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REGIONI - page 32

Libia: il premier al-Serraj annuncia le dimissioni entro fine ottobre

AFRICA di

La sera del 16 settembre scorso il Primo ministro libico, nonché capo del Consiglio Presidenziale del governo di Tripoli, Fayez al-Serraj, ha annunciato la volontà di dimettersi dal suo incarico entro la fine di ottobre. L’annuncio è avvenuto in occasione del discorso che il Presidente ha pronunciato per l’anniversario della morte di Omar al-Mukhtar, considerato l’eroe nazionale che guidò la resistenza anticoloniale contro l’Italia negli anni Venti.

Consapevole della situazione di instabilità in cui il Paese vive dal febbraio 2011, al-Serraj si è detto timoroso rispetto agli sviluppi successivi, primo fra tutti il percorso che porterà alla delicata designazione di una nuova “autorità esecutiva”, incaricata di guidare il Paese nel corso della transizione. Proprio per questo, l’annuncio ufficiale vi sarà, presumibilmente, al termine dei colloqui necessari per giungere alla formazione di un nuovo esecutivo e alla nomina di un nuovo primo ministro.

Notando le divergenze e i fenomeni di polarizzazione che animano il “clima politico e sociale” del Paese, il Primo ministro ha insistito sulla necessità di evitare qualsiasi “rischio di rottura”, accusando “le parti libiche ostinate” di acuire ulteriormente tali fenomeni di “schieramento”.

A questo proposito, il premier del GNA ha esortato il “comitato del dialogo”, l’organo che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, sarà responsabile della formazione del nuovo governo, ad accelerare le procedure e ad adempiere ai propri impegni e alla propria “responsabilità storica”, così da garantire una transizione “pacifica e regolare”. Parallelamente, al-Sarraj ha accolto con favore le consultazioni e gli incontri tra i delegati delle due fazioni in lotta, anch’essi promossi dall’ONU, che mirano a unificare le istituzioni prima di indire elezioni legislative e presidenziali.

Come è noto, al Serraj è stato posto a capo del GNA dal marzo 2016, a seguito di 18 mesi di negoziati che nel dicembre dell’anno precedente avevano condotto alla firma dell’accordo di Skhirat, anche noto come Libyan Political Agreement (LPA). A firmare l’accordo, concluso sotto l’egida dell’ONU, furono i 90 membri della Camera dei rappresentanti di Tobruk — città della Cirenaica attualmente sotto il controllo del generale Khalifa Haftar —, e 69 deputati del Congresso Nazionale di Tripoli – città sede dl Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Serraj.

Tuttavia, i contrasti tra le due fazioni, come è noto, non sono mai cessati, rendendo ancora più difficile l’avvio di una effettiva transizione democratica. Ad oggi, dopo la conclusione nel mese scorso dell’accordo con Tobruk sul cessate il fuoco e la smilitarizzazione di Sirte e Jufra, Serraj è più che mai convinto della necessità di aprire una stagione di cambiamento: il Consiglio presidenziale ha ormai esaurito le sue funzioni, servono nuove elezioni, da indire entro il mese di marzo 2021. Una data che Serraj sarebbe disposto a spostare in avanti, qualora dai colloqui politici in corso dovesse invece emergere la preferenza per una fase transitoria in preparazione del voto. Alcuni osservatori internazionali hanno descritto come “tattiche” le dimissioni di al-Serraj, una mossa per accelerare le trattative in vista di un nuovo esecutivo già nel mese prossimo, e prima delle elezioni americane. Non a caso, è stata annunciata la convocazione, per il 5 ottobre prossimo, di un vertice internazionale sulla Libia, come naturale prosecuzione della Conferenza di Berlino del gennaio 2020.

 

Campagna elettorale e mercati, quali sono i possibili esiti?

AMERICHE di

Cos’è un mercato azionario? Esso è il mercato sul quale alcune società possono emettere dei titoli per trovare finanziamenti, i cui investitori diventano, quindi, azionisti della società. Secondo il senso comune, il mercato azionario sembra essere quello più popolare, da una parte, a motivo del suo semplice funzionamento, dall’altra, a motivo dei numerosi valori nazionali e internazionali su cui è possibile speculare. È un organismo bancario in grado di passare degli ordini di acquisto o di vendita dei titoli quotati. Leggi Tutto

Trump si gioca tutto: tra elezioni e Covid19 spunta il vaccino

AMERICHE di

Vaccines are moving along fast and safely!, firmato @realDonaldTrump. Con un “tweet” pubblicato il 16 settembre, Donald J. Trumpha voluto dare una svolta alla campagna elettorale per le presidenziali. Alle prese ormai da mesi, sul fronte interno, con eventi che hanno rimesso tutto in discussione, il presidente in carica ed il fronte repubblicano hanno dunque deciso di giocarsi l’asso nella manica: il vaccino per il Covid 19.

