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EUROPA - page 62

Il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE): limiti e potenzialità

EUROPA/SICUREZZA di

Per parlare di Difesa UE nel post-Lisbona, è necessaria una prima introduzione su una delle principali innovazioni del Trattato di Lisbona (2009), Il SEAE. In questo primo articolo, quindi, si cercherà di fare un riesame Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), embrione di Ministero degli Esteri europeo, avvalendosi di alcuni contributi interni ed esterni all’UE per avere così un quadro imparziale dei limiti e delle potenzialità del SEAE.

Per quanto riguarda i contributi interni, l’analisi si basa su due testi: la Relazione speciale «L’istituzione del Servizio europeo per l’azione esterna», Corte dei Conti Europea, maggio 2014 e il Riesame del SEAE 2013, SEAE (AR/VP), luglio 2013. I contributi esterni consultati sono tanti e esprimono le posizioni più disparate.

Dal momento della sua istituzione il SEAE è stato oggetto di critiche che ne evidenziavano un difetto strutturale, l’incapacità di assolvere ai propri compiti di breve e lungo termine. Dopo averle esaminate, si è cercato di riassumerle nei loro tratti comuni. Ognuna di esse coinvolge, in diverso modo, i seguenti aspetti del SEAE:

  • La natura del Servizio
  • Il mandato del Servizio
  • La relazione del Servizio con gli altri attori istituzionali UE
  • Il ruolo dell’Alto rappresentante
  • La struttura del Servizio

In merito alla natura del Servizio, cioè al suo status giuridico e alle procedure di istituzione, molti rilevano un carattere di “secondarietà” rispetto alle istituzioni dell’UE come sancite nell’articolo 13 del TUE. In primis perché l’atto fondante del SEAE non è stato il trattato di Lisbona ma una decisione del Consiglio (2010/427/UE) come espressamente previsto dal Trattato. Successivamente perché, nella decisione del Consiglio, il SEAE è istituito come “organo dell’Unione che opera in autonomia funzionale sotto l’autorità dell’alto rappresentante” (autonomous functional body), terminologia che a molti è parsa ambigua e confusa. Inoltre, pur essendo menzionato nel Trattato di Lisbona, quando questo è entrato in vigore (1 dicembre 2009), la discussione tra Stati membri, Consiglio e Commissione sul nuovo Servizio era ancora in una fase iniziale. Ultimo ma non per importanza, il fatto che il SEAE sia nato nel pieno della “crisi dei debiti sovrani” può aver contribuito al ritardo della decisione del Consiglio e ad un annacquamento del mandato del Servizio.

Per quanto riguarda il mandato del Servizio, la sua missione, i commentatori sembrano rilevare all’unanimità un’eccessiva limitatezza di esso. Infatti la decisione del Consiglio investe il SEAE di questi compiti:

  • Supporto all’alto rappresentante nell’esecuzione delle sue funzioni, e quindi nel coordinamento della politica estera e di sicurezza comune (PESC) dell’Unione europea, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), nella sua veste di presidente del Consiglio Affari esteri, nella sua veste di vicepresidente della Commissione nel settore delle relazioni esterne.
  • Assistenza al presidente del Consiglio europeo, al presidente della Commissione e alla Commissione nell’esercizio delle loro rispettive funzioni nel settore delle relazioni esterne.

Un mandato, quindi, definito esclusivamente nei termini del rapporto con le altre istituzioni. Questo ha sollevato numerose critiche, in particolare per l’assenza di un quadro strategico che facesse da cornice all’azione esterna del Servizio. Pur essendo sopraggiunto, intanto, il quadro appena menzionato, con il varo di “European Union Global Strategy” nel giugno 2016, sembrano ancora mancare le condizioni perché avvenga un ampliamento della missione del SEAE, in particolare a causa delle resistenze degli stati membri.

Il tasto più dolente del funzionamento del SEAE rimane, però, quello delle relazioni con gli attori istituzionali dell’UE. Le relazioni, infatti, con la Commissione Europea, il Consiglio Europeo, il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’UE sono quelle che, in ordine decrescente, soffrono più problematiche in termini di: competenza concorrente, ambiguità nell’attribuzione delle competenze, conflitti tra dimensione sovra-nazionale e inter-governativa. In particolare la nascita del SEAE come nuovo organismo che eredita le competenze della precedente DG RELEX e, in blocco, il personale che si occupava di relazioni esterne nei precedenti organismi ha creato numerose sovrapposizioni e confusioni circa la competenza delle svariate materie di rilevanza esterna. Tali sovrapposizioni si sono protratte per anni e fanno sì che, ancora oggi, competenze di azione esterna e in settori con rilevanza esterna rimangano alla Commissione. Un esempio è quello delle linee di finanziamento di alcune attività dell’Unione che si sovrappongono, creando molta confusione (è il caso del finanziamento delle delegazioni). A tal proposito si segnala la riattivazione, nel novembre 2014, del Commissioners’ Group on External Action (CGEA), riunione dei commissari di materie di rilevanza esterna e dell’Alto rappresentante (Commissioners   for   European   Neighbourhood   Policy   and   Enlargement   Negotiations, International    Cooperation    and    Development, Humanitarian   Aid,   e   Trade).

Diverso dagli altri ma sempre problematico rimane il ruolo dell’Alto rappresentante. L’Alto rappresentante veste infatti un “doppio cappello”: è AR e quindi responsabile della PESC e della PSDC ed è Vice Presidente della Commissione. A questo si aggiunge una serie di responsabilità (presiede il CAE e il SEAE, aggiorna il Parlamento Europeo, partecipa ai lavori del Consiglio Europeo, presiede l’Agenzia Europea per la Difesa) che rende il ruolo estremamente complesso e gravoso. Per questo il dibattito si è concentrato sulla possibilità di una deputization, cioè l’introduzione di un vice-rappresentante che rappresenti l’orientamento dell’AR nelle varie sedi. Ad oggi un vero e proprio vice non esiste, sebbene siano stati previsti meccanismi frammentati di supplenza.

Ultimo ambito in cui si sono concentrate le critiche al SEAE è quello della struttura del Servizio. Secondo molti commentatori, infatti, la struttura prevista nella decisione del Consiglio non era assolutamente in grado di garantire un corretto funzionamento dell’organo. L’eccessivo numero di dirigenti, i livelli di gestione aggiuntivi (soprattutto nei dipartimenti geografici), la mancanza di un reale Vice dell’AR, l’assenza di un processo di audit del materiale prodotto nell’attività di supporto all’AR e alle altre istituzioni hanno fatto propendere alcuni commentatori per un giudizio negativo. C’è da dire che tra la maggior parte dei contributi di analisi sul SEAE ed oggi è intervenuta la riforma organizzativa del luglio 2015 del Servizio, che per ora non è ancora passata al vaglio di una valutazione strutturale (se non quella positiva data dallo stesso SEAE nel report annuale 2015).

