GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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EUROPA - page 61

Approvata dal parlamento europeo la Euro Procura

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Il 5 ottobre a Bruxelles, il Parlamento europeo ha votato a favore dell’istituzione di una Procura europea. Il voto in Parlamento segue la decisione dell’8 Giugno da parte del Consiglio “Giustizia” di accogliere la proposta di 20 Stati membri di istituire la suddetta Procura. Questa decisione si inserisce nel quadro della cooperazione rafforzata, ovvero quella procedura che include più di nove Stati membri, i quali decidono di stabilire un più stretta cooperazione in un settore specifico. Il settore in questo caso è quello delle frodi finanziarie a danno del bilancio dell’Unione Europea e la base giuridica per la formazione della Procura si rintraccia nel Trattato di Lisbona e in particolare nell’articolo 86 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
L’istituzione di una Procura europea si rende, infatti, necessaria dal momento che gli organi attualmente esistenti all’interno dell’Unione Europea nel campo della lotta antifrode, come l’OLAF, non possono intraprendere azioni penali ma solo svolgere indagini amministrative i cui rapporti vengono trasmessi alle autorità nazionali, le quali possono scegliere o meno di intraprendere un’indagine penale al riguardo. Ad oggi solo il 50% delle raccomandazioni giudiziarie trasferite dall’OLAF alle autorità nazionali si sono concluse con un rinvio a giudizio, e vi è un’alta variabilità di tale numero da stato a stato. La necessità della Procura va ben oltre la limitata operatività degli organi già esistenti nell’Unione Europea. La Procura infatti sarà incaricata di perseguire i reati di frodi transfrontaliere in materia di IVA, frodi che fino ad oggi sono rimaste impunite in quanto le autorità giudiziarie nazionali incontrano numerosi ostacoli quando si parla di oltrepassare i confini dello Stato; dalle barriere linguistiche ad una eccessiva lentezza dell’iter dato dalla diversità del diritto interno fra i diversi stati.
La Procura europea nasce invece per facilitare e rendere efficace l’indagine transfrontaliera, per assicurare che chiunque commetta un reato di frode venga processato e infine per accertare che l’importo delle malversazioni sia recuperato più rapidamente. Per sottostare ai suoi compiti e per tener fede al principio di indipendenza e autonomia, la Procura sarà sviluppata su due livelli: una sede centrale, dotata di un Procuratore generale, che sorveglierà sulle indagini nazionale; e una serie di procuratori decentrati, con duplice funzione di procuratori nazionali, i quali assicureranno una conoscenza profonda degli ordinamenti nazionali in modo da facilitare la cooperazione con altri stati.
Il Presidente Junker nel discorso sullo stato dell’Unione ha affermato che la nuova Procura è uno strumento di tutela dei cittadini e del denaro dei contribuenti, con la prospettiva che un domani potrà essere soggetto importante della lotta al terrorismo transfrontaliero. I membri fondatori sono oggi 20, ma la Commissaria UE per la Giustizia, V. Jourovà, ha espresso le sue speranze per un ancor più alto coinvolgimento di stati, i quali si potranno aggiungere ai primi dopo l’adozione in via definitiva del regolamento da parte del Consiglio “Giustizia” il 12 ottobre.

 

Giornata per le vittime dell’immigrazione

EUROPA di

Il 3 ottobre è la giornata per le vittime dell’immigrazione, in ricordo di quel 3 ottobre 2013 in cui, a causa di un naufragio al largo delle coste di Lampedusa, persero la vita 368 persone, alcune delle quali sono tutt’ora disperse. Questa fu una delle più gravi tragedie avvenuta nel Mediterraneo. In occasione di questa giornata la Croce Rossa Italiana ha pubblicato un video, chiamato “Pioggia d’Agosto”, che raccoglie le testimonianze di alcuni volontari della CRI nella regione Sicilia.

Il video insiste sul lato umano di questa “migrazione disordinata”, come la definisce uno dei volontari. Il fenomeno migratorio perde infatti quei connotati di impersonalità e distanza se lo si vive in prima persona, assistendo i migranti e cercando di fornire loro servizi fondamentali come vitto, alloggio, alfabetizzazione, vestiti, tutela del diritto alla famiglia, solo alcuni dei campi in cui la Croce Rossa Italiana è attiva nei centri di accoglienza, porti e safe points italiani. Per i volontari del CRI non è più possibile dare una definizione di migrante; ciò che loro vedono e vivono sono storie di uomini che soffrono a causa di altri uomini, e che per scappare da questa sofferenza trovano spesso la morte in mare.
In occasione di questa giornata di ricordo, la Croce Rossa Italiana ha emesso anche un comunicato stampa, nel quale, oltre a rimandare al video, in cui si ricordano i punti fondamentali dell’organizzazione. Secondo le parole del Presidente nazionale della Croce Rossa Italiana, Francesco Rosi, è necessaria una maggiore partecipazione dell’Unione Europea dato che il 90% dei migranti che sbarcano in Italia non sono intenzionati a rimanervi.

Inoltre l’Italia si pone ancora a porte chiuse e con un piano di ricollocamento fallimentare, che ha toccato fino ad ora solo tremila dei trentamila rifugiati previsti. Le vie d’azione su cui l’Europa deve lavorare per il Presidente della CRI sono chiare: vie più sicure e legali per entrare in Europa e un’azione concreta che attacchi le cause dell’emigrazione. Ciò che l’Europa ha promosso fino ad ora invece è bloccare i migranti al di là del mare, come in Libia, in cambio di sovvenzioni e accordi monetari; una politica insomma che sembra più dilazionare e spostare il centro del problema che risolverlo.

 

Uno sguardo Internazionale in Festival

BOOKREPORTER/EUROPA di

La città emiliana ha ospitato l’XI edizione del festival dell’Internazionale, il settimanale che raccoglie testimonianze ed articoli di giornalisti da tutto il mondo. Dal 29 settembre al 1 ottobre quest’anno sono stati invitati ben 250 ospiti provenienti da 40 paesi e 4 continenti. All’insegna della “prospettiva”, per combattere i moti xenofobi ed i populismi che nell’ultimo periodo hanno attaccato gli scenari politici e sociali; gli incontri organizzati avevano l’obiettivo di informare innanzittuto e coinvolgere anche coloro che per pura curiosità si erano avvicinati ad ascoltare, dai più ai meno giovani. La città era gremita di persone così come di incontri e proiezioni, che spesso era difficile scegliere a quale partecipare. Andiamo ora a scoprire gli incontri concernenti la questione del Medio Oriente e gli eventi rivoluzionari più vicini ma anche quelli più lontani, dalla Brexit ai flussi migratori.

