GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Guerra in Ucraina - page 3

Il dilemma strategico della Russia

Se si esamina con attenzione una carta geografica della Russia appare evidente, anche all’occhio del neofita, che l’immensa estensione territoriale di questo paese è controbilanciata, con esito negativo, dalla pressoché assoluta mancanza di accesso diretto alle rotte commerciali oceaniche che costituiscono, da sempre, la base sulla quale si sviluppa e progredisce l’economia di un grande paese.

Analizzando più nel particolare la situazione russa si può vedere che i pochi porti di cui dispone (davvero in numero esiguo non solo in relazione alla sua grandezza territoriale) sono caratterizzati da due fattori geopolitici limitativi che ne riducono l’importanza e ne condizionano l’utilizzazione.

Il primo è che i porti di Vladivostock a Est e di San Arcangelo a Ovest insistono in un’area geografica dove il mare ghiaccia per lunghi periodi dell’anno.

Il secondo fattore, di gran lunga più determinante nel dettare la linea geostrategica della politica russa, è quello che sia Vladivostok sia i due porti principali in acque calde, San Pietroburgo e Novorossiysk, insistono in un complesso di acque chiuse i cui accessi al mare aperto (gli Oceani Atlantico e Pacifico) sono controllati da alleanze di cui la Russia non fa parte o da Paesi con i quali non esiste un rapporto stabile di fiducia o che, addirittura, possono essere considerati potenzialmente ostili.

Da qui discende direttamente l’impostazione che ha guidato la politica estera della Russia, zarista e non, durante gli ultimi trecentocinquant’anni della sua storia.

Rifiutare di riconoscere o di considerare questo imperativo geopolitico, quando si ha che fare con la Russia, non solo è un errore macroscopico di valutazione ma è estremamente pericoloso.

Cambiando la carta geografica con una carta geopolitica non è difficile vedere che sia l’accesso diretto al Pacifico che quello all’Atlantico sono condizionati da alcuni punti di passaggio di importanza strategica per il controllo delle vie di comunicazione che non sono in mano russa. Da questa analisi deriva uno degli assi portanti della politica estera russa.

Nel settore asiatico la controversia, che da circa settant’anni contraddistingue le relazioni russo-giapponesi, ha come base il possesso delle isole Kuryli che sono la naturale chiusura della rotta verso il mare aperto (e caldo) su cui insiste la direttrice di Vladivostok.

La situazione è molto più complessa e delicata nello scacchiere euroasiatico dove la rotta di San Pietroburgo, che attraverso il Mar Baltico porta al mare del Nord e poi all’Atlantico, deve passare attraverso due strozzature naturali (il Golfo di Finlandia e gli Stretti di Danimarca) dove tutti i Paesi costieri ad eccezione di Svezia e Finlandia (a tutt’oggi) appartengono alla NATO.

Ancora più intricata è la situazione del porto di Novorossiysk, sul Mar Nero la cui rotta di accesso al mare caldo è limitata da due chiuse strategiche: il Bosforo e i Dardanelli per il Mar Mediterraneo e Gibilterra per lo sbocco nell’Atlantico. Anche in questo caso il controllo degli stretti in questione appartiene a Paesi membri della NATO.

Mettendo in relazione questa situazione con la posizione privilegiata in termini geopolitici di cui godono i principali antagonisti della Russia, gli Stati Uniti, la Cina, l’India, appare evidente lo sforzo di Mosca per assicurarsi, con ogni mezzo disponibile, l’accesso sicuro alle vie commerciali marittime mondiali.

Come si evince dall’analisi della storia della Russia il cardine di ogni sua direttrice politica è sempre stato condizionato dalla necessità di rompere l’accerchiamento dei Paesi considerati ostili e avversari non solo sulle sue frontiere terrestri ma, soprattutto, quello di cercare di acquisire il possesso e il controllo degli stretti fondamentali al fine di concretizzare quel concetto di sicurezza che permea la visione russa da sempre.

Fatta questa premessa, non può quindi sorprendere la direttrice strategica della politica che negli ultimi anni ha guidato le relazioni internazionali russe.