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Summit UE-CINA: risultati e prospettive

EUROPA di

Commercio ed investimenti, cambiamenti climatici e biodiversità, risposta alla pandemia da COVID-19 e diritti umani: questi i principali temi affrontati da Unione europea e Cina, il 14 settembre, nell’ambito di un summit in videoconferenza. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ed il Presidente cinese Xi Jinping hanno presieduto il vertice, al quale hanno partecipato altresì la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la Cancelliera Angela Merkel, in virtù della presidenza tedesca del Consiglio dell’UE. La riunione ha offerto l’opportunità di dare seguito alle discussioni tenutesi, lo scorso 22 giugno, nell’ambito del 22 ° vertice annuale UE-Cina, e si è dimostrata un’occasione importante per mantenere lo slancio degli scambi ad alto livello UE-Cina, al fine di ottenere risultati concreti in linea con gli interessi e i valori dell’UE. Nel 2019, la Cina è stato, infatti, il terzo Paese di destinazione delle esportazioni agricole e alimentari europee per un valore di circa 14,5 miliardi di euro, mentre l’UE è il primo partner commerciale della Cina. “L’Europa deve essere un player, non un campo di gioco. Oggi abbiamo fatto un passo avanti per una relazione più equilibrata con la Cina. In alcune aree siamo sulla strada giusta, in altre dobbiamo fare ancora strada. Esistono differenze, ma siamo pronti a lavorare. Vogliamo una relazione economica basata su reciprocità, responsabilità” queste le parole del Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al termine del summit. 

Commercio e investimenti

Il 14 settembre, Cina e Unione europea, nell’ambito del summit in videoconferenza, hanno deciso di accelerare i negoziati, avviati nel 2013, per un ambizioso accordo di investimento globale, Comprehensive Agreement on Investments (CAI): entrambe le parti hanno registrato progressi sulle norme che regolano il comportamento delle imprese statali, sul trasferimento forzato di tecnologia e sulla trasparenza delle sovvenzioni; l’UE ha, però, sottolineato che occorre lavorare con urgenza sulle questioni del riequilibrio dell’accesso al mercato e sullo sviluppo sostenibile, invitando la controparte ad intensificare i suoi sforzi su questi temi.  Con l’obiettivo di concludere entro l’anno i negoziati, è stato ribadito l’obiettivo comune di colmare al più presto le lacune rimanenti. A tal proposito l’Unione europea ha sottolineato che sarà necessario un impegno politico ad alto livello da parte cinese per raggiungere un accordo significativo. 

La Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha confermato passi in avanti in merito alle tematiche ancora oggetto di trattative, ma ha ribadito che ancora vi è molto da fare e che la Cina deve convincere l’Europa che valga la pena adottare l’accordo sugli investimenti. Ad oggi, infatti, le aziende cinesi avrebbero già accesso ai mercati europei, dove operano secondo regole di concorrenza eque, mentre lo stesso non avverrebbe per le aziende europee in Cina. Anche il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ribadito che l’Unione europea chiede alla Cina maggiore reciprocità e parità di condizioni.

A tal proposito, le due parti hanno accolto con favore la firma dell’accordo UE-Cina sulle indicazioni geografiche, il quale migliorerà l’accesso al mercato cinese – in particolare per i prodotti agricoli europei di alta qualità – prevedendo il riconoscimento di 100 denominazioni alimentari europee ed altrettante cinesi. L’accordo in questione rappresenterà un duro colpo alle esportazioni di Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, le quali non potranno più utilizzare i nomi protetti europei per i prodotti che rivendono in Cina. 