Per iniziare.. Can Dündar, scrittore arrestato nel novembre del 2015, sotto il regime di Erdogan, per aver pubblicato delle documentazioni circa l’invio di armi segrete da parte dell’intelligence turca ai combattenti siriani, vive oggi esiliato in Germania e ha vinto il premio della stampa internazionale per la libertà. Il cinema Apollo di Ferrara lo ha ospitato per testimoniare la sua esemplare esperienza; ai populismi che stanno prendendo piede in più parti del mondo, Dündar risponde che si deve combattere uniti, resistendo alla minaccia. Descrive poi Erdogan come un abile prestigiatore di personalità: può essere il miglior nemico così come il miglior amico e denunciando gli errori che ha commesso, sostiene che la Turchia risentirà, e già ne risente, delle conseguenze.

Nel primo pomeriggio Timothy George Kelly, giovane regista australiano che ha voluto intraprendere una nuovo progetto con il popolo inglese: ha prodotto un documentario fatto da 49 interviste in cui gli stessi inglesi spiegavano il loro voto del referendum del giugno scorso circa il futuro dell’Inghilterra all’interno o all’esterno dell’UE. In 92’ si spazia da persone con idee chiare e realmente convinte di ciò che pensano a persone, di ceti sociali minori, che giustificano il loro voto con pensieri che sfiorano il ridicolo, spesso a causa della loro ignoranza. L’ignoranza è proprio il fattore che denota la sottovalutazione di un voto che avrebbe invece modificato radicalmente la storia del loro paese; accanto ad essa si affianca la confusione che alcuni interventi dimostrano circa il significato di UE e cosa davvero significhi essere europei o meno. Il documentario mostra poi come l’origine della famiglia influenzi profondamente il pensiero di una persona, dal contadino la cui unica preoccupazione è di allevare le pecore e che dunque non è afflitto minimamente da una questione del genere, alla ragazza con i genitori immigrati per cui l’UE è stato invece un aspetto fondamentale della loro integrazione. Interessante in questo documentario anche le scelte del regista per quanto riguarda l’inquadratura e l’uso del bianco e nero.

Ci spostiamo poi in “Altre Afriche, racconti di paesi sempre più vicini” un libro di Andrea de Georgio con Hassane Boukar con la prefazione di Lucio Caracciolo; il cortile di Palazzo Crema ha ospitato un’interessante dibattito circa la situazione attuale del Sud Africa, in particolare il Niger, che è sempre più vicina all’Occidente per molteplici fattori. Innanzitutto i flussi migratori stanno mettendo sempre più in contatto la nostra cultura con la cultura africana; l’atteggiamento di alcuni paesi, la Francia in primis, che perseverano una pressione inadeguata nei confronti di questi popoli: l’uso del franco CFA ne è una chiara dimostrazione. Lo scrittore nigerino ha testimoniato come al giorno d’oggi queste questioni vadano spesso ad oscurare la vera realtà delle società, dove le decisioni delle istituzioni nascondono le necessità primarie dei popoli, che sono ancora tutto tranne che liberi.

L’Unione Europea è la protagonista del dibattito di Romano Prodi e Ilvo Diamanti. Prodi esordisce, commentando con gran naturalità i risultati delle elezioni tedesche, ammettendo che non poteva che aspettarsi la vittoria della cancelliera, alla quale riconosce il merito di aver messo in pratica un programma progressista che ha accompagnato lo sviluppo del paese, ed è stato uno tra i motivi che le ha permesso di essere rieletta. Alla questione Unione Europea, Diamanti risponde citando non tanto l’allargamento quanto la mala gestione all’interno della società internazionale che continua a causare incomprensioni e sollevamento di questioni che anzichè risolvere, bisognerebbe evitare che sorgano. A ciò connesso è senza dubbio la crisi della democrazia rappresentativa che sta attraversando praticamente ogni angolo del mondo; i due ospiti riflettono sul problema del delegare al “solo” il potere, a volte persino incostituzionalmente come nel caso di Polonia ed Ungheria, non rispecchiando quindi la volontà generale dei popoli elettori.

La crisi non giustifica la disumanità: apre così il dibattito Erri de Luca, gran sostenitore dei rifugiati e testimone attivo dei viaggi che li vedono protagonisti nella ricerca disperata di raggiungere le coste italiane. Testimone attivo perché è salito su una nave di Medici Senza Frontiere: ciò che più lo colpisce è la serietà con la quale i giovani volontari lavorano per portare a salvo più persone possibili, la grande forza con la quale si prende questo incarico, influenzando persino chi lì lavora per un contratto. E’ la fraternità il primo valore portato avanti, ma anche soppresso in poco tempo a causa dell’eliminazione del diritto di appello per i migranti prevista dal governo italiano. Da qui il dibattito inizia a prendere toni polemici e di protesta nei confronti delle decisioni prese nei mesi precedenti dalla politica italiana (dalle diffamazioni alle ONG, alla pubblicazione del codice di regolamento, in cui MSF ha dichiarato fin dall’inizio non aderire), con la partecipazione anche del presidente italiano di Medici Senza Frontiere Loris de Filippo.

La giornata di sabato ha visto altrettanti attori della scena moderna internazionale e mondiale..Tra cui: “Ripartire da sinistra”. Si assiste progressivamente alla perdita dei valori tradizionali della sinistra, di quei modelli che hanno costruito le vere menti fondatrici di una scuola di pensiero che risale oramai a molti anni fa. Ciò che critica soprattutto l’ex ministro della giustizia del governo Valls,Christiane Taubira, è la mancanza di comunicazione con e fra le classi della società, utilizzando il termine “depoliticizzazione”. Le classi tuttavia hanno perso quasi completamente il significato di cui godevano una volta, non si può più parlare di classe media infatti e il bisogno ricade inevitabilmente nell’individuazione di un rappresentante. La crisi di cui sentiamo parlare sempre più spesso è diventata un modo di gestire il sistema, insidiando così paura e mancanza di fiducia nei cittadini. L’obiettivo deve essere quello di poter tornare a parlare di solidarietà nazionale: terrorismo, immigrazione, ecologia devono rappresentare proprio il punto di partenza, essendo i problemi che accomunano la maggior parte degli attori internazionali e proprio quelli che li possono unire.

