GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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EUROPA - page 59

Raggiunto l’accordo sulla Cooperazione Strutturata Permanente; Al via la costruzione della Difesa Europea

Difesa/EUROPA/SICUREZZA di

Ufficializzata la costruzione della Difesa Comune Europea. Dopo anni di confronti e dibattiti tra i maggiori attori europei, al summit del 14-15 dicembre 2017, si è siglato l’accordo tra i 27 capi di stato e di governo per la cosiddetta Cooperazione Strutturata Permanente(PESCO).  Essa è regolata dal Trattato di Lisbona e consente agli Stati membri, che intendano impegnarsi, di rafforzare la reciproca collaborazione nel settore della politica di sicurezza e di difesa.

La PESCO prevede che gli Stati si impegnino a rispettare delle tappe comuni. Alcuni temi saranno quelli riguardanti gli aumenti dei bilanci, da parte degli stati membri, con cadenza periodica e in tempi reali. Saranno effettuati, probabilmente, corsi di formazione per raggiungere obbiettivi che prevedono di rafforzare la disponibilità e l’interoperabilità delle forze impiegate. Gli Stati si sono anche impegnati in direzione di un programma industriale comune per il settore della difesa, nonché ad approvare entro la prossima primavera la creazione di uno strumento finanziario atto a garantire le coperture della Pesco.

La necessità di assumersi maggiori responsabilità, da parte dei leader dei paesi UE, per la sicurezza dei cittadini europei, è sorta nel corso del 2016. Da quel momento è stato dunque chiesto all’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, di presentare proposte riguardanti anche la Pesco. Nel frattempo quest’ultima, attraverso la strategia globale per la politica estera e di sicurezza, aveva avviato un processo di cooperazione rafforzata in materia di sicurezza e difesa.

Il ruolo dell’Italia all’interno della Pesco è sicuramente di relativa importanza. L’Italia sarà infatti a capo di quatto dei 17 progetti concordati per il 2018. Il primo prevede la creazione di un centro di addestramento per le forze armate europee. Altri due progetti saranno, invece, tesi a sviluppare capacità militari di soccorso in caso di disastri naturali e di sorveglianza e protezione di aree marittime. Il quarto progetto riguarda l’implementazione di prototipi di veicoli per la fanteria leggera.

L’accordo del Consiglio europeo inaugura un processo istituzionale legalmente vincolante verso l’integrazione nell’ambito della sicurezza e difesa. Tale accordo risulta essere importante anche in chiave di relazioni con l’Alleanza Atlantica, un tema centrale nello sviluppo sia dell’UE che della Nato. È bene, inoltre, non dimenticarsi, che un progetto europeo per la Difesa, quale la Pesco, risponde alla necessità di ritrovare quello spirito europeista e rinsaldare la comunità di valori democratici su cui si fonda l’intera Unione Europea.

Elezioni in Germania: l’importanza della formazione del nuovo Regierung

EUROPA/Senza categoria di

Le elezioni politiche tedesche si sono tenute a Settembre 2017, ma da allora non abbiamo ancora un governo stabile nella Germania Federale. L’assenza di una maggioranza all’interno dell’esecutivo sta danneggiando la Germania e la sua credibilità agli occhi dei suoi cittadini. In questi ultimi mesi, infatti, il paese tedesco sta vivendo una delle sue peggiori crisi politiche dal 1950.

Come sappiamo, è stata riconfermata nuovamente la nomina come Cancelliere ad Angela Merkel, che, ormai, svolge questo ruolo dal 2005. Nonostante la sua vittoria politica, la nota dolente è che il partito, di cui è rappresentante (CDU), non è riuscito a raggiungere la maggioranza necessaria per la formazione dell’esecutivo. Questo risultato è stato segnato dall’insoddisfazione generale del corpo elettorale, che ha in queste elezioni manifestato la mancata condivisione di alcune politiche portate avanti dalla Cancelliera, tra le quali quelle riguardanti il fenomeno delle migrazioni e il loro ingresso, più o meno incrollato, in Germania. Dalle attuali elezioni, infatti, è risultato che il partito della Merkel, il CDU, abbia raggiunto solo il 32,9% dei voti, perdendo ben 8% rispetto al passato. Il CDU non è stato l’unico partito ad accusare gli esiti di questi elezioni. Infatti, a seguirlo vi sono stati FDP, che ha raggiunto i minimi storici, appena il 10% (conquistando solo 80 seggi) e il SPD, avendo raggiunto solo il 20% dei voti. Ciò che è apparso incredibile è stato, invece, il risultato ottenuto da parte del partito AfD, conosciuto per essere un partito estremista e Xenofobo, che ha conquistato un’ottima posizione dal risultato elettorale. La sua “vittoria” è un’ulteriore dimostrazione della mancata adesione del popolo tedesco alle politiche condotte negli ultimi quattro anni. Ma cosa comportano di fatto queste elezioni?

Il mancato raggiungimento della maggioranza minima richiesta ha dato inizio a diversi tentativi per creare delle coalizioni governative, tra le quali, la più famosa è stata la coalizione Jamaika, che prende il nome dal colore dei partiti di cui si sarebbe dovuta comporre CDU, CSU (la spalla bavarese del CDU, più rigida su specifici temi), i Grünen e i FdP. Fin dall’inizio erano numerosi i dubbi sull’effettiva riuscita di questa alleanza.

