annuncio, alcuni testimoni avevano visto mezzi militari circondare la residenza presidenziale, mentre alcuni soldati sparavano colpi in aria.

Il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto il rilascio immediato e incondizionato”, annunciando per oggi una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza, su richiesta di Francia e Niger.

“Il Segretario Generale condanna fermamente queste azioni e chiede l’immediato ripristino dell’ordine costituzionale e dello stato di diritto in Mali”, si legge nella nota di un portavoce. La condanna dei due arresti è arrivata anche dall’Unione Africana e dall’Unione europea che, per il tramite dell’Alto Rappresentante Josep Borrell, ha dichiarato di condannare con forza il golpe, aggiungendo di rifiutare “ogni cambiamento anti-costituzionale”, poichè questo non potrà essere, in nessun caso, “una risposta alla profonda crisi socio-politica che sta spaccando il Paese”.

L’ammutinamento arriva infatti dopo mesi di proteste sociali e scontri mortali tra manifestanti e forze dell’ordine del Paese. Una variegata coalizione di oppositori politici, leader religiosi e membri della società civile ha da tempo intensificato le manifestazioni per chiedere le dimissioni di Keita, accusato di cattiva gestione dello Stato.

A questo si aggiunge una “situazione sociale deleteria”, denunciata dal leader sindacale Sidibè Dèdèou Ousmane. Il Movimento del 5 giugno-Raggruppamento delle forze patriottiche del Mali (M5-Rfp) -, alla guida della protesta, lo scorso 13 agosto ha rifiutato un incontro con il Presidente, ponendo come conditio sine qua non per un eventuale colloquio, la fine della “repressione” contro i suoi militanti.
Poche ore dopo l’annuncio del rapimento da parte dei militari ribelli, il Presidente Keith ha annunciato le sue dimissioni con un discorso in diretta tv. “Ho deciso di lasciare il mio incarico, […] non voglio che venga versato il sangue per restare al potere”, ha dichiarato, annunciando lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e del governo.

I militari ribelli, tramite il loro portavoce Ismael Wague, promettono intanto una transizione politica civile, che conduca ad “elezioni generali in un arco di tempo ragionevole”. Inoltre, nelle prime ore di oggi è stata annunciata l’istituzione di un Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp), con la promessa di riportare stabilità nel Paese, gettando le basi per “un nuovo Mali”.

“Noi, forze patriottiche riunite nel Comitato nazionale per la salvezza del popolo, abbiamo deciso di assumerci le nostre responsabilità davanti al popolo e alla storia. [..] La società civile e i movimenti socio-politici sono invitati a unirsi a noi per creare insieme le migliori condizioni per una transizione politica civile che porti a elezioni generali credibili per l’esercizio democratico”.

Egitto al voto per la prima elezione del nuovo Senato

AFRICA di

Nelle giornate dell’11 e del 12 agosto in Egitto si sono svolte le operazioni di voto per l’elezione dei membri del Senato, il secondo ramo del parlamento, reintrodotto dalle riforme costituzionali approvate nel giugno scorso.

Come segnala il quotidiano Al-Ahram, sono stati circa 63 milioni gli egiziani chiamati alle urne, esortati a recarsi presso i seggi delle 27 commissioni pubbliche previste, ciascuna rappresentante le diverse province del Paese.

Il Senato egiziano sarà composto da un totale di 300 membri, di cui due terzi scelti fra candidature singole e liste di partito bloccate, mentre i restanti cento saranno nominati direttamente dal Presidente al-Sisi. Va segnalato, che all’interno della decisione istitutiva nuova camera, sono state previste alcune limitazioni e requisiti con riferimento alle nomine presidenziali. In primo luogo, i cento membri nominati devono necessariamente essere individuati a elezioni concluse, tenendo conto del principio secondo cui non sia possibile scegliere più di un esponente proveniente dallo stesso partito politico. In secondo luogo, non è ammessa l’elezione di un rappresentate del partito politico di cui il Presidente era membro prima di entrare in carica. In più, la decisione istitutiva prevede che, nella formulazione delle sue nomine, il capo di Stato debba tenere conto della percentuale di “quote rosa” prevista per la composizione della Camera alta, fissata al 10% dei suoi membri.

