GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Laura Sacher

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Together, il ruolo e le responsabilità dell’Italia

EUROPA di

MFE Movimento Federalista Europeo, Gioventù federalista europea, the Spinelli Group e con il contributo della Rappresentanza della Commissione Europea promuovono una convenzione per affrontare tematiche in un momento caldo quale quello in cui ci troviamo: l’Europa ed il ruolo dell’Italia in essa. Più personaggi politici ed istituzionali, al di là della posizione politica, hanno condiviso il progetto per un’Europa più libera, federale e democratica, di cui l’Italia è parte integrante.

Borrelli, Vicepresidente della rappresentanza della Commissione Europea menziona le “conventiones democratiques” proposte dal Presidente francese Macron per recuperare la democrazia che ha sempre appartenuto all’Europa. Il riconoscimento di una cittadinanza federale può essere la risposta all’euroscetticismo, sempre più vicino al varco europeo; la partecipazione dei cittadini inoltre, in eventi centrali come le elezioni, è un’ indispensabile forza per dimostrare la volontà di ritrovare quei principi alla base degli equilibri istituzionali.

Anselmi, presidente del MFE si ispira ad Altiero Spinelli secondo il quale se un problema si continua a presentare senza incontrare una soluzione, è un problema storico; oggi, secondo Anselmi, quello dell’UE è un problema storico, da affrontare unitariamente, in cui l’Italia ne è al centro. La questione bilancio è senza dubbio uno dei punti di fuoco, essendo questo l’espressione delle azioni dei singoli paesi; le entità di bilancio ed il passaggio promosso dai Trattati di Roma dei contributi finanziari statali a quelli delle risorse proprie ha rappresentato un cambio di scena importante. Anselmi si pone favorevole ad un bilancio, pur se minore, basato su risorse proprie, piuttosto che uno maggiore ma riferito ad uno nazionale. Nello scenario europeo soprattutto i paesi minori colpiti da una crisi finanziaria devono essere supportati da quelli maggiori, dato che incidono inevitabilmente sulla realtà europea nel suo complesso. La riforma dei Trattati, anche dal discorso sull’Unione del 2017 del Presidente Junker, è “ineludibile”. Ci sono ora due strade: continuare a portare avanti il progetto da cui tutto ebbe inizio in quel 1940 degli italiani Spinelli e Rossi o abbandonarlo, il che vorrebbe dire far venir meno uno dei motori pulsanti della macchina europea.

Brok, del Gruppo Spinelli presenta anche lui l’Europa di fronte ad un bivio. Dopo 70 anni per la prima volta stanno nascendo problemi circa la legittimità con la popolazione europea: anni di successi hanno promosso scenari privi di qualsiasi tipo di dittatura, con la conquista di Stati di diritto per i suoi cittadini, la cui strada rimane però ancora lunga. Il bivio è rappresentato da una parte dai nazionalismi e le correnti conservative e dall’altra da chi, pur se con qualche dubbio, crede ancora in una risalita. Quali sono le sfide globali che al giorno d’oggi si presentano? Brok presenta competitività, commercio più equo, risposte alla crisi economica, senza tralasciare la questione migrazione e clima; sfide che devono essere affrontate collegialmente. I cittadini ora richiedono più sicurezza proprio per un’assenza di conformità tra i paesi membri, il che si traduce con maggiori contributi al sistema di difesa comune. Brok avvisa che a livello di uomini, l’UE è più fornita dell’America, ma con risultati meno soddisfacenti a causa della distanza che ancora separa i suoi membri. Europa – Africa è un binomio che ultimamente è al centro della scena politica europea, perché segna l’inizio di un’ azione esterna europea nei paesi non del tutto sviluppati. Conclude avvertendo che l’unica risposta a tutto ciò, non può che essere la reazione dei paesi mediante nuovi strumenti di ricollocamento economico. Brexit c’è stata ma non si può ripetere.

Gozi riflette sul progetto degli Stati Uniti d’Europa come possibile soluzione al caos fronte al quale l’Europa si trova attualmente, progetto ben diversamente realizzabile da quello proposto da Spinelli e Co,a causa del contesto storico in cui ci si trova, ma un obiettivo non si raggiunge se non vi è neanche un minimo di coraggio per il rischio. Utilizza come punto di riferimento il discorso della Sorbona del Pres. Macron, chiedendosi però se l’Italia sia in grado a rispondere all’appello francese. Va comunque reso noto che sono 2 miliardi, la cifra risparmiata dai contribuenti sociali, con il successivo dimezzamento delle frazioni europee che hanno portato l’Italia da maglia nera della legalità, a maglia rosa. In 4 anni le frodi europee sono stata diminuite del 60%: tali risultati non so che dovuti ad un lavoro di collaborazione con il PE nella sua totalità. La credibilità si viene a formare proprio da effettivi risultati come questi; tutto ciò è solo l’inizio di un processo di apertura in cui l’Italia non deve assolutamente arrestarsi e in cui la richiesta di crescere democraticamente può essere accompagnata dall’introduzione delle liste transazionali per un maggior coinvolgimento. Europa è Stato di diritto, tutela dei diritti fondamentali e quindi non solo di scelte politiche economiche in cui l’euro è indubbiamente uno strumento finanziario necessario, ma Europa rappresenta una necessità.

Malan fa un discorso centrato sull’economia, in cui spread ed eurobonds sono tra gli elementi chiave; il divieto del surplus è un altro vincolo controllato dall’economia europea, i cui maggiori paesi indipendenti economicamente impongono maggiori misure restrittive. Affronta poi la solidarietà circa la questione migratoria,ribadendo che debba presentarsi come una vera e propria responsabilità, dove i contributi europei sono sì fondamentali ma a livello di accoglienza le misure da prendere devono essere più equilibrate tra i paesi, non potendo contare solo sul territorio italiano. Altro campo di cui l’Italia è uno dei maggiori contribuenti è quello delle piccole e medie imprese, che devono essere sfruttate in maniera più valida.

Duff parla a nome dello Spinelli Group che proporrà un progetto elettorale per le elezioni europee del 2019, come un nuovo manifesto. Circa la funzionalità e validità dei Trattati bisognerebbe rifletterci, essendosi oggi l’Unione Europea evoluta, rispetto a quella che era ieri. Forse il ruolo dell’Alto Rappresentante ha trasformato il potere della Commissione nelle relazioni esterne, e da qui la proposta di Juncker di un’unica figura del Presidente in quanto rappresentante sia della Commissione che del Consiglio. Si è poi disposti ad assistere ad un aumento del potere esecutivo a discapito di quello della Commissione? Per quanto riguarda il meccanismo di stabilità, sarà possibile uno strumento di fondo monetario europeo? Circa la tassazione generalizzata, proposta del ministro italiano Monti, ci si chiede se i cittadini europei siano d’accordo e soprattutto pronti ad affrontare un cambio del genere. Riprende le già menzionate liste transazionali, auspicandosi che possano diventare progetti concreti o altri strumenti con cui l’Unione Europea si avvicini all’assetto federalista, così come la possibile elezione del Presidente della Commissione a suffragio diretto. Infine menziona Brexit e piuttosto che riflettere sulle motivazioni che l’ hanno provocata, preferisce concentrasi sul lavoro che dovrà esser compiuto d’ora in avanti.