Limitando l’analisi al solo settore euroasiatico, appare abbastanza evidente per quanto precedentemente detto, che è attraverso tale chiave di lettura che devono essere considerate le azioni che hanno portato nel 2014 all’annessione plebiscitaria e unidirezionale della Crimea e che adesso stanno condizionando gli sviluppi del conflitto con l’Ucraina. La concentrazione dello sforzo militare russo sulla costa del Mar Nero implica il conseguimento di una condizione di stabilità che consenta lo sfruttamento del porto di Sebastopoli in aggiunta a quello Novorossiysk con una striscia di retroterra che garantisca un miglior collegamento con la Crimea.

Ulteriormente legato a questo imperativo geopolitico risulta essere la volontà russa di limitare l’espansione della NATO verso i suoi confini. La percezione di assedio e di mancanza di sicurezza che costituiscono il motivo principale del contrasto con l’Occidente si basano principalmente sulla paura di poter essere soggetti a un blocco economico disastroso se le rotte commerciali venissero strozzate e chiuse mediante il blocco degli stretti.

L’approccio politico nei confronti della Turchia, tendente a staccarla dall’orbita dell’Occidente e dalla NATO, le operazioni in Ucraina, miranti strategicamente a incrementare il controllo sulla sponda europea del Mar Nero, la ricerca di riacquisire una possibile influenza sui Paesi nel Mar Baltico, sono tutti elementi che adducono allo stesso obiettivo: garantire un accesso sicuro alle rotte commerciali atlantiche!

A questo punto, senza voler in alcun modo giustificare la modalità intrapresa per sostenere questa visione strategica e, quindi, condannando senza riserve il ricorso ad azioni militari come quella in corso, non si può non considerare con maggiore attenzione gli sviluppi che stanno caratterizzando lo scenario internazionale euro atlantico.

Il casus belli utilizzato dalla Russia, come giustificazione per lo scatenare il conflitto in atto, è stato la mancata considerazione delle sue legittime preoccupazioni (reali o solo presunte fa poca differenza) per la sicurezza dei suoi confini minacciati da un’espansione ulteriore della NATO, con la presunta adesione dell’Ucraina. Conflitto durante, tale elemento giustificativo è stato ulteriormente rafforzato da altri due eventi che incidono sulla questione citata delle rotte commerciali.

Il primo riguarda sia il blocco dei porti del Mediterraneo per l’attracco alle navi russe che ha causato notevoli problemi al trasporto, sia la richiesta di chiudere gli stretti del Bosforo presentata alla Turchia che, anche se non attuato ha comunque, ulteriormente, inasprito la posizione russa.

Il secondo molto più recente, invece, è la risonanza mediatica data ad una possibile, ancorché ancora in una fase iniziale di valutazione, adesione alla NATO da parte di Svezia e Finlandia, ipotesi prevalentemente e grossolanamente sostenuta, con enfasi, dagli USA e dal Regno Unito.

Queste mosse non hanno fatto altro che inasprire una situazione già tesa e drammatica e non sembrano essere frutto di una valutazione strategica attenta e lungimirante basata su una vision consolidata e studiata.

Fermo restando la indiscutibile volontà degli Stati di perseguire quelli che ritengono i loro interessi nazionali, ciò che appare evidente è l’assoluta mancanza di una visione strategica di vasta portata che possa contraddistinguere il campo occidentale.

L’abbandono da parte della Svezia di una neutralità, di comodo e spesso interessata, ma soprattutto la decisone simile della Finlandia, sulla base di una presunta minaccia alla loro sicurezza, non rappresenta certo la scelta migliore in un momento come quello attuale.

È un inutile ed è un pericoloso azzardo che non serve a dimostrare né la volontà americana di ricoprire il ruolo del difensore della democrazia e dell’Europa (recuperando un senso di fiducia ormai logoro), né il modo per poter indebolire e far cadere Putin!

La NATO è stata, e continua a essere, una organizzazione di estremo valore fondamentale per l’equilibrio geopolitico euroasiatico, ma non può essere trasformata in uno strumento di pressione nei confronti della Russia per servire una politica miope, demagogica e priva di profondità strategica come è quella che adesso caratterizza la presidenza americana.

Il dilemma strategico della Russia che riguarda come conseguire la sicurezza dell’accesso agli Oceani esiste è reale e non è legato alla presenza di Putin.

