GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Paola Fratantoni - page 5

Paola Fratantoni has 46 articles published.

France: new NH90 for Operation Barkhane

Defence/Innovation/Politics di

The Direction Générale de l’Armement (DGA), the French defence procurement agency, confirms the acquisition of six additional tactic transport helicopters (Caiman model) from NH Industries, the Italian-French-Dutch industrial group owned by Finmeccanica, Airbus and Fokker. The delivery has been scheduled between 2017 and 2019.

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These new acquisitions are part of a more comprehensive renewal program to increase the helicopter fleet up to 74 Caiman units (44 of these to be delivered by 2019). The target is to reach, by the end of 2025, a fleet of 115 tactical NH90 helicopters, goal set in the Defence and Security White Paper in September 2013. As Guillaume Faury, President and CEO of Airbus Helicopters, highlights, “French armed forces have deployed the NH90 operationally in Mali, where its outstanding endurance, versatility and manoeuvrability have been greatly appreciated”.

The decision follows the request from the Army Air Corps to strengthen the capabilities of Operation Barkhane, in Africa. Last January, Gen. Oliver Gourlez de la Motte, chief of the Army Air Corps, announced the service goal to strengthen its forces, by providing 10 additional helicopters to the fleet, to be chosen between both attack and transport models. Last month, indeed, the DGA has ordered from Airbus Helicopters 7 Tiger attack helicopters, which will be delivered between 2017 and 2018.

The aim is to improve the capacity of French armed forces to conduct air-land operations in the Sahel region, in Sub-Saharan Africa. The NH90 has already been deployed in several operational theatres, showing capabilities and characteristics that make it an important resource for French forces engaged in Operation Barkhane. First of all, as already mentioned, its versatility. The NH90 can be employed in response to different tactical needs:

  • Troop and light armament transport, as it can carry up to 20 soldiers or 2.5 tonnes armaments;
  • Casualty evacuation with 12 stretchers;
  • Cargo airlift;
  • Combat, search and rescue operations.

Moreover, the additional equipment allows it to fit various needs that might arise in the operational theatre. The NH90 is provided with an automatic pilot and fly-by-wire (FBW) controls, a system that replaces traditional manual controls with an electronic interface. This reduces the workload for pilots, and makes the NH90 easier to manage. In addition, night vision sights, armor protection and electronic counter-measures make it suitable for combat operations.

These characteristics show how this vehicle becomes essential in an environment such as Sub-Saharan Africa. As we know, Operation Barkhane is a counter-terrorism operation, led by France in the Sahel region since August 2014, with Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania and Chad as participating countries. The aim is to contrast the presence of jihadist militants in the region, supporting the efforts of partner countries and to prevent the creation of terrorist sanctuaries. The 3000 soldiers engaged in the mission are based in two permanent fields, one in Gao (Mali) and the other in N’Djamena (Chad). Detachments are sent to temporary bases, located in the mission’s participating countries, from where missions to support their soldiers are launched. Therefore, it is clear how troop and armament transport is necessary to conduct the operation. Moreover, the particular environment –temperature, geographical and territorial conformation, etc.- is a key factor in elaborating interventions. The NH90 proves to be suitable for the African environment, given its endurance and versatility, which is essential in areas where difficulties and resource scarcity might undermine the aim of the mission and the lives of the soldiers involved. “The additional order of six NH90- says Guillaume Faury-…confirms the essential role that new-generation multi-role helicopters play in modern operations”.

It seem that attacks and threats to French nation and security have not changed its commitment towards foreign operations, in particular in missions targeting Islamic terrorism. By contrast, those elements, which proved to be effective, have been strengthen and pressure is made to the Government in order to reinforce French military capabilities. It is not just a matter of number of forces available but also – and most of all- of quality and technology, which have to be suitable for the type of environment and threat that soldiers are facing.