Cambiamenti climatici, biodiversità e Covid-19

Pechino e Bruxelles hanno, altresì, convenuto di stabilire un dialogo ad alto livello sull’ambiente e il clima, nonché in ambito digitale, per creare rispettivamente il partenariato verde sino-europeo e il partenariato digitale sino-europeo e perseguire, così, ambiziosi impegni congiunti. Con riguardo al cambiamento climatico ed alla biodiversità, l’UE ha incoraggiato la Cina a rafforzare i suoi impegni in materia di clima in termini di riduzione di emissioni di anidride carbonica e fissando l’obiettivo della neutralità climatica a livello nazionale. A tal proposito, l’UE ha poi incoraggiato la Cina a lanciare al più presto il suo sistema nazionale di scambio di quote di emissioni. Inoltre, l’Unione europea ha sottolineato l’importanza di una moratoria in Cina per la costruzione di centrali elettriche a carbone e il finanziamento della loro costruzione all’estero, come parte di un’iniziativa globale. 

L’UE ha sottolineato che gli impegni congiunti sulla biodiversità potrebbero cambiare le regole del gioco a livello globale e la Cina ha un ruolo chiave da svolgere come ospite della Conferenza delle parti il prossimo anno. Un ambizioso accordo globale sarebbe un risultato importante in tale ambito. 

Sulla risposta al COVID-19, l’UE ha sottolineato la responsabilità condivisa di partecipare agli sforzi globali per arrestare la diffusione del virus, promuovere la ricerca su trattamenti e vaccini e rafforzare il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche attraverso la piena attuazione della Risoluzione dell’OMS dello scorso maggio. L’UE ha inoltre sottolineato che le misure di ripresa economica dovranno sostenere la transizione verso un’economia più verde e più sostenibile.

Diritti umani 

Occorre sottolineare che recentemente, la popolarità cinese in seno all’UE ha subito un brusco calo, soprattutto per questioni legate ai diritti umani. In particolare, l’Unione europea ha criticato la Cina per la presunta repressione della minoranza degli Uiguri nella regione autonoma del Xinjiang e per la questione di Hong Kong, dove le autorità hanno arrestato molti manifestanti pro-democrazia e dove, lo scorso 30 giugno, Pechino ha introdotto una nuova legge sulla sicurezza nazionale, che mina le libertà e l’autonomia dei cittadini. Non a caso, il 12 marzo 2019, l’UE aveva definito la Cina un “rivale sistemico” che promuove “modelli alternativi di governance”. Tale definizione servirebbe ad identificare la promozione da parte della Cina di un sistema di tipo autocratico, in contrapposizione con le democrazie di tipo europeo. In seguito al summit dello scorso 22 giugno, lo stesso Charles Michel ha dichiarato che, nonostante l’interdipendenza economica e la necessità di cooperare nell’ambito di tematiche come quella della lotta al cambiamento climatico, la Cina e l’UE non condividono gli stessi valori, sistemi politici ed il medesimo approccio al multilateralismo.

A tal proposito, il 14 settembre i leader dell’UE hanno ribadito le loro gravi preoccupazioni per l’erosione dei diritti e delle libertà fondamentali a seguito dell’imposizione della Legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, in violazione degli impegni internazionali della Cina. I leader hanno, inoltre, ribadito le preoccupazioni dell’UE per il rinvio delle elezioni del Consiglio legislativo e la squalifica dei candidati, nonché per il trattamento delle minoranze etniche e religiose, le limitazioni alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni. Sul tema le due parti hanno, infine, convenuto che, entro la fine dell’anno, in Cina, si svolgerà un dialogo sui diritti umani. 

Euromed7, il vertice dei paesi mediterranei tra Grecia e Turchia

EUROPA di

Il 10 settembre, il presidente francese Macron ha presieduto, nonché ospitato, la riunione dei sette Paesi membri dell’Euromed, il gruppo informale che raccoglie i paesi mediterranei membri dell’Unione europea. Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro e Malta fanno parte di questo gruppo che si riunisce ogni anno in un posto diverso. Quest’anno la riunione si è tenuta in Corsica, ad Ajaccio, ed ha visto la partecipazione dei capi di Stato o di governo dei paesi membri. L’incontro del 2020 ha avuto al centro le due questioni che, ormai da settimane, sono cruciali nel Mediterraneo: la crisi dei migranti in Grecia e la crescente tensione tra Turchia, Cipro e Grecia.