“Love & Revolution”. Un dibattito fuori dalle righe per i temi e i protagonisti che ne hanno preso parte: il giovane scrittore Saleem Haddad, lo scrittore egiziano Ayman El Amir insieme a sua moglie Nada Riyadh e la giornalista inglese, nata in Canada, Shereen El Feki che hanno discusso sul significato dell’amore e di un aspetto intimo quale quello dell’omosessualità in Medio Oriente. Shereen El Feki ha svolto un’inchiesta sul sesso nel mondo arabo, per comprendere a fondo cosa passa nella mente di un individuo di una realtà un pò diversa dalla nostra, ma pur sempre con istinti umani. Nel linguaggio arabo si distaccano in particolar modo i due termini “habram” e “haib”, in cui il primo sta a significare tutto ciò che va contro la religione, mentre il secondo significa vergogna, il timore di non fare pur di non essere giudicato; da qui si delinea come la vita al letto è strettamente connessa con la vita esterna. A volte è la sola paura del pregiudizio a non liberare sentimenti che appartengono da sempre all’essere umano, sia esso uomo o donna.

E per concludere.. la Corea. In Corea del Sud 30 anni fa finiva la dittatura e si può dunque definire la democrazia una democrazia piuttosto giovane. A raccontarci questa realtà sono stati Chang Kyung-Sup, dell’università di Seoul, Kim Young-ha, scrittore e giornalista e Anna Fiefield del Washington Post. Fino al 2007 il popolo coreano era l’unico a stare sui libri per più di 2000 ore all’anno e il tasso di suicidi era davvero fuori dal normale ma altresì la produzione molto alta lo faceva posizionare tra i posti più alti per la prosperità economica: un quadro molto vario dunque. L’influenza americana e l’abitudine oramai divenuta quotidianità fa sì che la Corea del sud sia comunque dinamica nel relazionarsi, nel trovare più spazio all’impegno piuttosto che al tempo libero, la vita è paragonabile ad una macchina in continuo movimento e l’industrializzazione da questo punto di vista ha certamente contribuito molto. L’ultima elezione della presidente è avvenuta, secondo il sociologo presente, per la paura dei cittadini di non sapere dove si sarebbe andati a finire se il potere fosse stato affidato ad altri. Per quanto riguarda poi la minaccia della Corea del Nord, che forse spaventa più l’occidente che la Corea stessa, viene descritta come un muro, al di là del quale non si vuole oltrepassare, o meglio neanche ci si vuole immaginare cosa possa esserci; a livello di pericolo effettivo le dichiarazioni provenienti dal nord si ripetono da così tanto tempo che hanno perso la loro credulità.

Alla prossima edizione..

Laura Sacher

Il referendum in Catalogna, un precedente che preoccupa l’Europa

EUROPA di

Il referendum sull’indipendenza della Catalogna potrebbe costituire un efficace incentivo al rilancio di aneliti autonomisti presenti, in misura più o meno accentuata, in diverse parti d’Europa. Ragioni storiche, conflittualità e incomprensioni antiche,

specificità etniche e culturali e, talvolta, anche ingiustizie e persecuzioni, hanno determinato in alcune aree del Vecchio Continente – come, peraltro, nel resto del mondo – un forte sentimento identitario che, a volte, viene percepito quale segno di contraddizione, rispetto alla condizione di appartenenza nazionale, secondo gli assetti statuali predefiniti.   Anziché costituire una risorsa aggiuntiva della cittadinanza di uno Stato, diventa fattore di contrasto con quella stessa appartenenza.   Nella stessa Spagna fenomeni di questo tipo li troviamo anche in altre comunità regionali (baschi, galiziani), così come in Scozia, nelle Fiandre, in alcuni fermenti del nostro nord est italiano, dove, a breve, verrà celebrato un referendum per ottenere maggiore autonomia dallo Stato centrale.

Tensioni e sentimenti antichi, legati spesso a ferite profonde e dolorose, ma che devono essere ricomposti dalla politica, possibilmente quella di largo respiro, o, come si dice, con la “P” maiuscola.   E’ la politica che deve evitare il caos derivante dalla disgregazione degli Stati e dalla proliferazione dei particolarismi e conciliare la stabilità con le istanze autonomistiche.   In alcuni casi questo equilibrio è stato raggiunto con saggezza illuminata, come in quello dell’Alto Adige (ma anche delle altre regioni italiane a statuto speciale), del federalismo dei Lander, in Germania, della convivenza della comunità fiamminga e di quella vallone nel Regno del Belgio.

La composizione delle differenze etniche, linguistiche, culturali avrebbe poi dovuto trovare la sua massima realizzazione nel disegno di integrazione europea che, tuttavia, negli ultimi anni, ha mostrato qualche esitazione nella definizione della natura dell’Unione, incerta tra la fisionomia di una sorta di super stato sovraordinato ad altri stati, sia pure dotati di propria sovranità, o una federazione di stati.   In tal modo è stata sempre più percepita, anziché come ulteriore strumento di tutela e valorizzazione delle autonomie locali, in virtù del principio di sussidiarietà (a lungo si è vagheggiata l’Europa delle regioni, anche da parte dei leghisti di casa nostra), come sovrastruttura burocratica e opprimente, insensibile alle istanze legate alle peculiarità locali.

Questa sensazione ha alimentato i movimenti sovranisti, autonomisti e anti euro che tanta preoccupazione hanno suscitato negli ultimi mesi a Bruxelles e nelle cancellerie europee.     Ma ha anche attenuato la fiducia nella capacità dell’integrazione europea di favorire il superamento di alcuni momenti di più sensibile criticità tra governi nazionali e autonomie locali.   E il caso emblematico è proprio quello della Catalogna: come possono, le autorità comunitarie di Bruxelles, assistere inerti a quanto sta accadendo ?   E’ necessaria una moral suasion assai più forte ed efficace per sedare il conflitto, a fronte di due parti in causa che hanno preferito, alla fine, un muro contro muro che ha provocato ulteriori tensioni e violenze e che appare, al momento, privo di sbocchi costruttivi e rassicuranti.   Come uscire dalla crisi ? La secessione di una regione da uno Stato nazionale, in forma pacifica, può verificarsi solo in base ad un accordo, con il consenso di entrambe le parti, o grazie alla passiva desistenza dello Stato nazionale che subisce la dissociazione.   Quella tra cechi e slovacchi si rivelò certamente indolore, ma ogni caso ha una sua storia peculiare.