 

Paola Fratantoni

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Francia: 6 nuovi elicotteri NH90 per l’Operazione Barkhane

Difesa/EUROPA/POLITICA di

La conferma arriva dalla Direction Générale de l’Armement, agenzia governativa francese responsabile delle acquisizioni militari e dei programmi di sviluppo e mantenimento delle forze armate. 6 nuovi elicotteri da trasporto tattico NH90 (modello Caiman), prodotti dalla NH Industries, colosso industriale italo-franco-olandese costituito da Finmeccanica, Airbus e Fokker entreranno a far parte della flotta francese tra il 2017 e il 2019.

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I nuovi acquisti fanno parte di un più ampio programma di rinnovamento della flotta di elicotteri che mira a raggiungere le 74 unità di Caiman (44 delle quali consegnate entro la fine del 2019). L’obiettivo è dotarsi, entro la fine del 2025, di una flotta di circa 115 elicotteri NH90 da impiegare a livello tattico, obiettivo fissato nel Security White Paper del settembre 2013. Come sottolinea Guillaume Faury, presidente e CEO dell’Airbus Helicopters, “le forze armate francesi hanno impiegato l’NH90 nei teatri operativi del Mali, dove la sua straordinaria resistenza, versatilità e manovrabilità sono state enormemente apprezzate”.

La decisione arriva in seguito alla richiesta da parte dell’Army Air Corps di rafforzare le capacità a disposizione per l’Operazione Barkhane, in Africa. Già nel gennaio scorso, il Gen. Oliver Gourlez de la Motte, capo dell’Army Air Corps, aveva annunciato l’obiettivo dell’arma di potenziare le proprie risorse aggiungendo altri 10 elicotteri alla flotta, scegliendo sia modelli da attacco che da trasporto. Il mese scorso, infatti, la DGA commissiona all’Airbus Helicopters 7 elicotteri da attacco modello Tiger, la cui consegna verrà effettuata tra il 2017 e il 2018.

L’intento è, dunque, quello di migliorare le capacità di condurre operazioni aria-terra nella regione del Sahel, nell’Africa sub-sahariana. L’NH90 è stato già impiegato in diversi teatri operativi, mostrando capacità e caratteristiche che lo rendono una risorsa importante per le forze francesi impiegate nell’Operazione Barkhane. Innanzitutto la già accennata versatilità. L’NH90 può essere impiegato per rispondere a diverse necessità tattiche:

  • trasporto di truppe e di armamenti leggeri, grazie alla sua capacità di ospitare fino a 20 soldati o 2,5 tonnellate di armamenti;
  • evacuazione dei feriti mediante 12 barelle;
  • trasporto aereo cargo;
  • operazioni di combattimento, ricerca e soccorso.

Inoltre, gli equipaggiamenti a disposizione lo rendono adatto ad assecondare i diversi e molteplici bisogni che possono presentarsi nel teatro operativo. Gli NH90 sono dotati di pilota automatico e comandi fly-by-wire (FBW), ovvero un sistema che permette di sostituire i tradizionali controlli manuali con un’interfaccia elettronica. Ciò riduce sensibilmente il carico di lavoro per il pilota, consentendo di maneggiare in modo più agevole il velivolo. Inoltre, dotazioni quali luci per la navigazione notturna, strutture corazzate e contromisure elettroniche, lo rendo adatto a operazioni di combattimento.