 

Sia il governo del Cairo, che i diversi candidati e partiti politici del Paese, hanno rivolto grande attenzione all’elezione del Senato, la cui introduzione è stata letta come un primo tassello del più ampio quadro di riforme ed emendamenti costituzionali annunciati dal presidente al-Sisi nel 2019. Tra le proposte del Presidente che avevano ricevuto l’avallo del Parlamento, e successivamente della popolazione egiziana, tramite il referendum popolare dell’aprile 2019, oltre all’istituzione del Senato, si ritrova anche l’estensione del mandato presidenziale da 4 a 6 anni.

A seguito della proposta presidenziale, l’introduzione della seconda camera del Parlamento è stata poi prevista all’interno di una decisione della Camera dei deputati egiziana del 15 giugno scorso.

Il nuovo Senato è atto a sostituire il Consiglio della Shura, sciolto nel 2014, e, una volta completata l’elezione dei suoi membri, avrà il potere di presentare proposte volte a promuovere la democrazia e la pace sociale nel Paese, garantendo il rispetto dei valori e delle libertà fondamentali nella società egiziana.

La seconda camera potrà inoltre esprimere il proprio parere su eventuali emendamenti costituzionali, bozze di progetti per lo sviluppo sociale ed economico, nonché sulla conclusione di accordi di pace o alleanze. Non da ultimo, va ricordato che al Capo di Stato spetta il potere di chiedere il parere di tale organo su questioni relative agli affari esteri e alla politica interna.

Al di là di queste previsioni teoriche, tuttavia, parte della popolazione, così come alcuni analisti, ha ritenuto che il nuovo ramo del Parlamento finirà per svolgere un ruolo per lo più marginale nel sistema legislativo del Cairo. In ragione del suo ruolo puramente consultivo, ossia privo di carattere vincolante, e dell’assenza di effettivi poteri legislativi, si è definito il nuovo Senato come una mera “decorazione politica”.

Le elezioni presidenziali in Bielorussia tra proteste e arresti

EUROPA di

Domenica 9 agosto si sono tenute le elezioni presidenziali in Bielorussia e dalle 08:00 ora locale, Alexander Lukashenko e Svetlana Tikhanouskaya, i due principali candidati, si sono sfidati in un clima tutt’altro che pacifico. Già negli ultimi mesi la situazione è risultata particolarmente delicata, con l’esclusione dalla corsa alle elezioni e gli arresti di numerosi candidati all’opposizione da parte del Presidente in carica; la notte prima delle elezioni vi sono stati nuovi numerosi arresti e dal giorno delle elezioni in poi vi sono state molteplici proteste contro il sistema vigente, i brogli elettorati e le violenze dello Stato. Nonostante l’assenza di risultati ufficiali, Lukashenko ha affermato di aver vinto le elezioni presidenziali con l’80% dei voti, a dispetto di quanto anticipato dai sondaggi indipendenti. Non sono mancate, dunque, le critiche della comunità internazionale, dai leader dei paesi europei fino ai rappresentanti delle istituzioni di Bruxelles.

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La ricostruzione di Beirut passa per la Francia

EUROPA di

“Perché è il Libano. Perché è la Francia. Perché siete voi, perché siamo noi” queste le parole del Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, che, dopo aver immediatamente mandato due aerei militari e un aereo civile per i primi aiuti di emergenza, ha interrotto le sue vacanze e si è precipitato a Beirut a poche ore dall’esplosione che il 4 agosto ha dilaniato la città. Macron ha incontrato le autorità locali, le forze politiche ed il popolo libanese, cogliendo così l’occasione per riaprirsi uno spazio di influenza in Medio Oriente. La Francia è, infatti, considerata una seconda patria da molti libanesi a causa dei forti legami storici tra i due Paesi. In virtù di questa cruciale relazione il 9 agosto Macron ha altresì organizzato una videoconferenza dei donatori, alla quale hanno partecipato anche i vertici delle istituzioni europee: i leader mondiali, riuniti in videoconferenza dal Presidente francese con il sostegno delle Nazioni Unite, hanno annunciato lo stanziamento di 250 milioni di euro per aiutare il Libano nella ricostruzione. Come ulteriore gesto di solidarietà, il 13 e 14 agosto la Ministra della Difesa francese, Florence Parly, si è recata a Beirut per accogliere la portaelicotteri Tonnere carica di aiuti per la capitale libanese.