Il vertice Euromed7

Euromed è un gruppo informale che raccoglie sette paesi mediterranei membri dell’Unione europea: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro e Malta. L’alleanza riunisce i paesi accomunati dalla cultura greco-romana, per questo comprende il Portogallo, che non si affaccia sul Mediterraneo, escludendo invece Croazia e Slovenia, che hanno il proprio sbocco sul mare. Gli Stati parte dell’Euromed sono, invero, caratterizzati da una somiglianza di modelli di Stati, dal punto di vista economico, sociale ed anche culturale. Obiettivo di questo forum è, dunque, creare una sorta di alleanza del mediterraneo ed esprimere una voce comune, quella del Sud Europa, in sede di Unione europea. Il vertice, di anno in anno, viene ospitato da uno dei paesi membri e presieduto dal capo di Stato o di governo. Quest’anno è stato Emmanuel Macron a fare gli onori di casa, ospitando Giuseppe Conte, Antonio Costa, Kyriakos Mitsotakis, Pedro Sanchez, Nicos Anastasiades e Robert Abela ad Ajaccio, in Corsica.

Le questioni al centro dell’incontro

Il vertice del 10 settembre, tra i paesi del Mediterraneo, non poteva che essere sulle questioni che da settimane creano tensioni proprio in queste acque. L’obiettivo dell’incontro è stato quello di trovare una posizione comune sulla Turchia in vista del Consiglio europeo del 24 e 25 settembre, dove si deciderà se imporre delle sanzioni alla Turchia a seguito delle sue azioni provocatorie nel Mediterraneo orientale che si verificano ormai da settimane. A fine agosto, si sono scontrate una nave da ricognizione turca, che stava scortando una nave da esplorazione, e una nave da guerra greca. L’incidente è avvenuto a Kastellorizo, isola greca che si trova a 2 chilometri dalla Turchia, in acque rivendicate da entrambi i paesi, che da anni competono per il controllo di quella parte di Mediterraneo, anche per i diritti di sfruttamento delle risorse energetiche che ne derivano. Secondo la Grecia, i turchi avevano violato le loro acque; secondo la Turchia, la Grecia non poteva esercitare lì la propria giurisdizione. “Il nostro obiettivo è proprio quello di ristabilire relazioni normali con la Turchia che permettano la stabilità della regione, di ottenere la fine delle azioni unilaterali, la fine delle trivellazioni e il pieno rispetto dell’embargo sulle armi per la Libia” ha dichiarato il presidente francese.

Seppur orientato, solo inizialmente, alle tensioni con la Turchia, al vertice Euromed7 non si è potuto non parlare di quanto accaduto esattamente il giorno prima del vertice. Il più grande campo per migranti della Grecia, quello sull’isola di Lesbo, è stato distrutto da un incendio, e i migranti presenti nel luogo sono stati tutti evacuati ma non senza conseguenze, infatti molti sono stati intossicati dal fumo. Il campo era molto grande, ospitava quasi 13.000 persone e a condizioni molto precarie, già da prima dell’incendio, e dopo i danni la quasi totalità di migranti è rimasta senza una sistemazione. Tuttavia, la situazione non è affatto facile: tra gli abitanti di Lesbo e i migranti del campo Moira vi sono molteplici tensioni, tanto che il governo greco ha dichiarato lo stato di emergenza per l’isola e la polizia ha chiuso le strade che collegano il campo ai paesi vicini, per impedire loro di raggiungere i centri abitati più vicini.

Lo stesso premier greco Mitsotakis ha portato l’attenzione sul problema della Grecia, affermando “Alla fine dobbiamo affrontare la realtà. Voi tutti sapete che la Grecia, così come gli altri Paesi del Sud Europa, sta portando un peso insopportabile di un problema che è europeo. Oggi l’Europa deve passare dalle parole di sostegno agli atti concreti di solidarietà”, riferendosi alla questione dei migranti, che sembra interessare solo i paesi del Sud. Dello stesso avviso è il Presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte, che ha scritto su Twitter “Oggi ad Ajaccio con il gruppo #med7 per dare un impulso forte e unitario dei Paesi del Sud dell’Ue a sfide cruciali come la migrazione e per rilanciare con determinazione la necessaria ed urgente stabilizzazione dell’area mediterranea”.