Ciò mette chiaramente in luce come uno strumento del genere diventi essenziale in un teatro come quello sub-sahariano. Ricordiamo che l’Operazione Barkhane è un’operazione antiterrorismo condotta dalla Francia nella regione del Sahel sin dall’agosto del 2014, con la partecipazione di Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Chad. Lo scopo è contrastare la presenza dei militanti jihadisti nella regione, sostenendo lo sforzo dei paesi partner ed impedendo la formazione di santuari di terroristi all’interno della regione. I circa 3000 soldati impiegati nella missioni sono ripartiti in due punti d’appoggio permanenti, uno a Gao (Mali), l’altro a N’Djamena (Chad). Distaccamenti vengono inviati in basi temporanee, situate nei vari paesi coinvolti nell’operazione, e da queste stesse basi vengono condotte le missioni in appoggio dei soldati del rispettivo paese. È, dunque, evidente come le capacità di trasporto di truppe e armamenti sia una condizione essenziale per poter sostenere l’operazione. Inoltre, il contesto in cui si opera –temperature, conformazione geografica del territorio, ecc.- è un fattore determinante nella realizzazione degli interventi. L’NH90 dimostra quell’adattabilità che un contesto come quello africano, date la sua versatilità, aspetto essenziale in teatri dove difficoltà e mancanza di risorse possono facilmente compromettere l’obiettivo della missione ma anche l’incolumità dei soldati. “L’ordine aggiuntivo dei sei NH90- afferma Guillaume Faury- …conferma il ruolo essenziale che le nuove generazioni di elicotteri multi-ruolo giocano nelle moderne operazioni”.

Sembra, dunque, che attentati e minacce alla nazione francese non abbiano intaccato profondamente la sua posizione circa gli impegni nei diversi teatri operativi, ed in particolar modo nella lotta contro il terrorismo islamico. Al contrario, si potenziano quegli elementi dimostratesi vincenti e si fanno pressioni nell’Esagono per veder rafforzate le capacità militari francesi, in modo tale da garantire non solo un numero maggiore di armamenti disponibili ma anche –e soprattutto- tecnologie adeguate agli ambienti e alla minaccia che si combatte.

 

Paola Fratantoni

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Immigration beyond the Channel

Politics di

That Great Britain has never been a supporter of a Europe without borders is nothing new. However, what we are recently witnessing is an increasing rift between British approach to asylum and immigration and the one adopted by other EU members, with criticism arising from both the latter and forces within the country.

The UK, which doesn’t adhere to Schengen Agreements, has a particular position concerning the arrival of foreigners in the country. A strict policy, which doesn’t categorically exclude immigration but allows it in a controlled form. It encourages the entry of skilled workers and students, potential resources for the future. Conservatives’ key principle is simple: protecting country’s interests and security. Therefore, those who want to work hard and contribute to this goal are more than welcomed; no place for the others.

If a similar approach doesn’t draw particular attention in normal times, perspectives change when a massive wave of migrants affects the whole European territory, altering the internal balance of several countries. In the last years, Europe has witnessed two major waves of migration. The first coming from Libya, the second from Syria; both the two still in progress (though with different characteristics and intensity), both related to the breakout of conflicts in those countries, thus forcing people to look for a better future on the other shore of the Mediterranean.

These waves of refugees have provoked emergencies across first countries of arrival –above all Italy, Greece and Spain-, which had to welcome a number of people that goes beyond the capabilities of existing welcome facilities. Hence, the call for help to EU partners, in an attempt to share more equitably the burden of people arriving, thus guaranteeing them acceptable living conditions without compromising security and order of the country itself.

Britain seems to turn a deaf ear. During the Libyan crisis, Mr Cameron made the Royal Navy available for rescue operations in the Mediterranean, but categorically excluded the creation of welcome facilities in British territories. However, if help was needed, it wasn’t at sea, but on land, after the rescue. Syrian crisis did not make British government more inclined to support the EU allies. Opt-out from the UK, indeed, on EU quota system, which consists in the relocation of 160,000 refugees currently in Italy, Greece and Hungary among other EU countries, in proportion to the capacities of the country. However, British PM promises to accommodate 20,000 refuges over the next five years: quite a paltry sum if compared to the commitment of other nations, e.g. Germany, which accepted to take up to 800,000 refugees by the end of 2015. Moreover, British offer concerns only refugees still in the Middle East and not the ones already arrived in Europe, solution that –as EU members have noticed- doesn’t really help to alleviate the emergency situation in first countries of arrival.

Hot spot in EU fora, immigration issues are an element of tension between the political and social forces of the country. Major criticisms come from the Labour Party, which considers inadequate the support provided by Cameron. They refer to human rights, fundamental principles of the EU and to the history of their country, a sanctuary of hope and hospitality after the Second World War. What happened to this tradition? What do the rights enlisted in the Magna Charta and the Universal Declaration mean?