L’esplosione e il viaggio di Macron

Quindici anni dopo l’esplosione dell’autobomba che uccise il Primo Ministro Rafiq Hariri – la cui morte mise fine all’occupazione siriana del Libano e cambiò la storia successiva del Paese – il 4 agosto un’altra tremenda deflagrazione ha ferito la Capitale libanese. Secondo la versione ufficiale riferita dal Presidente del Libano, Michel Aoun, a provocarla sarebbe stato un incendio in un deposito nel porto della città dove erano immagazzinate 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, sequestrate diversi anni fa da una nave. A poco più di una settimana dall’enorme esplosione, le operazioni di recupero dei corpi dalle macerie sono ancora in corso e ci sono grandi difficoltà ad affrontare le scarsità alimentari e i problemi sanitari che ne sono derivati. Non si è fatta attendere la reazione del popolo libanese che ha sin da subito manifestato contro quello che hanno definito “il crimine del secolo”, denunciando la corruzione sistemica presente nel Paese e la situazione già precaria del governo è precipitata con l’annuncio delle dimissioni l’11 agosto.

 

Neppure la manifestazione di solidarietà da parte dei leader mondiali, Francia in testa, si è fatta attendere. Il 6 agosto, due giorni dopo l’esplosione, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, si è recato a Beirut per testimoniare la solidarietà della Francia dopo la tragedia, ponendosi come primo Capo di Stato giunto sul posto. Macron, in nome dei legami storici tra i due Paesi, dopo aver incontrato le autorità locali, le forze politiche ed il popolo libanese, ha sottolineato che in Libano c’è bisogno di “profondi cambiamenti” da parte delle autorità, promettendo aiuti in cambio di riforme strutturali ed ha chiesto inoltre l’apertura di un’inchiesta internazionale sull’esplosione.

Il forte legame tra i due Paesi è di lunga data e deriva in particolar modo dal mandato francese della Siria e del Libano, un mandato della Società delle Nazioni di classe A creato dopo la Prima guerra mondiale in seguito alla caduta dell’Impero ottomano. Successivamente, la Francia ha coltivato le relazioni bilaterali e dunque l’influenza nel Paese Mediorientale, a causa del valore geopolitico del Libano, al fine di assicurarsi un posto privilegiato nel quadrante più cruciale e decisivo nelle grandi dinamiche globali. “Perché è il Libano. Perché è la Francia. Perché siete voi, perché siamo noi” queste le parole del Presidente Macron atterrato a Beirut.

A testimonianza del legame tra i due Paesi, nonché della frustrazione dei libanesi per la totale incapacità del governo nel garantire la sicurezza e la gestione dello Stato, rileva che una petizione per ricostituire un mandato francese in Libano ha raccolto più di 50.000 firme in 24 ore.

La conferenza internazionale dei donatori

Il 9 agosto la Francia ha altresì organizzato una videoconferenza dei donatori, alla quale hanno partecipato anche i vertici delle istituzioni europee. Macron, aprendo la conferenza internazionale da lui voluta ha affermato che “il mondo deve agire in fretta e con efficacia” per aiutare il Libano, sottolineando che “il caos e la violenza non devono vincere”.

I leader mondiali, con il sostegno delle Nazioni Unite, hanno annunciato lo stanziamento di 250 milioni di euro per aiutare il Libano nella ricostruzione. La Commissione europea donerà altri 30 milioni di euro al Libano per affrontare le prime necessità del post esplosione, come annunciato dal Commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic. “L’Ue ha aiutato il Libano subito dopo l’esplosione mobilitando centinaia di soccorritori e inviando a Beirut equipaggiamento medico” ha dichiarato il Commissario, ringraziando tutti i Paesi europei che hanno manifestato solidarietà.  Lo stanziamento dei 30 milioni di euro si va ad aggiungere agli altri 33 milioni annunciati dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una telefonata con il Presidente libanese, Michel Aoun. Gli aiuti europei saranno distribuiti attraverso le agenzie dell’ONU, le quali in una bozza dell’Emergency response framework’ (Efr) hanno stimato che al Libano serviranno 117 milioni di dollari nei prossimi tre mesi per rispondere alla crisi generata dalla devastante esplosione.