Quagliarello si domanda il motivo per cui prima del 1989 l’Europa fosse così popolare e stimata dalla popolazione italiana; dalla globalizzazione in poi il concetto di Europa diventa oggetto diviso e a volte anche penalizzante in contesti in cui non riceve consenso. Prima era un’Europa che effettivamente cercava equilibri e punti in armonia fra i vari paesi, sorpassando le ideologie e le posizioni contrastanti, esempio lampante è quello del generale De Gaulle che nonostante avesse sempre dimostrato una posizione anti-europeista quando, nel 1958, l’agricoltura francese e l’economia europea necessitava di una spinta, fu egli stesso a promuovere i Trattati della CEE. Il problema è che la crisi attuale non è stata recepita da un’autorità sovranazionale, come quella che magari nel 1989 avrebbe reagito, ma soltanto da una nazionale che si è però dimostrata incapace. Il senatore non ritiene sia corretto chiedere più Europa, ma piuttosto un’Europa più giusta in cui sicurezza e lotta all’immigrazione possono vedersi risolte grazie ad una maggiore integrazione europea, in cui forse una revisione dei Trattati potrebbe soltanto contribuire in positivo.

Fassino esordisce: “bisogna rallentare o rilanciare”? Pensa sia più corretta la seconda, dato che in questi anni l’Italia si è “imbarcata” ma senza raggiungere mai la riva. Un grande passo è stato sicuramente il primo atto per la cooperazione rafforzata di difesa, sempre stata materia di prerogativa della sovranità nazionale e poco rientrante tra le competenze e materie di attuazione. Il dibattito delle direzioni dell’UE a più velocità ritiene non essere possibile, dal momento in cui non c’è nessuno che effettivamente voglia rimanere indietro; piuttosto bisogna puntare ad una velocità comune, dimostrazione ottenuta proprio dal risultato in PESC. Armonizzare le politiche non riguarda solo le politiche sociali ma anche l’educazione e tutti gli ambiti d’azione principali fino alla governance, che negli ultimi anni ha assistito ad una crescita della governabilità nazionale. Gli Stati uniti d’Europa sono un orizzonte, che anche se non immediato, rappresenta un obiettivo.

Bresso, parlamentare della commissione Affari costituzionali al PE e membro del gruppo Spinelli, ritorna sul discorso della necessità di revisione dei Trattati; la Carta di Gotenberg a tal proposito ha dimostrato la necessità di un’Europa anche sociale. La crisi economica ha portato grande diffidenza e sfiducia in tutti, con anche il rischio del ritorno dei populismi e nazionalismi ma è anche vero che si sta uscendo da questa fase ed è questo il momento di riavvio. Pur se lentamente si sta assistendo ad un risveglio generale da parte degli stessi cittadini che sentono effettivamente questa necessità più attuale che mai. Difesa, politica economica, giustizia dovranno essere i centri di gravità permanente dell’Europa federale, un’Europa disposta a mettere in gioco la democrazia dei governi.

S.Parisi riflette sulla prassi odierna di scaricare problemi italiani su quelli dell’Europa, quando purtroppo la verità è che si è andati a perdere quella che una volta era l’identità del nostro paese. Bisogna ritrovare un luogo comune di condivisione delle necessità innanzitutto a livello locale ed avere il coraggio di creare una volta per tutte una leadership europea autonoma nelle scelte, senza doversi più rifugiare in altre organizzazioni come l’ONU. “Che sia un’Europa unita ma pur sempre indipendente”, dichiara Parisi.

Mazziotti afferma che l’obiettivo delle elezioni è quello di coniugare diverse linee politiche verso un’unica linea in cui la ricostruzione dell’Europa sta tra i primi posti, e il momento per iniziare a formare una coscienza comune su questo argomento non può che essere questo.

Argenziano, uno fra gli organizzatori dell’incontro, in quanto membro del MFE conclude volendo sottolineare come i tecnicismi non debbano confondere e confondersi con il ruolo della politica, nonostante negli ultimi anni siano stati particolarmente in voga. Un giorno commemorativo come quello del 27 gennaio dovrebbe farci comprendere l’importanza dei massacri che oggi si presentano in prossimità dei confini europei, di cui però spesso si finge di non esserne al corrente.

Sarà dunque una missione impossibile quella di rimettere in gioco l’Unione Europea o semplicemente questione di tempo e grandi sacrifici, i cui risultati successivi però andranno a beneficio di tutti gli attori coinvolti? Un primo passo dell’Italia per questa missione sarà indubbiamente segnato dal risultato delle elezioni del prossimo marzo.

Laura Sacher

COOPERA, conclusa la Conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo

EUROPA di

L’Auditorium Parco della Musica ospita la prima conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo: due giorni di dibattiti e incontri con testimoni della politica e degli affari internazionali, di cui l’Italia rappresenta un centrale motore.

È a partire dalla tragica notizia dell’attacco alla sede di Save the Children a Jalabad , che il Segretario Generale del MAECI, E. Belloni apre i lavori all’insegna della cooperazione e sviluppo nazionale e non. Ribadisce l’impegno e l’intereresse italiano in questo settore, nel quale negli ultimi anni si sono visti numerosi successi e cambiamenti, dalla prima tappa rappresentata dal Forum di Milano del 2012 “Muovi l’Italia, muovi il mondo”. L’obiettivo è quello di identificare gli strumenti  per meglio attuare una cooperazione capace di reagire ai continui cambi di scena che il mondo d’oggi ci presenta quotidianamente. Va comunque notato l’aumento consistente delle risorse per la cooperazione da parte dell’Italia,oggi  la quarta dei maggior contribuenti del G7. Condivisione e partenariato sono i due fili conduttori per un’azione costante e produttiva, ed è a tal proposito che ringrazia il presidente della Repubblica Centroafricana ad esser presente, in quanto portavoce degli sforzi italiani compiuti in un paese “vicino” come l’Africa. Fare sviluppo e contribuire è il modo migliore per fare sicurezza anche a livello nazionale, conclude la Belloni.

La parola passa poi al Ministro degli Affari Esteri, A. Alfano che esordisce con un ringraziamento verso tutti coloro, volontari in particolar modo, che hanno scelto di usare il bene come obiettivo di vita, il bene della condivisione. Testimone del suo primo viaggio in Africa, riconosce l’Italia come un paese di grande collaborazione in realtà di violenza e sofferenza quali quelle africane; realtà in cui lo stesso Ministro si domanda quanta strada ancora si dovrà fare per raggiungere uno sviluppo dignitoso. Conclude invitando tutti i presenti a sentirsi sempre diplomatici, perché portatori dei valori che l’Italia rappresenta.

E così il Presidente Toudaera testimonia dell’amicizia e della forza nate dal rapporto con l’Italia: riconosce ad essa una forte azione solidale verso il suo popolo. In termini d’integrazione militare così come per  l’assistenza umanitaria, progetti di mobilitazione, costruzione villaggi e sistema d’infrastrutture per cui l’Italia ha fornito sostegni economici e di persone fisiche senza precedenti. “Questo evento non può che rappresentare l’inizio di nuovi dialoghi,di  cooperazione bilaterale per affrontare temi come sicurezza, fame e immigrazione”, si augura il Presidente. Presenta il suo paese come un bacino dalle mille risorse, da quelle minerarie a quelle ambientali, e auspica una crescita rapida proprio a partire da queste, grazie all’enorme contributo di paesi sviluppati, insieme alla solidarietà e all’umanitarismo che permettono di continuare verso un dialogo più libero, eguale e benefico.