In quello della Catalogna l’esempio ceco appare difficilmente applicabile, le autorità di Madrid sembrano irriducibili a rassegnarsi alla perdita della regione più ricca del Paese.   Rischiando poi nuovi fermenti secessionistici, in una nazione che ancora serba in sé le ferite causate da una sanguinosa guerra civile e da una pesante dittatura che hanno lasciato inevitabilmente una lunga scia di diffidenze e conflittualità. Occorre, tuttavia, rilevare come questi quarant’anni di democrazia abbiano determinato processi di integrazione, di collaborazione e di solidarietà, uniti a momenti di crescita e di successi economici e prodotto un sistema più avanzato di decentramento e di autonomia regionale che hanno certamente contribuito ad una intensificazione dello spirito di unità nazionale.

Per questo, nel pieno rispetto degli orientamenti espressi con il referendum, trovo difficile sottrarmi alla sensazione di una certa esasperazione del dissenso degli indipendentisti, così come appare eccessiva la reazione repressiva del governo centrale.   Deve peraltro rilevarsi che se il 92% dei votanti si è espresso a favore dell’indipendenza, più della metà degli elettori catalani non ha partecipato alla consultazione.   E anche questo dato ha un suo valore e un suo significato.     L’unica via d’uscita è quindi rappresentata dall’abbandono del muro contro muro e degli atteggiamenti muscolari e dal ritorno alla “Politica”, al negoziato, con il supporto, finalmente, delle autorità dell’Unione Europea, per arrivare ad una forma più avanzata di statuto autonomo della Generalitat e ad una ripartizione dei poteri più aderente alle specifiche esigenze di una popolazione che, per ragioni storiche, si sente nazione.

 

di Alessandro Forlani

Croce Rossa Italiana all’ONU per il trattato sul nucleare

EUROPA/SICUREZZA di

Può esistere un mondo senza il nucleare? E’ la domanda che in molti si stanno facendo e proprio in questi giorni a New York si discute il trattato di messa al bando del nucleare approvato da 120 paesi ma ancora ostacolato da molte potenze occidentali, nonostante gli evidenti rischi per la stabilità di certe aree come testimonia l’attuale crisi in Corea del Nord.

Tra i promotori di questo importante trattato anche la Croce Rossa che sin dalle sue prime fasi ha voluto fortemente promuovere una soluzione di questo tipo ed è per questo che è presente all’Assemblea Generale dell’ONU il Vice Presidente della Croce Rossa Italiana Rosario Valastro che ha partecipato in questo consesso a due importanti discussione, Nucleare e vittime tra gli operatori umanitari nelle aree di crisi.

Abbiamo raggiunto telefonicamente il Vice presidente a New York durante i lavori per sapere come si stanno svolgendo i lavori.

AC: “Dottor Valastro, la Croce Rossa Italiana oggi è all’ONU a New York per discutere due temi molto importanti. Il primo è il trattato sulla messa al bando del nucleare al livello mondiale e l’altro tema è purtroppo l’uccisione degli operatori umanitari durante le operazioni di soccorso. Per quanto riguarda il primo punto quanto è importante questo trattato per il futuro dell’umanità?”

V: “Si tratta di un trattato storico, direi, importante e vitale. Il comitato internazionale della croce rossa ha molto spinto sull’informazione relativa a questo trattato, che, salvo qualche notizia a luglio, è passato sotto silenzio, perché gli effetti delle bombe atomiche incidono sulle vite decine di migliaia di persone e si tutte le future generazioni. Quindi la croce rossa sotto il suo focus dell’attenzione all’ umanità e dell’assistere tutte le persone vulnerabili ha fatto leva sugli stati affinché se ne discutesse. A luglio c’è stata l’approvazione a due terzi, quindi il trattato è una trattato di cui si è aperto il processo di ratifica. Chiaramente tra tutti gli assenti pesano tanto le assenze di quelli che sono molti stati dell’unione europea oltre di quelle che sono le cosiddette potenze nucleari. Il lavoro è lungo; però riuscire a raggiungere un obiettivo di umanità è sicuramente una lotta che necessiterà del suo tempo ma noi non disperiamo.”

AC: “Qual è il polso della situazione secondo lei su queste assenze molto importanti. C’è speranza che queste nazioni prendano coscienza e aderiscano in un prossimo futuro ?”

V: “Ma guardi sicuramente c’è speranza, si tratta a mio avviso di un lavoro che va fatto su un duplice piano. Va fatto innanzitutto informando la cittadinanza su quelli che sono gli effetti dei danni nucleari e sul contenuto di questo trattato. E l’altro è un lavoro che riguarda le cancellerie, i ministeri degli Esteri di questi paesi che naturalmente potranno e dovranno agire nella maniera in cui possano raggiungere un accordo. Non è una cosa facile ma non era neanche facile ad esempio l’affermazione di umanità nelle convenzioni di Ginevra quando esse vennero firmate. Si tratta di una cosa che sta iniziando, vedremo nel prossimo futuro quali di questi 122 paesi inizieranno il processo di ratifica del trattato internazionale perché sicuramente se la risposta su questa sarà una risposta importante ci sarà allora la possibilità che altri si uniscano.”

AC: “Tra i grandi assenti anche l’Italia; come mai?”

V: “Quasi tutti i paesi dell’Ue hanno preso una posizione attendista su questo argomento. Noi contiamo di fare, come già qualche società di croce rossa in altri paesi ha fatto, contiamo di fare un’operazione di informazione, di incontro e di confronto per spingere il governo e il parlamento ad affrontare il tema. Comprendo anche che ci sono tutta una serie di rapporti fra stati che pesano molto su questa firma; però l’obiettivo dei 122 stati raggiunto a luglio, che ha aperto il processo di firma, è comunque un obiettivo importante che deve far riflettere tutte le nazioni.”

AC: “Certo questo è un momento particolare, perché con le frizioni del sud est asiatico, la paura del nucleare è tornata alla ribalta in maniera prepotente.”

V: “Si non c’è dubbio, così come non c’è dubbio che ci sono paesi che non vogliono ratificare il trattato perché per loro il nucleare esiste come un’arma di deterrenza verso chi minaccia di usarlo; come in un circolo viscoso che naturalmente spaventa un po’ tutti o comunque dà adito a non muoversi dalle proprie posizioni.”