 

A rimarcare il ruolo della Francia in questa crisi è il viaggio della Ministra della Difesa francese, Florence Parly, a Beirut per accogliere la portaelicotteri Tonnere carica di aiuti per la capitale libanese. “Uno degli obiettivi è rendere il porto nuovamente operativo”, ha dichiarato Parly.

Egitto-Grecia: c’è accordo sulle frontiere marittime. Immediata la reazione di Ankara

AFRICA di

Giovedì 6 agosto Egitto e Grecia hanno sottoscritto un accordo sulla demarcazione delle rispettive frontiere marittime, istituendo una zona economica esclusiva tra i due Paesi: l’annuncio ufficiale è successivo all’incontro a Il Cairo tra il Ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, e l’omologo ellenico, Nikos Dendias.

Entrambi hanno sottolineato, più o meno apertamente, il significato anti-turco dell’iniziativa: per Shoukry, il concordato “consente di respingere i tentativi di coloro che sostengono il terrorismo e l’estremismo“.

”Dopo la firma del nostro accordo – afferma invece Dendias – l’intesa dello scorso anno tra Turchia e Libia è finita laddove meritava sin dal primo momento: nella spazzatura.”

Tramite l’accordo, nel Mediterraneo orientale viene prevista una zona economica esclusiva tra i due Paesi, consentendo ad entrambi di massimizzare l’utilizzo delle risorse energetiche disponibili nella zona concordata, in particolare quelle di gas e petrolio. È stato chiarito da entrambe le parti che l’accordo rispetta le disposizioni del diritto internazionale e del diritto del mare, oltre che le relazioni di buon vicinato.

La stipula dell’accordo si configura come una reazione a quello concluso tra la Turchia e il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli il 27 novembre 2019, finalizzato a definire le rispettive zone economiche esclusive (ZEE) per lo sfruttamento energetico dei giacimenti presenti nel Mediterraneo. Le ZEE sono definite come porzioni di mare adiacente alla acque territoriali di uno Stato costiero che possono  estendersi fino a 200 miglia marittime, e su cui suddetto Paese vanta diritti esclusivi di sovranità in materia di esplorazione. A seguito della conclusione dell’accordo, le reazioni del resto della Comunità internazionale non si fecero attendere. Grecia e Italia, i Paesi maggiormente interessati all’accordo, lo hanno definito illegittimo, analogamente all’Unione europea che, per il tramite del Consiglio europeo, ha accusato l’intesa tra Libia e Turchia di violare i diritti di sovranità dei Paesi terzi e di non rispettare la legge del mare. Non è un caso, inoltre, che l’iniziativa turca sia stata percepita con fastidio e preoccupazione anche dall’Egitto, che vive da tempo una relazione difficile e astiosa con Ankara.

Il recente accordo tra Egitto e Grecia— di cui non sono ancora stati resi noti i dettagli, ma che arriva dopo tre anni di negoziati — influenzerà in chiave antiturca lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio scoperti recentemente nel Mediterraneo orientale, in particolare nelle aree contese da decenni fra Atene e Ankara: secondo la Turchia, le circa 6 mila isole greche non dovrebbero essere considerate nel calcolo delle zone marittime d’interesse economico, una posizione che, per Atene, violerebbe le norme diritto internazionale.

La Turchia ha quindi reagito duramente alla nuova intesa, che è intenzionata a non riconoscere. “Non c’è alcun confine marittimo tra Grecia ed Egitto. La Turchia non riconosce il valore giuridico dell’accordo firmato oggi. Mostreremo sul campo e a livello diplomatico quale è la nostra idea di questo accordo”, ha scritto in un comunicato il ministro degli Esteri turco.

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