Per quale ragione, si era giunti a queste considerazioni? Semplicemente perché nessuno dei suddetti partiti era disposto a trovare compromessi e a ritrattare le proprio posizioni, al fine di far funzionare quest’alleanza politica. I problemi maggiori, infatti, sarebbero sorti in relazione al tema immigrati: il partito bavarese CSU proponeva la fissazione di un tetto massimo d’ingressi annuali non superiore ai 200 mila, mentre i Grünen, al contrario, volevano che si portasse avanti una politica più flessibile, comprendendo il cosiddetto Familiennachzug (ricongiungimento famigliare). In realtà, nelle giornate di novembre, prima del 19, erano state fatte delle proposte-compromesso da parte dei Verdi, che avrebbero accettato la richiesta del CSU del limite sugli ingressi, ma in cambio, chiedevano che venisse escluso dal tetto delle 200 mila persone, coloro che facevano richiesta per il ricongiungimento familiare. Questo tema è stato il principale punto di frizione tra i due partiti, dal momento che, secondo le affermazioni dei Verdi, è “inumano escludere, chi già per legge ha diritto alla protezione, non permettendogli di aver accesso al ricongiungimento famigliare” Nella giornata del 19 Novembre 2017, la Cancelliera, Angela Merkel, avrebbe dovuto presentare la formazione definitiva del suo governo, che, invece, non si era ancora formato, proprio per i contrasti esistenti su specifici temi: migranti, come sopra indicato, ma anche la nomina di alcune figure istituzionali, tra le quali il Ministro della Finanza e il Ministro degli Affari esteri. Non solo a questo si aggiungono anche le notevoli differenze, che caratterizzano il modo di portare avanti una politica europea. I principali punti di tensione si sarebbero concentrati sull’esportazione delle armi e nella rete commerciale tedesca. Per quanto riguarda il traffico delle armi, negli ultimi mesi la Germania è stata coinvolta nella questione Arabia Saudita-Yemen, quando è stato reso pubblico, che molte delle armi vendute all’Arabia Saudita provenissero dalla Germania. Secondo i Grünen, la Germania dovrebbe astenersi da qualsiasi coinvolgimento in questa guerra, infatti nel corso del 2017, anche a seguito di questo episodio, il Paese Tedesco ha vissuto ben due momenti di crisi governativa, di cui uno a Marzo ed uno subito dopo ad Aprile, che hanno evidenziato le incertezze e instabilità del governo. Al di là di queste fondamentali difficoltà e della mancanza di punti d’incontri sul tema migranti, il fallimento della coalizione Jamaika è stato determinato dal ritiro da parte dei Liberali, FDP, di cui il leader, Lindner, ha espressamente detto “Meglio non governare, che governare male”.

Altri problemi sono apparsi sul fronte Schulz, segretario del SDP, il quale avrebbe affermato, che egli non sarebbe mai stato favorevole, almeno inizialmente, ad una grande coalizione, come quella Jamaika. Date queste dichiarazioni, l’unica soluzione che si era prospettata alla Cancelliera era la formazione di una coalizione con il partito di estrema sinistra, die Linke, nati dalla scissione dal SDP, ma a questa proposta si è opposto il secco rifiuto della CSU baverese, che non aveva alcuna intenzione di spostarsi così a sinistra. Novembre, di conseguenza, ha costituito per il neo-governo tedesco un futuro incerto: accettare di non avere la maggioranza e governare con una minoranza, consci che l’esecutivo sarebbe stato sempre un bersaglio facile per l’opposizione, oppure tornare nuovamente alle elezioni. Per la prima volta dopo il 1950, la Germania sta vivendo un periodo storico-politico particolarmente difficile, in cui i più grandi partiti hanno subito delle pesanti sconfitte. La vicinanza a delle nuovi elezioni sembrava sempre più vicina, soprattutto dopo quattro settimane di consultazioni, che si sono concluse con l’archiviazione definitiva della coalizione Jamaika. Invece, ad oggi stiamo aspettando gli esiti dei sondaggi e delle consultazioni, che termineranno venerdì 15 Dicembre e che chiariranno se sarà possibile avviare una coalizione tra l’Unione (CDU/CSU) e SDP di Schulz. Negli ultimi giorni ha iniziato ad echeggiare nell’aria il termine KoKo, ossia Kooperation-Koalition (Cooperazione-Coalizione). Anche in questo caso sembrerebbero nascere dei problemi riguardo i progetti proposti dal SDP, tra cui una nuova assicurazione civile da fornire ai cittadini. In particolare, le opposizioni proverrebbero da parte del CSU ritenendo, a maggioranza, che non sarebbe una soluzione percorribile, oltretutto perché verrebbe a costituire solamente un peso economico per la maggior parte degli assicurati.

Nella serata di mercoledì 13 Dicembre, si è dato avvio al primo round di sondaggi e consultazioni elettorali, per capire se vi è, effettivamente, la possibilità di creare questa KoKo tra CDU/CSU e SPD. L’incontro ha visto la partecipazione di tutti e tre i segretari dei partiti: Merkel, Seehofer (dalla parte bavarese) e Schulz. Nonostante gli sforzi e le consultazioni, molte perplessità si sollevano circa l’effettiva capacità e stabilità di questa cooperazione. Si parte, infatti, dal presupposto che i partiti, in particolare CSU e SDP si scontrano riguardo a taluni argomenti: l’assicurazione cittadina, la politica da applicare nei confronti degli immigrati, in particolare sul tema ricongiungimento famigliare. Tutti elementi che sembrano suggerire la presenza di numerosi ostacoli per la realizzazione di questa alleanza.