Per funzioni e struttura, il SEAE è potenzialmente un game-changer dell’identità europea nello scenario internazionale. Ad oggi però, in quelli che sono i dossier più caldi, al SEAE sembrano essere state tarpate le ali da congiunture politiche-economiche, difficoltà strutturali del processo di integrazione, interessi nazionali non complementari.

 

di Lorenzo Termine

L’ATTENTATO DELLE RAMBLAS E LA MANCATA COOPERAZIONE EUROPEA

EUROPA di

Alla domanda “perché proprio la Spagna?”, come perché Nizza, Londra e via dicendo corrispondono diverse reazioni tipiche. Ci sono i complottisti che imputano, nel caso specifico, la responsabilità al Governo spagnolo, reo di non aver collaborato con le forze catalane per dimostrarne l’incompetenza, in vista del referendum per l’indipendenza annunciato (ma non confermato) per i primi ottobre. Ci sono i falchi pronti a lucrare sull’accaduto, politici e non, sui temi connessi alla migrazione, e poi c’è chi cataloga l’atto terroristico alla voce ‘casualità’ (della serie “prima o poi tocca a tutti”) senza studiarne le radici, i motivi e le modalità.

La Spagna non è un caso. C’è una storia passata rievocata dalla recente propaganda del Califfato che rimanda ai Mori (musulmani), con il richiamo al mito de “El Andalus”, nome dato alla penisola iberica quando vi si stabilirono dal 711 al 1492, per poi essere cacciati dalla riconquista cristiana della Spagna. C’è una storia più recente, legata al tremendo attentato di Madrid (2004) per cui furono arrestati 636 jihadisti, a dimostrazione della diffusione della rete di propaganda di Al-Qaeda ai tempi, come lo è quella dell’ISIS oggi. La Spagna credeva di aver pagato il suo coinvolgimento nella guerra in Iraq con quell’attentato, e invece non è stato così.

Secondo, la Catalogna non è un caso. Perché il mettere o meno barriere anti-sfondamento all’ingresso della Rambla (come di Via del Corso o di qualsiasi centro europeo) è una scelta; ma la mancata cooperazione e collaborazione tra lo Stato Centrale e la Catalogna, oltre al rimpallo di responsabilità al quale stiamo assistendo in questi giorni, sono uno scandalo.

Tre esempi su tutti. Primo, le autorità catalane ignoravano che l’Imam El Satty (peraltro già segnalato dalle autorità belghe per le sue prediche “violente”) era stato discepolo prediletto di un terrorista legato alle stragi di Atocha e Nassiriya, ritenendolo un predicatore comune. Secondo, è stato negato l’accesso agli artificieri della Guardia civile (spagnola) al luogo dell’esplosione di Alcanar, dove i terroristi stavano costruendo gli ordigni che avrebbero fatto saltare in aria la Sagrada Familia. I Mossos d’Esquadra (polizia catalana) hanno bollato l’esplosione come una banale fuga di gas senza consultare i più esperti colleghi “spagnoli”. Terzo, la richiesta del Governo catalano di essere incluso nell’Europol, è stata accolta da Madrid solamente di recente, senza che l’accordo raggiunto sia stato pienamente implementato.

Il caso spagnolo/catalano, nella sua particolarità e unicità legata alla battaglia indipendentista, è l’emblema di come le informazioni non vengano condivise tra i vari apparati, ed è solo l’ultimo esempio di come l’ISIS riesca ad infiltrarsi nelle falle dei nostri sistemi, nelle divisioni, nel mancato coordinamento. Il terrorismo è un fenomeno transnazionale, e in quanto tale non può essere contrastato a livello nazionale (figuriamoci regionale) ma almeno europeo, se non globale.

C’è la necessità di un maggior coordinamento in diversi campi, a partire da quello della giustizia come richiesto mercoledì scorso dal nostro Ministro, Andrea Orlando, al Commissario Europeo Vera Jourovà, e ai suoi omologhi Urmas Reinsalu (Estonia) e Rafael Català (Spagna). Il Ministro italiano ha richiamato l’importanza della collaborazione tra i sistemi di giustizia dei vari Paesi attraverso l’ampliamento delle funzioni della Procura Europea (oggi limitata alla difesa degli interessi finanziari). Cooperazione tra magistrature, forze di polizia e intelligence europee, è quello che ha chiesto anche il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani.

A Bruxelles, grazie alle misure del nuovo Piano anti-terrorismo promosse dal Commissario per l’Unione della sicurezza, Julian King, si comincia a vedere qualcosa in materia di lotta alla radicalizzazione online e sul controllo delle frontiere esterne, mentre a livello nazionale sembra di vivere un déjà-vu perpetuo di messaggi di cordoglio, solidarietà e speranza da parte dei capi di Stato e di governo. Superare l’ottica “del mio giardino” credo sia la priorità assoluta.

 

di Matteo Ribaldi

TERREMOTO A ISCHIA: L’IMPEGNO DELLE FORZE ARMATE

EUROPA/INNOVAZIONE di

A seguito dello sciame sismico che ha colpito Ischia nella serata di ieri, le Forze Armate hanno messo a disposizione della Protezione Civile, nel corso della notte, personale, mezzi e assetti tecnici per i primi interventi di supporto alla popolazione.

In particolare, dopo una prima ricognizione alle ore 23.00 da parte di personale militare presente sul posto e a seguito della riunione del Comitato Operativo presso la Protezione Civile, già dall’una di questa notte, alcuni elicotteri dell’Aeronautica Militare e dell’Esercito sono impiegati per il trasporto sull’isola di personale specialistico dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, nonché di materiali speciali e attrezzature varie.

Nel frattempo, sono stati posti in prontezza anche militari, elicotteri e navi della Marina Militare, nonché personale specialistico del genio dell’Esercito, in grado di intervenire nell’arco di poche ore, laddove fossero richiesti.

Inoltre, nella mattinata di oggi sono previste attività di ricognizione aerea da parte di velivoli AMX e di un Predator dell’Aeronautica Militare per mettere a disposizione della Protezione Civile ulteriori informazioni al fine di elaborare una migliore valutazione dei danni e una mappatura dell’area.

Tecnologie e mezzi delle Forze Armate sono impiegabili sia per scopi militari che civili. Tale capacità di fornire un servizio utile per la collettività nazionale – la cosiddetta dual use – si concretizza in attività in concorso e a supporto degli interventi della Protezione Civile, come dimostra anche l’impegno ininterrotto delle Forze Armate, da agosto dello scorso anno, nelle zone colpite dal terremoto in centro Italia.

