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EUROPA - page 29

Francia, a Parigi “tracce minime” di Covid-19 nell’acqua non potabile

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Il 19 aprile, nella capitale francese, il laboratorio dell’azienda comunale “Eau de Paris”, in collaborazione con l’Università Inserm-Sorbonne, ha scoperto “tracce minime” di Covid-19 su 4 dei 27 punti testati della rete idrica non potabile. In virtù del principio di precauzione, è stato immediatamente sospeso l’uso della rete idrica in questione. Secondo il Comune di Parigi non vi è alcun rischio per l’acqua potabile: questa dipende da un’altra rete idrica indipendente e non presenta alcuna traccia del virus, pertanto ne è stato confermato l’uso senza alcun rischio.

Le reti idriche parigine e il principio di precauzione

A Parigi coesistono due reti idriche indipendenti, quella dell’acqua potabile (2.000 km) e quella dell’acqua non potabile (1800 km), una specificità ereditata dal XIX secolo e dal barone Haussmann.

L’acqua potabile proviene da due origini: dalle acque sotterranee e da due impianti di epurazione, dove subisce trattamenti permanenti multi-barriera, intesi a rimuovere tutte le tracce di inquinamento ed agenti patogeni, compresi i virus. “La rete idrica non potabile è fornita dalla cosiddetta acqua grezza, prelevata dalla Senna e dal canale Ourcq, ed instradata senza pesanti trattamenti” ha spiegato il Comune di Parigi, il quale ha precisato che la rete contaminata “viene utilizzata per innaffiare alcuni parchi e giardini, per pulire le strade e per far funzionare i laghi e le cascate di parchi e boschi, nonché alcune fontane ornamentali in parchi o giardini attualmente chiusi al pubblico”.

“Queste sono piccole tracce ma comunque tracce, quindi abbiamo deciso di applicare il principio di precauzione in modo da analizzare i possibili rischi” ha spiegato Célia Blauel, vicesindaca di Parigi, responsabile per le questioni ambientali e presidente del consiglio di amministrazione di Eau de Paris. “Nel contesto di crisi sanitaria, abbiamo rafforzato il nostro programma di monitoraggio sull’acqua potabile e acqua non potabile” ha aggiunto la vicesindaca.

Nel frattempo, con la chiusura della rete idrica dell’acqua non potabile, per disinfettare la città, le strade saranno pulite con acqua potabile mescolata con candeggina (cloro), con il disappunto di molti, poichè l’acqua di deflusso finisce nelle stazioni di purificazione, quindi nei fiumi e negli oceani.

Le indicazioni degli esperti

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il mantenimento del Covid-19 nell’acqua potabile non è impossibile. Studi su virus simili dimostrano una durata di due giorni in acqua non clorata a 20 ° C. Tuttavia, il rischio di contaminazione tramite le reti di acqua potabile è considerato “basso”. A metà marzo, l’OMS ha, infatti, riferito che ad oggi non vi sono prove della persistenza del virus né nell’acqua potabile né nelle acque reflue, così come non vi è alcuna prova che il coronavirus possa essere trasmesso attraverso l’acqua potabile contaminata.

Nonostante la persistenza del Covid-19 nell’acqua potabile non possa essere definita impossibile, l’OMS avverte che i metodi di trattamento delle acque “dovrebbero annullare il Covid-19”. “I trattamenti forniti dalle fabbriche di acqua potabile eliminano qualsiasi rischio di contaminazione”, ha sottolineato anche Antoine Frérot, CEO di Veolia, un gigante globale del settore. Eau de Paris, che serve tre milioni di utenti nella capitale, ha spiegato che le sue fabbriche hanno istituito “diversi trattamenti successivi per eliminare tutti i virus, in particolare attraverso l’ozonizzazione, la disinfezione UV e clorazione”.

La concentrazione del virus è molto bassa nell’acqua e non si può affermare se sia contagioso o meno a questo livello. Su questo punto, Karine Lacombe, Capo del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Saint-Antoine di Parigi, è fiduciosa. Anche se “sappiamo che c’è materiale genetico, il virus non può moltiplicarsi nell’ambiente, perché ha bisogno di cellule umane e di prendere gli enzimi” ha dichiarato.

Portando avanti le loro indagini, i ricercatori hanno capito che la quantità di virus rilevata nelle acque reflue potrebbe essere un “buon indicatore per monitorare il numero di malati”, come ha spiegato Laurent Moulin, capo del laboratorio di ricerca e sviluppo di Eau de Paris. “Dal 5 marzo abbiamo effettuato un test al giorno per lo screening del virus nelle acque reflue in tre impianti di trattamento (misurazione del carico vitale mediante la cosiddetta tecnica PCR) e abbiamo scoperto che la quantità del genoma virale stava diminuendo” ha dichiarato Vincent Maréchal, professore di virologia alla Sorbona e ricercatore all’Inserm. “Ciò conferma indirettamente una minore circolazione del virus, e quindi l’efficacia del contenimento” ha sottolineato. Essendo semplice, veloce, economico, tale studio è un buon potenziale strumento per trasmettere ai paesi che non hanno i mezzi per testare le persone asintomatiche in ospedale, ha dichiarato Maréchal. Quest’ultimo sta cercando di attuare questo metodo con urgenza, in particolare in Africa, con l’aiuto dell’OMS e dell’Armed Biomedical Research Institute (IRBA).

Flussi migratori e Covid-19: la Commissione europea presenta linee guida per gli Stati membri

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Nel pieno dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19, le pressioni alle frontiere esterne dell’Unione non sono scomparse. I flussi migratori non si fermeranno in questa nuova crisi e l’Unione dovrà certamente occuparsene ora ed in futuro.

Il 16 aprile la Commissione europea ha presentato le linee guida per l’attuazione delle pertinenti norme dell’UE in materia di asilo, procedure di rimpatrio dei migranti e reinsediamenti dei profughi durante l’emergenza del coronavirus. Ciò risponde alla richiesta di consulenza invocata dagli Stati membri su come garantire la continuità delle procedure ed il rispetto dei diritti fondamentali.

I flussi migratori al tempo del Covid-19

Nel giro di pochi mesi si è passati dal timore di una nuova stagione di sbarchi, alla tensione in prossimità della frontiera greco-turca, fino a giungere all’emergenza dovuta al coronavirus, durante la quale i riflettori sul tema dei flussi migratori sembrano apparentemente spenti.

L’Unione europea si è materializzata fisicamente e simbolicamente il 4 marzo al confine tra Grecia e Turchia, quando la tensione fra le forze dell’ordine greche ed i profughi siriani, che tentavano di entrare in Grecia e dunque in Europa, era arrivata all’apice. La Presidente della Commissione europea, il Presidente del Consiglio e quello dell’Europarlamento, si sono dunque recati al confine per testimoniare solidarietà alla Grecia. Ursula von der Leyen, in quell’occasione, ha promesso 700 milioni ad Atene e ha parlato della Grecia come uno scudo per l’Europa, mostrando il volto di un’Unione europea molto diversa da quella del 2015, quando, in qualità di patria dei diritti umani, accoglieva i profughi in fuga dal conflitto. Oggi, l’Europa sembra difendersi dagli stessi.