Inoltre, vi sono anche delle resistenze all’interno dello stesso SDP, dove taluni membri del partito non sono interessati ad una coalizione con un governo, che nell’arco di tre mesi, non è riuscito a formare una maggioranza, ma che anzi è stato anche fortemente criticato da uno dei suoi principali alleati politici, i liberali FDP. Non mancano, poi, delle critiche sulla credibilità del partito guidato da Schulz, da parte dei Die Linke, come ha affermato recentemente al Frankfurter Allgemeine, Tanja Kipping, segretario dei Die Linke, “ Il Partito SDP si sta dimostrando insicuro e timoroso delle sue scelte. Ad occhi esterni, sembra che non sappia esattamente cosa voglia”.

Sotto un profilo europeo, la mancata formazione del governo tedesco comporta paure ed incertezze anche per gli europei, che auspicano quanto prima possibile la formazione del Bundesregierung. Infatti, la convocazione di nuove elezioni non è agli occhi degli Stati Membri dell’UE la soluzione migliore, anche perché, a seguito di una nuova tornata elettorale, i risultati potrebbero sostanzialmente cambiare e, magari, in meglio per l’Alternative für Deutschland (AfD), di cui teme la riuscita elettorale soprattutto la Grecia. Tuttavia, la Germania non rimane l’unico caso che non è riuscita a formare un governo di maggioranza, concluse le tornate elettorali: eccezione fatta per l’Italia, anche l’Olanda sperimentò un lungo periodo di crisi, che coprì un arco di tempo di 220 giorni, fino a raggiungere il nuovo governo. Paesi come l’Austria, invece, hanno affermato che il risultato delle elezioni politiche non poteva che essere lo specchio della mancata attenzione da parte del governo tedesco a talune dinamiche, che, invece, avrebbero meritato maggiore cura da parte dell’esecutivo. Lo stesso Macron, Presidente della Francia, ha affermato che se la Merkel si fosse legata ai liberali, allora il suo governo non sarebbe potuto andare avanti per molto e, proprio alla luce di queste considerazioni, chiedeva, quanto prima la convocazione a nuove elezioni.

Nel frattempo, venerdì 15 si sono tenute le consultazioni elettorali per sapere definitivamente se l’SPD parteciperà a questa coalizione. In questa occasione, tutte le parti hanno convenuto che le consultazioni dovranno riprendere da inizio gennaio, ma che l’SPD dovrà dare una risposta definitiva l’11 gennaio, così che entro il 14 si potrà pianificare l’ingresso al Parlamento dell’SPD.

In poche parole, ciò significa che fino al 2018, se tutto va secondo la scaletta programmata, la Germania non avrà un governo federale formato e questa situazione è tanto critica dagli esponenti dell’Unione (CDU/CSU), che dichiarano “non si possono fare esperimenti”, quanto da parte di alcuni esponenti del SPD.

 

The security challenge in the Meditterranean. A view from Turkey

EUROPA di

La sede della Stampa estera a Roma ha onorato la presenza dell’attuale Ministro degli Affari Esteri della Turchia, Mevlüt Çavuşoğlu che in un conciso ma esplicativo dibattito con Monica Maggioni, giornalista italiana, ha osservato la situazione della Turchia nello scenario internazionale in relazione ai rapporti dei paesi del Mediterraneo. È proprio il Mediterraneo ad attribuire il nome agli eventi che, ormai da 2 anni, accompagnano l’iniziativa Med Dialogues, con incontri istituzionali e non circa il ruolo che questo bacino ha sempre avuto ma ha sviluppato vertiginosamente negli ultimi decenni.
Il Ministro inizia nel dire che il potere economico al giorno d’oggi non è più solo concentrato in Europa, ma si sta sviluppando anche in altri continenti come l’Africa; questa è l’epoca dell’estremo e cita i conflitti mondiali come termine di paragone, pur ammettendo che a livello di morti e fenomeni migratori, forse i numeri attuali superano quelli del ’14-‘18 e del ’39-’45. Xenofobia e discriminazione sono le parole chiavi dei dibattiti odierni, com’è quindi possibile la costruzione di una responsabilità mediterranea? Innanzitutto è necessaria la collaborazione tra i paesi, non soltanto per interessi economici ma anche in visione di una maggior integrazione e coesione sociale; bisogna concentrare le lotte contro le tratte umane, ponendosi quindi comuni obiettivi da comuni progetti. Un miglior sistema informativo e di sicurezza che permetta una maggiore cooperazione tra i soggetti internazionali è senz’altro lo strumento che secondo il Ministro può portare a tale responsabilità. Bisogna uccidere le ideologie portate avanti dagli estremisti in cui regna la politica dell’isolamento e della discriminazione, provando quindi a regolare in maniera più efficiente l’immigrazione. Çavuşoğlu si concentra poi sulla necessità di aiutare chi più ne ha bisogno e in questo l’ Italia insieme alla Turchia già da tempo stanno promuovendo accordi e possibili soluzioni.
Terrorismo e quindi necessariamente Siria è l’ultimo argomento affrontato dal Ministro che ha assunto una posizione alquanto positiva raccontando la cronologia della posizione turca rispetto alla difesa dei territori colpiti dal jiadismo; la Turchia ha fin dai primi tempi organizzato campagne per la lotta ed i suoi uomini hanno ucciso molti soldati estremisti. Alla domanda della Maggioni “i rifugiati siriani che ora abitano in Turchia una volta sconfitto totalmente l’ISIS torneranno nel paese d’origine o saranno integrati nella società turca, risponde che essi sicuramente si sentiranno più sicuri nella loro terra, come qualsiasi individuo, quindi se potranno, preferiranno tornare ma altresì il Ministro ritiene che il 20 % forse resterà in Turchia data la stabilità economica, il riconoscimento della cittadinanza e l’assistenza sanitaria che è stata loro riconosciuta.
Sul fronte UE Mevlüt Çavuşoğlu non si preoccupa minimamente del rapporto con l’Italia: infatti chiede spesso ai suoi colleghi europei il perchè dovrebbe avere problemi con essa, una cosa che però l’ UE ed i suoi membri devono capire è che la Turchia non è un paese con cui trattare, l’economia turca è un’economia forte e non necessita di scambi di policy, bisogna trattarla come un paese come un altro. Questa non è una visione patriottica ma puramente reale, concludo il ministro.
Laura Sacher