PERCHÈ QUELLO ERA IL CLIMA DEL ’68, POI CAMBIO TUTTO.

EUROPA di

“Come mai una tesi sulla Dottrina Mitterrand? Cerchi rogne?”. Una risata e poi un gesto con la mano, per farmi accomodare nel suo rifugio svizzero, un’abitazione elegante sulla riva del lago di Lugano. E’ il 2009 quando Giorgio Bellini accetta di farsi intervistare.

Apparso per la prima volta nelle cronache italiane in occasione del processo “7 Aprile 1979”, accusato di “concorso in associazione sovversiva”, il suo nome ritornerà sulle pagine dei giornali con l’apertura delle carte della STATI, dove viene menzionato insieme a Carlos “lo Sciacallo”. Contatti con il terrorista venezuelano ricostruiti anche della commissione Mitrokhin e che lui non negherà. Nel 1994, su richiesta della procuratrice svizzera Carla Del Ponte , Bellini verrà arrestato con l’accusa di aver collaborato in occasione dell’attentato alla Radio Free Europe e scarcerato qualche mese dopo per assenza di prove.

Oggi Giorgio Bellini si dedica allo studio delle foreste e dei sentieri di montagna del suo Ticino natale.

Dal Ticino al movimento di contestazione a Zurigo. Quale è stato il suo percorso?

Sono nato in Ticino, da una famiglia della classe media. I miei genitori avrebbero voluto che studiassi, magari ingegneria come mio padre, che si era laureato al politecnico di Zurigo, o giurispudenza per diventare avvocato, come avrebbe voluto mia madre. Io, però, decisi di non studiare. Non so perchè mi prese così. Iniziai le prime letture marxiste ed ero affascinato dalla figura dell’operaio, così iniziai l’apprendistato in fabbrica. Solo che molto presto mi resi conto che era una vita che non faceva per me e decisi di prendere la maturità. Erano gli anni ’60, gli anni in cui iniziò, un po’ per caso, anche la mia attività politica. Insieme ad un gruppo di ragazzetti come me, interessati dalla politica marxista ed un altro gruppo che aveva lasciato, per disaccordo, il partito socialista, fondammo “i giovani operai marxisti” o qualcosa del genere. Con il gruppo andavo spesso in Italia a sentire le riunioni della contestazione ed è lì che conobbi quei personaggi che in seguito divennero militanti di gruppi come Potop, BR, Autonomia, ad esempio Toni Negri, Oreste Scalzone, Piperno, ma allora erano solo dei giovani come me, che partecipavano alle assemblee e si interessavano di politica.

Non terminai la maturità e con l’arrivo del ’68 mi traferii a Zurigo. Inizialmente io e gli altri che si erano trasferiti come me eravamo visti come dei fannulloni, come dei giovani di belle speranze che erano andati lì con l’idea di un mondo un po’ più libero, più colorato. Insomma, eravamo degli alternativi.

E che cosa facevate lì?

Il movimento cominciò con le lotte operaie, formammo l’ “Assemblea autonoma degli operai di Zurigo”, anche se, a dire il vero, gli operai lì avevano una certa pace del lavoro. Dopo arrivarono i lavoratori del nord Italia che erano di estrazione comunista. Ci unimmo agli italiani per ragioni linguistiche e culturali. Poi si aggregarono alcuni, ma pochi, svizzero-tedeschi che erano un po’ interessati alla linea che difendevamo noi, che era una linea operaista, autonomista.. potere-operaista diciamo, “potoppista”. Lavoravamo per far conoscere quello che succedeva in Francia, in Germania, in Italia e viceversa: si pensava di poter mettere in ordine l’Europa. Era comunque qualcosa di molto spontaneo, ci si riuniva per parlare delle lotte operaie, si organizzavano anche delle azioni, tipo distruzione di vetrine, blocco del traffico..

Il gruppo girava intorno alla libreria nella quale lavoravo, dove raccoglievamo e vendevamo libri marxisti, con un certo tipo di riflessioni e poi anche libri di Toni Negri. Intorno alla libreria si formò anche una rete di “supporto logistico”, anche se parlare di rete logistica è forse troppo.. non era una cosa ben organizzata.. però davamo l’ospitalità, prima a gente che doveva scappare dall’Italia, inizialmente erano operai coinvolti in disordini. Più tardi c’erano, invece, persone che scappavano perché coinvolte, tra virgolette, nella lotta armata: gente delle Brigate Rosse, gente di Potere Operaio… La Svizzera aveva un po’ questo ruolo di primo passaggio, dato che si trova proprio nel centro dell’Europa e perché non c’erano lotte politiche molto radicali.

Vi limitavate ad ospitare i compagni?

Beh, è successo che avendo in giro questa gente, questi compagni come si diceva allora, si è capito che in Svizzera era facile procurarsi materiali e delle armi e quindi un po’ di questa roba è stata rubata, mandata in parte in Italia, in parte in Grecia, a volta verso la Spagna, insomma dove c’era necessita. Però questo non era un’attività molto organizzata: ogni tanto alcuni di noi che si occupavano del logistico, dell’ospitare la gente, facevanouna ricerca un po’ più sistematica, di questi materiali (ad esempio Morlacchi e Petra Krause, che poi furono arrestati), però direi che non era una cosa molto importante. Poi le autorità svizzere tedesche su queste cose erano molto severe, non transigevano. In Ticino erano un po’ più all’italiana, c’era più tolleranza; c’erano naturalmente i magistrati che dovevano assumere il loro ruolo in caso di infrazioni, però lo facevano senza troppo accanimento, perchè in quegli anni lì si era un po’ sotto l’influenza delle ’68, i magistrati, almeno in Ticino, erano persone che venivano da quell’esperienza.

Fino a quando è durata la vostra attività a Zurigo?

Quella fase si è concluse già nella prima metà degli anni ’70- Dopo molti gruppi si sciolsero e cpminciarono altre cose, il femminismo, ad esempio. Inoltre con l’espulsione, a causa della crisi del petrolio, di una grande fetta di operai italiani, il movimento diventò più un misto: si iniziò a parlare tedesco e non più italiano; a quel punto li non ci vedevamo più noi stessi come ticinesi ma come zurighesi, e portavamo avanti la lotta non più per salvare gli altri ma per salvare noi stessi, cioè capimmo, come diceva il femminismo, che il personale è politico e quindi ci unimmo al altri filoni di lotta, nei quartieri, contro il traffico e poi soprattutto sul nucleare. Lavoravamo soprattutto nei quartieri, nel Kreis 4 e 5 .