In linea con questo atteggiamento di chiusura, nella gestione dell’emergenza sanitaria, il 17 marzo i 27 stati membri dell’UE hanno deciso di prendere tutte le misure necessarie per impedire qualsiasi ingresso non essenziale in Europa proveniente da Paesi terzi, per un periodo iniziale di 30 giorni, poi prorogato fino al 15 maggio. Da allora tutti gli Stati membri dell’UE-eccetto l’Irlanda-e i paesi Schengen non appartenenti all’UE, hanno assunto decisioni nazionali per attuare questa misura restrittiva. Le restrizioni ai viaggi si estendono anche alle persone bisognose di protezione internazionale o per altri motivi umanitari, nel rispetto del principio di non respingimento.

Al contempo, il coronavirus sembra bloccare le intenzioni di approdare in Europa: gli sbarchi si sono ridotti di circa l’80% in pochi giorni. Ciò vale per chi parte dai Paesi in cui le condizioni di vita possono essere definite “accettabili”. Mentre dalla Libia si continua ancora a partire: qui però i migranti spesso vengono intercettati dalla Guardia costiera libica e riportati indietro. La situazione è così più complessa di quello che appare. Malgrado il crollo degli sbarchi e l’attenzione focalizzata sull’emergenza sanitaria attuale, il tema dei migranti resta dunque centrale.

Le linee guida della Commissione europea

Il 16 aprile la Commissione europea, in collaborazione con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), nonché delle autorità nazionali, ha presentato delle linee guida l’attuazione delle pertinenti norme dell’UE in materia di asilo, procedure di rimpatrio dei migranti e reinsediamenti dei profughi durante l’emergenza del coronavirus.

In merito alle procedure di asilo è stato sottolineato come le misure sanitarie adottate per limitare l’interazione sociale tra il personale ed i richiedenti abbiano un impatto notevole sui processi di asilo, pertanto, si raccomanda l’applicazione della flessibilità prevista dalle norme dell’UE. In particolare, la massima flessibilità dovrebbe essere consentita in relazione alle scadenze ed alla durata del trattamento e dell’esame delle richieste d’asilo. Per quanto riguarda le interviste personali, necessarie all’espletazione del processo di richiesta d’asilo, queste possono essere condotte mediante accordi specifici, da remoto tramite videoconferenza o addirittura omesse se necessario.

Una stretta cooperazione tra gli Stati membri è di fondamentale importanza per il buon funzionamento del sistema di Dublino. La Commissione incoraggia tutti gli Stati membri a riprendere i trasferimenti dei richiedenti il prima possibile, alla luce delle circostanze in evoluzione. Prima di effettuare qualsiasi trasferimento, inoltre, è necessario considerare la situazione relativa al coronavirus, compresa quella risultante dalla forte pressione sul sistema sanitario, nello Stato membro responsabile. Laddove i trasferimenti verso lo Stato membro normalmente responsabile non possano aver luogo entro il termine applicabile, gli Stati membri possono concordare bilateralmente il trasferimento in una data successiva, la quale deve essere incoraggiata ad esempio per i minori non accompagnati e nei casi di ricongiungimento familiare.

Con riguardo alle condizioni di accoglienza, le misure di quarantena e di isolamento devono essere ragionevoli, proporzionate e non discriminatorie. I richiedenti asilo devono ricevere l’assistenza sanitaria necessaria. Coloro che sono in detenzione devono continuare ad avere accesso all’aria aperta e qualsiasi restrizione, come la limitazione dei visitatori, deve essere spiegata con attenzione.

In linea con il regolamento Eurodac- European Dactyloscopie- laddove non sia possibile prendere le impronte digitali di un richiedente a causa delle misure adottate per proteggere la salute pubblica, gli Stati membri dovrebbero provvedere il prima possibile e comunque entro 48 ore dal cessare di tali motivi di salute.

 

Gli Stati membri dell’UE, nonché l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) hanno temporaneamente sospeso le operazioni di reinsediamento e rimpatrio. Le attività preparatorie, tuttavia, dovrebbero continuare nella misura del possibile, affinché tali operazioni possano riprendere una volta cessate le misure restrittive. Oggi più che mai è opportuno dare priorità ai rimpatri volontari, nell’ottica secondo cui esse rappresentano un rischio inferiore per la salute e la sicurezza. A tal proposito, l’agenzia europea Frontex è pronta ad assistere gli Stati membri nell’organizzazione delle operazioni aeree.

Nel ribadire il sostegno agli Stati membri nell’attuazione di tali linee guida, la Commissione europea ha annunciato che le stesse saranno integrate da incontri tematici organizzati dalle agenzie dell’UE, al fine di fornire consigli pratici e facilitare la condivisione delle migliori pratiche.

Aiuti di Stato, la Commissione approva il doppio regime di garanzia dell’Italia: via libera al Decreto Liquidità

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Il 14 aprile 2020, la Commissione europea ha approvato un pacchetto di aiuti nell’ambito del temporary framework previsto per gli aiuti di Stato: le misure di garanzia approvate dall’UE rientrano nelle norme previste nel Decreto Liquidità. Con due decisioni diverse, Bruxelles ha approvato delle misure a sostegno dell’economia di circa 200 miliardi e delle garanzie a sostegno di lavoratori autonomi, PMI e imprese a media capitalizzazione che risentono dell’emergenza coronavirus. In questo periodo, gli aiuti di Stato diventano fondamentali per le imprese: la Commissione ha adottato 54 decisioni per dare il via libera a 66 misure nazionali notificate dai governi di 22 Stati membri e del Regno Unito.

Il regime generale

Il primo dei due regimi approvati dalla Commissione europea riguarda un regime di aiuti a sostegno dell’economia italiana. Nell’ambito del temporary framework previsto in materia di aiuti di Stato, l’Italia ha notificato alla Commissione le misure di garanzia per i nuovi prestiti concessi dalle banche a sostegno delle imprese colpite dall’emergenza Covid-19. Sarà l’agenzia statale SACE ad erogare gli aiuti alle imprese attraverso gli enti finanziari. L’obiettivo è di limitare i rischi associati all’erogazione di prestiti alle imprese maggiormente colpite dall’impatto economico del coronavirus, aiutandole a coprire il fabbisogno immediato di capitale di esercizio e per gli investimenti. Per questo regime, le autorità italiane hanno comunicato un bilancio totale di 200 miliardi di euro: la Commissione lo ha approvato, constatando che la misura è in linea con le condizioni del quadro temporaneo: si tratta di una misura necessaria, opportuna e proporzionata a quanto necessario per porre rimedio alla crisi economica.

La Vicepresidente esecutiva della Commissione, responsabile della politica di concorrenza, Margrethe Vestager, ha dichiarato: “Il regime di garanzia dell’Italia con un bilancio totale di 200 miliardi di euro consentirà di ottenere garanzie pubbliche su nuovi prestiti e sul rifinanziamento di quelli esistenti per tutte le imprese, comprese le grandi”, aggiungendo “Continueremo a lavorare in stretta collaborazione con gli Stati membri per garantire che le misure di sostegno nazionali possano contribuire ad attenuare gli effetti dell’emergenza del coronavirus”.