La cooperazione UE-NATO: alcuni concetti chiave

AMERICHE/EUROPA/SICUREZZA di

La relazione tra UE e NATO costituisce l’ossatura strategica della sicurezza e della difesa europea e la letteratura specializzata ha tentato di elaborare alcuni concetti chiave per comprenderla. Qui si cercherà di riassumerne i principali.

La cooperazione UE (Comunità Europea e, solo dopo, UE) NATO affonda le sue radici nella necessità europea di difesa e sicurezza dal pericoloso vicino sovietico e nella visione strategica americana del contenimento dell’URSS e ha garantito, sotto l’ombrello della deterrenza, la pace e la sicurezza nel Vecchio Continente per 43 anni. Il crollo dell’Unione Sovietica e del bipolarismo ha fatto emergere però alcune novità: una serie di nuove sfide alla sicurezza sempre più complesse e le nuove ambizioni europee in materia di sicurezza e, poi, difesa (PESC e PESD) secondo visioni ed obiettivi propri.

L’UE si è così inserita nel dibattito post-bipolare sulla sicurezza e la pace globale con alcune innovazioni: la teorizzazione del “comprehensive approach”, la politica di allargamento, il lancio delle Politiche Europee di Vicinato, il fortissimo coinvolgimento europeo nella cooperazione allo sviluppo, gli accordi di partenariato, tutte testimonianze della volontà di Bruxelles di trasformare il tradizionale approccio alla sicurezza e al crisis management verso un’ottica unitaria e value-oriented. Molti scettici, in particolare dalle file della teoria realista e neo-realista delle RI, sostengono che l’actorness europea in campo di sicurezza e difesa sia un miraggio, strutturalmente impossibile da raggiungere e intrappolata in un “capability-expectations gap” (teorizzato da Christopher Hill), in sostanza uno scarto tra aspettative e reali capacità delle politiche comunitarie.

La relazione odierna tra UE e NATO si fonda sugli Accordi “Berlin-Plus” firmati nel 2002 che forniscono un “framework completo per le relazioni permanenti” tra i due soggetti. Ad oggi, fatta eccezione per le missioni Concordia e Althea nella ex-Jugoslavia, l’accesso UE alle capacità di pianificazione strategica e alle risorse e alle capacità NATO non è mai stato utilizzato. Storicamente, gli accordi giungono in un momento particolare della storia delle due istituzioni: la NATO, infatti, era alle prese con il proprio passaggio da alleanza militare regionale a provider di sicurezza internazionale, l’UE da potenza economica ad attore stabilizzatore e pacificatore (almeno nel suo vicinato) tramite l’introduzione della PESC e della PESD (poi PSDC). In questa relazione, la NATO ha rappresentato il provider di “hard security”, militare e globale, mentre l’UE l’attore di “soft security”, il “normative power” (Manners, 2002), il “civilian power” (Bull, 1982).

Ad inficiare il rapporto è, però, intervenuto il c.d. “problema della partecipazione” (Simon J. Smith e Carmen Gebhard) causato dalla membership NATO ma non UE della Turchia e dalla membership UE ma non NATO di Cipro. Infatti la Turchia, dopo la firma di Berlin Plus, ha cercato di assicurarsi che nessun futuro membro dell’UE (chiaro riferimento a Cipro) potesse interagire direttamente con la NATO (in quanto membro UE) senza un precedente accordo di sicurezza con essa. L’obiettivo è quello di evitare che Cipro possa accedere a capacità e risorse strategiche che potrebbero compromettere le rivendicazioni (e la presenza) turche nell’isola. Dall’altra parte Cipro ha fatto ricorso a tutte le sue risorse per ostacolare l’ingresso (e in generale qualsiasi forma di integrazione o cooperazione) della Turchia nell’UE.

La realtà dei fatti dimostra un quadro complesso e frammentato: la relazione strategica odierna tra UE e NATO esiste ma al di fuori del framework di Berlin Plus e, quindi, in maniera meno efficiente e unitaria, improntata secondo Simon J. Smith e Carmen Gebhard ad una prevenzione consapevole dei contrasti (“informed deconfliction”). Tale approccio opera costantemente in sub-ottimalità e non è sostenibile nel lungo periodo per gestire la complessità del contesto di sicurezza e difesa in Europa e America.