AC: “L’altro tema invece sono le moltissime vittime tra gli operatori umanitari nelle zone di guerra mentre  portano soccorso; questa discussione come sta andando avanti all’Onu?”

V: “È un discussione che si inserisce in un dibattito più ampio che è iniziato oggi e si consoliderà domani, su quella che è la politica dell’Onu per combattere il traffico degli esseri umani. Si tratta di un argomento che sfocia in un documento che riafferma quelle che sono le politiche umanitarie anche in tal campo e all’interno di questo, quella che è la posizione della federazione internazionale della croce rossa dell’attenzione verso le persone migranti che sono molto spesso vittime della tratta così come le categorie più vulnerabili come donne e bambini e anche chiaramente di quella che è la situazione in cui restano gli operatori umanitari in generale, che spesso proprio per portare aiuto ai più vulnerabili, rischiano o hanno perso la loro vita.”

Il dibattito sul nucleare non si esaurirà molto presto purtroppo soprattutto in questo momento che ci vede spettatori di diverse crisi internazionali, sia nel quadrante del medio oriente che in quello dell’asia pacifico dove si fronteggiano le grandi potenze di questo secolo in cerca di un adeguato posizionamento nella geopolitica mondiale.

Catalogna, si accende lo scontro Barcellona -Madrid

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Livelli di tensione fuori limite quelli fra Barcellona e Madrid quando ormai mancano pochi giorni all’1 di Ottobre, data fissata dalla Comunità catalana per il referendum sull’indipendenza della regione. Nella mattinata di mercoledì 20 settembre gli agenti della Guardia Civil spagnola hanno arrestato 14 elementi di spicco tra funzionari ed esponenti del governo catalano, compreso Josep Maria Jové, il braccio destro del vice presidente catalano, con l’accusa di essere fra i principali organizzatori del referendum non riconosciuto e ritenuto illegale dal governo centrale di Madrid. Sono state inoltre sequestrate milioni di tessere elettorali che dovevano essere utilizzate durante il referendum, e le perquisizioni hanno avuto luogo anche negli uffici delle Entrate, del Welfare  e del Centro Telecomunicazioni regionale, oltre naturalmente agli uffici dell’esecutivo catalano.

Poche ore dopo gli arresti, si sono radunati migliaia di persone per protestare contro l’azione del governo centrale e sei suoi militari. La protesta prosegue da giorni, con striscioni e cori a favore del referendum e dei diritti democratici e contro le’ “forze di occupazione autoritarie”.

Il primo ministro Rajoy difende la decisione del governo, dichiarando che tale operazione è a difesa dei diritti di tutta la Spagna e del suo popolo, che tale referendum è stato bocciato dalla legge e che per tale ragione bisogna difendere la democrazia facendo rispettare le sentenze giudiziarie. In risposta agli arresti e perquisizioni, il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha convocato una riunione d’urgenza dichiarando “che la democrazia è stata sospesa in Catalogna, che il governo ha oltrepassato la linea rossa e si è convertito in una vergogna antidemocratica”, il tutto seguito dalla conferma che il primo di ottobre il referendum si farà e da un richiamo al popolo catalano di rispondere in modo fermo ma sempre in maniera civile e pacifica. Anche la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha definito “scandaloso” ciò che avvenuto nella mattinata di mercoledì, definendo “uno scandalo democratico la perquisizione di istituzioni e gli arresti di cariche pubbliche per motivi politici”.

Tutto ciò rappresenta solo l’ultima azione intrapresa da Madrid per cercare di fermare lo svolgimento del referendum fissato per il primo di ottobre. L’ultimo tentativo era stato il blocco dei fondi federali di Madrid, per evitare che soldi pubblici venissero utilizzati per l’organizzazione del referendum. La Corte Costituzionale, inoltre,  aveva sospeso l’efficacia del referendum, su richiesta del governo centrale: il referendum è ritenuto illegale e non verrà tenuto conto dell’esito di un risultato che potrebbe mettere in discussione l’indivisibilità e l’unità della Spagna, sancite, appunto, dalla Costituzione. Il presidente catalano, nonostante i continui ostacoli, aveva firmato il decreto per convocare la consultazione popolare. Questi ha ottenuto l’approvazione di circa settecento sindaci catalani che hanno promesso l’apertura dei seggi e il regolare svolgimento delle votazioni.

Non siamo al primo caso di organizzazione di un referendum in Catalogna. Tre anni fa si era cercato di organizzarne un altro, bloccato dal Tribunale Costituzionale spagnolo, e trasformato in una consultazione informale da parte delle istituzioni catalane. L’indipendentismo catalano è un argomento al centro del dibattito da molti anni, ma negli ultimi anni ha acquisito nuova linfa vitale e nuova forza, oltre che essere, naturalmente, fonte di forti tensioni fra Barcellona e Madrid. Il tentativo del 2014, anche se del tutto informale ebbe un’affluenza stimata attorno al 36% degli aventi diritto, con l’80% favorevoli all’indipendenza. Naturalmente, la consultazione non ha avuto nessun valore legale, visto il blocco del Tribunale Costituzionale. Al centro dell’attuale scontro abbiamo una legge approvata dal Parlamento catalano “La ley del referéndum de autoderminación vinculante sobre la independencia de Cataluňa”, che come può dedursi è stata pensata e creata per essere vincolante. Nello specifico, in caso di vittoria dei favorevoli, le autorità catalane dovrebbero dichiarare l’indipendenza della Catalogna. Per i partiti indipendentisti i problemi iniziano il 7 settembre, quando il Tribunale Costituzionale spagnola sospende la legge sul referendum approvata  dal Parlamento catalano e vietando ai sindaci catalani e ai funzionari del governo di partecipare all’organizzazione del progetto. Il giorno successivo, l’8 settembre, interviene anche il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna, ordinando alle forze di sicurezza (Guardia Civile, Polizia Nazionale, Mossos d’Esquadra e polizia locale) di iniziare le operazioni di sequestro del materiale del referendum. Lo stesso giorno sono iniziate in diversi comuni alcune operazioni compiute soprattutto dalla Guardia Civil, un corpo di natura militare che dipende da Madrid, culminate in perquisizioni, sequestri e gli arresti di Barcellona. Il corpo di polizia che è rimasto sostanzialmente defilato in tali operazioni è stato quello dei Mossos d’Esquadra, che dipende dal ministero degli interni catalano. Questi sono stati accusati anzi di non fare abbastanza per impedire il referendum e quindi seguire la linea imposta da Rajoy. A oggi non è chiaro come si comporteranno il giorno del referendum: se seguiranno gli ordini della magistratura e impediranno il normale svolgimento delle votazioni o se garantiranno le operazioni di voto e la sicurezza dei seggi.