Il quarto intervento è quello del Commissario Europeo per la Cooperazione allo Sviluppo, N. Mimica che testimonia l’arduo lavoro che la cooperazione europea in un momento così teso sta svolgendo; tra i membri l’Italia è un paese fondamentale nella formazione della strategia politica internazionale. Si ha l’obiettivo di creare una più solida partnership, in cui le stabilità nazionali vadano di pari passo con quella europea. Temi centrali come l’immigrazione e la gioventù sono state al centro del dibattito politico,  insieme all’educazione che è la necessità fondamentale per un futuro migliore per tutti, sottolinea il commissario; lo sviluppo sostenibile ed i flussi irregolari restano due tra i principali gap per un piano comune. Non vuole tralasciare l’importanza delle donne in processi politici fondamentali come questi, senza le quali di sviluppo non si può parlare: “la violenza contro le donne è ora una grande emergenza, alla quale si deve reagire unitariamente”.

Il Ministro dello Sviluppo Economico, C. Calenda presenta poi la cooperazione allo sviluppo come uno degli assi portanti delle linee politiche, nonché un’ottima soluzione per la dimensione economica italiana spesso poco internazionalizzata e ricorda che nonostante il raddoppio della cifra del PIL, non bisogna fermarsi. Il protezionismo e nazionalismo, mette in allerta il Ministro,  se prenderanno piede andranno a colpire i paesi più deboli e quindi bisogna adottare un’apertura sempre più equilibrata dei mercati e del libero scambio fin da subito, in cui il dumping ambientale rappresenta un elemento fondamentale. Ritiene poi che l ’industria rende sostenibile lo sviluppo, e quella manifatturiera se, costruita correttamente, permette anche la costruzione di un modello stabile di welfare. Nonostante le 3 f (food, fashion, forniture), il nostro paese è anche capacità artigianale, operai che hanno costruito nel corso della storia ciò che ora sta alla base dell’economia, capacità di cui paesi come l’Africa hanno un forte bisogno. Conclude menzionando il progetto Migration Compact, presentato l’anno scorso, che è un trampolino di lancio per le nuovi futuri progetti.

Il Ministro dell’Ambiente, G. Galletti presenta gli ultimi 4 anni memorabili per l’enciclica del Papa, l’incontro a NY Agenda 2030 e gli accordi di Parigi per l’ambiente: solo da questi emblematici eventi vuole dimostrare l’importanza vitale del dialogo in un tema così ampio ma al tempo stesso vicino ad ognuno di noi, come l’ambiente e la sua salvaguardia.

A.Riccardi, già Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione ricorda l’evento di  Milano del 2012 come  punto di partenza di una corsa sempre più veloce avviata per lo sviluppo alla cooperazione, divenuta differente rispetto a quella che si considerava in passato: ritiene che oggi ci sia maggior coscienza geopolitica dell’interdipendenza dei destini migratori e che dunque la collaborazione debba considerarsi un laboratorio del futuro.

Gli ultimi due interventi hanno messo in luce il ruolo che entità minori, come le Regioni o i Comuni, svolgono di grande contributo nel processo di cooperazione italiana, da qui A. Decaro, Presidente dell’ANCI che definisce i comuni come la spina dorsale del paese, perché costituiti dai veri promotori del processo: i cittadini.  Già con il progetto “Municipi senza frontiere”, si è ricercata una collaborazione in tematiche fondamentali a livello locale, quale l’educazione, la cultura o la  protezione civile. M. Barni, in quanto rappresentante delle regioni, ha ribadito come la cooperazione territoriale contribuisce a quella internazionale e ha presentato 3 punti che rappresentano il fulcro dei lavori a questo livello: il coordinamento delle entità locali, la gestione dei rifugiati e migranti e l’ Agenda 2030, per un’azione coerente tra i vari attori.

La seconda parte della conferenza si apre con la presentazione delle tavole rotonde concernenti i seguenti temi: giovani, settore privato, migrazioni, comunicazione e sviluppo sostenibile. Qui vi hanno preso parte testimoni ed esperti, le cui esperienze sono state affrontate dettagliatamente negli incontri pomeridiani dove il pubblico ha potuto intervenire ed interagire. Il risultato di tali incontri è stato poi presentato il giorno seguente, insieme alle presentazioni delle risorse investite nella cooperazione internazionale, di cui hanno preso parte L. Maestripieri, direttore MAECI-DGCS, L. Frigenti, direttrice Agenzia Italia Cooperazione allo Sviluppo, F. La Camera, direttore DG Sviluppo sostenibile Ministero dell’Ambiente e A. Baldino per Cassa depositi e Prestiti Spa. Oltre alle istituzioni, “Io c’ero e ci sono: storie straordinarie” ha permesso a personalità del mondo dello spettacolo, dell’impresa e della comunicazione di portare in prima persona la loro esperienza nel campo della cooperazione.

Le conclusioni sono state lasciate all’On. Alfano e al Presidente del Consiglio Gentiloni che, insieme al Vice Ministro Giro, hanno presentato il documento di sintesi dei due giorni di grande.. cooperazione.

 

Laura Sacher

Dopo le ideologie la politica dello spazio

POLITICA di

Dopo l’epoca delle ideologie, quella dello spazio? La politica in un mondo più complesso

Si è concluso così il ciclo di conferenze organizzate dal prof. Edoardo Boria grazie alla collaborazione della Società Geografica Italiana, ponendosi il quesito circa il ruolo nel mondo attuale della geopolitica e se si può parlare di una nuova ideologia di spazio. Prima degli interventi degli ospiti è stato proiettato parte del filmato prodotto dal prof. Boria “Cos’è la geopolitica?” da cui è stato interessante notare dei fili conduttori di tutte le varie interviste dei professori o esperti presenti nel video sul tema di cui sopra: la fine del bipolarismo in seguito alla II guerra mondiale rappresentata come una tra le cause principali della ripartenza e riscoperta del termine “geopolitica” e tutti gli studi ad essa connessi, la globalizzazione come il fenomeno unificatore ma altresì fornente l’opportunità con cui ritrovare un’unità politica ed infine la riterritorializzazione in quanto segnale del bisogno della componente geografica insieme a quella politica. Accanto ciò molti studiosi notano con dispiacere dell’ “abuso” della geopolitica nei discorsi o negli insegnamenti contemporanei, e quando spesso si parla troppo di qualcosa, questa si conosce molto meno rispetto a quanto si possa immaginare.

Il primo intervento è quello del prof. f. Salvatori, mediatore dell’incontro se non Presidente emerito della SGI, che ha voluto sottolineare come tale ciclo d’ incontri abbia promosso una piena riabilitazione del pensiero geopolitico all’interno della geografia, ribadendo che sia stato il fascismo a far scomparire questa disciplina, canalizzando il pensiero umano, che veniva costruito su un’unisca grande razza. Alla domanda “Ideologia dello spazio?” tenta un sì, richiamando il chiaro esempio della necessità del califfato di avere un proprio territorio e quindi di come un’entità politica non sopravviva senza un’ideologia di base che le permetti di svilupparsi. Secondo Salvatori poi la geografia va studiata con gli occhi della scienza e non dell’ideologia che allontanerebbe soltanto gli obiettivi.