Per quanto l’UE e la NATO abbiano, quindi, sperimentato una divaricazione tra potenzialità e effettività della loro relazione, il contesto strategico di attività li spinge verso una convergenza, essendo condizionato da simili fattori e simili sfide, tre in particolare: il deterioramento delle relazioni occidentali con la Russia, gli interessi di sicurezza nel Medio Oriente, la minaccia terroristica. Al contrario spinte di allontanamento possono derivare da tre fattori: la presidenza Trump che coaguli internamente l’UE ma isoli esternamente gli USA, la Brexit che scarichi l’UE della presenza ostativa del Regno Unito ma spezzi l’anello di congiunzione tra UE e USA costituito dalla “relazione speciale” anglo-americana, il deterioramento delle relazioni UE-Turchia (membro della NATO e storico pilastro strategico americano).

Lorenzo Termine

“L’Ucraina moderna nello spazio comune europeo”, convegno del Centro Studi Roma 3000

EUROPA/Senza categoria di

Centro Studi Roma 3000 ha avuto l’onore ed il piacere di portare sul tavolo una discussione di un tema attuale e più vicino alla realtà italiana di quanto normalmente ci si aspetta. A prendere per primo la parola è stato il consigliere dell’ambasciatrice dell’Ucraina in Italia, Dott. Dmytro Volovnykiv che ha voluto iniziare celebrando i 25 anni di relazioni diplomatiche Italia-Ucraina, ora alla base di un forte rapporto che soprattutto nell’ultimo periodo sta contribuendo all’integrità territoriale dell’ ex paese sovietico. Lo scenario attuale ucraino è alquanto delicato: dal 2014 quella che è stata nominata la Rivoluzione della Diginità come conseguenza dell’occupazione russa della Crimea ( “la peninsola che non c’è”), ad est dell’Ucraina, è stata seguita da continue manifestazioni di violenza, il mancato rispetto del cessate fuoco proveniente da più attori internazionali e un elevatissimo sfruttamento economico da parte della Russia. Il report dell’ufficio dell’Alto Commissariato dei diritti delle Nazioni Unite ha meglio parlato di “detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, torture e maltrattamenti”, per non citare tutti i casi di violazione dei diritti dell’uomo. Oltre alla situazione della Crimea, Volovnykiv ha ricordato il caso del Donbass, altro bacino di delicato impianto geopolitico.

Nella sfida europea accanto all’Ucraina vi è l’Estonia, membro UE dal 2004, il cui console rappresentante in Italia, M. Sarglepp ha sottolineato che i conflitti menzionati hanno indubbiamente favorito un rafforzamento interno ed esterno degli accordi di partnership e cooperazione tra paesi del ex blocco sovietico che, data la loro strategica posizione geografica e la centralità in alcuni settori economici, i cui primi frutti si stanno vedendo. Il dialogo con le maggiori istituzioni rimane lo strumento migliore per portar avanti progetti proficui in situazioni di tensione come questa analizzata: il prossimo 24 novembre si riunirà l’ Eastern Partnership (EaP) per rafforzare la forza dei rapporti economici, governativi, sociali e della sostenibilità; a dimostrazione dell’importanza del ruolo individuale di un paese come l’Ucraina ma altresì la responsabilità dell’Unione Europea di fornire gli adeguati strumenti e possibilmente anche le risposte per la fine di una crisi come quella che percorre la realtà del Mar Nero.

Il terzo intervento è stato poi quello di Andrew Spannaus, analista politico-internazionale e Presidente Stampa Estera di Milano, la cui esperienza e stessa origine americana gli ha permesso di affrontare il dibattito sotto il punto di vista americano: il non più neoeletto presidente Trump sta modificando in parte i piani d’azione messi in atto dal suo predecessore, esprimendo però un consenso nei confronti della Russia, con la quale “condivide” la fine della Guerra di Siria. Si collega qui l’intervento del direttore di Limes, Lucio Caracciolo secondo cui la situazione ucraina è sottovalutata o per lo meno poco conosciuta dall’italiano medio, nonostante la distanza che ci separa sia minore di quella che vi è tra l’estremità nord e sud del nostro territorio.

Rilevante è anche la connessione dell’Italia con l’ Ucraina tramite la contestazione di territori come la TransIstria, formalmente della Moladavia ma sotto il controllo della Russia, oggi uno dei centri principali per il traffico internazionale. Da qui il rapporto strumentale tra Usa e Europa centrale, essendo i paesi dell’Europa centrale di importanza relativa rispetto alle potenze che potrebbero invece squilibrare gli assetti americani. Caracciolo riprende le linee guida presentate da Spannaus: dal punto di vista americano il conflitto ucraino è una partita con la Russia e in parte con la Germania e la fascia di Europa più vicina alla Russia rimane un’area di frizione permanente. Il direttore manifesta un basso ottimismo circa la soluzione di questo conflitto dato che gli interessi russi si basano sul timore che l’Ucraina possa diventare parte della NATO, diversamente da quelli americani di mantenere il conflitto per avere il controllo del paese, senza considerare il fatto che la Russia ha sempre rappresentato un nemico e non un possibile alleato per l’America.

Per quanto riguarda altre zone di fuoco viene citata la Crimea che è ora sotto la mano russa, pur se illegalmente, ed il Donbass, dove si combatte una guerra la cui fine è ancora lontana. Per concludere Caracciolo afferma che la guerra che oggi si vive in Ucraina non è propriamente civile, riprendendo le parole del consigliere Volovnykiv, ma gran parte delle questioni centrali devono essere risolte a livello nazionale mediante efficaci e “rivoluzionarie” politiche. A tal proposito si è vista anche l’inefficienza dell’Unione Europea di fronte a tali questioni, pur non essendo essa non un vero attore geopolitico e giocando quindi un ruolo immaginario. L’Italia in tutto ciò sarebbe favorevole ad una posizione neutrale dell’Ucraina, che non entri a far parte della NATO ma magari dell’UE, senza uno scontro vero e proprio con la Russia, per più motivi tra cui il considerarla più una debolezza che una forza in questo momento.