I risultati del vertice

Alla fine del vertice, i leader europei hanno rilasciato una dichiarazione congiunta ed hanno affermato di essere pronti a sostenere le sanzioni dell’UE contro la Turchia se Ankara non dimostrerà di essere disponibile al dialogo, andando oltre i contenziosi marittimi. “Riteniamo che, in assenza di progressi nell’impegno della Turchia al dialogo e a meno che non ponga fine alle sue attività unilaterali, l’Ue è pronta a elaborare una lista di ulteriori misure restrittive”, è stato affermato dai leader, che hanno aggiunto “Ci rammarichiamo che la Turchia non abbia risposto agli appelli ripetuti dell’Ue a mettere fine alle sue azioni unilaterali e illegali nel Mediterraneo orientale e nell’Egeo”. La posizione del leader è stata tanto dura e decisa da causare una reazione da parte di Erdogan, che ha definito tali dichiarazioni “aggressive”.

Quanto alla situazione greca, il presidente francese Macron ha affrontato la questione coinvolgendo anche la Germania, con la quale suddividerà il numero di migranti da accogliere nel paese. Inoltre, l’Unione europea, nell’apprestarsi a presentare un nuovo progetto in materia, finanzierà anche la costruzione di un nuovo campo a Lesbo.

Il Sudan firma uno storico accordo di pace

AFRICA di

Il governo del Sudan e il Fronte Rivoluzionario del Sudan (SRF), l’organizzazione che unisce gruppi ribelli degli stati sudanesi del Darfur Occidentale, del Kordofan Meridionale e del Nilo Azzurro, hanno firmato a Giuba un accordo di pace che mette fine a diciassette anni di guerra civile. Si tratta di un accordo storico, che vede la luce dopo lunghi e complessi negoziati tra le parti in lotta, un passo importante per la transizione democratica ed economica del Sudan.

La guerra tra forze governative e SRF nei territori del Kordofan Meridionale e del Nilo Azzurro, era iniziata nel 2011, a seguito di conflitti non risolti durante la guerra civile sudanese del 1983-2005, mentre il conflitto in Darfur, come è noto, aveva preso avvio già nel 2003. In quest’ultima regione, le fazioni in lotta erano i miliziani arabi della tribù dei Baggara noti come i Jajawid, minoritari nell’area ma maggioritari nel resto del paese, e la popolazione non Baggara della regione, rappresentata dai gruppi ribelli del Sudan Liberation Movement e del Justice and Equality Movement; secondo dati delle Nazioni Unite, solo quest’ultimo conflitto ha portato alla morte di oltre 300mila persone.

Dopo quasi due decenni di guerra civile, il nuovo accordo di pace apre quindi ad un importante processo di riconciliazione. Il Comprehensive Peace Agreement cui si è giunti si compone di otto protocolli, i quali regolano aspetti cruciali delle relazioni tra lo stato centrale e i territori periferici, nel quadro di un rinnovato sistema di governo federale: nei documenti si attribuisce infatti autonomia amministrativa ai governi del Darfur Occidentale, del Nilo Azzurro e del Sud Kordofan, disponendo l’integrazione delle forze militari degli ex ribelli all’interno dell’esercito sudanese entro un periodo di 39 mesi.
L’accordo prevede inoltre l’istituzione di una Commissione nazionale per la libertà religiosa, con il mandato di garantire la tutela dei diritti delle comunità cristiane nel sud del Paese.

Va notato che il percorso che ha portato alla firma dell’accordo è stato lungo e non certo agevole. Bisogna infatti ricordare, che già nel 2006 si era giunti ad un accordo per la pacificazione della regione del Darfur, che tuttavia finì per determinare soltanto una temporanea sospensione delle ostilità, poi riprese pochi mesi più tardi.

Ad oggi, dopo la caduta di al-Bashir nel 2019 e l’insediamento del governo presieduto dall’ex funzionario delle Nazioni Unite Abdalla Hamdok, il percorso di pacificazione sembra poter dare risultati più credibili. La pacificazione delle regioni meridionali del Kordofan meridionale e del Nilo azzurro, oltre che del Darfur, è sempre rientrata tra le priorità dell’agenda politica del Primo Ministro Hamdok, considerandola come la precondizione fondamentale per il successo della transizione democratica avviata ormai da un anno. Accogliendo la maggior parte delle richieste dei ribelli, il governo è ora finalmente riuscito a concludere un accordo storico, accolto con entusiasmo anche dai leader dei movimenti ribelli, che al momento della firma hanno alzato i pugni in segno di vittoria.