In respect to these rights, another criticism arises from a different actor, British Charities. The major disagreement is related to families’ reunions, allowed by the system in place but with several restrictions. Only spouses and children under 18 are allowed to enter the country. Adult and other relatives are excluded from these lucky people. Why? Aren’t they experiencing the same pain? If you look at children, the situation is even worse. Unaccompanied children have no right to reunite to their families, even their parents. As the traumas of war, of the escape, of the arrival in a foreign country, where they don’t even know the language, would not be enough. In addition, the distance from their loved ones, the awareness of not being able to see them and the uncertainty about their future and lives. Where are human rights?

The question is: can we do something more? Maybe yes. Hence, one wonders why a country like Britain, -built on certain values and principles and with an economic capability that allows to afford a stronger efforts- pulls back, turning his back to the EU allies, when his help is most needed, but also compromising that image of guarantor of rights that has been built over the centuries. A UK that seems to take more distance from Europe, in order to protect its borders. How far can this go before such an attitude becomes counterproductive? It is no longer just a matter of Brexit or not Brexit. It runs the risk of challenging Nation’s fundamental values, with the following implications this may have in terms of internal stability.

L’immigrazione vista da Oltremanica

EUROPA/POLITICA di

 

Che la Gran Bretagna non sia mai stata sostenitrice di un’Europa senza frontiere non è una novità. Ma ciò a cui stiamo assistendo nell’ultimo periodo è una frattura sempre maggiore tra l’atteggiamento adottato dal governo inglese in materia di asilo e di immigrazione e quello degli altri membri UE, con critiche provenienti sia da questi ultimi sia dalle forze interne al paese.

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La Corona inglese, che non aderisce a Schengen, ha una posizione particolare circa l’arrivo di stranieri sul suolo nazionale. Una politica definita rigida, che non dice un no categorico all’immigrazione ma la accetta in forma controllata. Viene favorito l’ingresso dei cosiddetti skilled workers e degli studenti, potenziali risorse per il futuro. Il principio chiave dei conservatori è semplice: tutelare gli interessi e la sicurezza del paese. Di conseguenza, chi ha voglia di lavorare sodo e contribuire a questo obiettivo è benvenuto, per gli altri non vi è posto.

Se un simile approccio in tempi normali non desta particolare scalpore, le prospettive cambiano quando una massiccia ondata migratoria va a colpire il territorio europeo, alterando gli equilibri interni dei vari paesi. Considerando gli ultimi anni, l’Europa è stata testimone di due ondate maggiori. La prima proveniente dalla Libia e l’altra dalla Siria; entrambe ancora in corso (seppur con modalità ed intensità diverse) ed entrambe legate all’esplosione di conflitti nei rispettivi paesi, che hanno spinto la popolazione a cercare un futuro al di là del Mediterraneo.

Queste ondate di rifugiati hanno determinato situazioni di emergenza nei paesi di primo arrivo – soprattutto Italia, Grecia e Spagna- che si sono ritrovati ad accogliere una quantità di persone superiore alle capacità delle strutture di accoglienza esistenti. Da qui la richiesta d’aiuto ai partner europei, nel tentativo di dividere più equamente le persone da accogliere, per poter garantire loro condizioni di vita accettabili senza compromettere la sicurezza e l’ordine del paese stesso.