 

Laura Sacher

Photo Credit: Giorgio Sacher

 

La dimensione geografica della politica internazionale

EUROPA di

La Società Geografica Italiana ha ospitato il secondo incontro del seminario organizzato dal professore Edoardo Boria “Nuovi orizzonti geopolitici: la geopolitica di oggi”, con la partecipazione di Lucio Caracciolo, Luca Scuccimarra, Silvia Siniscalchi e Rosario Sommella, con l’ introduzione del mediatore Daniela Scalea.

Daniele Scalea, ricercato dell’università di Roma “La Sapienza”, ha introdotto il rapporto politica-geografia come un rapporto da sempre esistito, nelle cui civiltà antiche veniva dato quasi per scontato: da Erodoto a Montesquieu il discorso geopolitico era basato sul presupposto stesso del legame tra politica e geografia. A partire dall’ 800 e per il secolo successivo si inizia a parlare di determinismo, distaccando quindi la dimensione umana dal resto. Verso la seconda metà del ‘900 al centro delle riflessioni si presentano le relazioni sociali, trasformando così in strumentalizzazione il discorso geografico nella politica. Fronte a queste evoluzioni nel corso del tempo vi sono state numerose reazioni, più o meno critiche ma a grande risonanza nell’opinione pubblica. La riscoperta della geopolitica ha comunque incarnato le tradizioni della dottrina, che nonostante i cambiamenti e le evoluzioni, resteranno sempre invariate.

Rosario Sommella, docente di geografia regionale presso “l’Orientale” ha esordito spiegando la vastità di concetti e teorie che la questione della dimensione della geografia abbraccia; la dimensione classica della geopolitica (con la tendenza ambientalista e l’affidamento alla spiegazione tramite le teorie delle relazioni internazionali) a volte appare un po’ “pesante” rispetto al pragmatismo cui si relaziona quotidianamente un discorso geopolitico. La storia è secondo Sommella l’elemento da cui poter parlare effettivamente di geopolitica, motivo per cui cita la Russia come esempio di paese che in base alla geografia ha costruito la sua storia di potenza e che ancora oggi vi basa le relazioni con il resto degli attori internazionali. Il professore si sposta poi sulla politica estera, domandando retoricamente come non si possa dire che essa sia influenzata dalla posizione geografica. Ciò che si necessita per la geopolitica d’oggi è rivisitare la geopolitica grafica, riprendere i fondamenti classici, tenendo però presente dell’importanza realistica, dei fatti che quindi compongono il teatro geopolitico attuale. Il nostro obiettivo deve essere quello di unire i fondamenti tradizionali con quelli contemporanei.

La seconda a intervenire è Silvia Siniscalchi, professoressa di geografia a Salerno la quale imposta il suo discorso sugli studi di Haushofer, uno tra i primi studiosi delle teorie geopolitiche classiche e che considerava la geopolitica una scienza al servizio della pace.  Il punto di partenza deve essere ad ogni modo domandarsi cosa voglia dire geopolitica: essa assume un significato ambiguo, essendo composta da due parole apparentemente discorde; vi sono infatti numerose definizioni relative a ciascuna delle due, ma più difficilmente una unitaria per entrambe. Seconda nota figura nominata dalla professoressa è Ratzel che in “La geografia dell’uomo” sconfessa la visione deterministica fatta dall’ interpretazione francese e afferma che l’uomo ha libertà di scelta ma non può annullare le sue condizioni primarie e che tale libertà è quindi limitata. Ratzel affronta poi un “eterno”  argomento: i confini, definendoli come un qualcosa di illusorio, dal momento in cui il popolo non è legato strettamente al suo territorio, ma bisogna considerare anche il fattore tempo, il contesto nel quale il popolo è inserito. Questi concetti secondo la Siniscalchi sono oggi alla base della geografia territoriale, soprattutto a livello locale. Conclude affermando che oggi la geopolitica dovrebbe esser vista come una riqualificazione territoriale della stessa politica, sempre più affidata a persone ignoranti ed incapaci di gestire dinamiche di importanza vitale. Deve essere una dottrina da praticare e non più teorie su teorie.

Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes riflette su come la geopolitica oggi sia un termine alla moda, anche se di uso recente. Si torna a riscoprire della geopolitica dalla fine della II Guerra Mondiale alla fine della Guerra fredda quando è evidente la necessità di rompere con gli schemi che fino a quel momento avevano sorretto il pensiero della geopolitica. Tale riscoperta, ammette Caracciolo, è purtroppo avvenuta in un momento in cui la politica internazionale è stata interdetta dalla scienza politica, i cui ragionamenti sono totalmente opposti rispetto a quelli della geopolitica: la scienza politica pensa che si possano formalizzare le leggi e le formule direttamente applicabili nei vari casi, mentre la geopolitica si libera di tali “scienticismi”. Ciò che rende la geopolitica attuale è proprio la contrapposizione della dimensione formale con quella pragmatica rappresentata dai fatti (si veda la Catalogna che ha una visione del proprio territorio molto più espansa di quella che la Costituzione, e quindi la base giuridica formale, effettivamente stabilisce); questo perché si sta riscoprendo la geografia in quanto legittimazione di attuazione di alcune politiche. Ciò nonostante Caracciolo ribadisce che non è mai stata così forte l’ignoranza dei politici, dei media ecc. su tali questioni. Individua infine il problema della geopolitica attuale nel fatto che ogni tanto provi a rifarsi alla scienza, tentando di prevedere il futuro e  provocando quindi semplificazioni che anche nella comunicazione pubblica eguagliano tutti i fenomeni critici, senza invece andare in profondità , analizzandone le specificità di ciascuno.