Putin non piace al consesso internazionale occidentale può anche essere; è sicuramente colpevole di aver iniziato un conflitto devastante che ha riportato la lancetta della storia indietro di mezzo secolo, è vero; ma non è negando la geopolitica e la geostrategia della Russia che l’Europa e gli USA possono cercare di eliminare un avversario scomodo e pericoloso, e nello stesso tempo sostenere e diffondere la visione occidentale che ricerca l’equilibrio di un sistema di relazioni internazionali basato sul rispetto della democrazia, del diritto e dei valori individuali e umani.

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

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Il Donbass sarà la parte di territorio ucraino dove si svolgeranno, presumibilmente, le ultime e più importanti battaglie del conflitto. Ancora una volta, come nel 2014, la presa o la resistenza di Mariupol sarà decisiva. Intanto gli ucraini ne smentiscono la presunta conquista del porto da parte dell’esercito russo. Tuttavia, questa volta la città sembra molto vicina alla capitolazione e i civili fuggono.

Oltre a Mariupol sono sotto attacco anche Kharkiv, Izium e Dnipro.

Stando all’Institute for the Study of War una battaglia importantissima per il futuro prossimo della guerra avrà luogo a Slovyansk. Sempre secondo il centro di ricerca: “Se le truppe che avanzano da Izium sono in grado di prendere la città, potrebbero scegliere di avanzare a est verso Severodonetsk per circondare un gruppo relativamente piccolo di forze ucraine, o dirigersi più a sud per circondare un contingente ucraino più grande”. Poi gli studiosi di affari militari aggiungono che questo nuovo fronte potrebbe anche non essere così favorevole ai russi in quanto sembra che le forze ucraine siano ben attrezzate per fronteggiare la “nuova invasione”. Di fatti, è dal 2014 che da Kiev stanno pianificando la difesa del territorio fortificando le città. Secondo i filorussi, ad esempio, la resistenza ucraina starebbe facendo saltare dighe per allagare le zone occupate dall’esercito di Mosca.

Anche il Presidente Volodymyr Zelensky ha ribadito la centralità strategica di Mariupol affermando che qualora cadesse il Cremlino avrebbe altre truppe da aggiungere all’offensiva nel Dobass. Ma per quanto concerne il presente il vicesindaco della città ha dichiarato: “I russi hanno occupato temporaneamente parte della città. I soldati ucraini continuano a difendere le parti centrali e meridionali della città, così come le aree industriali”. La situazione, quindi, non sembra delle migliori.

Dunque, all’interno di una situazione dove si continua a parlare di battaglie decisive, risulta evidente come la possibilità di un compromesso tra le parti sia ancora molto lontana. L’impressione, infatti, è che Putin non si siederà ad alcun tavolo prima di aver conquistato il Donbass e averlo collegato con la Crimea. Anche se qualora lo Zar del XXI secolo raggiungesse questo suo obiettivo e accettasse un compromesso col nemico si tratterebbe, molto probabilmente, non della fine del conflitto ma di un congelamento temporaneo della guerra. Magari in attesa di attendere tempi migliori per cercare di collegare i territori della Transnistria ai nuovi possedimenti ottenuti.

Zelenky, invece, forte degli aiuti militari europei e statunitensi sa che potrebbe non solo difendersi ma addirittura sconfiggere i russi sul campo. E se Kiev dovesse cacciare i russi dal Donbass Putin si potrebbe trovare costretto a dover rinunciare anche alla Crimea.

Ad ogni modo, dati gli sviluppi attuali una trattativa sembra un’ipotesi ancora molto remota. A confermare questa idea sono state anche le parole di ieri del Cancelliere austriaco, Karl Nehammer, in visita a Mosca che ha detto: “Non è stato un incontro amichevole” e che ha poi aggiunto che momentaneamente il Cremlino non vuol sentire parlare di compromessi.