Dal punto di vista catalano, non c’è stata nessuna trattativa da parte di Madrid, ma solo una repressione immediata, come nei regimi autoritari che coprono le loro decisioni con atti giudiziari. La questione, secondo molti, non è la repressione dell’indipendentismo catalano o meno, ma lo svolgimento di un referendum in cui i cittadini possono esprimere in maniera del tutto libera la loro opinione sullo stato attuale e futuro del loro paese. Non si tratta di una semplice distinzione buonista, perché secondo gli ultimi sondaggi meno della metà dei catalani sarebbe favorevole all’indipendenza, mentre quasi tutti sono a favore del diritto di decidere. Se si seguisse l’esempio di altri paesi, come nel caso scozzese nel Regno Unito, gli indipendentisti magari perderebbero il loro referendum (visto i sondaggi appena citati) e in quel casi si aprirebbe una trattativa per garantire maggiore autonomia alla Catalogna. Ma se si continua con umiliazioni e provocazioni, nell’arco di poco tempo, la questione potrebbe cambiare con un aumento della forza dei favorevoli all’indipendenza.

Nel frattempo arrivano dichiarazioni da Bruxelles, dove l’UE prende posizione a favore del governo spagnolo: “l’UE rispetta l’ordine costituzionale della Spagna come con tutti gli stati membri ed è in seno a questo che tutte queste questioni potranno o dovranno essere affrontate”. Anche Parigi si schiera “per una Spagna unita e forte”.

È difficile prevedere quale sarà il risultato del referendum, se dovesse effettivamente svolgersi. Nel corso degli anni passati i sondaggi sull’indipendenza sono stati parecchi, con risultati molte volte diversi, a secondo dell’istituto che li realizzava e dei quesiti posti. Non è da sottovalutare nemmeno l’impatto degli eventi degli ultimi giorni sulle intenzioni di voto  dei cittadini catalani. Per ora, l’unico fatto certo è che non sembrano esserci  margini di negoziato tra il governo centrale spagnolo e quello catalano. Non ci resta che aspettare.

 

Mario Savina

Inaugurato il 18° corso NATO Regional Cooperation Course

EUROPA/SICUREZZA di

NATO Defense College di Roma, si ѐ tenuta la cerimonia di inaugurazione della diciottesima edizione del NATO Regional Cooperation Course (NRCC 18).
Per l’occasione, il Generale Chris Whitecross, Comandante del NDC, ha dato il benvenuto al Generale Salvatore Farina, Comandante del NATO Joint Forces Command di Brunssum (Olanda), il quale ha presieduto l’evento con un “Inauguration Lecture” nell’Auditorium del College.

Il NRCC e’ stato istituito il 2009, e da allora ha sottolineato il Generale WHITECROOS, e’ stato riconosciuto dai leader NATO come una pietra miliare dell’impegno dell’Alleanza nei confronti dei Paesi Partner.
Il corso NRCC, uno dei programmi educativi più importanti offerti dal NDC, annovera questa volta 46 partecipanti provenienti da 20 Paesi, tra cui Stati Membri della NATO, paesi aderenti al Programma Partnership for Peace (PfP), al programma Mediterranean Dialogue (MD), alla Istanbul Cooperation Initiative (ICI) e membri appartenenti ad altri Paesi Partner.

Gli obiettivi del corso comprendono il rafforzamento del dialogo e della cooperazione internazionale in merito alla sicurezza e alla stabilità della regione Medio-Orientale: la diffusione della conoscenza riguardo la realtà storico-politica dell’area: lo sviluppo della capacità analitica dei partecipanti attraverso discussioni e dibattiti e l’analisi dei punti chiave riguardanti la relazione tra l’Alleanza Atlantica ed il Medio Oriente. Nel sottolineare questi propositi, il Comandante del College ha inoltre ricordato come non vi sia alcun dubbio che la stabilità e la sicurezza dei paesi NATO sia cruciale per il resto del mondo e dunque lo stesso principio valga per il Medio-Oriente e i suoi Partners.

Successivamente il Comandante ha dato la parola al Generale Farina, oratore principale dell’evento, per la sua lezione inaugurale. Durante il suo intervento il Generale Farina ha illustrato il processo di adattamento dell’Alleanza per fronteggiare le nuove sfide, offrendo la prospettiva del Comandante Operativo Joint di Brunssum.

In particolare nell’esporre il focus dei 3 Core Tasks della NATO: Collective Defence, Crisis Response Operations e Cooperative Security il Generale Farina ha sottolineato come a fattor comune la prevenzione, la dissuasione e il dialogo debbano sempre accompagnare qualsiasi misura di adattamento dell’Alleanza.
Altrettanto importante il ruolo della NATO nella Cooperative Security e nel supporto alla lotta contro il terrorismo.Si dovranno quindi prevedere forze credibili, pronte e ben addestrate unitamente a chiari messaggi ed iniziative non escalatorie e non provocative.

Infine, rispondendo a specifici quesiti il Comandante di JFC Brunssum ha elogiato la decisione di costituire l’HUB for the South in seno al Comando “gemello” di Napoli, riconoscimento dell’iniziativa dei Paesi del fianco Sud e chiaro successo della leadership italiana nel portare avanti detta proposta.

 

 

Di nuovo terrore a Londra. Il fallito attentato che fa rivivere quello del 2005.

EUROPA/SICUREZZA di

Ennesimo attentato nel Regno Unito, e ancora una volta il bersaglio è Londra e i suoi cittadini. Cambia la metodologia dell’attacco, si lasciano da parte i mezzi,  ma non cambia l’obiettivo: i civili e i luoghi cruciali nella vita occidentale.

IL 15 settembre alle ora 8.20 locali (9.20 italiane) c’è stata un’esplosione a bordo di un vagone della metropolitana  di Londra presso la fermata di Parsons Green, sulla District Line, nella zona ovest della capitale britannica, a Fulham. L’Isis dopo qualche ora ha rivendicato l’attentato. È di 29 feriti il bilancio totale dell’attacco, nessuno in pericolo di vita. La premier inglese May ha annunciato immediatamente  il dispiegamento dei militari al fianco o in sostituzione della polizia nella sorveglianza dei punti sensibili della città e del Paese, nell’ambito dell’operazione Tempora. La decisione, già pianificata, è entrata in vigore in serata contemporaneamente alla decisione di innalzare il livello di allerta da “severo” a “critico”, il più grave e alto nella scala dei rischi, che presuppone la possibilità e l’imminenza di nuovi attacchi terroristici.