Il regime per lavoratori autonomi e PMI

La seconda approvazione di Bruxelles riguarda i lavoratori autonomi e le imprese con un massimo di 499 dipendenti che risentono dell’emergenza coronavirus, dopo la notifica del regime di aiuti dell’Italia. Nell’applicare tale regime, gli enti finanziari potranno erogare sostegni dal fondo statale di garanzia per le PMI sotto forma di: garanzie di Stato sui prestiti per gli investimenti e per il capitale di esercizio; sovvenzioni dirette sotto forma di rinuncia alla commissione applicabile alle garanzie concesse. L’obiettivo di tale regime è sopperire al fabbisogno immediato di capitale, di esercizio e per gli investimenti, così da consentire alle imprese di procedere con la loro attività. In particolare, si possono concedere garanzie su prestiti che coprono il 100% del rischio fino al valore di 800.00 euro per impresa, oppure in tutti gli altri casi (garanzie che coprono fino al 90% del rischio legato ai prestiti, l’importo del prestito limitato a quanto necessario in termini di liquidità, le garanzie saranno concesse fino a dicembre 2020, hanno durata non superiore a sei anni e si tratta di premi in linea con il quadro contemporaneo).

“Questo regime consentirà all’Italia di concedere garanzie di Stato per sostenere i lavoratori autonomi, le PMI e le imprese a media capitalizzazione che si trovano in difficoltà a causa dell’emergenza coronavirus” ha dichiarato la Vestager, aggiungendo “La misura […] aiuterà le imprese più piccole a sopperire al fabbisogno immediato di capitale di esercizio e per gli investimenti, permettendo loro di portare avanti le loro attività”.

Il via libera al Decreto Liquidità

L’approvazione dei due regimi da parte della Commissione europea serve a garantire le misure previste dal Decreto Liquidità. Con la pubblicazione del decreto-legge il 6 aprile scorso e la sua approvazione, sono diventate operative le misure a supporto di imprese e lavoratori autonomi, così come è attivo anche il Fondo di Garanzia. Si può fare richiesta per accedere alle garanzie statali con finanziamenti fino a 25.000 euro attraverso un modulo reso disponibile dal Ministero del Lavoro e compilabile online. Vincenzo Amendola, ministro per gli Affari europei, ha commentato positivamente l’approvazione della Commissione europea: “Una buona notizia: la Commissione UE ha autorizzato in tempi record gli Aiuti di Stato di 200 miliardi del #DLimprese. Misure del Governo che permettono una forte iniezione di liquidità a favore del tessuto produttivo e con cui tendiamo la mano a PMI e lavoratori autonomi” scrive il ministro su Twitter.

Repubblica Ceca, scontro tra Governo e Parlamento per lo Stato di emergenza

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L’emergenza del virus Covid-19, diffuso in tutto il mondo, ha comportato l’adozione di misure anche in Repubblica Ceca, dove sin da subito sono stati presi importanti provvedimenti. Attualmente, lo stato di emergenza, e le misure che questo comporta, è stato prolungato dall’11 al 30 aprile, non senza discussioni tra Parlamento e Governo. In una riunione straordinaria di giovedì 9 aprile, i ministri hanno inoltre discusso di vari cambiamenti nelle misure di emergenza già annunciati e hanno anche approvato l’assistenza finanziaria a istituzioni culturali statali e non statali. Hanno infine deciso di rafforzare il coinvolgimento dell’esercito ceco nell’affrontare la pandemia di coronavirus, con altri 2.000 soldati.

La richiesta del Governo

Il 7 aprile scorso, Il primo ministro Andrej Babiš ha chiesto alla Camera dei deputati di prorogare di un mese lo stato di emergenza sull’epidemia di coronavirus. Lo Stato di emergenza è stato infatti dichiarato il 12 marzo e può avere durata massima di un mese. Nell’esporre la sua richiesta, il Primo ministro ha affermato “non voglio che le libertà siano limitate un secondo in più di quanto sia assolutamente necessario”; ha sottolineato i pilastri su cui è stata costruita l’UE, come la libera circolazione delle persone, e ha riconosciuto che la democrazia differisce dalla dittatura per la sua cura per ogni singola vita umana. Nel suo discorso, ha riconosciuto l’imprevedibilità della situazione in cui ci si trova e l’impossibilità di promettere ai parlamentari di prolungare lo Stato di emergenza per l’ultima volta, pur considerando l’essenziale aspetto della ripresa economica. “Oltre a fermare l’epidemia, il nostro compito fondamentale è far funzionare l’economia. Soprattutto dobbiamo sopravvivere nei primi mesi che potrebbero essere difficili” ha affermato Babiš. Le sue azioni hanno come obiettivo il controllo dell’epidemia, evitando di sovraccaricare il sistema sanitario attraverso l’isolamento dei positivi al Covid, tenendo sotto controllo la diffusione.

Il voto in Parlamento

Vista la scadenza il 12 aprile, è stata richiesta la proroga dello Stato di emergenza fino all’11 maggio. In una sessione di emergenza di sette ore, il 7 aprile i parlamentari cechi hanno discusso di queste misure, ma hanno approvato un’estensione dello stato di emergenza fino alla fine di aprile, anziché approvare la data dell’11 maggio proposta dal governo. Novanta dei 101 parlamentari presenti hanno votato a favore dell’estensione dello stato di emergenza fino al 30 aprile. I parlamentari dei TOP 09 (partito liberal-conservatore), STAN (sindaci e indipendenti) e Tricolor (partito euroscettico e conservatore) erano contrari a prolungare lo stato di emergenza, in gran parte a causa della mancanza di un piano chiaro presentato dal governo per le prossime settimane, e hanno proposto una proroga di sole due settimane. “Nessuno di noi ha un piano dettagliato con punti A, B, C o D, su come possiamo gestire l’epidemia, perché la situazione è in continua evoluzione”, ha affermato il ministro dell’Interno Hamáček, in difesa su questo punto. Di diverso avviso sono stati il Partito Pirata, il Partito Comunista e l’SPD di estrema destra, che hanno suggerito la fine del mese.
I 101 deputati presenti hanno quindi votato separatamente su ciascuna proposta; 36 hanno votato a favore della proroga di 14 giorni, 48 a favore della proroga di 30 giorni del governo e 84 a favore della scadenza del 30 aprile. Nella votazione finale sull’opzione più popolare, l’estensione fino al 30 aprile è passata di 90 voti a 5. Sulla base di quanto votato in Parlamento, il governo ceco ha approvato, nella riunione del 9 aprile, l’estensione dello Stato di emergenza fino al 30 aprile 2020.

Le prime misure allentate

Lo stato di emergenza consente alle attuali misure, imposte per affrontare l’epidemia di coronavirus, di rimanere in vigore, dando al governo il diritto di limitare gli spostamenti e i viaggi, così come la libertà di movimento e di decidere sulla chiusura delle imprese. Inoltre, consente al governo di riuscire ad ottenere tutto ciò che è necessario per gestire la crisi sanitaria in modo più rapido e semplice, evitando le normali procedure come i contratti di appalto soliti, usati per le forniture di servizi. Babiš ha voluto comunque sottolineare che in alcun modo lo stato di emergenza verrà utilizzato per tornare ad uno Stato onnipotente nel senso dei pieni poteri, rassicurando la popolazione che le misure verranno revocate al più presto.
Infatti, nonostante il prolungarsi dello Stato di emergenza, le norme anti-coronavirus del governo hanno iniziato ad essere allentate, a partire dalla scorsa settimana con l’apertura di alcuni negozi e impianti sportivi. Il ministro della sanità ceco, Adam Vojtěch, ha dichiarato che ulteriori misure sarebbero state allentate e che sarebbero stati riaperti altri negozi dopo le vacanze di Pasqua. Tuttavia, il tutto è accompagnato da norme igieniche più rigorose che devono essere osservate in tutti i negozi aperti. In aggiunta, il governo consente di compiere attività di sport all’aria aperta, come la corsa o il ciclismo, purché si compiano in solitaria. Dal 14 aprile infine, i cittadini cechi e stranieri con residenza permanente o temporanea di oltre 90 giorni possono di nuovo di viaggiare all’estero, in casi necessari e chiaramente giustificati, come lavoro, salute e visite mediche o assistere membri della famiglia in difficoltà. Tuttavia, a causa della diffusione del virus, i confini rimangono chiusi e i cittadini stranieri non possono entrare nel paese: per chi torna a casa dopo un periodo all’estero è previsto l’isolamento per 14 giorni ed è ancora obbligatorio l’uso di mascherine negli spazi pubblici.