Il coordinamento diventò più effettivo soprattutto tra Svizzera, Germania e Francia mentre l’Italia rimase tagliata fuori perché era un paese che esprimeva ancora lotte di tipo tradizionale, mentre il nord europa aveva cominciato ad esprimere lotte del futuro: movimento antinucleare, movimento ecologista radicale, queste idee nuove ebbero un enorme peso ed è in questo senso che si intrapresero operazioni anche importanti. In Italia si rimaneva ancorati a vecchi schemi, era un mondo di interpretare la realtà tipico del movimento in Italia. Questo è abbastanza interessante: le inchieste sociologiche hanno evidenziato i cambiamenti di valore nelle diverse popolazioni e mi ricordo che soprattutto nella Svizzera tedesca in quegli anni li ci fu un cambiamento incredibile dei valori di riferimento, mentre per l’Italia rimasero abbastanza stabili.

Col tempo, poi, io mi allontanai dal movimento: il paradosso è che io lottavo per una maggiore libertà ed il movimento era il posto in cui mi sentivo meno libero; li ti senti sempre sotto pressione, una situazione che mi ha portato a dire e fare cose che non avrei realmente voluto dire o fare.

Il suo impegno nel movimento le è costato dei processi penali..

Sono stato arrestato la prima volta perché coinvolto nel processo 7 Aprile in Italia. Il mio nome fu fatto da Toni Negri: lui è stato uno dei primi che abbiamo ospitato quando ce n’è stato bisogno, poi ci ha ripagato mettendoci in mezzo nel processo sul 7 Aprile.

Quando fui arrestato a Monaco la Germania non concesse l’estradizione chiesta dall’Italia, perché ero accusato di partecipazione a banda armata, che in Germania è considerato reato politico e la Germania non concede l’estradizione per reati politici. Sono comunque rimasto dentro un anno. A causa del processo per il gruppo 7 Aprile non sono più potuto tornare in Italia fino ad 2001.

L’ultima volta invece rimasi in prigione solo 3 mesi e mi dovettero anche pagare dopo. Questo accadde perchè con l’apertura delle schede della STASI venne fuori anche il mio nome, insieme a quello di Carlos. Con lui ci eravamo effettivamente conosciuti, lui mi chiedeva come procurare dei materiali per degli attentati che era facile trovare in Svizzera, ma niente di più. Le informative venivano dall’Ungheria dove Carlos era molto attivo ed anche tollerato, ma non era un uomo dei servizi, assolutamente. Venne accusato per una bomba alla Radio Free Europe di Monaco, in cui morì anche un uomo. Io, quando fui arrestato in Germania, mi trovavo proprio in un treno che passava anche per Monaco, in realtà stavo tornando da Norimberga, dove ero andato a vedere il museo dei giocattoli, ma la Carla Delponte collegò il mio viaggio da Monaco alle carte della STASI e sostenne che io mi ero recato a Monaco per organizzare quell’attentato con Carlos. Non furono trovare abbastanza prove neanche per formalizzare l’accusa e dovettero prosciogliermi. In quell’occasione venne a Berna il magistrato Bruguière dalla Francia, per sentirmi come informato dei fatti, perché inizialmente mi chiamarono a Berna per sentirmi, non per arrestarmi. Quando però mi trovai a Berna in vesta di inquisito non parlai, come di solito faccio, perché non era più considerato solo uno informato, ma un complice. Ci sono quei magistrati come Bruguière a cui interessano persone come me in quanto informate, perché solo così puoi ricostruire i fatti ; poi ci sono quelli come la Delponte che non capiscono questa cosa e a cui interessa solo arrestare la gente subito.

Oltre all’atteggiamento dei magistrati, un punto controverso fu anche l’uso che si fece delle testimonianze dei pentiti..

Tra le dichiarazioni dei pentiti ci sono cose vere, so anche di cose false. Il problema è vedere se un sistema di giustizia può far condannare qualcuno in base a delle dichiarazioni e basta. Ecco, e lì è la grossa anomalia italiana, anche se adesso è diventata di moda. Queste normative italiane hanno provocato degli effetti estremamente perversi, perchè bastava che uno accusasse altri e se la cavava. Beh senza ripetere sempre la stessa storia, però Savasta che era accusato di 17 omicidi, però accusando altri è uscito abbastanza in fretta, mentre altri che non avevano mai ammazzato nessuno come Sofri, che si è sempre rifiutato di chiedere la grazia, magari sono ancora dentro. In altri paesi questa anomalia è stata guardata con un certo sospetto, ma è finita ad inquinare anche altri ordinamenti. La Francia è forse il paese che ha detto più chiaramente no a questa prassi. Poi non è che loro siano molto meglio, comunque! Poi ci fu la cosiddetta “Dottrina Mitterrand” che era sostanzialmente un accordo tra Mitterand e Craxi. Quest’ultimo era stato sempre più “liberale” sulla questione del terrorismo. Sapere di centinaia di italiani in Francia che potevano essere giudicati in Italia era un problema, quindi si misero d’accordo così.

Della lotta armata in Italia che idea si è fatto?

La lotta armata in Italia è un fenomeno chiaro, spiegato. In Italia c’è sempre stato un partito comunista forte, c’è stato un certo tipo di resistenza, ci sono state anche manifestazioni di stalinismo e queste cose hanno avuto il loro peso e possono servire almeno in parte a spiegare un fenomeno come le BR , soprattutto la piega che le BR poi han preso.

Ora, che dei movimenti armati o dall’intenzione di armarsi, siano nati all’interno di un movimento come quello del ’68 questo mi sembra assolutamente normale, non è un’anomalia, era “dans l’air du temps” e se ne parlava dappertutto. Non dimentichiamo che a quei tempi c’era Che Guevara, c’erano i palestinesi che cominciavano a fare le loro azioni, cioè sembrava che queste cose fossero possibili. Poi questo fenomeno aveva specificità proprie nei vari paesi: in Italia nella contestazione la parte operaia era molto forte, anche se gli studenti avevano il loro peso però la parte dell’operaio e proprio dell’operaio di fabbrica era estremamente importante e portava dentro delle tradizioni comuniste che hanno ereditato le BR. Mentre in altri paesi europei questa presenza era meno forte e meno importante. Poi c’ erano certamente dei cattivi maestri, Toni Negri ad esempio, ma anche Sofri. Le persone che li hanno ascoltati erano persone che hanno preso le armi e si sono poi rivolte in direzioni altre rispetto alle loro idee. Quindi può essere che uno come Negri, per salvare quello che era il suo progetto, la sua linea, abbia sacrificato quella manovalanza un po’ incontrollabile, che non aiutava alla sua causa. Se sia sceso a patti con i carabinieri non lo so, ma non mi sorprenderebbe.