La Gran Bretagna sembra fare orecchie da mercante. Durante la crisi libica, Cameron aveva messo a disposizione la Royal Navy per operazioni di salvataggio in mare, escludendo categoricamente la creazione di centri di accoglienza in territorio inglese. Ma l’aiuto che serviva non era in mare, bensì a terra, nel post-salvataggio. L’emergenza Siria non ha reso il governo inglese più incline a supportare gli alleati europei. Opt-out inglese, infatti, per il sistema delle quote, che prevede la ridistribuzione di 160.000 rifugiati, già in Grecia, Italia, o Ungheria tra i vari paesi membri UE, in modo proporzionale alle capacità del paese. Tuttavia, il PM inglese promette di accogliere 20.000 rifugiati nell’arco di 5 anni: cifra alquanto irrisoria se paragonata ai numeri di paesi come la Germania, disposta ad accettare fino a 800.000 rifugiati entro la fine del 2015. L’offerta inglese, inoltre, è rivolta soltanto ai rifugiati tutt’ora in Medio Oriente e non a quelli già in Europa, soluzione che, come fanno notare i membri UE, serve ben poco ad alleviare la situazione d’emergenza nei paesi d’arrivo.

Punto caldo in sede UE, il tema immigrazione è elemento di tensione tra le forze politiche e sociali del paese.

Le critiche maggiori provengono dal partito labourista, che giudica insufficiente l’aiuto offerto dal governo Cameron. Si richiamano i diritti umani, principi cardine dell’Unione Europea e il passato del paese, santuario di ospitalità e speranza all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Che fine ha fatto questa tradizione? Che significato hanno quei diritti sanciti nella Magna Carta o nella Dichiarazione Universale?

Ed è proprio in riferimento a questi diritti che nascono critiche anche da un altro settore, quello delle Charities inglesi. Il disaccordo maggiore è legato alle riunioni familiari, previste dal sistema in vigore ma con limitazioni. Soltanto i coniugi e i figli minorenni possono entrare nel paese e ricongiungersi ai familiari. Maggiorenni e altri parenti sono esclusi dalla rosa dei “fortunati”. Perché? Non vivono forse la stessa sofferenza? Se si guarda ai bambini la situazione forse è anche peggiore. I minori non accompagnati, non hanno il diritto di richiamare alcun familiare, neanche i genitori. Non bastano, dunque, i traumi di una guerra, di una fuga, dell’arrivo in un paese straniero di cui non si conosce neanche la lingua. A ciò si aggiunge anche la distanza dai propri cari, la consapevolezza di non poterli vedere e l’incertezza circa il loro futuro o la loro stessa vita. E i diritti umani?

La domanda è: si può fare qualcosa in più? Forse sì. E allora ci si chiede perché un paese come la Gran Bretagna, fondato su determinati valori e principi e con una capacità economica tale da potersi permettere uno sforzo maggiore, si tiri indietro, voltando le palle agli alleati europei proprio quando ve n’è bisogno, ma anche compromettendo quell’immagine di garante dei diritti che si è costruita nel corso dei secoli. Un Regno Unito che sembra voler prendere sempre di più le distanze dall’Europa al fine di proteggere i propri confini. Ma fino a che punto si può arrivare prima che un simile atteggiamento diventi controproducente? No è più solo una questione di Brexit o non Brexit; si corre il rischio di mettere in discussione valori fondamentali della Nazione, con le relative ripercussioni che ciò può avere in termini di stabilità interna.

 

Paola Fratantoni

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Ciclone Le Pen: verso la fine dell’Europa Unita?

EUROPA/POLITICA di

La Francia tira un sospiro di sollievo. Il ballottaggio per le amministrative ha, infatti, messo fuori gioco il Front National (FN) di Marine Le Pen, che si era affermato vincitore al primo turno. L’estrema destra francese non riesce ad ottenere nessuna regione, sette invece vanno ai repubblicani e cinque ai socialisti. Ma c’è un rovescio della medaglia: al primo turno il FN ottiene 6 milioni di voti; in occasione del ballottaggio il numero sale a 6,7 milioni, circa l’11,6% in più. Questi dati mettono, dunque, in evidenza come qualcosa stia cambiando nell’elettorato francese e repubblicani e socialisti abbiano un reale avversario da combattere. Come già reso noto dalla leader dell’estrema destra, Marine Le Pen, questa sconfitta non arresterà la loro corsa e le presidenziali del 2017 sono tutto fuorché un sogno irrealizzabile.