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

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Massacro di Bucha: le autorità ucraine hanno accusato il Cremlino di crimini di guerra. Il Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato che alla luce di quanto accaduto si allontanano sempre di più le possibilità di un accordo con Mosca. Dagli Stati Uniti Joe Biden ha rincarato la dose esprimendo la necessità che Putin sia processato come criminale di guerra e ha chiesto un inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia.
Sempre su Bucha Amnesty International ha chiesto una rapida inchiesta indipendente “che accerti le responsabilità e che vada poi a ingrossare la mole già notevole di prove di possibili crimini di guerra russi che sono all’esame del procuratore del Tribunale penale internazionale”. Una posizione simile è stata presa anche dalla presidentessa della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, che ha dichiarato che l’Ue si è detta pronta ad inviare squadre investigative in Ucraina per indagare sull’accaduto. Il Cremlino, invece, nega e rimbalza le accuse agli Stati Uniti, rei, secondo il ministro degli esteri russo, di aver ordinato il massacro al fine di incolpare Mosca. I media russi hanno, infatti, definito le immagini e le testimonianze di Bucha “false provocazioni orchestrate dall’occidente”, sostenendo che i responsabili materiali della morte dei civili siano i nazisti.
Il ministro degli esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ha detto: “gli orrori che abbiamo visto a Bucha sono solo la punta dell’iceberg di tutti i crimini che sono stati commessi dall’esercito russo”. Da Varsavia la sua omologa britannica, Liz Truss, ha aggiunto: “gli orrori di Bucha, Mariupol e altri luoghi richiedono gravi sanzioni da parte del G7 e dell’Ue”.
In tutto ciò la guerra procede imperterrita e stando agli analisti presto il fronte si dovrebbe spostare a est e a sud. Il governatore ucraino del Donbass ha rivelato che l’esercito russo starebbe preparando un “attacco massiccio” nella regione di Lugansk. A riportare le sue parole è stata l’agenzia di stampa France Presse: “Vediamo che equipaggiamenti arrivano da diverse direzioni che stanno portando uomini e carburante (…) Si capisce che stanno preparando un attacco massiccio”.
Per quanto concerne la questione “gas” l’Italia ha fatto intendere che sarebbe disposta un embargo totale nei confronti della Russia. Lo stop delle importazioni avrebbe il fine di privare Mosca di quelle risorse economiche con cui sta finanziando la guerra in corso. Tuttavia, in Europa, questa posizione non è unanime. Viktor Orbàn, neo-eletto Presidente d’Ungheria, ha detto che il suo Paese porrebbe il veto qualora l’Europa decidesse di imporre un embargo più stringente al Cremlino. Non tanto distante da Orban quanto espresso dal ministro delle finanze tedesco, Peter Altmaier che ha riferito: “al momento non è possibile tagliare le forniture di gas” e, sempre da Berlino, forti dubbi sono stati espressi anche dalla ministra degli esteri, Annalena Baerbock, che ha chiesto l’intensificazione delle sanzioni, maggiori aiuti per la difesa ucraina non proferendo però nessuna parola sul gas. Stando al Presidente della Germania, Olaf Scholz, una decisione a riguardo da parte del Bundestag verrà presa nei prossimi giorni. Dure le accuse della Polonia che ha accusato Berlino di essere finanziatrice di Mosca. Sulla stessa linea dei tedeschi anche l’Austria dove il ministro delle finanze di Vienna ha detto “non bisogna che l’Ue paghi più della Russia”. In Francia, invece, la tematica del Gas è diventata argomento di campagna elettorale. La socialista Anne Hidalgo ha chiesto di smettere di “pagare il gas della vergona” e il verde Yannick Jadot ha esposto la necessità dell’embargo definendo contradditorio l’indignarsi per la guerra in Ucraina e il finanziarla dando 800 milioni al giorno a Putin.

Ucraina: Croce Rossa Italiana torna a Leopoli

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Partita stanotte da Roma per Leopoli la seconda missione di evacuazione di civili della Croce Rossa Italiana dall’Ucraina con l’obiettivo di portare in Italia, stavolta, circa cento persone fragili (bambini, anziani, diversamente abili ecc.). Il convoglio CRI composto da 18 mezzi, incluse ambulanze, pulmini, minibus, mezzi ad alto biocontenimento, macchine e furgoni per materiali vari, è partita da Roma alla volta di Leopoli, via Polonia, con 51 persone a bordo, tra cui volontari, staff, medici, infermieri OSS, operatori RFL. La missione giungerà a Leopoli lunedì 4 aprile presso le strutture della Croce Rossa Ucraina e, dopo aver effettuato un triage sanitario e i tamponi Covid, tornerà in Italia con il gruppo di persone fragili. Leggi Tutto

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

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Oggi si svolgono in Turchia le trattative tra la delegazione russa e ucraina. Evidente il tentativo del presidente della Turchia, Erdogan, di farsi mediatore tra le parti in conflitto per tornare ad essere accettato e “stimato” ai grandi tavoli dell’occidente. In ogni caso, continuano a pesare sui negoziati le parole degli scorsi giorni di Joe Biden in Polonia.