Il discorso di Macron: in Francia “déconfinement” graduale dopo l’11 maggio

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Il 13 aprile, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, si è rivolto nuovamente al Paese in un discorso di 30 minuti, in cui ha annunciato l’estensione almeno fino all’11 maggio delle misure restrittive in vigore per contenere la pandemia da coronavirus. Macron ha confermato tutti gli aiuti messi in campo per sostenere le imprese e ha ricordato i meriti del personale sanitario. Il Presidente francese ha, altresì, ammesso i problemi riscontrati dalla Francia nella gestione della crisi attuale-come l’insufficienza di mascherine e test- ed ha spiegato che le prossime settimane di “confinement” serviranno proprio a risolvere tali problemi, oltre che ad introdurre forme di aiuto economico più inclusive e a definire la fase due.

 Il discorso del Presidente francese

 Il lockdown deve ancora continuare anche se la pandemia da Covid-19, il cui bilancio si avvicina a circa 15.000 morti in Francia, sta iniziando a rallentare: è quanto affermato dal Presidente della Repubblica francese nella serata di lunedì, in diretta televisiva dal Palazzo dell’Eliseo. Per non vanificare “lo sforzo fatto da tutti” Emmanuel Macron ha così deciso di tenere ancora i francesi a casa e l’appuntamento per la ripresa è prorogato a dopo l’11 maggio.

Dopo aver annunciato l’estensione del lockdown, aver ringraziato il personale sanitario ed aver fatto luce sui problemi francesi nella gestione dell’emergenza sanitaria, Macron ha affermato che sono in corso di definizione i tempi e le modalità della fase due, cioè del ritorno alla vita dopo aver superato almeno la fase più critica dell’emergenza dovuta al Covid-19. Il Presidente ha, così, dato un orizzonte ai francesi. “Il prossimo 11 maggio (…) sarà l’inizio di una nuova fase”, ha promesso il Capo dello Stato.

Dal giorno della fine del lockdown, gli ospedali, i laboratori di analisi, i medici di famiglia, dovranno essere in grado di testare chiunque al primo sintomo e metterlo in quarantena immediatamente. Dopo l’11 maggio, se il numero dei contagi sarà diminuito, Macron spera di riaprire le scuole-ma non i licei- e le università, la cui chiusura aumenta le diseguaglianze sociali, soprattutto nei quartieri popolari e nelle campagne francesi. Non tutti i bambini, infatti, hanno a disposizione strumenti digitali o l’aiuto dei genitori. “Vedremo dopo due settimane di riapertura se l’impatto è negativo”, ha affermato Pascal Crépey, epidemiologo presso la School of Advanced Studies in Public Health (EHESP).

 

Dopo l’11 maggio il Presidente francese vorrebbe anche riaccendere il motore economico del Paese, di concerto con le imprese. “L’11 maggio si tratterà di consentire a quante più persone possibile di tornare al lavoro, di riavviare il nostro settore, le nostre attività e i nostri servizi”, ha dichiarato nel suo discorso. “Le persone anziane e i più vulnerabili” rimarranno invece ancora a casa per scongiurare un contagio. Per lo stesso motivo, non potranno ancora riaprire bar, ristoranti, alberghi, teatri, sale da concerto e musei. “I principali festival ed eventi con un vasto pubblico non potranno essere tenuti almeno fino a metà luglio prossimo”, ha aggiunto Macron, indicando che “la situazione sarà valutata collettivamente da metà maggio, ogni settimana”. Ogni francese sarà “dotato di una mascherina per la circolazione in pubblico”, l’obbligo di indossarla potrebbe, infatti, diventare “sistematico”, in particolare sui mezzi pubblici.

“La speranza rinasce, ma nulla è già acquisito”, ha avvertito il Presidente, precisando che non bisognerà abbassare la guardia ed allentare i controlli, bensì, sarà necessario continuare a rispettare le misure di precauzione, poiché il virus probabilmente non sarà debellato presto e sarà necessario imparare a conviverci. “Le regole potrebbero essere adattate in base ai nostri risultati, perché l’obiettivo principale rimane la salute di tutti i francesi” ha insistito il Presidente. Il confinamento, in quest’ottica, sarebbe revocato gradualmente.

Infine, Emmanuel Macron, nel suo discorso, ha altresì invitato l’Europa ad una “maggiore audacia” ed i Paesi più ricchi a “ridurre in modo massiccio” il debito degli Stati africani.

 Le reazioni politiche

 Quella di Macron è una scelta politica non priva di rischi. Il suo annuncio è stato, infatti, immediatamente criticato dall’opposizione.

A destra, il Presidente dei repubblicani, Christian Jacob, ha invocato una gestione della crisi che includa un buon uso della logistica. Intervistato da Agence France-Presse (AFP), Jacob ha spiegato: “Tutto ciò dipenderà dalla sua capacità di suonare realmente la mobilitazione generale. Le parole non saranno più sufficienti. Possiamo vedere il ritardo che abbiamo in mascherine, attrezzature, test, ecc. Ora dobbiamo anticipare la ripresa economica, settore di attività per settore di attività”.

A sinistra, il Segretario del Partito Socialista, Olivier Faure, ha chiesto anche lui di verificare che le condizioni logistiche siano soddisfatte. “Per l’11 maggio abbiamo bisogno di garanzie di fattibilità, vedremo, è un obiettivo ambizioso, che dobbiamo condividere, dobbiamo mettere tutti i nostri sforzi insieme per raggiungerlo” ha ammonito in un programma in onda sul canale televisivo TF1.

All’estrema destra, il vicepresidente di Rassemblement National (RN), Jordan Bardella, ha descritto il graduale “deconfinamento” delle scuole come “estremamente pericoloso”. “Il Capo dello Stato ha indicato che renderebbe possibile il test per tutte le persone che presentano sintomi, eppure sappiamo che il 50% delle persone infette dal coronavirus è asintomatico e, tra questi asintomatici, ci sono anche molti bambini; quindi iniziare il deconfinamento rimettendo migliaia di bambini nelle classi scolastiche, lo trovo estremamente pericoloso, lo trovo una decisione sbagliata” ha dichiarato Bardella. Anche il leader dei deputati di La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, considera “estremamente pericoloso” il piano annunciato da Macron, descritto anche dagli ecologisti come una “una follia”.

Le prossime settimane, dunque, saranno un banco di prova per il Governo francese.