Si passa la parola a Germano Dottori, professore presso la Luiss di Roma e collaboratore di Limes: “sono stato collega di Carlo Jean, grande esperto di strategia geopolitica”, esordisce Dottori. Riprendendo il pensiero dello stesso Jean ritiene che la geopolitica fosse morta con il fascismo e sarebbe stato dunque impossibile assistere ad una rinascita, o per lo meno ad un nuovo equilibrio tra forze politiche divergenti. Ciò che secondo Dottori davvero contraddistingue la geopolitica, intesa come teoria spaziale, è l’interferenza reciproca dello spazio e della teoria politica, di stampo realista, facendo si che l’ideologia sia l’antidoto di ciò che la geopolitica contiene; la formulazione della stessa si basa su concetti opposti rispetto a quelli di un’ideologia. Lo spazio della geopolitica contemporanea è di multilivello: si estende dalla geografia all’economia, vi sono componenti orizzontali che collaborano tra di loro, da qui si parla infatti di geoeconomia, geofinanza, geocultura. La fine della guerra fredda ed il processo di globalizzazione segnano una fase di reintegrazione della sovranità di molti stati nazionali, (non più come in passato in cui vi erano le super potenze, e dunque gli equilibri si basavano sullo schieramento del resto degli attori, se a fianco o schierati contro di esse). La fine di tale conflitto ha permesso inoltre agli stati una maggiore libertà d’azione, nuovi possibili progetti di espansione statale: il mondo iniziava a scongelarsi dalla cristallizzazione che conteneva prima gli equilibri. Per quanto riguarda la definizione del ruolo della geopolitica, essa è ritenuta uno strumento pratico, di orientamento e di prova a rendere intellegibili i fatti a coloro che non ne sono strettamente dentro; deve in qualche modo far emergere quello che c’è dietro una competizione, la concorrenza, gli obiettivi che sottendono le grandi azioni politiche agli occhi degli. La geopolitica ha a che fare con la logica del conflitto e ne deve permettere una maggior trasparenza; da studioso di strategia Dottori conclude che La geopolitica non è solo teoria ma soprattutto dottrina, dalla profondità strategica.

Il terzo relatore è Carlo Galli, dell’Università di Bologna secondo cui, partendo dal quesito iniziale, bisogna evitare che la geopolitica diventi una nuova ideologia, un qualcosa che possa spiegare la politica. Riconosce tuttavia necessario il collegamento della geografia, del controllo dello spazio geografico con le dinamiche dei vari paesi, parla di coazione interna in quanto unificazione di molteplici aspetti all’interno delle società contemporanee. Risalendo indietro nel tempo, ricorda che lo strumento di potenza, di minaccia come quello della bomba atomica ha fatto sì che non si avesse la giusta attenzione dello spazio, data la rilevanza che la prima aveva nei confronti del secondo e solo dal momento in cui si sono prese in considerazione le coazioni spaziali dell’agire politico si è tornati ad approcciare la geopolitica; con Ratzel e i teorici della scuola di Monaco, ad esempio, la geopolitica era considerata nelle componenti non solo strettamente geografiche ma anche scientifiche o biologiche, a causa dell’assenza di elementi geografici, in primis i confini naturali, che potesse dar loro studi appropriati basati su elementi concreti. Al giorno d’oggi, fa presente Galli è fondamentale saper distinguere il concetto di geopolitica da ogni altro concetto che gli si sia attribuito esternamente, senza un reale nesso. La geopolitica è una delle tante chiavi di lettura e.. non ci si scordi che prima vi è la politica e poi lo spazio.

Floriana Galluccio, direttamente da Napoli ha una posizione alquanto differente dagli interventi precedenti: accetta innanzitutto di rispondere alle provocazioni iniziali del prof. Dottori, ritenendo che ci sia un’idea della geografia in quanto descrizione dello spazio orizzontale scorretta proprio perché tale “orizzontalità” dovrebbe superarsi e oltrepassare l’idea della riduzione della geografia a geomorfia. Cita Faivre che riteneva l’uomo un animale politico, ponendo così prima la dimensione umana di quella spaziale. Secondo la professoressa la geopolitica rientra nella natura storica e teorica della geografia politica ma le due non coincidono. Approccia poi un flashback storico dalla crisi della sovranità dello stato post vestfaliano all’introduzione del soft power, e di come il problema tra epistemologia interna (dibattito interno del sapere) ed esterna (dibattito esteso nelle relazioni e con gli altri rami del sapere) sia ancora molto attuale. In quanto al quesito centrale dell’incontro, analizza la coppia ideologia – spazio, esponendo una definizione della prima, a partire dal dizionario Treccani per poi passare ad un excursus dei maggior politici letterati del tempo che si sono posti cosa fosse veramente un’ideologia, da Marx e ed Hegels, passando per Lenin, a Gramsci e ripercorrendo alcune interpretazioni della politica e della visione di questa all’interno della geografia di autori moderni e contemporanei, tra cui anche il noto “nomos” di Schmitt.

Conclude l’incontro il dott. Matteo Marconi: egli riprende le problematiche che dal titolo possono scaturire, domandandosi innanzitutto se il periodo delle ideologie sia realmente passato oppure no. La politica è ora solo uno dei componenti della vita della complessità dell’uomo, insieme all’economia e l’utilità della geopolitica dipende da una serie di presupposti che vanno tolti: non va considerata ad esempio nell’ottica giornalista, intesa come relazione con la politica dello Stato moderno né tanto meno confusa con la politica estera, le cui competenze spettano a soggetti ben diversi dai geopolitici. Dichiara in seguito che la geopolitica “non è un gioco di scacchi”, perché altri elementi devono interferire con essa, al di là della pura politica interna; lo spazio non può essere definito un mero spazio politico così come non può più considerarsi lo Stato l’unico centro di gravità di controllo, né che la politica si riduca alla sola volontà degli attori che ne prendono parte dato che essi non agiscono esclusivamente in base a principi razionali, la componente del territorio è del tutto fondamentale per la scelta di un’azione politica.

Dunque il ruolo della geopolitica sta indubbiamente ancora subendo delle evoluzioni e con lei, i vari campi del conoscere. La certezza è che una sua maggior conoscenza non può far altro che contribuire alla comprensione degli eventi che colpiscono la scena d’oggi. Ma si hanno i giusti strumenti ? A voi una riflessione che vi colpirà in maniera più diretta di quanto possiate immaginare.

Laura Sacher

 

 

The security challenge in the Meditterranean. A view from Turkey

EUROPA di

La sede della Stampa estera a Roma ha onorato la presenza dell’attuale Ministro degli Affari Esteri della Turchia, Mevlüt Çavuşoğlu che in un conciso ma esplicativo dibattito con Monica Maggioni, giornalista italiana, ha osservato la situazione della Turchia nello scenario internazionale in relazione ai rapporti dei paesi del Mediterraneo. È proprio il Mediterraneo ad attribuire il nome agli eventi che, ormai da 2 anni, accompagnano l’iniziativa Med Dialogues, con incontri istituzionali e non circa il ruolo che questo bacino ha sempre avuto ma ha sviluppato vertiginosamente negli ultimi decenni.
Il Ministro inizia nel dire che il potere economico al giorno d’oggi non è più solo concentrato in Europa, ma si sta sviluppando anche in altri continenti come l’Africa; questa è l’epoca dell’estremo e cita i conflitti mondiali come termine di paragone, pur ammettendo che a livello di morti e fenomeni migratori, forse i numeri attuali superano quelli del ’14-‘18 e del ’39-’45. Xenofobia e discriminazione sono le parole chiavi dei dibattiti odierni, com’è quindi possibile la costruzione di una responsabilità mediterranea? Innanzitutto è necessaria la collaborazione tra i paesi, non soltanto per interessi economici ma anche in visione di una maggior integrazione e coesione sociale; bisogna concentrare le lotte contro le tratte umane, ponendosi quindi comuni obiettivi da comuni progetti. Un miglior sistema informativo e di sicurezza che permetta una maggiore cooperazione tra i soggetti internazionali è senz’altro lo strumento che secondo il Ministro può portare a tale responsabilità. Bisogna uccidere le ideologie portate avanti dagli estremisti in cui regna la politica dell’isolamento e della discriminazione, provando quindi a regolare in maniera più efficiente l’immigrazione. Çavuşoğlu si concentra poi sulla necessità di aiutare chi più ne ha bisogno e in questo l’ Italia insieme alla Turchia già da tempo stanno promuovendo accordi e possibili soluzioni.
Terrorismo e quindi necessariamente Siria è l’ultimo argomento affrontato dal Ministro che ha assunto una posizione alquanto positiva raccontando la cronologia della posizione turca rispetto alla difesa dei territori colpiti dal jiadismo; la Turchia ha fin dai primi tempi organizzato campagne per la lotta ed i suoi uomini hanno ucciso molti soldati estremisti. Alla domanda della Maggioni “i rifugiati siriani che ora abitano in Turchia una volta sconfitto totalmente l’ISIS torneranno nel paese d’origine o saranno integrati nella società turca, risponde che essi sicuramente si sentiranno più sicuri nella loro terra, come qualsiasi individuo, quindi se potranno, preferiranno tornare ma altresì il Ministro ritiene che il 20 % forse resterà in Turchia data la stabilità economica, il riconoscimento della cittadinanza e l’assistenza sanitaria che è stata loro riconosciuta.
Sul fronte UE Mevlüt Çavuşoğlu non si preoccupa minimamente del rapporto con l’Italia: infatti chiede spesso ai suoi colleghi europei il perchè dovrebbe avere problemi con essa, una cosa che però l’ UE ed i suoi membri devono capire è che la Turchia non è un paese con cui trattare, l’economia turca è un’economia forte e non necessita di scambi di policy, bisogna trattarla come un paese come un altro. Questa non è una visione patriottica ma puramente reale, concludo il ministro.
Laura Sacher