Per quel che riguarda i servizi io credo che una strategia della tensione in Italia ci sia stata. Ora, qualcuno l’avrà pure organizzata, non lo so, posso immaginarmi che siano stati i servizi, però certamente era una strategia della tensione, non tanto gli opposti estremismi, perchè la lotta armata è venuta dopo e non so se i servizi abbiano proprio tollerato la presenza di gruppi armati, come si dice, probabilmente hanno un po’ sotto valutato la situazione dal loro punto di vista di garanti dello stato.

Della lotta armata italiana quello a cui tutti pensano è il sequestro Moro e quindi le Brigate Rosse. Di questo gruppo lei ha conosciuto il leader Moretti, cosa ci può dire a riguardo?

Moretti era un burocrate della lotta armata e parlava da vero stalinista. In realtà tutti gli scritti delle BR sembravano i compitini di una scuola elementare marxista!

Moretti aveva una paura tremenda delle possibili infiltrazioni, quasi una fobia. Il cambiamento delle BR con Moretti non lo attribuirei a lui, ma ad una tipologia di persone che confluirono nelle BR, specialmente dal ’77. Era, quello italiano un movimento operaio molto forte, molto comunista/stalinista che si unì poi ad una generazione di individui che “presero in mano una pistola, prima di prendere in mano un libro”. La decisione di uccidere Moro per esempio non venne da chi sa dove, venne dalla base delle BR che era stalinista e violenta. Noi tutti del movimento dicevamo a Moretti “ma dai, che volete di più, avete fatto un già un casino, dovreste essere più che soddisfatti, lasciatelo andare”, ma poi loro consultarono la loro base e presero quella decisione.

Tutti i tentativi, specialmente quelli fatti dalla Commissione Mitrokhin, di trovare qualche collegamento con i servizi dell’est sono solo dei teatrini. Su una cosa potrei mettere la mano sul fuoco: che le BR non fossero infiltrate o pilotate dai servizi dell’est. Ed il fatto che non avessero contatti neanche con i servizi italiani è mostrato dal fatto che fu mandato a Beirut, e si sa, il generale Giovannone per cercare contatti con i palestinesi al fine di trovare un canale con le BR. Fu messo a disposizione un aereo per i palestinesi, per andare a cercare qualcuno delle BR, ma neanche i palestinesi avevano contatti con loro. Infatti poi venne Carlos da me per chiedermi di metterlo in contatto con le BR.. Ovviamente ai quei tempi le cose erano più lente, non c’era il freccia rossa! Così nel frattempo Moro venne ucciso.

Comunque credo che sulle BR sia stato detto tutto, si sa tutto. Cercare connessioni, manipolatori sono solo degli alibi. Io non leggo più i giornali italiani dal dopo Moro, da quando direi tutti gli intellettuali, giornalisti dell’epoca che dopo il ’68 solidarizzavano con le persone del movimento arrestate, hanno cambiato totalmente campo ed hanno iniziato a condannare proprio coloro che fino ad un momento prima difendevano. Perché quello era il clima del ’68, poi cambiò tutto.

Intervista a Giorgio Bellini, Lugano 2009 – Prima pubblicazione in “Dottrina Mitterrand. Ideologia o Realpolitikk?”, Università di Trieste, 2009

Di Carla Melis

PRESIDENTE ROCCA CRI, NECESSARIO UN PIANO A LUNGO TERMINE PER LA STABILIZZAZIONE DELLE AREE DI CRISI

EUROPA di

New York, il 17 agosto il Presidente della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale ha incontrato il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres nell’ambito del vertice “ La crisi del mediterraneo e i flussi migratori”. Un vertice importante per i paesi europei e del mediterraneo che in questi anni hanno dovuto fronteggiare la crescita costante dei flussi di migranti provenienti dalle nazioni più povere e instabili dell’Africa e del Medio oriente . Abbiamo potuto parlare con il Presidente Rocca al termine dell’incontro per approfondire i temi discussi a New York.

Presidente Rocca, questo incontro a New York è stato molto importante per mantenere alta l’attenzione sul problema dei flussi migratori nel mediterraneo , qual’è il messaggio più importante che ha voluto portare all’attenzione del Segretario Generale Guterres?

“Sicuramente Il tema dell’accesso umanitario in Libia e nel mar Mediterraneo ovvero il ruolo degli operatori umanitari che in questo momento è sotto attacco per molti motivi, ribadire che l’azione umanitaria è una azione fondamentale per i diritti fondamentali delle persone, questo è stato il messaggio principale con le preoccupazioni per il personale che in questo momento in Libia non può accedere liberamente, non ci sono le condizioni di sicurezza e legali per farlo. ”

Infatti bisogna ricordare che sia il governo di Gheddafi che i nuovi rappresentanti Libici non hanno mai sottoscritto le convenzioni di Ginevra in tema di protezione dei rifugiati.

Il tema dei flussi migratori è molto delicato e di difficile soluzione, come lei ha sottolineato più volte, chi fugge da guerre e carestie troverà sempre una strada per mettere in salvo la propria famiglia, qual’è secondo lei la soluzione migliore per questo problema?

Nessuno ha una soluzione chiavi in mano per un tema così delicato ma va sottolineato che l’anno scorso a New York c’è stato un grande dibattito sul problema del fenomeno migratorio e della crisi dei rifugiati, è stata adottata una carta con degli impegni che però al momento sono rimasti solo sulla carta. Quello che servirebbe nel medio lungo termine, che non risolverebbe il problema nel breve, ma nel medio lungo termine aiuterebbe a contenere il fenomeno migratorio, ovvero un intervento massiccio in Africa a sostegno della stabilizzazione di quei paesi che generano migrazione, vuoi perche paesi in conflitto o di crisi economica.”

Quanti sono i volontari della CRI impegnati nell’accoglienza dei migranti ?

Se consideriamo tutte le attività che la cri pone in essere dal momento dell’arrivo, lo sbarco, ai centri di accoglienza si parla di diverse migliaia di almeno una rotazione di 8000 volontari.

Cosa ne pensa del nuovo regolamento di condotta per le ONG che partecipano alle attività di Search and Rescue al largo delle coste libiche?

Il nuovo regolamento non aggiunge e non toglie nulla all’arrivo dei migranti, vorrei che fosse chiaro, comunque la si pensi, il codice non toglie nulla rispetto l’accesso. Ci sono diverse sensibilità come per esempio Medici senza Frontiere che a mio avviso vanno assolutamente rispettate, il codice di condotta non ha inlfuito minimanente sulla riduzione dei flussi, quello che invece ha ridotto I flussi è la decisione scellerata, a mio avviso , della guardia costiera libica di impedirte l’accesso nelle acque internazionali, non parliamo di acque territoriali libiche sia ben chiaro, nessuno vuole operare nella acque territoriali libiche, ma nelle acque internazionali.