“We will meet again”: il quarto discorso nella storia del regno della Regina Elisabetta

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Domenica 5 aprile, la Regina d’Inghilterra ha rotto il suo tradizionale silenzio per parlare alla nazione: è il quarto discorso in 68 anni di regno. Alle 19, la sovrana inglese ha ringraziato il governo e la popolazione per gli sforzi fatti finora per contenere la diffusione del coronavirus ed ha richiamato gli inglesi all’autodisciplina: nessun pericolo solo se tutti rispettano le regole date dal Governo.

Un discorso storico

Ancora prima dei contenuti, il discorso della Regina Elisabetta è di per sé un fatto storico. Nei suoi 68 anni di regno -il più lungo della monarchia inglese- la sovrana ha parlato ai suoi cittadini soltanto quattro volte. Tradizionalmente la Regina parla agli inglesi solo il giorno di Natale: in ossequio alla regola aurea della monarchia, fin dalla Gloriosa Rivoluzione del 1688, la monarchia inglese non interferisce mai nelle vicende politiche del Paese. L’ultima volta che la sovrana si era rivolta ai sudditi risale a 18 anni fa: nel 2002, in occasione della morte della mamma, la Regina Madre, Elizabeth Bowes-Lyon, moglie del Re Giorgio VI, vissuta 102 anni. La volta precedente, Elisabetta intervenne per un discorso anch’esso storico, per un’altra morte, quella di Lady Diana, nel 1997. Prima di allora, la Regina Elisabetta aveva parlato nel 1991, per la prima Guerra del Golfo contro Saddam Hussein.

Il discorso della Regina del 5 aprile ha ricordato quello che suo padre, il Re Giorgio VI, pronunciò nel 1939 alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale contro la Germania. Dopo 70 anni, dalla stessa località, ma stavolta con la presenza di una pandemia globale, la sovrana si rivolge alla Gran Bretagna- ed indirettamente ai governi mondiali- con il record personale di Capo di stato in carica da più tempo tra tutti i paesi del mondo.

Le parole della Regina

Elizabeth Windsor, alle ore 19 di Domenica 5 aprile, si è presentata sullo schermo dei sudditi vestita di verde, come per evocare la speranza. Ha parlato da una stanza del Castello di Windsor, fuori da Londra, dove la sovrana è stata trasferita per precauzione, assieme al marito, il Principe Filippo. Non era un discorso in diretta: è stato registrato giovedì scorso e mandato poi in onda domenica dalla BBC, a reti unificate, nell’ora di punta in cui inglesi sono a casa davanti alla televisione.

Nel suo discorso, durato cinque minuti, la sovrana ha descritto l’epidemia come “un momento di turbamento nella vita del nostro paese: un turbamento che ha causato dolore ad alcuni, difficoltà finanziarie a molti ed enormi cambiamenti alla vita quotidiana di tutti noi”.

Poi è stato il momento del ringraziamento speciale ai medici ed al personale del NHS-National Health System (l’equivalente del Servizio Sanitario Nazionale italiano): gli ospedali pubblici stanno, infatti, compiendo un lavoro notevole, oberati di casi positivi, con pochissimi posti letto per la terapia intensiva (5mila in tutto il paese, per una popolazione di 60 milioni).

In quello che ha definito un “messaggio profondamente personale” – sebbene nessun messaggio pubblico di un sovrano lo possa essere davvero- Sua Maestà ha fatto leva sull’orgoglio britannico, parlando di una nazione fondata sulla “autodisciplina”, i cui cittadini potranno in futuro raccontare di aver sconfitto il virus e superato la crisi con quel valore che ne ha decretato il successo nelle epoche passate: il rispetto delle regole. La Regina ha dichiarato di avere la speranza che negli anni a venire tutti siano orgogliosi di come gli inglesi hanno risposto a questa sfida. “L’orgoglio per ciò che siamo non è parte del nostro passato, ma definisce il nostro il presente e il nostro futuro” ha affermato.

La sovrana ha poi ricordato quando, durante la Seconda guerra mondiale, nel 1940, lei e sua sorella, la Principessa Margaret, che all’epoca avevano rispettivamente 14 e 10 anni, inviarono un messaggio via radio alla nazione rivolgendosi ai bambini che erano stati evacuati dalle proprie abitazioni: “Oggi, ancora una volta, molti sono addolorati dalla separazione dai propri affetti. Ma oggi, come allora, sappiamo nel profondo che questa è la cosa giusta da fare”.

Infine, Sua Maestà ha concluso il suo discorso con l’augurio che possano arrivare in futuro giorni migliori, e con una citazione di una famosa canzone del 1939 di Vera Lynn, diventata un simbolo di speranza per i soldati al fronte durante la Seconda guerra mondiale. “Dobbiamo consolarci che mentre potremmo avere ancora molto da sopportare, torneranno giorni migliori: saremo di nuovo con i nostri amici; saremo di nuovo con le nostre famiglie”- ha concluso la Regina- “We will meet again”.

Indisciplina dilagante e lo stato di salute di Boris Johnson

Dietro al discorso della Regina si cela un problema concreto: l’indisciplina dilagante dinanzi alle misure restrittive imposte dal governo inglese. Nella capitale Londra, la città con il picco di contagi e morti, le persone sembrano far fatica a seguire l’invito del Governo di rimanere a casa-“Stay at home”- tanto che il Ministro della Salute, Matt Hancok- risultato anche lui positivo al Covid-19- ha minacciato di vietare lo sport e le attività all’aperto se le persone continueranno a uscire.

Lo stesso Primo Ministro, è stato contagiato ed è stato in terapia intensiva all’ospedale St Thomas di Londra dal 6 al 9 aprile, dove gli è stato somministrato ossigeno per facilitare la respirazione, senza però ricorrere a ventilatori o a supporti respiratori invasivi. Un portavoce del governo ha dichiarato che Johnson si trova attualmente in un reparto dove “sarà attentamente seguito durante la prima fase di guarigione. È di ottimo umore”. Tutto è nelle mani del team di medici del Premier britannico, guidato dal dottor Richard Leach, la massima autorità medica specializzata in malattie polmonari in Regno Unito. Tra questi vi è il professore italiano Luigi Camporota, uno dei luminari oltremanica di problemi ai polmoni e ventilazione polmonare, proprio quello che serve in questo momento a Boris Johnson per uscire dalla terapia intensiva.

Il ricovero di Boris Johnson ha avuto come conseguenza anche il passaggio di consegne formale tra il Primo Ministro e Dominic Raab, suo vice e Segretario di stato. Raab si è fatto spesso portavoce delle decisioni del governo partecipando a programmi televisivi, campagne elettorali e dibattiti: a livello mediatico è considerato come la figura adatta per poter andare avanti nella gestione dell’emergenza e promuovere le decisioni dell’esecutivo inglese.

Eurogruppo, le divisioni sugli Eurobond e l’accordo sul MES

EUROPA di

Il 26 marzo i membri del Consiglio europeo hanno affrontato, in videoconferenza, la questione dell’emergenza da Covid-19: non riuscendo a trovare alcun accordo in merito alle misure da adottare per far fronte alla pandemia, i leader europei hanno rinviato il tutto di due settimane, incaricando i ministri di elaborare delle proposte. Dal 7 al 9 aprile si è svolto quindi l’Eurogruppo, l’organo che riunisce i ministri dell’economia e delle finanze, che continua ad essere centro di discussioni tra i leader europei, in particolare sulla decisione tra MES ed Eurobond: ciononostante, il 9 aprile sembra essere stato raggiunto un accordo.