“L’Ucraina moderna nello spazio comune europeo”, convegno del Centro Studi Roma 3000

EUROPA/Senza categoria di

Centro Studi Roma 3000 ha avuto l’onore ed il piacere di portare sul tavolo una discussione di un tema attuale e più vicino alla realtà italiana di quanto normalmente ci si aspetta. A prendere per primo la parola è stato il consigliere dell’ambasciatrice dell’Ucraina in Italia, Dott. Dmytro Volovnykiv che ha voluto iniziare celebrando i 25 anni di relazioni diplomatiche Italia-Ucraina, ora alla base di un forte rapporto che soprattutto nell’ultimo periodo sta contribuendo all’integrità territoriale dell’ ex paese sovietico. Lo scenario attuale ucraino è alquanto delicato: dal 2014 quella che è stata nominata la Rivoluzione della Diginità come conseguenza dell’occupazione russa della Crimea ( “la peninsola che non c’è”), ad est dell’Ucraina, è stata seguita da continue manifestazioni di violenza, il mancato rispetto del cessate fuoco proveniente da più attori internazionali e un elevatissimo sfruttamento economico da parte della Russia. Il report dell’ufficio dell’Alto Commissariato dei diritti delle Nazioni Unite ha meglio parlato di “detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, torture e maltrattamenti”, per non citare tutti i casi di violazione dei diritti dell’uomo. Oltre alla situazione della Crimea, Volovnykiv ha ricordato il caso del Donbass, altro bacino di delicato impianto geopolitico.

Nella sfida europea accanto all’Ucraina vi è l’Estonia, membro UE dal 2004, il cui console rappresentante in Italia, M. Sarglepp ha sottolineato che i conflitti menzionati hanno indubbiamente favorito un rafforzamento interno ed esterno degli accordi di partnership e cooperazione tra paesi del ex blocco sovietico che, data la loro strategica posizione geografica e la centralità in alcuni settori economici, i cui primi frutti si stanno vedendo. Il dialogo con le maggiori istituzioni rimane lo strumento migliore per portar avanti progetti proficui in situazioni di tensione come questa analizzata: il prossimo 24 novembre si riunirà l’ Eastern Partnership (EaP) per rafforzare la forza dei rapporti economici, governativi, sociali e della sostenibilità; a dimostrazione dell’importanza del ruolo individuale di un paese come l’Ucraina ma altresì la responsabilità dell’Unione Europea di fornire gli adeguati strumenti e possibilmente anche le risposte per la fine di una crisi come quella che percorre la realtà del Mar Nero.

Il terzo intervento è stato poi quello di Andrew Spannaus, analista politico-internazionale e Presidente Stampa Estera di Milano, la cui esperienza e stessa origine americana gli ha permesso di affrontare il dibattito sotto il punto di vista americano: il non più neoeletto presidente Trump sta modificando in parte i piani d’azione messi in atto dal suo predecessore, esprimendo però un consenso nei confronti della Russia, con la quale “condivide” la fine della Guerra di Siria. Si collega qui l’intervento del direttore di Limes, Lucio Caracciolo secondo cui la situazione ucraina è sottovalutata o per lo meno poco conosciuta dall’italiano medio, nonostante la distanza che ci separa sia minore di quella che vi è tra l’estremità nord e sud del nostro territorio.

Rilevante è anche la connessione dell’Italia con l’ Ucraina tramite la contestazione di territori come la TransIstria, formalmente della Moladavia ma sotto il controllo della Russia, oggi uno dei centri principali per il traffico internazionale. Da qui il rapporto strumentale tra Usa e Europa centrale, essendo i paesi dell’Europa centrale di importanza relativa rispetto alle potenze che potrebbero invece squilibrare gli assetti americani. Caracciolo riprende le linee guida presentate da Spannaus: dal punto di vista americano il conflitto ucraino è una partita con la Russia e in parte con la Germania e la fascia di Europa più vicina alla Russia rimane un’area di frizione permanente. Il direttore manifesta un basso ottimismo circa la soluzione di questo conflitto dato che gli interessi russi si basano sul timore che l’Ucraina possa diventare parte della NATO, diversamente da quelli americani di mantenere il conflitto per avere il controllo del paese, senza considerare il fatto che la Russia ha sempre rappresentato un nemico e non un possibile alleato per l’America.

Per quanto riguarda altre zone di fuoco viene citata la Crimea che è ora sotto la mano russa, pur se illegalmente, ed il Donbass, dove si combatte una guerra la cui fine è ancora lontana. Per concludere Caracciolo afferma che la guerra che oggi si vive in Ucraina non è propriamente civile, riprendendo le parole del consigliere Volovnykiv, ma gran parte delle questioni centrali devono essere risolte a livello nazionale mediante efficaci e “rivoluzionarie” politiche. A tal proposito si è vista anche l’inefficienza dell’Unione Europea di fronte a tali questioni, pur non essendo essa non un vero attore geopolitico e giocando quindi un ruolo immaginario. L’Italia in tutto ciò sarebbe favorevole ad una posizione neutrale dell’Ucraina, che non entri a far parte della NATO ma magari dell’UE, senza uno scontro vero e proprio con la Russia, per più motivi tra cui il considerarla più una debolezza che una forza in questo momento.

 

Laura Sacher

Photo Credit: Giorgio Sacher

 

La dimensione geografica della politica internazionale

EUROPA di

La Società Geografica Italiana ha ospitato il secondo incontro del seminario organizzato dal professore Edoardo Boria “Nuovi orizzonti geopolitici: la geopolitica di oggi”, con la partecipazione di Lucio Caracciolo, Luca Scuccimarra, Silvia Siniscalchi e Rosario Sommella, con l’ introduzione del mediatore Daniela Scalea.