Su cosa punta il FN e perché è così tanto temuto?

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Prima i Francesi e la Francia. In una società multietnica e multiculturale come quella francese, l’estrema destra vuole difendere in primis gli interessi della Nazione e dei suoi cittadini. Ciò inevitabilmente si scontra con le tematiche legate all’immigrazione, nei confronti della quale la Francia ha solitamente assunto posizioni meno rigide rispetto ad altri paesi europei. La signora Le Pen propone cambiamenti. Rivedere Schengen e aumentare i controlli, ridurre l’immigrazione clandestina, ma anche diminuire l’immigrazione legale e i servizi di assistenza gratuita anche per coloro non provvisti di permesso di soggiorno.

Una maggiore chiusura verso l’esterno, da un lato; dall’altro, rivalorizzare la posizione della Nazione nel mondo. Dichiaratamente euroscettica, Marine Le Pen evidenza i difetti e i limiti di istituzioni come l’Unione Europea, che con la loro tecnocrazia “tarpano le ali” alle nazioni. Una forza centrifuga che vorrebbe portare la Francia fuori dall’UE, così come dalla NATO, liberandosi dai vincoli che queste unioni comportano e ripristinando l’indipendenza politica e diplomatica della Nazione.

Immune alle accuse di fascismo e di un populismo xenofobo e anti-europeo, la Le Pen ha tutta la grinta e la determinazione per poter essere un avversario scomodo. Non solo. Ha anche quei sei milioni e passa di voti. Quei Francesi che hanno scelto un partito d’estrema destra che parla meno di comunità e altruismo, e più di cosa serva ora e praticamente per ripristinare la sicurezza e la stabilità che gli attentati degli ultimi mesi hanno portato via.

Posizioni categoriche, dunque, che spaventano l’attuale classe politica francese ma mettono in allarme anche altri paesi europei, dove negli ultimi anni partiti di stampo estremista ed euro-scettico hanno trovato maggior consenso. Parliamo dell’UKIP in Gran Bretagna, forte sostenitore della Brexit, o della Lega Nord in Italia, incline all’uscita dall’Euro e ad una modifica dell’Unione. Persino la Polonia, uno dei paesi più coinvolti nelle politiche comunitarie vede la vittoria degli euro-scettici di Diritto e Giustizia, privando l’Unione di uno dei suoi più forti sostenitori.

E’ evidente, dunque, come quella francese non sia una voce singola nello scenario europeo, ma faccia parte di quelle forze che dell’Europa Unita non vogliono neanche sentire il nome. E di certo gli avvenimenti recenti non hanno aiutato a cambiare questa idea, anzi. Hanno rafforzato le posizioni di chi si sente disilluso dall’Unione, un’Unione che c’è sulla carta ma pecca di efficienza e razionalità. Un’Unione sempre più legata alle decisioni (e agli interessi) della Germania. Un’Unione che non riesce a garantire la sicurezza dei propri membri e le cui politiche rigorose hanno di fatto inasprito la crisi economica rendendo sempre meno appetibile l’UE.

Ecco, dunque, perché si teme la Le Pen. Perché ha la forza e la volontà per assumere quel ruolo trainante ed innescare un effetto a catena tra le forze anti-europee, creando un fronte comune che possa spingere ad una modifica radicale dell’Unione. I primi passi sono già stati mossi. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, annuncia un piano comune con Marine Le Pen per la revisione dei trattati europei, da quello di Maastricht a Schengen. In attesa del vertice di Milano a gennaio, che vedrà uniti tutti i partiti euroscettici dei vari paesi per formulare insieme una proposta alternativa all’Europa attuale.