Gli Eurobond

Quando si parla di Eurobond – chiamati anche Coronabond vista la causa dell’emergenza – si intende dei titoli di debito pubblico da cedere ai mercati finanziari in cambio di denaro in prestito, tramite i quali gli Stati dell’Eurozona diventano responsabili del debito in modo congiunto. L’idea di emettere Eurobond ha l’obiettivo di rendere i debiti nazionali dei paesi dell’area euro non distinguibili l’uno dall’altro. Gli Stati dell’eurozona si dovrebbero impegnare a condividere la responsabilità di ciascuno di essi.

Nel caso dei Coronabond, si tratterebbe di strumenti di creazione di debito comune, con garanzie a livello europeo, per chiedere credito ai mercati ed usare i soldi per dei fondi comuni da destinare ai paesi in difficoltà. Così facendo, si darebbe una garanzia maggiore di tutta l’Europa, e potrebbero abbassarsi i tassi di interessi che in alcuni paesi sono molto più alti che in altri, bilanciandosi tra di loro. È evidente quindi qual è il problema alla base della discussione tra i leader europei: in paesi come l’Italia, gli Eurobond sarebbero fondamentali per finanziare tutte le spese sostenute dal governo in questa fase di emergenza; in paesi come la Germania, gli Eurobond non porterebbero beneficio, anzi.

Quella che sembrava un’iniziale incomprensione tra i vari paesi dell’UE, è diventata una vera e propria discussione su due fronti, poiché i paesi del Nord hanno una visione opposta ai paesi del Sud: i primi propongono infatti l’utilizzo del MES.

Il Meccanismo europeo di stabilità

Il MES è l’istituzione europea che ha lo scopo di aiutare i paesi in difficoltà, opera come un normale fondo di investimento, che con il suo capitale vende e compra titoli, ma sembra funzionare come una sorta di assicurazione. Gli Stati membri del MES hanno infatti versato ingenti somme di denaro in risorse comuni, da far loro utilizzare in caso di difficoltà economica. Il problema del MES è che generalmente interviene inserendo delle condizioni subordinate alla consegna dei fondi, come ad esempio un piano di riforme, fare tagli alla spesa pubblica, intervenire sulle privatizzazioni e così via. Tuttavia, la situazione attuale di crisi risulta essere senza precedenti, e si richiede dunque una maggior flessibilità, un aiuto senza condizioni, in modalità emergenza. Anche in questo caso però non sono mancati gli scontri tra i leader europei: la proposta è stata inizialmente respinta dai paesi del Nord, più rigorosi sui conti pubblici, per poi essere approvata solo in parte, dopo ore di negoziati.

I due fronti di discussione all’Eurogruppo e l’accordo finale

Il 25 marzo scorso, Giuseppe Conte insieme ad altri otto leader europei (Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna), ha scritto una lettera a Charles Michel, il Presidente del Consiglio europeo. Facendo presente le enormi difficoltà che stanno attraversando a causa del Covid-19 e delle misure “senza precedenti” adottate per contenere la diffusione del virus, i Paesi sottolineano la necessità di allineare le prassi adottate in tutta Europa e di elaborare linee guida condivise. Infine, il Presidente Conte ha richiesto “uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia”.

I leader dei paesi europei firmatari hanno proposto lo strumento di debito comune anche in sede di Consiglio europeo, il 26 marzo. I paesi contrari alla sua creazione, principalmente Germania, Olanda, Austria e Finlandia, hanno mostrato massima resistenza in tutti gli incontri svolti fin ora, anche in quello del 7 aprile, nonostante le due settimane di pausa previste per i ministri per lavorare a delle nuove proposte economiche. Dopo circa 16 ore di riunione, conclusa di nuovo con un nulla di fatto, l’incontro è stato rimandato al 9 aprile. Il paese maggiormente contrario all’utilizzo di questo strumento è l’Olanda: il Parlamento ha approvato due risoluzioni che invitano il governo a non accettare gli Eurobond e ad esortare l’utilizzo del MES, l’alternativa proposta dal fronte del Nord Europa. Dello stesso avviso è la Germania: la cancelliera Merkel ha affermato “Non credo che si dovrebbe avere una garanzia comune dei debiti e perciò respingiamo gli Eurobond”, tuttavia, ha riconosciuto la situazione in cui si trova l’Italia ed ha quindi aggiunto “Ci sono così tanti strumenti di solidarietà che si possono trovare buone soluzioni”, oltre agli Eurobond. Ad essere favorevole agli Eurobond è invece l’Alto Rappresentante Borrell, che afferma “L’attività economica in Italia e Spagna è ferma, noi dobbiamo garantire che tutti possano andare sui mercati allo stesso modo per affrontare la crisi”.

La sera del 9 aprile, l’Eurogruppo ha finalmente trovato un accordo per una risposta congiunta alla crisi economica: “un pacchetto di dimensioni senza precedenti per sostenere il sistema sanitario, la cassa integrazione, la liquidità alle imprese e il Fondo per un piano di rinascita” ha twittato il Commissario Gentiloni, concludendo con “l’Europa è solidarietà”. Gli Eurobond non sono parte dell’accordo, che invece ha ad oggetto il MES. Questo fornirà assistenza finanziaria ai Paesi senza condizioni per sostenere il sistema sanitario e le spese mediche, e sarà disponibile per il sostegno economico ma a condizioni. Infine, si prevede la nascita di un Fondo possibilmente finanziato da titoli in comune, del valore di 500 miliardi di euro. “Abbiamo trovato un piano di rilancio dell’economia” afferma soddisfatto il presidente dell’Eurogruppo Centeno.

Francia, un uomo ha accoltellato i passanti a Romans sur Isère

EUROPA di

In pieno confinamento per combattere il coronavirus e in una Francia troppe volte colpita dal terrore, sabato 4 aprile, a Romans-sur-Isère, un comune a sud di Lione, un uomo ha ucciso due passanti e ne ha feriti altri cinque al grido di “Allah Akbar”. Quattro feriti sono in gravi condizioni. Secondo quanto si è appreso, l’attentatore è Abdallah Ahmed-Osman, un uomo di 33 anni con status di rifugiato in Francia dal 2017.

Il tragico evento

La Francia è attualmente bloccata a causa della pandemia coronavirus e le persone sono autorizzate ad uscire solo per acquistare i generi di prima necessità o per l’esercizio fisico. D’altro canto, il Paese è in allerta dal 2015, quando Parigi è stata colpita da una serie di attacchi attribuiti allo Stato islamico.

Sabato mattina, a Romans-sur-Isère, un uomo è entrato con un coltello in una tabaccheria, colpendo il titolare e successivamente sua moglie, accorsa in sua difesa. L’uomo è poi entrato in una macelleria e, impadronendosi di un altro coltello, l’ha usato prima contro un cliente e poi ha attaccato altre persone in strada, tra cui alcune in fila per acquistare il pane in una boulangerie.

Il proprietario della macelleria, Ludovic Breyton, ha testimoniato: “Ha preso un coltello, è saltato sul bancone e ha pugnalato un cliente, poi è fuggito. Mia moglie ha cercato di aiutare la vittima, ma invano”.