Questa è una delle ragioni di preoccupazione che è stata condivisa ieri con il segretario generale, insieme alla necessità di avere una azione libera degli operatori umanitari in Libia. I migranti non devono essere mandati indietro, I respingimenti collettivi sono illegali nel momento che vengono salvati nelle acque internazionali.

Si aspetta da parte dell’Onu un sostegno all’ipotesi di far aprire alla Libia il supporto degli operatori umanitari?

Si certo l’ONU sta già studiando la situazione, c’è un dialogo , ma non ci dimentichiamo che stiamo parlando di un paese in conflitto, non c‘è una soluzione semplice ma si chiede di farci fare il nostro lavoro di operatori umanitari e di esprimere le gravissime preoccupazioni sulle condizioni di sicurezza I centri di detenzione dei migrant in Libia sono dei posti che generano violenza , testimoniata da diversi rapporti indipendenti.

Il Presidente Rocca ha potuto rappresentare all’ONU una situazione che non ha possibilità di soluzione nel breve termine e che potrebbe solo peggiorare se non affrontata con progetti a medio lungo termine nei paesi di provenienza con uno sforzo unitario della comunità internazionale teso alla stabilizzazione del Centro Africa e del medio Oriente

 

Alessandro Conte

SICUREZZA E LOTTA AL TERRORISMO: IL GEN. GRAZIANO INCONTRA IL CHOD DEL LUSSEMBURGO

EUROPA/SICUREZZA di

Il Capo di Stato Maggiore della Difesa Italiana, Generale Claudio Graziano, in visita ufficiale in Lussemburgo ha incontrato la sua controparte, Generale Romain Mancinelli, con cui ha affrontato questioni di comune interesse legati alla sicurezza e alla Difesa.

Nel corso del meeting si è discusso un tema di grande importanza per il contributo alla lotta al terrorismo, quello del Security Force Assistance (SFA) che rappresenta l’insieme di attività volte a generare, sviluppare ed incrementare le capacità operative delle Forze di Sicurezza delle aree di crisi nei quali operano i militari italiani e di altri paesi dell’Alleanza Atlantica.

Proprio in Italia avrà sede un Centro di eccellenza NATO che avrà il compito di concorrere allo sviluppo e alla sperimentazione di concetti e dottrina afferenti al settore SFA, di raccogliere ed elaborare lezioni apprese e di condurre attività formative e addestrative a favore di istruttori, mentor e personale estero appartenente alle Security Forces.

“Le lezioni apprese dalle operazioni a cui hanno preso parte le Forze Armate italiane negli ultimi 20 anni – ha sottolineato il Generale Graziano durante l’incontro – indicano chiaramente che i maggiori rischi per la stabilità hanno origine in aree del mondo in cui si è verificato un crollo della struttura statale; crollo che viene frequentemente sfruttato da soggetti aggressivi che hanno interesse a creare o mantenere il caos”.

“Le missioni moderne – ha aggiunto il Capo di SMD – sono pensate proprio per portare la stabilità in uno Stato fallito e il nostro fine deve essere sempre il passaggio di responsabilità alle forze di sicurezza locali, quando esistono. Quando sono scomparse il lavoro è sicuramente più lungo perché bisogna ricostruire un modo di pensare ed offrire anche un patrimonio valoriale di riferimento. I nostri militari sono bravi istruttori perché sono prima di tutto dei bravi militari”.

Grande interesse è stato palesato dal Generale Mancinelli nei confronti dell’operazione dell’Unione europea Sophia di cui l’Italia ha la leadership e il Capo di Stato Maggiore della Difesa lussemburghese ha ringraziato l’Italia per quanto fa a favore della sicurezza nel Mediterraneo.

Altro elemento centrale nei colloqui è stata la cooperazione strutturata permanente (PESCO) istituto previsto dal trattato sull’unione europea che consente agli Stati membri di rafforzare la loro reciproca collaborazione nel settore militare e i margini per incrementarle.

Le Forze armate dei due Paesi operano, “in un rapporto di eccezionale collaborazione, a favore della sicurezza internazionale”, in Kosovo nell’ambito dell’Operazione della Nato KFOR, dove un plotone di militari lussemburghesi opera alle dipendenze del Battaglione a guida italiana.

Presidente Rocca CRI, necessario un piano a lungo termine per la stabilizzazione delle aree di crisi

EUROPA di

New York, il 17 agosto il Presidente della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale ha incontrato il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres nell’ambito del vertice “ La crisi del mediterraneo e i flussi migratori”.

Un vertice importante per i paesi europei e del mediterraneo che in questi anni hanno dovuto fronteggiare la crescita costante dei flussi di migranti provenienti dalle nazioni più povere e instabili dell’Africa e del Medio oriente .

Abbiamo potuto parlare con il Presidente Rocca al termine dell’incontro per approfondire i temi discussi a New York.

Presidente Rocca, questo incontro a New York è stato molto importante per mantenere alta l’attenzione sul problema dei flussi migratori nel mediterraneo , qual’è il messaggio più importante che ha voluto portare all’attenzione del Segretario Generale Guterres?

“Sicuramente Il tema dell’accesso umanitario in Libia e nel mar Mediterraneo ovvero il ruolo degli operatori umanitari che in questo momento è sotto attacco per molti motivi, ribadire che l’azione umanitaria è una azione fondamentale per i diritti fondamentali delle persone, questo è stato il messaggio principale con le preoccupazioni per il personale che in questo momento in Libia non può accedere liberamente, non ci sono le condizioni di sicurezza e legali per farlo. ”

 Infatti bisogna ricordare che sia il governo di Gheddafi che i nuovi rappresentanti Libici non hanno mai sottoscritto le convenzioni di Ginevra in tema di protezione dei rifugiati.

Il tema dei flussi migratori è molto delicato e di difficile soluzione, come lei ha sottolineato più volte, chi fugge da guerre e carestie troverà sempre una strada per mettere in salvo la propria famiglia, qual’è secondo lei la soluzione migliore per questo problema?

 Nessuno ha una soluzione chiavi in mano per un tema così delicato ma va sottolineato che l’anno scorso a New York c’è stato un grande dibattito sul problema del fenomeno migratorio e della crisi dei rifugiati, è stata adottata una carta con degli impegni che però al momento sono rimasti solo sulla carta. Quello che servirebbe nel medio lungo termine, che non risolverebbe il problema nel breve, ma nel medio lungo termine aiuterebbe a contenere il fenomeno migratorio, ovvero un intervento massiccio in Africa a sostegno della stabilizzazione di quei paesi che generano migrazione, vuoi perche paesi in conflitto o di crisi economica.”