L’ultimo intervento è di Luca Scuccimarra, docente di storia del pensiero politico dell’università La Sapienza il quale colloca i rapporti storici del pensiero politico e geografico in uno spazio delle scienze sociali, dato l’inserimento sempre più spaziale della dottrina storica, motivo per cui negli ultimi 30 anni gli storici hanno imparato a studiare il tempo nello spazio. Cita Carlo Galli che oltre al livello spaziale parla di quello della costruzione riflessiva dello spazio politico, inteso come contesto in cui le azioni politiche si attuano. Questo tipo di studi è avvenuto in seguito alla nascita della realtà internazionali, degli studi delle relazioni internazionali e quindi con l’apparizione dello stato nazione sovrano. Un errore che secondo il professore è stato spesso compiuto è la restrizione del pensiero politico sui filoni nazionali, e non anche sovranazionali, sottovalutando così la complessità dell’universalità dei pensieri, nonostante poi si convenga che molti  dei fenomeni comuni a tutte le realtà sono il risultato di comuni atteggiamenti politici, come le persecuzioni religiose. Ciò che la geopolitica d’oggi può fare è  contribuire alla contestualizzazione, collegando la materialità dei fenomeni.

Da questi punti di vista si può indubbiamente affermare che la politica rappresenta un elemento chiave di tutto ciò che riguarda la realtà geopolitica e, anche se in maniera a volte eccessiva, quest’ultima occupa al giorno d’oggi una centralità senza precedenti; il miglioramento degli attori politici può essere senz’altro trovare adeguati strumenti per allargare innanzitutto la conoscenza di realtà a noi molto vicine e scoprire poi la modernità partendo dalle sue fondamenta dell’antichità.

Laura Sacher

Immigrazione, l’accusa dell’Onu: “l’UE viola i diritti umani”

EUROPA di

Accusa pesante, quasi insopportabile, quella fatta dall’Onu, riguardante gli accordi presi dall’ Unione Europea e dall’ Italia in special modo, con la Libia per la deportazione degli immigrati.

“La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”

asserisce l’Alto commissario per i diritti umani,il principe giordano Zeid Raad al-Hussein, dando così un giudizio drastico all’intera vicenda. In tempi moderni come questi, è difficile immaginare come l’UE abbia ancora difficoltà ad affrontare questa emergenza senza riuscire a dare una soluzione che cerchi di rispettare il più possibile tutti i diritti umani, che non devono mai esser posti in secondo piano.

“La politica dell’Unione europea di assistere la guardia costiera libica nell’intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo è disumana” Dichiara il funzionario dell’Onu.

Parole di forte indignazione le sue, che denunciano esplicitamente l’assistenza dell’Italia e dell’ UE a favore della guardia costiera libica nell’agevolare le operazioni sui migranti in mare, dando l’appoggio, in questo modo, alle procedure libiche fortemente irrispettose dei diritti umani.

Dichiarazioni in pieno contrasto con la linea di governo italiano del PD, il quale ha dichiarato : “il tema dei diritti umani, in Libia ed in Africa, non è in contrasto con l’azione del governo” inciso di oggi presente all’interno del discorso del leader del PD Matteo Renzi.

Eppure le dichiarazioni, rilasciate dagli “osservatori dei diritti umani”, prospettano tutt’altro scenario e non possono e non devono lasciare la nostra Nazione indifferente nel fornire delle risposte concrete ed adeguate a questa situazione di grave emergenza.

“Gli osservatori sono rimasti sconvolti da ciò che hanno visto: migliaia di uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammassati l’uno sull’altro, bloccati in capannoni”

La Cooperazione Strutturata Permanente: un punto di svolta per la Difesa UE?

EUROPA/SICUREZZA di

Negli ultimi due anni, le possibilità di integrazione aperte dal Trattato di Lisbona in ambito di azione esterna sembrano aver iniziato a concretizzarsi. Il varo della European Union Global Strategy nel giugno 2016, la Roadmap di Bratislava del settembre 2016, l’European Defence Action Plan del novembre 2016, la creazione del Fondo Europeo per la Difesa (EDF) e del Military Planning and Conduct Capability (MPCC) nel giugno 2017 sono testimonianze di un rinnovato interesse per una Difesa UE. Il paper analizza l’effettiva capacità trasformativa della Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) che dovrebbe essere lanciata entro la fine dell’anno.

di Lorenzo Termine

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Il Generale Claudio Graziano nominato presidente del Comitato Militare UE