L’esplosione è partita da un cestino bianco, nascosto all’interno di una busta di un supermercato della catena tedesca Lidl (elemento cruciale nella ricerca dell’attentatore, durante la visualizzazione dei video delle telecamere di sorveglianza della metro), lasciato in un vagone posteriore del treno. All’interno è stato trovato un timer, quindi si presume che questa sia stata attivata a distanza. Secondo gli esperti, l’ordigno sarebbe esploso solo in parte, così da causare un danno minore rispetto alle aspettative dei terroristi. L’ordigno sarebbe stato costruito in modo artigianale. Potrebbe essere stato composto di Tapt, esplosivo noto come “madre di Satana”. Il Tapt, triacetone triperossido, può essere innescato da calore, frizione, elettricità statica o semplicemente dal movimento. Fu utilizzato anche negli attacchi di Londra del 2005, quando persero la vittime 52 persone in una serie di esplosioni nelle metropolitana e su un autobus. È lo stesso esplosivo che un mese fa ha fatto esplodere accidentalmente la casa di Alcanar, in Catalogna, dove il commando jihadista stava progettando, tra tutto, anche l’attentato avvenuto a Barcellona qualche giorno dopo.

Dopo meno di 24 ore c’è stato il primo arresto: si tratta di un diciottenne del quale non sono state rivelate le generalità, catturato nella zona del porto a Dover, nel sud del Paese. Secondo quanto riferito dai media inglesi, si tratterebbe di un ragazzo orfano, adottato da una coppia di benefattori inglesi noti per aver dato ospitalità nel tempo a bambini senza genitori. Il ragazzo, secondo alcuni media, era stata arrestato due settimane fa e poi rilasciato. Al momento dell’arresto, stava cercando di imbarcarsi su un traghetto diretto in Francia. Non è la prima volta che viene utilizzato il porto sulla Manica da parte dell’Isis per far entrare e uscire persone dal Paese: la sicurezza sui traghetti è infatti molto debole.

Nella giornata del 17 settembre è stato arrestato una seconda persona collegata all’attacco terroristico. Si chiama Yanyah Farroukh, anche egli, come il primo arrestato considerato l’autore materiale, avrebbe legami con Penelope e Ronald Jones, i due anziani benefattori del Surrey, che per anni hanno dato ospitalità a ragazzi rifugiati. Secondo vari media, Farroukh è siriano, di Damasco.

Continua a far discutere il fatto che il diciottenne arrestato come l’autore materiale dell’attentato fosse già finito nei radar delle autorità. Voce non smentita dal governo britannico, e confermata da un tweet del presidente americano Trump in cui dichiara che i terroristi erano già noti a Scotland Yard. Ancora una volta quindi, come avvenuto già in passato, gli attentatori erano conosciuti alle forze dell’ordine o addirittura come in questo caso erano stati arrestati e rilasciati. Tutto questo accade mentre Londra guarda avanti e propone all’Unione Europea per il dopo Brexit un accordo sulla collaborazione per la sicurezza e contro la criminalità e il terrorismo. In particolare, punta a mantenere meccanismi di collaborazione e cooperazione fra le forze di polizia e condividere una serie di principi fra cui la protezione dei dati personali e la difesa  dei diritti umani.

Nel 2017, la capitale britannica è già stata colpita da tre attacchi terroristici di matrice jihadista, che in tutto hanno causato la morte di 14 persone e oltre 100 feriti. Rispetto agli ultimi attacchi, questa volta i terroristi hanno lasciato da parte furgoni e suv per ritornare agli esplosivi artiginali, vero marchio dei jihadisti. Nei mesi scorsi abbiamo assistito al suv che, il 22 marzo, ha travolto alcuni passanti davanti al palazzo di Westminster, sul Westminster Bridge, il ponte che attraversa il Tamigi, di fronte al Big Ben. L’attentatore poi si è diretto a piedi verso il parlamento britannico, dove ha aggredito con un coltello un poliziotto di guardia. In quell’occasione 40 persone sono state ferite e sei hanno perso la vita, inclusi l’attentatore e un poliziotto. Il secondo attentato riporta la data del 3 giugno, quando un furgone bianco ha investito alcuni pedoni sul London Bridge. I tre attentatori alla guida hanno portato il veicolo fuori dalla carreggiata per investire il maggior numero di persone, fino a fermarsi fuori un pub, dove sono scesi dal mezzo e hanno assalito a colpi di coltelli i clienti dei locali della zona. Otto persone sono state uccise e 48 ferite. Se si vuole prendere in considerazione l’intera Gran Bretagna, allora il numero delle vittime aumenta, considerando l’attentato di Manchster al termine di un concerto che ha causato la morte di 23 persone, incluso l’attentatore, tra le quali dodici bambini al di sotto dei 16 anni, e oltre 120 feriti.

Di Mario Savina, Ricercatore Centro Studi Roma 3000

Internazionale Festival a Ferrara

EUROPA di
Nella mattinata di giovedì 14 settembre, presso la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del festival di Internazionale a Ferrara 2017.

Alla sua XI edizione, Interazionale, organizza nuovamente presso il Comune di Ferrara quella che si configura a tutti gli effetti “una redazione a cielo aperto”. Tre giorni, dal 29 settembre al 1 di ottobre, con oltre 130 incontri e 250 ospiti, 40 paesi, 4 continenti, la presenza di 40 testate giornalistiche e 270 ore di programmazione.

Il festival

Internazionale, in collaborazione con il Comune di Ferrara, si propone di offrire uno sguardo sugli eventi politici e sociali del panorama internazionale di quest’ultimo anno, all’interno di una prospettiva futura. Lo stesso logo dell’evento, il “mondino”, con il cannocchiale stretto nella mano, vuole simboleggiare quella prospettiva intesa come lungimiranza e capacità di osservazione della realtà da diversi punti di vista.