All’arrivo della polizia l’uomo si è inginocchiato e si è fatto arrestare senza opporre resistenza: stava pregando e l’unica cosa chiesta agli agenti che lo hanno fermato è stata “Uccidetemi”.

“Un atto efferato che semina lutto in un momento in cui la Francia è già messa a dura prova”, ha twittato il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, promettendo piena luce sull’atto odioso.

Le indagini in corso

Secondo gli inquirenti l’uomo non risultava schedato o pregiudicato. Dopo poche ore dal tragico evento, è giunto sul posto il Ministro dell’interno, Christophe Castaner, il quale di primo impatto ha dichiarato: “quest’uomo ha avviato un percorso terrorista”. Successivamente il Ministro si è corretto spiegando che spetterà alla Procura antiterrorismo pronunciarsi sulla natura e sull’eventuale carattere terroristico.

Nessun dubbio sulla matrice dell’aggressione per Marine Le Pen, la quale ha parlato di “attentato islamista” prendendosela con il governo di Macron, che, a sua detta, deve “smetterla di svuotare le carceri e i centri di accoglienza”.

Oltre alla Polizia giudiziaria di Lione, la sous-direction anti-terroriste (SDAT) e la Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI) sono state investite dell’indagine.

Il Parquet National Antiterroriste (PNAT), in un comunicato stampa, ha annunciato di aprire un’indagine per “omicidi connessi a un’organizzazione terroristica”. I primi elementi dell’indagine “hanno evidenziato un percorso omicida finalizzato a disturbare gravemente l’ordine pubblico attraverso l’intimidazione o il terrore”, ha dichiarato PNAT, aggiungendo che durante una perquisizione nella sua casa sono stati trovati “documenti scritti a mano con connotazioni religiose in cui l’autore si lamenta in particolare di vivere in un paese di miscredenti”. Le analisi dei suoi dispositivi telefonici ed informatici sono ancora in corso.

In totale, tre uomini di nazionalità sudanese sono attualmente in custodia di polizia: oltre all’ autore dell’attacco ed un secondo uomo presentato come “uno dei suoi conoscenti”, vi è “un giovane sudanese che viveva nella stessa casa”.

Polemiche e solidarietà

Il 6 aprile, sul canale televisivo TF1, Nicolas Canteloup, umorista e imitatore francese, ha provocato l’indignazione della sindaca di Romans-sur-Isère evocando l’attacco di due giorni prima: “È un dramma ma ciò ha permesso di far capire alla gente di Isère che non si dovrebbe uscire per strada e rimanere a casa …” ha dichiarato l’umorista. Marie-Hélène Thoraval ha, pertanto, reagito affermando: “Sono indignata per la città, per la sua popolazione, specialmente per le famiglie che sono in lutto, per le famiglie che hanno avuto vittime” aggiungendo che “Non possiamo ridere di tutto”.

Anche sui social network l’affermazione di Nicolas Canteloup è stata ampiamente criticata.

Oltre alle polemiche vi sono molteplici manifestazioni di solidarietà. Un’ iniziativa nella regione di Parigi ne è la prova: ogni sera, nel dipartimento di Hauts-de-Seine, viene proiettato un messaggio di supporto per gli operatori sanitari sulla facciata di un edificio. Lunedì sera, sono stati proiettati i volti di Julien Vinson e di Thierry Nivon, vittime dell’attacco a Romans-sur-Isère. L’autore è un residente di Clichy che vuole rimanere anonimo: ogni sera alle 20:00 prende parte, a modo suo, all’omaggio ed alla solidarietà della popolazione francese, proiettando dalla sua finestra con un videoproiettore da soggiorno. “Questi crimini riguardano tutti noi” queste le sue parole.

Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria condannate dalla Corte di giustizia dell’UE

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La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha condannato la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Ungheria affermando che i tre paesi Visegrad non hanno rispettato i loro obblighi nei confronti dell’UE poiché non si sono adeguate al meccanismo di ricollocamento dei migranti richiedenti asilo creato nel 2015. La Corte di giustizia ha risposto così al ricorso presentato dalla Commissione europea nei confronti dei tre Stati membri.

Il ricorso della Commissione

La Commissione dell’Unione Europea si è rivolta alla Corte di Lussemburgo presentando il ricorso contro la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Ungheria, con l’accusa di inadempimento di alcune decisioni del Consiglio. In particolare, i paesi si sono rifiutati di ospitare la loro quota di rifugiati assegnata loro per alleggerire l’onere dei paesi di Grecia e Italia, a seguito del picco di arrivi dal 2015. Il Consiglio, il 22 settembre 2015, ha adottato una decisione per ricollocare su base obbligatoria 120.000 richiedenti di protezione internazionale. Inoltre, la Corte considera la Polonia e la Repubblica ceca anche colpevoli di non aver adempiuto ai propri obblighi ai sensi di una precedente decisione del Consiglio, quella del 14 settembre dello stesso anno, nei confronti di 40.000 migranti richiedenti asilo. Dopo l’adozione di queste decisioni, la Polonia aveva indicato di poter ricollocare rapidamente nel suo territorio 100 persone, ma non diede mai seguito a questa decisione. L’Ungheria invece, non aveva indicato alcun numero di persone da accogliere. Quanto alla Repubblica Ceca, aveva dichiarato di poter ricollocare nel proprio paese 50 persone: di queste, solo 12 sono state effettivamente ricollocate dalla Grecia.

La decisione della Corte

Giovedì 2 aprile, la Corte di giustizia dell’UE ha condannato la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca per essersi rifiutate di conformarsi al meccanismo creato nel 2015, di fatto venendo meno ad un obbligo europeo. I tre paesi non si sono conformati a quanto previsto dal meccanismo e concordato dal Consiglio. In particolare, per quanto riguarda la Repubblica Ceca, la Corte ha dichiarato che ha mancato di indicare, almeno ogni tre mesi, il numero di richiedenti che era in grado di ricollocare rapidamente nel suo territorio, venendo meno agli obblighi previsti; ciò ha impedito all’Italia e alla Grecia di individuare i singoli richiedenti che potevano essere ricollocati nella Repubblica ceca, condannandola come richiesto dalla Commissione.
Per questi motivi, la Corte ha accolto i ricorsi presentati dalla Commissione europea ed ha stabilito che i tre Stati “non possono invocare né le loro responsabilità in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna, né il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocamento per sottrarsi all’applicazione del meccanismo stesso”. È necessario quindi che i paesi si conformino alla sentenza.
Tuttavia, un portavoce della Commissione europea, rispondendo alle domande dell’ANSA, ha dichiarato che “Con la scadenza di entrambe le decisioni sui ricollocamenti, non c’è modo per rimediare all’infrazione”, ma ha aggiunto “la decisione è però importante perché fa chiarezza sulla responsabilità degli Stati membri, e guiderà il lavoro dell’Esecutivo Ue per il futuro”. “La priorità della Commissione europea ora è presentare il nuovo Patto su asilo e migrazione. La sentenza della Corte Ue chiarisce che il principio di solidarietà e di giusta condivisione della responsabilità tra gli Stati membri, secondo i Trattati, governa la politica di asilo dell’Ue” ha concluso.