Daniele Scalea, ricercato dell’università di Roma “La Sapienza”, ha introdotto il rapporto politica-geografia come un rapporto da sempre esistito, nelle cui civiltà antiche veniva dato quasi per scontato: da Erodoto a Montesquieu il discorso geopolitico era basato sul presupposto stesso del legame tra politica e geografia. A partire dall’ 800 e per il secolo successivo si inizia a parlare di determinismo, distaccando quindi la dimensione umana dal resto. Verso la seconda metà del ‘900 al centro delle riflessioni si presentano le relazioni sociali, trasformando così in strumentalizzazione il discorso geografico nella politica. Fronte a queste evoluzioni nel corso del tempo vi sono state numerose reazioni, più o meno critiche ma a grande risonanza nell’opinione pubblica. La riscoperta della geopolitica ha comunque incarnato le tradizioni della dottrina, che nonostante i cambiamenti e le evoluzioni, resteranno sempre invariate.

Rosario Sommella, docente di geografia regionale presso “l’Orientale” ha esordito spiegando la vastità di concetti e teorie che la questione della dimensione della geografia abbraccia; la dimensione classica della geopolitica (con la tendenza ambientalista e l’affidamento alla spiegazione tramite le teorie delle relazioni internazionali) a volte appare un po’ “pesante” rispetto al pragmatismo cui si relaziona quotidianamente un discorso geopolitico. La storia è secondo Sommella l’elemento da cui poter parlare effettivamente di geopolitica, motivo per cui cita la Russia come esempio di paese che in base alla geografia ha costruito la sua storia di potenza e che ancora oggi vi basa le relazioni con il resto degli attori internazionali. Il professore si sposta poi sulla politica estera, domandando retoricamente come non si possa dire che essa sia influenzata dalla posizione geografica. Ciò che si necessita per la geopolitica d’oggi è rivisitare la geopolitica grafica, riprendere i fondamenti classici, tenendo però presente dell’importanza realistica, dei fatti che quindi compongono il teatro geopolitico attuale. Il nostro obiettivo deve essere quello di unire i fondamenti tradizionali con quelli contemporanei.

La seconda a intervenire è Silvia Siniscalchi, professoressa di geografia a Salerno la quale imposta il suo discorso sugli studi di Haushofer, uno tra i primi studiosi delle teorie geopolitiche classiche e che considerava la geopolitica una scienza al servizio della pace.  Il punto di partenza deve essere ad ogni modo domandarsi cosa voglia dire geopolitica: essa assume un significato ambiguo, essendo composta da due parole apparentemente discorde; vi sono infatti numerose definizioni relative a ciascuna delle due, ma più difficilmente una unitaria per entrambe. Seconda nota figura nominata dalla professoressa è Ratzel che in “La geografia dell’uomo” sconfessa la visione deterministica fatta dall’ interpretazione francese e afferma che l’uomo ha libertà di scelta ma non può annullare le sue condizioni primarie e che tale libertà è quindi limitata. Ratzel affronta poi un “eterno”  argomento: i confini, definendoli come un qualcosa di illusorio, dal momento in cui il popolo non è legato strettamente al suo territorio, ma bisogna considerare anche il fattore tempo, il contesto nel quale il popolo è inserito. Questi concetti secondo la Siniscalchi sono oggi alla base della geografia territoriale, soprattutto a livello locale. Conclude affermando che oggi la geopolitica dovrebbe esser vista come una riqualificazione territoriale della stessa politica, sempre più affidata a persone ignoranti ed incapaci di gestire dinamiche di importanza vitale. Deve essere una dottrina da praticare e non più teorie su teorie.

Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes riflette su come la geopolitica oggi sia un termine alla moda, anche se di uso recente. Si torna a riscoprire della geopolitica dalla fine della II Guerra Mondiale alla fine della Guerra fredda quando è evidente la necessità di rompere con gli schemi che fino a quel momento avevano sorretto il pensiero della geopolitica. Tale riscoperta, ammette Caracciolo, è purtroppo avvenuta in un momento in cui la politica internazionale è stata interdetta dalla scienza politica, i cui ragionamenti sono totalmente opposti rispetto a quelli della geopolitica: la scienza politica pensa che si possano formalizzare le leggi e le formule direttamente applicabili nei vari casi, mentre la geopolitica si libera di tali “scienticismi”. Ciò che rende la geopolitica attuale è proprio la contrapposizione della dimensione formale con quella pragmatica rappresentata dai fatti (si veda la Catalogna che ha una visione del proprio territorio molto più espansa di quella che la Costituzione, e quindi la base giuridica formale, effettivamente stabilisce); questo perché si sta riscoprendo la geografia in quanto legittimazione di attuazione di alcune politiche. Ciò nonostante Caracciolo ribadisce che non è mai stata così forte l’ignoranza dei politici, dei media ecc. su tali questioni. Individua infine il problema della geopolitica attuale nel fatto che ogni tanto provi a rifarsi alla scienza, tentando di prevedere il futuro e  provocando quindi semplificazioni che anche nella comunicazione pubblica eguagliano tutti i fenomeni critici, senza invece andare in profondità , analizzandone le specificità di ciascuno.

L’ultimo intervento è di Luca Scuccimarra, docente di storia del pensiero politico dell’università La Sapienza il quale colloca i rapporti storici del pensiero politico e geografico in uno spazio delle scienze sociali, dato l’inserimento sempre più spaziale della dottrina storica, motivo per cui negli ultimi 30 anni gli storici hanno imparato a studiare il tempo nello spazio. Cita Carlo Galli che oltre al livello spaziale parla di quello della costruzione riflessiva dello spazio politico, inteso come contesto in cui le azioni politiche si attuano. Questo tipo di studi è avvenuto in seguito alla nascita della realtà internazionali, degli studi delle relazioni internazionali e quindi con l’apparizione dello stato nazione sovrano. Un errore che secondo il professore è stato spesso compiuto è la restrizione del pensiero politico sui filoni nazionali, e non anche sovranazionali, sottovalutando così la complessità dell’universalità dei pensieri, nonostante poi si convenga che molti  dei fenomeni comuni a tutte le realtà sono il risultato di comuni atteggiamenti politici, come le persecuzioni religiose. Ciò che la geopolitica d’oggi può fare è  contribuire alla contestualizzazione, collegando la materialità dei fenomeni.

Da questi punti di vista si può indubbiamente affermare che la politica rappresenta un elemento chiave di tutto ciò che riguarda la realtà geopolitica e, anche se in maniera a volte eccessiva, quest’ultima occupa al giorno d’oggi una centralità senza precedenti; il miglioramento degli attori politici può essere senz’altro trovare adeguati strumenti per allargare innanzitutto la conoscenza di realtà a noi molto vicine e scoprire poi la modernità partendo dalle sue fondamenta dell’antichità.

Laura Sacher

Mogherini al convegno IAI su Difesa Europea, “Finanziare, sostenere, agire”

SICUREZZA di

L’Istituto d’Affari Internazionali ha ospitato l’Alto Rappresentante Federica Mogherini ed il ministro della difesa Roberta Pinotti: un duetto femminile di cui l’Italia e l’Europea ne possono andare solo che fiere; dibattito moderato dall’inviato del Corriere della Sera Paolo Valentino. La protagonista è stata la difesa, argomento al giorno d’oggi al centro dei dibattiti politici e che nel processo d’integrazione europea ha spiccato per l’importanza attribuitale e le conseguenti misure adottate.

Innanzitutto perché affrontiamo la difesa europea e perché proprio oggi?