 Quanti sono i volontari della CRI impegnati nell’accoglienza dei migranti ?

Se consideriamo tutte le attività che la cri pone in essere dal momento dell’arrivo, lo sbarco, ai centri di accoglienza si parla di diverse migliaia di almeno una rotazione di 8000 volontari.

Cosa ne pensa del nuovo regolamento di condotta per le ONG che partecipano alle attività di Search and Rescue al largo delle coste libiche?

Il nuovo regolamento non aggiunge e non toglie nulla all’arrivo dei migranti, vorrei che fosse chiaro, comunque la si pensi, il codice non toglie nulla rispetto l’accesso.

Ci sono diverse sensibilità come per esempio Medici senza Frontiere che a mio avviso vanno assolutamente rispettate, il codice di condotta non ha inlfuito minimanente sulla riduzione dei flussi, quello che invece ha ridotto I flussi è la decisione scellerata, a mio avviso , della guardia costiera libica di impedirte l’accesso nelle acque internazionali, non parliamo di acque territoriali libiche sia ben chiaro, nessuno vuole operare nella acque territoriali libiche, ma nelle acque internazionali.

Questa è una delle ragioni di preoccupazione che è stata condivisa ieri con il segretario generale, insieme alla necessità di avere una azione libera degli operatori umanitari in Libia. I migranti non devono essere mandati indietro, I respingimenti collettivi sono illegali nel momento che vengono salvati nelle acque internazionali.

Si aspetta da parte dell’Onu un sostegno all’ipotesi di far aprire alla Libia il supporto degli operatori umanitari?

Si certo l’ONU sta già studiando la situazione, c’è un dialogo , ma non ci dimentichiamo che stiamo parlando di un paese in conflitto, non c‘è una soluzione semplice ma si chiede di farci fare il nostro lavoro di operatori umanitari e di esprimere le gravissime preoccupazioni sulle condizioni di sicurezza I centri di detenzione dei migrant in Libia sono dei posti che generano violenza , testimoniata da diversi rapporti indipendenti.

Il Presidente Rocca ha potuto rappresentare all’ONU una situazione che non ha possibilità di soluzione nel breve termine e che potrebbe solo peggiorare se non affrontata con progetti a medio lungo termine nei paesi di provenienza con uno sforzo unitario della comunità internazionale teso alla stabilizzazione del Centro Africa e del medio Oriente .

MAE, per tutelare le comunità religiose si deve investire sui giovani

EUROPA/INNOVAZIONE di

Il 13 luglio scorso si è tenuta la conferenza internazionale “La Tutela delle comunità religiose” organizzata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale in collaborazione con l’Istituto per gli studi di Politica Internazionale.

L’iniziativa dell’ ISPI ha dato la possibilità di discutere, sul tavolo della Sala delle Conferenze Internazionali della Farnesina, di una tra le più attuali questioni che interessano i paesi ed i rispettivi popoli: la libertà religiosa e la sua tutela. Tra i numerosi ospiti, l’On. Angelino Alfano, Mons. Paul Gallagher, Fabio Pettito, Luca Maestripieri e Riccardo Shemuel Di Segni, si poteva respirare un’aria di collaborazione, soddisfazione degli obiettivi raggiunti ma altresì un notevole impegno per tutti i progetti che dovranno segnare una svolta al drammatico scenario religioso-politico in cui viviamo. Le parole chiavi che hanno accomunato tutti gli interventi sono state “educazione” e “giovani”, perché? Prima di rispondere occorre soffermarsi su cosa è la libertà religiosa e perché essa occupa un ruolo così centrale nel dibattito politico odierno.

La libertà religiosa,  tralasciando, ma non per la minor importanza, gli articoli della Costituzione italiana che le danno una più che adeguata definizione, è un diritto essenziale della persona: come l’On. Alfano ha voluto sottolineare, si può considerare come il diritto alla preghiera precedente del diritto positivo stesso. L’uomo infatti, prima di entrare a far parte di comunità politiche e sociali, rette su un ordinamento giuridico specifico, era membro di comunità religiose, fedele a un credo e quindi libero di esprimere la sua fede più intima. Da qui parte la centralità della questione religiosa di ciascun uomo, e di conseguenza dello Stato in cui risiede. Nonostante ci si possa domandare sul perché, nel XXI secolo, ancora non si è giunti a poter parlare di pura libertà religiosa, dei diritti ad essa connessa e di integrazione fra i vari popoli, i fatti internazionali dimostrano la problematicità della questione. La religione non è più così libera, la religione è ora strumentalizzata, spesso oggetto di lotte politiche interne se non causa di morti su morti, simbolo del messaggio di un integralismo sempre più profondo e diffuso, dal Medio Oriente che ne è la culla, fino all’Occidente.

Deve essere dunque una priorità di tutte le politiche disporre degli strumenti adeguati per combattere la lotta contro la libera espressione della religione e la tutela di tutte le minoranze religiose che ne sono  vittime, per poter finalmente riconoscere integralmente il rispetto di una delle libertà fondamentali dell’individuo.

Ecco che torniamo alla domanda iniziale: i mezzi che possono contribuire a finalizzare questo progetto sono l’educazione e le generazioni future; è proprio in esse che la religione si sta sempre più nascondendo, la mancanza di informazione o forse il giusto utilizzo dell’informazione, data la sua abbondanza spesso però erronea, la facilità di trasmissione di idee radicalizzate o che si radicalizzano proprio tra i più giovani sono i punti focali sui quali bisogna lavorare. È giusto poter diffondere e creare un maggior canale di comunicazione tra le comunità del mondo, ha affermato il Segretario per i rapporti con gli Stati della Santa fede, ma tale processo deve essere adeguatamente controllato proprio tramite una migliore educazione e conoscenza.

Gli strumenti culturali, secondo il prof. Silvio Ferrari, devono essere tutti accomunati dal rispetto della conoscenza ed educazione che necessariamente diventano sinonimo di coscienza. Connessa alle due parole chiavi di cui sopra, vi è anche la collaborazione tra i paesi per raggiungere la tutela religiosa: deve esserci civilizzazione che permetta l’apertura di dialoghi, cercando di abbattere così l’ignoranza e la paura che, da una parte, istigano i combattenti, ma dall’altra risiedono quotidianamente nella vita delle “possibili vittime”. Tra gli strumenti è compresa la prevenzione, concetto che può apparire facile, ma la cui pratica non lo è affatto: la prof.ssa Tadros, insegnante di power and popular politics cluster leader presso l’Università di Sussex, ha infatti ribadito che la forza di più paesi per la lotta al riconoscimento di qualsiasi libertà, debba dimostrarsi prima che si presenti una tragedia, prima che un’altra forza la riesca a sopprimere, senza cercare rimedi impraticabili una volta avvenuta la tragedia. Oltre a “prevenzione”, bisogna attuare “protezione” e “difesa”, l’inviato speciale per la promozione della libertà e religione e di credo al di fuori dell’Unione Europea, Figel, ha annunciato così la lunga strada che ancora bisognerà percorrere in questi termini, essendo ancora molto alta la percentuale dei paesi in cui vi è restrizione della libertà o l’uso della pena di morte per apologia.