Sembra, dunque, che lo scetticismo nei confronti dell’Unione continui ad aumentare, seppure manchi ancora un’unità d’azione. La Francia di Le Pen potrebbe assumere questa leadership e portare i partiti anti-europeisti a giocare un ruolo di primo piano sullo scenario nazionale ed internazionale. Il contesto geopolitico sta cambiando: le minacce e la paura crescono, l’insoddisfazione e la volontà di fare di più pure. L’Unione Europea deve trovare una risposta a questi cambiamenti, adattarsi al nuovo ambiente e alle esigenze della sua popolazione. Le alleanze occasionali ai ballottaggi non sono la soluzione. Come insegna Clausewitz, “la tattica senza strategia è il rumore che precede la sconfitta”.

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Tornado Le Pen: towards the end of Europe?

Politics di

France finally heaves a sigh of relief. Indeed, the second ballot of the administrative elections has knocked Marine Le Pen’s Front National (FN) out, the same that won the first round. French far-right fails to win a single region, while seven go to Republicans and five to Socialists. But there’s another side of the coin: in the first round FN gets 6 million votes; in second ballot the number reaches the peak of 6.7 million, almost 11.6% more. These figures show that something is changing in French electorate and Republicans and Socialists now have a real adversary to beat. As French far-right leader Marine Le Pen already mentioned, this defeat will not stop their run and the dream of 2017 presidential elections is still alive.

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So, what is FN standing for and why is France so afraid?

French people and France come first. In such a multi-ethnic and multicultural society as the French one, far-right party wants to protect first the interests of France and French citizens. This inevitably clashes with immigration issues, about which France has usually adopted a less strict approach, compared to other European countries. Mrs Le Pen proposes changes. Reviewing Schengen and increasing controls, reducing illegal immigration, but also limiting legal immigration and free assistance to “sans papiers”.

On one hand, a greater closure toward outside; on the other, improving nation’s position in the world. Avowedly Eurosceptic, Marine Le Pen highlights weaknesses and limits of institutions such as the European Union, whose technocracy clips nations’ wings. A centrifugal force that would like to push France outside the EU, but also outside NATO, thus freeing from all their ties and obligations and restoring nation’s diplomatic and military independence.

Immune to accusation of fascism or xenophobic and anti-European populism, Mrs Le Pen has enough energy and determination to stand as a thorny adversary. In addition, she has those 6 million and more votes. Those French people that chose a far-right party, which talks less about community and assistance and more about what is actually and practically needed to restore security and stability, dragged off by latest months’ terrorist attacks.

Strict positions, then, which scared French political class but also other European countries, where extremist and Eurosceptic parties have widely broaden in recent years. We’re talking about the British UKIP, which supports Brexit, or the Italian Lega Nord, which advocates the exit from Eurozone but also a review of EU structure. In Poland itself, traditionally involved in communitarian policies, Euro sceptics won, thus taking away one of the strongest EU supporters.

It is clear that French voice is not a single on in the European arena. And recent events didn’t help to change their minds. By contrast, what happened has just strengthened the believes of those disappointed by the Union, an Union that exists on paper but lacks of efficiency and rationality. A Union that is strongly driven by German decisions (and interests). A Union that failed in providing security to its members and whose strict economic policies have basically sharpened the economic crisis, thus turning EU in a less attractive institution.

Thus, that’s why politicians fear Mrs Le Pen. Because she has passion and willing to take a leading role and foster a knock-on effect across anti-European forces, creating a single front that could push for a substantial modification of EU structure. First steps have already been taken. Matteo Salvini, Lega Nord’s leader, announced a common plan with Marine Le Pen to review EU treaties, from Maastricht to Schengen. Waiting for Milan Summit in January, where all Eurosceptic parties will meet up and discuss an alternative solution to present Europe.

It seems that scepticism toward EU keeps on increasing, although it misses unity of action. Mrs Le Pen’s France might get the leadership and lead anti-European parties to play a stronger role both at national and international levels. Geopolitical context is evolving: threats and fear grow, along with disappointment and willing to do something more. The European Union has to give an answer to those changes and adapt to the new environment and members’ needs. Ad hoc alliances are not the solution. As Clausewitz teaches, “tactics without strategy is the noise before defeat”.

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Paola Fratantoni
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