La prima a rispondere è Federica Mogherini che fa notare che la nuova strategia d’azione era stata presentata prima della Brexit, così come le misure sul lavoro sono state adottate nel settembre scorso, quando Trump ancora non era salito sulla scena, eventi questi che hanno senza dubbio sensibilizzato non solo gli attori istituzionali ma anche il pubblico da cui è partita la richiesta di una maggior difesa, spostando l’attenzione dalle misure economiche e politiche a quelle di difesa che non sono state quasi mai ai primi posti. È la minaccia a far risvegliare gli animi collaborativi, soprattutto quando gli strumenti nazionali non sono sufficienti. L’Alto Rappresentante continua con il tema della spesa, citando l’UE come l’organizzazione al secondo posto del bilancio economico, in cui l’Italia occupa una buona posizione.. allora il problema dove sorge? Bisogna analizzare il come questa spesa è distribuita, o meglio i singoli contributi dei paesi e da qui si noterà una forte frammentazione e disparità delle realtà economiche, dovuta anche all’assenza di efficaci economie di scala.

“Finanziare, sostenere, agire” sono questi i passi da seguire per condurre giuste linee politiche che cerchino di raggiungere obiettivi comuni, anche se a velocità diverse, date le differenze che accomunano ciascun membro. Secondo il ministro Pinotti, si può finalmente parlare di successo nel campo della difesa italiana ed europea: la collaborazione con la NATO, di cui promotrice principale la Mogherini stessa, i vertici straordinari organizzati proprio per la discussione di nuove misure da adottare, così come la nota espressione del ministro nell’agosto 2016 dello “Schengen della difesa” per la promozione di nuove collaborazioni e piani d’azioni di difesa fra gli Stati; non per ultimo l’incontro del Consiglio europeo per il progetto Pesco (cooperazione strutturata permanente),  ne sono la dimostrazione vivente. Viene poi citato l’innovativo piano strutturale di confronto e raccorto fra il bilancio europeo e quello nazione degli Stati membri, per raggiungere una maggiore coerenza e diminuire la frammentazione di cui sopra; “il libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa” è stato il punto di partenza ed ora il lavoro delle forze armate, sia a livello locale che non, è di gran lunga migliorato. Ciò nonostante la macchina europea per entrambe le ospiti non si può nè deve arrestarsi, ma può soltanto che aumentare di velocità ora che sembra aver preso la giusta direzione.

Roma, incontri di geopolitica alla società Geografica Italiana

EUROPA di

Giovedi 12 ottobre si é aperto il ciclo “Nuovi orizzonti del pensiero geografico: la geopolitica oggi” che vedrà altri due incontri, presso la società geografica italiana di Roma. Quali sono i temi dei dibattiti? A chi sono diretti? Il primo incontro ha affrontato  la responsabilità degli intellettuali di fronte al potere, dove sono intervenuti Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali presso l Università di Milano, Dario fabbri, facente parte della redazione della rivista di geopolitica Limes, Maria Luisa Sturani dell Università di Torino e Lida Viganoni direttamente dall Orientale di Napoli.

Oltre che per la provenienza, tutti questi “intellettuali” hanno presentato la loro posizione discordante o per lo meno differente  circa il tema proposto. Innanzitutto bisogna citare l’ organizzatore di questa serie di incontri:  il geografo Edoardo Boria, che a partire dal suo video “che cos’é la geopolitica” é stato lo spunto delle riflessioni. Da qui si distaccano due filoni principali di concezione del ruolo dell’intellettuale: un primo che sta al lato del “principe”, contribuendo quindi alle decisioni politiche orientandole verso le sue intuizioni, un secondo che invece ritiene che il suo lavoro  debba rimanere autonomo ed isolato dall’ esterno. Si sviluppa cosi l’idea della geopolitica come strumento per la sottomissione da parte del potere o istituzioni, spesso manipolatori delle informazioni poi trasmesse pubblicamente.

Colombo esordisce con la necessitá di intervenire nella realtà odierna, non potendo restare passivi e quindi oggetto di strategia del potere; l’ intellettuale  non vive più l’emarginazione  ma sono i suoi “costi” ora che lo inducono sovente a fargli restringere anziché allargare gli orizzonti. Il professore ritiene che l ‘intellettuale debba trovare la corretta focalizzazione delle vere problematiche dello scenario politico.

Secondo Fabbri poi, la geopolitica può influire sulla politica, soprattutto nella tattica o strategia, per quanto riguarda quindi le questioni strutturali. I compiti dell’ intellettuale ? Fornire una valutazione nella maniera più asettica possibile e non focalizzandosi su specifici aspetti. Ritiene poi che ci debba essere una minor intercambiabilità culturale tra i paesi, così da poter acquisire un’identità ben solida senza influenze esterne.
Sturani supporta il contributo che l’ intellettuale deve dare al sapere scientifico in generale, da un pubblico più o meno esperto.

La professoressa Viganoni ritiene infine fondamentale l’elemento locale insieme alle componenti territoriali di ciascuno Stato per la comprensione e approfondimento dei temi geopolitici. Gli intellettuali, a partire dagli insegnanti a contatto con gli studenti, devono assumere un atteggiamento critico così da poterlo trasmettere, influendo sulla creazione di un’opinione generale che non segua però quella di massa.
È senza dubbio complesso poter analizzare gli innumerevoli ruoli presenti nelle società odierne che interagiscono nei processi sociali e politici ma è altresì fondamentale saperli distinguere e che ciascuno contribuisca al miglioramento altrui, ma se non dopo aver pensato al proprio di miglioramento.
.. Al prossimo incontro.

LauraSacher

Uno sguardo Internazionale in Festival

BOOKREPORTER/EUROPA di

La città emiliana ha ospitato l’XI edizione del festival dell’Internazionale, il settimanale che raccoglie testimonianze ed articoli di giornalisti da tutto il mondo. Dal 29 settembre al 1 ottobre quest’anno sono stati invitati ben 250 ospiti provenienti da 40 paesi e 4 continenti. All’insegna della “prospettiva”, per combattere i moti xenofobi ed i populismi che nell’ultimo periodo hanno attaccato gli scenari politici e sociali; gli incontri organizzati avevano l’obiettivo di informare innanzittuto e coinvolgere anche coloro che per pura curiosità si erano avvicinati ad ascoltare, dai più ai meno giovani. La città era gremita di persone così come di incontri e proiezioni, che spesso era difficile scegliere a quale partecipare. Andiamo ora a scoprire gli incontri concernenti la questione del Medio Oriente e gli eventi rivoluzionari più vicini ma anche quelli più lontani, dalla Brexit ai flussi migratori.

Per iniziare.. Can Dündar, scrittore arrestato nel novembre del 2015, sotto il regime di Erdogan, per aver pubblicato delle documentazioni circa l’invio di armi segrete da parte dell’intelligence turca ai combattenti siriani, vive oggi esiliato in Germania e ha vinto il premio della stampa internazionale per la libertà. Il cinema Apollo di Ferrara lo ha ospitato per testimoniare la sua esemplare esperienza; ai populismi che stanno prendendo piede in più parti del mondo, Dündar risponde che si deve combattere uniti, resistendo alla minaccia. Descrive poi Erdogan come un abile prestigiatore di personalità: può essere il miglior nemico così come il miglior amico e denunciando gli errori che ha commesso, sostiene che la Turchia risentirà, e già ne risente, delle conseguenze.