I presupposti per una pace duratura, intesa come condizione fondamentale per garantire l’assetto democratico, appaiono oggi ben più fondati che in passato. Il 3 settembre scorso, ad esempio, il Primo Ministro Hamdok e il ribelle al-Hilu hanno firmato una dichiarazione d’intenti in cui, tra le altre cose, si prevede che la separazione tra stato e religione dovrà essere posta a fondamento della nuova costituzione sudanese, così come richiesto dai pochi gruppi ribelli non firmatari dell’accordo di pace. La volontà dimostrata da questi ultimi a proseguire i negoziati, allargando la base di consenso interno attorno all’accordo, è un segnale positivo per la fine definitiva del conflitto.

 

 

Crisi in Bielorussia: gli interessi e i benefici della Russia

EST EUROPA di

Pubblicato su “Antikor” – La recente visita del primo ministro russo Mikhail Mishustin a un incontro con Lukashenko a Minsk può significare l’accordo preliminare degli accordi di integrazione con la Russia e la consegna di alcuni beni industriali a Mosca. Tutto il resto già scritto rischia di essere formalizzato direttamente durante i successivi colloqui tra Putin e Lukashenko al Cremlino.

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“Where the lights enter”: il Partito Democratico verso l’Election Day

EUROPA di

A seguito della Convention di partito che ha reso definitivi gli schieramenti elettorali – Biden- Harris per i democratici, Trump Pence per i repubblicani, si è dato inizio alla campagna elettorale per l’elezione del futuro presidente degli Stati Uniti d’America. Una sfida elettorale questa, definita tra le più incerte e ardue degli ultimi tempi, a causa di fattori ormai ben noti a tutti come la crisi pandemica, che ha costretto entrambi i partiti a rivedere forme e modalità che da decenni dettano riti, simbologie e linguaggi delle convention di partito.

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Elezioni USA 2020, perché Biden attacca Trump per la gestione Nato

AMERICHE di

Si arricchisce di spunti di riflessione la corsa elettorale negli Stati Uniti, dove il 3 novembre i cittadini americani saranno chiamati a eleggere il quarantacinquesimo capo della Casa Bianca. Questa che verrà si appresta ad essere una delle elezioni più accese della storia del paese, oggi diviso sia dai temi sociali interni che negli ultimi mesi sono emersi in modo prepotente, ma anche dalle questioni strategiche che, anche se più lontane dai cittadini, restano comunque rilevanti per un paese che esercita una larga scala di interessi strategici a livello mondiale; lo scontro fra i due candidati, Donald Trump e Joe Biden, rappresenta un passaggio importante qualunque sia l’esito.

Entrambi hanno dietro un bagaglio politico considerevole, conoscono entrambi i meccanismi di governo della Casa Bianca, Trump perché è alle soglie del suo secondo mandato mentre Biden perché in caso di vittoria tornerebbe a Washington dopo l’esperienza di vice presidente durante la presidenza di Obama. Sono rare le affinità e molti i punti contrastanti, soprattutto per quanto riguarda la politica estera, come la gestione delle relazioni con l’Unione Europea e la Nato, organizzazione che lega Washington e Bruxelles nel settore della difesa. Leggi Tutto

Elezioni USA, campagna elettorale e interferenze straniere

AMERICHE di

Si terranno il 3 Novembre 2020 le 59° elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti d’America, evento cruciale per la vita del Paese. A fronteggiarsi sono Donald Trump per il Partito Repubblicano e Joe Biden per il Partito Democratico. Elezioni ‘indirette’- gli elettori eleggono i cosiddetti grandi elettorichiamati, in seguito, ad eleggere il presidente e il suo vice-, l’evento ha destato attenzione nonché preoccupazione ai Paesi stranieri. Quest’ultimi hanno messo in pratica metodi occulti nel tentare di influenzare le preferenze degli elettori, di cambiare le politiche, di incrementare le tensioni all’interno degli Stati Uniti e di modificare la stessa infrastruttura elettorale.“Molti attori stranieri hanno una preferenza sul vincitore delle elezioni, che esprimono attraverso dichiarazioni e azioni scoperte e sempre più raramente coperte”, ha spiegato ,William R. Evanina, il direttore del National Counterintelligence and Security Center.A meno di 100 giorni, infatti, è allarme sicurezza informatica: Cina, Russia e Iran, nel tentativo di interferire nel voto, potrebbero far ricorso a hacker sponsorizzati dai rispettivi governi. Leggi Tutto

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