L’incontro si è aperto con le parole del capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Beatrice Covassi, la quale ha sottolineato come la presenza della Rappresentanza al Festival di Ferrara, abbia l’obbiettivo di portare l’attenzione dei partecipanti sui temi maggiori di attualità: migranti, patrimonio culturale europeo, sicurezza e difesa. In correlazione con l’ambiente giornalistico, verrà affrontato ciò che riguarda le fake news, sia in termini di “bufale”, sia nell’ottica della trasmissione di notizie che reinterpretate da più voci possono apparire distorte di fronte all’opinione pubblica. La Rappresentanza, inoltre, proporrà anche “speak dating”, in collaborazione con l’Università di Ferrara: iniziativa che prevedere tre minuti di lezione per apprendere qualche parola o frase nelle diverse lingue europee.

Chiara Nielsen, vicedirettrice e una delle fondatrici di Internazionale, ha offerto una panoramica generale sui temi principali che verranno affrontati e discussi durante l’evento.

Primi fra tutti l’Europa, la cui integrazione sembrerebbe minata dai nazionalismi. Gli eventi faranno capo ad incontri e momenti di scambio con rappresentati politici, scrittori, giornalisti, attivisti, organizzazioni e personalità del panorama nazionale ed internazionale. Verrà affrontata la discussione sulla Brexit e sulla situazione lavorativa e di sfiducia, da parte dei giovani, nei confronti della politica in Italia ed Europa.

Forte la presenza dell’attualità internazionale, analizzata in tutte le sue sfaccettature e che porta all’attenzione dei partecipanti le diverse situazioni internazionali attraverso le analisi delle crisi in cui vertono diversi paesi, tra i quali la Corea, il Venezuela, la Colombia e la Siria. Particolare attenzione verrà posta nei confronti del Corno d’Africa e dell’Eritrea, ex colonia italiana e luogo da cui provengono molti migranti. Quello sulla migrazione sarà un argomento centrale dell’attualità, affrontato con un focus ampio che include il Mediterraneo, l’Africa, nonché i confini tra Messico e USA. Materia che viene affrontata anche grazie al contributo e al lavoro di Medici Senza Frontiera (MSF), charity partner del Festival.

Altra tematica cardine del Festival è quella sui diritti umani, civici e di cittadinanza. Verranno affrontate discussioni sulle libertà individuali, sui diritti dei transgender e, sempre all’interno dell’ottica giornalistica, la libertà di espressione.

Argomento ricorrente quello sull’ambiente, che verrà affrontato anche attraverso il libro “La grande cecità” di Amitav Ghosh, scrittore indiano che denuncia l’incapacità della letteratura di denunciare le conseguenze del cambiamento climatico.

Internazionale a Ferrara si propone anche pioniere di iniziative culturali e artistiche, che vedono il coinvolgimento di fumettisti, che raccontano il mondo di oggi attraverso i propri disegni. Ma anche fotografi e musicisti, tra i quali il DJ Jace Clayton che incontrerà Populous, alias Andrea Mangia, per valutare se l’era della world music sia finita. Farà parte del Festival anche la rassegna che prevede il ritorno dei documentari inediti di Mondovisioni e di audio documentari Mondoascolti.

Inoltre, tra gli eventi speciali previsti in questa edizione, World Press Photo, il più importante premio fotogiornalistico del mondo e, infine, la Piccola Orchestra Lumiere si esibirà nella piazza Municipale, in collaborazione con Montura.

Quest’anno, inoltre, viene offerto uno spazio dedicato interamente ai più piccoli, attraverso l’offerta di 12 laboratori che si configurano come un “festival parallelo” per i bambini.

Partnership e collaborazioni

Internazionale a Ferrara è promosso da Internazionale, Comune di Ferrara, Regione Emilia Romagna, Università degli studi di Ferrara, Città Teatro, Ferrara Terra e Acqua, Comune di Portomaggiore, Arci Ferrara, Assessorato alla cultura nell’ambito del Progetto Polimero promosso da Arci Emilia-Romagna, Associazione IF e Anci.

Tutte le informazioni sugli eventi, gli ospiti presenti e la programmazione del Festival sono reperibili sul sito di Internazionale.

Elezioni in Norvegia, la disfatta dei laburisti

EUROPA/POLITICA di

Fino all’ultimo voto, l’elettorato norvegese é rimasto con il fiato sospeso per il testa a testa tra il premier uscente Erna Solberg (Høyre) e il leader del partito laburista Jonas Gahr Støre.

Nei giorni successivi non sono mancate le polemiche, soprattutto a sinistra. La prima fra tutte ha riguardato la scelta del candidato premier del partito laburista, ex ministro degli Esteri e della Sanitá, con una lunga esperienza politica, che non é bastata, tuttavia a difendersi dall’innegabile carisma della Solbeg, né dal non farsi trascinare nel campo avversario dalla retorica populista del Partito del Progresso. Quest’ultimo da anni detta l’agenda della politica nazionale, ha governato insieme alla destra durante l’ultima legislatura e é finito sotto i riflettori per la gestione del Ministero drll’Integrazione, diretto da Sylvi Listhaug.

I risultati elettorali non hanno dato una vittoria schiacciante a nessuno dei numerosi partiti e la formazione del governo è ancora incerta. L’ago della bilancia sarà, stavolta, il Partito Cristiano Popolare, disponibile a governare insieme al partito Høyre e al partito liberale Venstre (che solo per un pugno di voti ha superato lo sbarramento al 4%), ma non con il Partiti del Progresso, di cui non condivide la politica reazionaria in tema di immigrazione. É ancora da vedere se Erna Solberg riuscirà a formare un governo facendo a meno della componente cristiana.

Dall’altra parte i laburisti possono contare su due alleanze importanti: SV (i socialisti di sinistra) e il Partito di Centro, mentre la porta é chiusa al partito di sinistra Rødt. Quest’ultimo é rappresentato per la prima volta in Parlamento, con un delegato, mentre gli altri due sono stati i veri vincitori di queste elezioni, avendo quasi duplicato le preferenze ricevute. Magro successo per i Verdi, che rimangono un partito tematico aperto a varie alleanze, ma che manca del supporto popolare.

Il governo uscente può dirsi soddisfatto di un risultato che, di fatto, conferma il gradimento dell’elettorato per il lavoro fatto nell’ultima legislatura e nonostante non sia stato promosso a pieni voti, può ben gioire di aver lavorato abbastanza bene da evitare una rovinosa bocciatura. Tutto si giocherà nei prossimi giorni, nei quali Erna Solberg, dopo l’approvazione popolare, dovrà superare il test delle alleanze con gli altri partiti.

 

Foto Aftenposten

Carla Melis
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