La reazione della Repubblica Ceca

Non si è fatta attendere la risposta della Repubblica Ceca, che considera “irrilevante” la sentenza della Corte di giustizia, proprio alla luce del fatto che ora non c’è modo di rimediare all’infrazione. Nonostante la sentenza della Corte, per il primo ministro ceco Andrej Babiš è essenziale il fatto che la Repubblica ceca non potrà essere obbligata ad accettare i richiedenti asilo in questione poiché nel frattempo il sistema delle quote è scaduto. Secondo lui, è quindi poco importante che i tre paesi di Visegrad non abbiano vinto il caso giudiziario. Il primo ministro ha dichiarato “Abbiamo perso la disputa, ma questo non è importante. L’importante è che non dobbiamo pagare qualcosa. Di solito, la corte chiede un risarcimento per il procedimento” aggiungendo “il punto è che non accetteremo alcun migrante e che le quote sono scadute nel frattempo”. È intervenuto anche il ministro degli Interni, Jan Hamáček, che ha fatto leva sul cambiamento della situazione: “La decisione della corte risponde agli eventi accaduti qualche anno fa. Sto prendendo in considerazione il verdetto, ma senza ulteriori conseguenze”. Infine, Marian Jurečka, leader del Partito popolare, ha sottolineato che la Corte UE non ha tenuto conto di altre misure con cui la Repubblica ceca ha contribuito a risolvere la crisi migratoria. Ad esempio, il Paese è stato sempre attivo a sostegno dei campi profughi. “La Repubblica Ceca ha sicuramente provato a mostrare solidarietà e ad aiutare a risolvere la situazione, senza mettere in pericolo la propria sicurezza”, ha aggiunto Jurečka.

L’Unione Europea tra Covid-19 e rifugiati: un nuovo pacchetto di aiuti nel fondo in risposta alla crisi siriana

EUROPA di

Il 31 marzo, l’UE ha approvato 239 milioni di euro di aiuti nel contesto della pandemia di coronavirus, ma al fine di rafforzare la resilienza nei paesi limitrofi che ospitano i rifugiati siriani. Nell’ambito del fondo fiduciario alla crisi siriana e alla luce degli ultimi sviluppi, l’Unione Europea aiuterà i paesi ospitanti a rispondere meglio alle sfide sanitarie e garantirà ulteriori risorse alle persone più vulnerabili nella regione.

Il contesto

Istituito nel 2014, il fondo fiduciario regionale dell’Unione europea in risposta alla crisi siriana rappresenta un aspetto importante della politica di sostegno dell’UE per aiutare i rifugiati siriani e i paesi vicino alla Siria. Tale fondo ha come obiettivo rafforzare la politica integrata dell’UE in materia di aiuti in situazioni di crisi, agendo sulla base della resilienza a lungo termine e sulla necessità di maggior autosufficienza dei rifugiati siriani. Altro obiettivo è quello di allentare le pressioni che hanno le comunità ospitanti e sulle loro amministrazioni in paesi come Iraq, Giordania, Libano e Turchia. Si occupano dell’istruzione di base e dei servizi di protezione dei minori rifugiati, di formazione e di istruzione superiore, ma anche del miglioramento dell’accesso all’assistenza sanitaria e alle infrastrutture idriche.

Il pacchetto di assistenza

Il pacchetto di assistenza per gli aiuti è stato adottato dal comitato esecutivo del fondo fiduciario, composto dai rappresentanti della Commissione europea, degli Stati membri dell’UE, di Regno Unito e Turchia. Molto importanti sono anche gli osservatori: i deputati del Parlamento europeo ma soprattutto, i rappresentanti dell’Iraq, della Giordania, del Libano, della Banca mondiale e del fondo fiduciario per la ripresa siriana.

È stato stabilito un pacchetto di aiuti composto da diverse azioni, per un totale di 239 milioni di euro. 100 milioni di euro sono destinati a migliorare la resilienza delle famiglie vulnerabili locali e dei rifugiati siriani, oltre che a contribuire alla creazione di reti di sicurezza sociale sostenibili in Libano. 57,5 milioni di euro serviranno a rafforzare l’istruzione pubblica in Libano, affinché il sistema possa assicurare un’istruzione inclusiva e di qualità ai minori vulnerabili del luogo e ai minori siriani rifugiati nel paese. Con 27,5 milioni di euro si contribuirà ad offrire un’istruzione di qualità, equa e inclusiva ai rifugiati siriani nei campi in Giordania. 22 milioni di euro contribuiranno a rafforzare il sistema sanitario in Giordania, compresa la prevenzione e la gestione delle malattie e con l’assistenza sanitaria di base. 11 milioni di euro sono invece a favore dell’emancipazione femminile e di un miglior accesso delle donne, le locali e le rifugiate, alle opportunità di sostentamento in Giordania. 10,5 milioni di euro sono a sostegno di sistemi, politiche e servizi sostenibili e di qualità per la protezione dei minori in Libano, a beneficio di ragazzi, donne e ragazze. Infine, sono previsti 10 milioni di euro al fine di migliorare le condizioni di vita e di alloggio dei rimpatriati vulnerabili, così da coadiuvare gli sforzi di pace in Iraq, nell’area del Ninewa occidentale.

Questo nuovo pacchetto di aiuti fa salire ad oltre 2 miliardi di euro l’importo del fondo, provenienti dal bilancio dell’UE, dai contributi di 21 Stati membri, del Regno Unito e della Turchia: si tratta del doppio dell’obiettivo iniziale previsto dal fondo, nato per portare avanti azioni concrete nella regione, di cui beneficiano tanto i rifugiati quanto i paesi che li ospitano. In totale, grazie a questo nuovo pacchetto di misure, il fondo ha mobilitato oltre 900 milioni di euro per il Libano, oltre 500 milioni di euro sia per la Giordania che per la Turchia e oltre 160 milioni di euro per l’Iraq.

Le dichiarazioni

L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nonché Vicepresidente della Commissione europea, Josep Borrel, ha affermato che “l’Unione europea resta al fianco dei rifugiati siriani e dei paesi limitrofi che li ospitano” anche dopo dieci anni dall’inizio della crisi siriana. “Non solo per far fronte alle sfide più pressanti, compresa la pandemia di coronavirus – continua Borrel – ma anche per costruire il loro futuro”. L’Unione europea continuerà ad appoggiare gli sforzi delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di trovare una soluzione politica globale al conflitto siriano, mobilitare il sostegno finanziario di cui necessitano i paesi destinatari del pacchetto e fornire una piattaforma unica per il dialogo con la società civile. “In tale contesto l’UE organizzerà quest’anno la quarta conferenza di Bruxelles ‘Sostenere il futuro della Siria e della regione’” ha concluso l’Alto rappresentante.

Importante è stato anche l’intervento di Olivér Várhelyi, Commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, che ha evidenziato l’importanza del pacchetto alla luce dell’attuale pandemia. “Il pacchetto di quasi 240 milioni di euro si concentra particolarmente su settori essenziali per le popolazioni vulnerabili quali l’assistenza sociale, la sanità, l’istruzione e la protezione dei minori. Contribuirà a rendere più resilienti coloro che vivono già situazioni difficili perché possano affrontare meglio le molteplici sfide connesse al coronavirus”, ha affermato. L’assistenza dell’Unione europea mostra forte solidarietà alle popolazioni più vulnerabili che si trovano in circostanze di difficoltà già abitualmente, e che vengono messi ulteriormente alla prova dalla pandemia di coronavirus.

Flaminia Maturilli
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