Difesa/EUROPA di

Un ruolo di spicco per l’Italia nell’Europa della difesa. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa italiano, generale Claudio Graziano, torinese di 67 anni,  è stato nominato presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea. L’incarico sarà di durata triennale a partire dal mese di novembre 2018, fino ad allora il generale torinese continuerà a svolgere le proprie funzioni e il ruolo verrà ricoperto dall’attuale presidente, il generale Mikhail Kostarakos, in carica dal 6 novembre del 2016. La decisione è stata presa a seguito di una votazione avvenuta il 7 novembre a Bruxelles tra i 27 Capi di Stato Maggiore della Difesa dei Paesi membri. Il comitato  militare è stato istituito nel 2001, ha il compito di dirigere tutte le attività militari nel quadro dell’UE. Claudio Graziano ricoprirà dunque la più alta carica militare in questo ambito, lavorerà in quanto tale a stretto contatto con il rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione, incarico che ad oggi ricopre Federica Mogherini. Avrà il compito di presentare pareri e decisioni di natura militare presso il comitato Politico e di Sicurezza (PSC), oltre che a fornire linee guida e direttive al Direttore Generale dello European Union Military Staff (EUMS). Che Graziano fosse uno dei favoriti a rivestire la carica non era un mistero, soprattutto dopo che, due mesi fa, sfumò la sua nomina a presidente del Comitato militare della Nato, incarico andato `a sorpresa´ al generale britannico Stuart Peach. Claudio Graziano, nella sua prima dichiarazione a commento dell’incarico, ha ringraziato in primo luogo tutti i Capi di Stato Maggiore della Difesa, definendosi onorato per la nomina ottenuta, soffermandosi anche sul governo e sulla Senatrice Roberta Pinotti: “Desidero esprimere la mia gratitudine al Governo, e in particolare al Ministro della Difesa, Senatrice Roberta Pinotti, per il pieno supporto alla mia candidatura. All’attuale Chairman, il Generale Mikhail Kostarakos, rivolgo un caloroso ringraziamento per lo straordinario lavoro svolto”, ha proseguito  Graziano. Finiti i ringraziamenti ha fatto il punto sulla propria situazione: “Desidero confermare la totale abnegazione con il quale porterò avanti, con orgoglio, la carica di Capo di Stato Maggiore della Difesa” anticipando che :“Una volta in carica, mi impegnerò al massimo delle mie capacità per rafforzare ulteriormente l’autorevolezza del Comitato Militare, per contribuire fattivamente al progetto di realizzazione della Difesa europea e per garantire che l’Unione Europea sia pienamente in grado di rispondere alle nuove sfide sulla sicurezza”.

Non si sono fatte attendere le congratulazioni da parte della Pinotti “Questo importante traguardo è il riconoscimento da parte dell’Unione Europea dell’impegno del Paese e delle Forze armate italiane. Al Generale Graziano il mio più sentito ringraziamento per la dedizione, l’orgoglio, la professionalità e l’umanità con le quali ha operato in qualità di Capo di Stato Maggiore della Difesa”. L’Italia aveva già ottenuto la guida dell’alto consesso con il Generale Rolando Moschini, che ricoprì questo ruolo 2004 al 2006.

NATO: Aeronautica Militare , conclusa la missione di rinforzo alla difesa aerea in Bulgaria

Difesa/EUROPA di

Si è conclusa la missione “Bulgarian Horse”, condotta nell’ambito dell’operazione “Enhanced Air Policing” della NATO nei cieli della Bulgaria. L’attività di Air Policing è cominciata a partire dagli anni cinquanta e consiste nella continua sorveglianza e identificazione di tutte le violazioni all’integrità dello spazio aereo NATO, prevede l’integrazione, in un unico sistema, delle procedure missilistiche e di difesa dei paesi membri . In particolare nella missione “Bulgarian Horse”, l’Italia ha partecipato dal 1° luglio 2017, mettendo a disposizione quattro Eurofighter Typhoon dell’Aeronautica Militare con relativi piloti, tecnici e specialisti (in tutto circa 110 militari) . Il personale ha contribuito ad  integrare la difesa dello spazio aereo della Repubblica bulgara,  sono stati distaccati infatti controllori della Difesa Aerea italiani presso il Centro di Riporto e Controllo  di Sofia, al fine di fornire  assistenza e supervisione ai colleghi bulgari.  La missione è durata a partire da Luglio 2017 fino a ottobre dello stesso anno. In quatto mesi la Task Force Air ha effettuato 550 ore di volo con 85 Scrumble simulati, ossia la tecnica militare che prevede di far decollare un caccia intercettore al fine di identificare aerei sconosciuti. Queste operazioni sono state condotte con lo scopo di migliorare la prontezza operativa della TFA. E’ bene sottolineare, punto centrale dell’operazione “Enhanced Air Policing,  che molte di queste missioni sono state svolte congiuntamente ai piloti bulgari al fine di standardizzare le procedure dei due paesi NATO e migliorare la flessibilità degli assetti dell’alleanza. Alla cerimonia di chiusura, tenuta presso la base aerea Graf di Ignatievo,  erano presenti  il Generale di Squadra Aerea Fernando Giancotti e Silvano Frigerio, Comandante delle Forze da Combattimento dell’Aeronautica Militare, mentre la Bulgaria era rappresentata dal Comandante Ivan Lalov. Fernando Giancotti è intervenuto ringraziando  il comandante della TFA Moris Ghiadoni e più in generale tutto il personale che ha preso parte alla missione, “Il nostro essere qui insieme è un grande segno del percorso verso la pace. Ma la pace non deve essere data per certa va perseguita giorno dopo giorno” ha dichiarato nel proprio discorso. Non si sono fatti attendere i ringraziamenti anche da parte del colonnello Ghiadoni che si è espresso enfatizzando il rapporto di collaborazione istauratosi tra il personale italiano e quello bulgaro; “questo tipo di sinergia è il fattore che ha permesso di raggiungere i risultati da entrambe le nazioni”.

Redazione
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