Gli ultimi decenni hanno, tuttavia, dimostrato l’impegno di varie nazioni nella promozione di iniziative, patti e summit circa la tutela religiosa e le diverse questioni ad essa connesse, esempio ultimo è il progetto italiano dell’ “Osservatorio sulle minoranze religiose nel mondo e sul rispetto della libertà religiosa” che si occuperà di monitorare le condizioni delle minoranze religiose nel mondo per rafforzarne la tutela e si farà portavoce di eventuali proposte, in coordinamento con la rete diplomatica all’estero. A presiederlo sarà Salvatore Martinez, tra gli ospiti della conferenza, presidente della fondazione vaticana “Centro internazionale famiglia di Nazareth”. Il percorso sarà senza dubbi lungo e travagliato, ma avendo già fatto i primi passi, ci si auspica possa apparire meno doloroso e presto proficuo.

Laura Sacher

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Nucleare; Rocca (Croce Rossa): “Appello agli stati che non partecipano ai negoziati”

EUROPA di

“A New York: proibire le armi nucleari è un imperativo umanitario” esordisce il Presidente Rocca in un comunicato inviato oggi ai media.

“La Croce Rossa guarda con fiducia ai negoziati che sono appena ricominciati al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York sul trattato che proibisce le armi nucleari: si tratta di uno spartiacque epocale che potrebbe portare all’eliminazione totale delle testate atomiche. Auspichiamo che, oltre ai 132 stati che già hanno lavorato sulla prima bozza di trattato, altre nazioni vogliano far parte dei negoziati ufficiali. La posizione della Croce Rossa è chiara: proibire ed eliminare le armi nucleari è un imperativo umanitario. L’uso di armi nucleari causerebbe morti e feriti su larga scala e non esisterebbero mezzi efficaci per fornire assistenza medica e umanitaria per salvare vite umane dopo l’utilizzo di armi di questo tipo.

Le conseguenze umanitarie di qualsiasi uso di armi nucleari sarebbero catastrofiche e le ripercussioni anche di uno scambio nucleare “limitato” sarebbero globali: tutti gli Stati devono avere un interesse per il divieto e l’eliminazione delle armi nucleari. Non si tratta solamente di pensare all’eventualità di una guerra nucleare, ma anche solo a un incidente durante un trasporto che causerebbe una catastrofe umanitaria. Sappiamo che alcuni stati non aderiranno ai negoziati in questo momento, ma continuiamo a lavorare a livello globale perché partecipino e intervengano urgentemente per ridurre i rischi immediati di un uso intenzionale o accidentale di tali armi.

Ci sono alcuni passi intermedi che anche gli Stati che non partecipano ai negoziati possono fare tra cui la riduzione del ruolo delle armi nucleari nella dottrina e nei piani militari e una maggiore trasparenza sulle azioni adottate per prevenire detonazioni accidentali. Conoscendo le conseguenze dell’utilizzo delle armi nucleari, qualsiasi rischio di un eventuale utilizzo è inaccettabile. Non partecipare a questo passaggio epocale sarebbe perdere un importante incontro con la storia”, ha dichiarato il Presidente nazionale di Croce Rossa Italiana e Vice-Presidente della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, Francesco Rocca.

14 giugno giornata mondiale per la donazione del sangue

EUROPA/Varie di

I giovani della Croce Rossa Italiana hanno  organizzato  una “Caccia al tesoro” nazionale per sensibilizzare gli under 32 sul tema della donazione del sangue, un opera di bene necessaria per poter affrontare le emergenze ematiche a livello nazionale.

“La donazione del sangue è un momento fondamentale per salvare vite e attivarsi in prima persona per la propria comunità e per chi ha bisogno. In ogni emergenza nazionale, i terremoti per esempio, ci sono tantissime persone che sono pronte ad andare a donare il sangue: quello che dobbiamo far capire a tutti è che c’è bisogno di lavorare quotidianamente sulla cultura della donazione che deve essere sostenibile e continua nel tempo. La Croce Rossa Italiana ha una lunga storia di promozione della donazione del sangue e di educazione alla salute: come ogni 14 giugno, in occasione della giornata mondiale del donatore di sangue, vogliamo rilanciare il messaggio dell’importanza della cultura del dono, periodico, volontario e non remunerato, e della sensibilizzazione delle nostre comunità locali”, ha dichiarato il Presidente nazionale della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, in occasione del lancio dell’iniziativa.

I giovani della Croce Rossa Italiana hanno organizzato un “caccia al tesoro” nazionale per avvicinare i ragazzi alla donazione di sangue attraverso il gioco, con le persone con le quali condividono avventure, giochi, sport, musica e divertimento. In questo modo la donazione diventa un gesto normale di cui non aver paura ed un utile strumento per salvare delle vite e adottare uno stile di vita sano e sicuro con i propri amici. Per raggiungere questo obiettivo la sensibilizzazione deve coinvolgere i giovani stessi, partendo da chi sono e cosa vogliono, cosa amano fare e come pensano di realizzarlo. In questo modo, Croce Rossa li incoraggia ad affermare loro stessi, condividendo obiettivi ed esperienze, e ponendo le basi affinché si crei una rete di ragazzi consapevoli e protagonisti della propria vita e della società di cui fanno parte. L’evento coinvolgerà tantissimi ragazzi tra i 14 e i 32 anni.

A partire dal 2004, la Giornata Mondiale del Donatore di Sangue viene celebrata in tutto il mondo il 14 giugno di ogni anno per ricordare la nascita di Karl Landsteiner, scopritore dei gruppi sanguigni AB0 e coscopritore del fattore sanguigno Rh. “Che cosa puoi fare? Dona sangue. Dona ora. Dona spesso” è lo slogan scelto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che vuole rimarcare l’importanza di una adeguata disponibilità di sangue durante le emergenze, attraverso un Sistema trasfusionale ben organizzato e su una popolazione di donatori volontari, periodici e non remunerati.

L’iniziativa ha riscosso molto successo permettendo di raggiungere il cuore di tantissimi giovani che hanno partecipato.

Redazione
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