Sul fronte di guerra procede l’avanzata delle truppe di Mosca, nonostante le forze di Kiev siano riuscite a riconquistare alcuni territori. La situazione umanitaria di Mariupol come di tantissime altre città, invece, sta diventando sempre più tragica.

Tornando all’ennesimo round di trattative tra i due Stati belligeranti, le sensazioni, come al solito, non sono delle migliori. Le aperture che Zelensky aveva lasciato intendere sulla potenziale neutralità del Paese e la probabile soluzione alla questione della Crimea e del Donbass sono state smentite da un consigliere presidenziale ucraino, stando al quale Kiev non sarebbe disposta a fare nessuna concessione territoriale.

Volodymyr Zelensky ha anche avuto un colloquio con il Presidente del Consiglio italiano nel tentativo di costituire e avere un gruppo di Paesi come garanzia per l’Ucraina. L’ambasciatore di Kiev in Italia ha riferito che Mario Draghi ha lanciato l’iniziativa “U24, United for peace” al fine di creare un gruppo di Stati pronti a intervenire militarmente entro 24 ore in caso di aggressione. Secondo il nostro Premier dovrebbero far parte di questo gruppo: i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Germania, il Canada, la Turchia e l’Italia.

Ieri il Wall Steet Journal ha parlato di un possibile avvelenamento nei confronti dell’oligarca, Roman Abramovich, e di altri negoziatori ucraini. Questi avrebbero sofferto di sintomi sospetti dopo un incontro con i russi avvenuto a Kiev all’inizio del mese. Dopo l’incontro nella capitale ucraina Abramovich, come gli altri membri della delegazione ucraina, avrebbero iniziato a lamentare: arrossamento degli occhi, lacrimazione costante e dolorosa e desquamazione del volto e delle mani. Il giornale ha però poi concluso il suo articolo scrivendo che nessuno sarebbe in pericolo di vita.

Ieri il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, in video collegamento col il Consiglio Comunale di Firenze, ha affermato: “Non abbiamo il numero esatto delle persone che hanno perso la vita, perché non possiamo raggiungere determinati luoghi delle città assediate e bombardate. Secondo le ultime stime si tratta di decine di persone addirittura di decine di migliaia. Per le strade ci sono cadaveri”. Stando al governo di Zelensky Kiev continuerebbe a essere uno dei principali obiettivi strategici di Mosca.

Dalle autorità ucraine arriva la notizia che Irpin, città a ovest della capitale, sarebbe stata riconquistata. Il sindaco, Oleksandr Markushyn, ha rilasciato: “Irpin è stata liberata. Sappiano che ci saranno altri attacchi alla nostra città e la difenderemo con coraggio”.

Da Kharkiv arrivano, invece, aggiornamenti drammatici, stando ai quali i bombardamenti russi avrebbero colpito 1.177 edifici, 53 asili nido, 69 scuole e 15 ospedali. Così il sindaco: “Da quando è iniziata la guerra non c’è stato un minuto, un secondo, di silenzio”.

A Mariupol, dove 160mila persone continuano a rimanere intrappolate senza sufficienti viveri alimentari a disposizione, si sta assistendo ad una vera e propria catastrofe umanitaria. Dall’inizio del conflitto vi sarebbero stati più di 5mila morti.

Le fonti ucraine riportano, inoltre, che l’esercito russo avrebbe colpito un deposito di carburante nella città nord-occidentale di Lutsk. Il capo dell’amministrazione militare locale, Yuriy Pohuliaiko, ha riferito che l’attacco sarebbe partito dalla vicina Bielorussia. Sconosciuto il numero delle vittime. Questo raid, ha detto la deputata ucraina, Lesia Vasylenko, farebbe parte di una nuova strategia russa per eliminare le riserve di petrolio del Paese.

Redazione
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