Nel primo pomeriggio Timothy George Kelly, giovane regista australiano che ha voluto intraprendere una nuovo progetto con il popolo inglese: ha prodotto un documentario fatto da 49 interviste in cui gli stessi inglesi spiegavano il loro voto del referendum del giugno scorso circa il futuro dell’Inghilterra all’interno o all’esterno dell’UE. In 92’ si spazia da persone con idee chiare e realmente convinte di ciò che pensano a persone, di ceti sociali minori, che giustificano il loro voto con pensieri che sfiorano il ridicolo, spesso a causa della loro ignoranza. L’ignoranza è proprio il fattore che denota la sottovalutazione di un voto che avrebbe invece modificato radicalmente la storia del loro paese; accanto ad essa si affianca la confusione che alcuni interventi dimostrano circa il significato di UE e cosa davvero significhi essere europei o meno. Il documentario mostra poi come l’origine della famiglia influenzi profondamente il pensiero di una persona, dal contadino la cui unica preoccupazione è di allevare le pecore e che dunque non è afflitto minimamente da una questione del genere, alla ragazza con i genitori immigrati per cui l’UE è stato invece un aspetto fondamentale della loro integrazione. Interessante in questo documentario anche le scelte del regista per quanto riguarda l’inquadratura e l’uso del bianco e nero.

Ci spostiamo poi in “Altre Afriche, racconti di paesi sempre più vicini” un libro di Andrea de Georgio con Hassane Boukar con la prefazione di Lucio Caracciolo; il cortile di Palazzo Crema ha ospitato un’interessante dibattito circa la situazione attuale del Sud Africa, in particolare il Niger, che è sempre più vicina all’Occidente per molteplici fattori. Innanzitutto i flussi migratori stanno mettendo sempre più in contatto la nostra cultura con la cultura africana; l’atteggiamento di alcuni paesi, la Francia in primis, che perseverano una pressione inadeguata nei confronti di questi popoli: l’uso del franco CFA ne è una chiara dimostrazione. Lo scrittore nigerino ha testimoniato come al giorno d’oggi queste questioni vadano spesso ad oscurare la vera realtà delle società, dove le decisioni delle istituzioni nascondono le necessità primarie dei popoli, che sono ancora tutto tranne che liberi.

L’Unione Europea è la protagonista del dibattito di Romano Prodi e Ilvo Diamanti. Prodi esordisce, commentando con gran naturalità i risultati delle elezioni tedesche, ammettendo che non poteva che aspettarsi la vittoria della cancelliera, alla quale riconosce il merito di aver messo in pratica un programma progressista che ha accompagnato lo sviluppo del paese, ed è stato uno tra i motivi che le ha permesso di essere rieletta. Alla questione Unione Europea, Diamanti risponde citando non tanto l’allargamento quanto la mala gestione all’interno della società internazionale che continua a causare incomprensioni e sollevamento di questioni che anzichè risolvere, bisognerebbe evitare che sorgano. A ciò connesso è senza dubbio la crisi della democrazia rappresentativa che sta attraversando praticamente ogni angolo del mondo; i due ospiti riflettono sul problema del delegare al “solo” il potere, a volte persino incostituzionalmente come nel caso di Polonia ed Ungheria, non rispecchiando quindi la volontà generale dei popoli elettori.

La crisi non giustifica la disumanità: apre così il dibattito Erri de Luca, gran sostenitore dei rifugiati e testimone attivo dei viaggi che li vedono protagonisti nella ricerca disperata di raggiungere le coste italiane. Testimone attivo perché è salito su una nave di Medici Senza Frontiere: ciò che più lo colpisce è la serietà con la quale i giovani volontari lavorano per portare a salvo più persone possibili, la grande forza con la quale si prende questo incarico, influenzando persino chi lì lavora per un contratto. E’ la fraternità il primo valore portato avanti, ma anche soppresso in poco tempo a causa dell’eliminazione del diritto di appello per i migranti prevista dal governo italiano. Da qui il dibattito inizia a prendere toni polemici e di protesta nei confronti delle decisioni prese nei mesi precedenti dalla politica italiana (dalle diffamazioni alle ONG, alla pubblicazione del codice di regolamento, in cui MSF ha dichiarato fin dall’inizio non aderire), con la partecipazione anche del presidente italiano di Medici Senza Frontiere Loris de Filippo.

La giornata di sabato ha visto altrettanti attori della scena moderna internazionale e mondiale..Tra cui: “Ripartire da sinistra”. Si assiste progressivamente alla perdita dei valori tradizionali della sinistra, di quei modelli che hanno costruito le vere menti fondatrici di una scuola di pensiero che risale oramai a molti anni fa. Ciò che critica soprattutto l’ex ministro della giustizia del governo Valls,Christiane Taubira, è la mancanza di comunicazione con e fra le classi della società, utilizzando il termine “depoliticizzazione”. Le classi tuttavia hanno perso quasi completamente il significato di cui godevano una volta, non si può più parlare di classe media infatti e il bisogno ricade inevitabilmente nell’individuazione di un rappresentante. La crisi di cui sentiamo parlare sempre più spesso è diventata un modo di gestire il sistema, insidiando così paura e mancanza di fiducia nei cittadini. L’obiettivo deve essere quello di poter tornare a parlare di solidarietà nazionale: terrorismo, immigrazione, ecologia devono rappresentare proprio il punto di partenza, essendo i problemi che accomunano la maggior parte degli attori internazionali e proprio quelli che li possono unire.

“Love & Revolution”. Un dibattito fuori dalle righe per i temi e i protagonisti che ne hanno preso parte: il giovane scrittore Saleem Haddad, lo scrittore egiziano Ayman El Amir insieme a sua moglie Nada Riyadh e la giornalista inglese, nata in Canada, Shereen El Feki che hanno discusso sul significato dell’amore e di un aspetto intimo quale quello dell’omosessualità in Medio Oriente. Shereen El Feki ha svolto un’inchiesta sul sesso nel mondo arabo, per comprendere a fondo cosa passa nella mente di un individuo di una realtà un pò diversa dalla nostra, ma pur sempre con istinti umani. Nel linguaggio arabo si distaccano in particolar modo i due termini “habram” e “haib”, in cui il primo sta a significare tutto ciò che va contro la religione, mentre il secondo significa vergogna, il timore di non fare pur di non essere giudicato; da qui si delinea come la vita al letto è strettamente connessa con la vita esterna. A volte è la sola paura del pregiudizio a non liberare sentimenti che appartengono da sempre all’essere umano, sia esso uomo o donna.

E per concludere.. la Corea. In Corea del Sud 30 anni fa finiva la dittatura e si può dunque definire la democrazia una democrazia piuttosto giovane. A raccontarci questa realtà sono stati Chang Kyung-Sup, dell’università di Seoul, Kim Young-ha, scrittore e giornalista e Anna Fiefield del Washington Post. Fino al 2007 il popolo coreano era l’unico a stare sui libri per più di 2000 ore all’anno e il tasso di suicidi era davvero fuori dal normale ma altresì la produzione molto alta lo faceva posizionare tra i posti più alti per la prosperità economica: un quadro molto vario dunque. L’influenza americana e l’abitudine oramai divenuta quotidianità fa sì che la Corea del sud sia comunque dinamica nel relazionarsi, nel trovare più spazio all’impegno piuttosto che al tempo libero, la vita è paragonabile ad una macchina in continuo movimento e l’industrializzazione da questo punto di vista ha certamente contribuito molto. L’ultima elezione della presidente è avvenuta, secondo il sociologo presente, per la paura dei cittadini di non sapere dove si sarebbe andati a finire se il potere fosse stato affidato ad altri. Per quanto riguarda poi la minaccia della Corea del Nord, che forse spaventa più l’occidente che la Corea stessa, viene descritta come un muro, al di là del quale non si vuole oltrepassare, o meglio neanche ci si vuole immaginare cosa possa esserci; a livello di pericolo effettivo le dichiarazioni provenienti dal nord si ripetono da così tanto tempo che hanno perso la loro credulità.

Alla prossima edizione..

Laura Sacher

MADAGASCAR, UN PAESE IN CERCA DI FUTURO

AFRICA di

Repubblica semipresidenziale, quarta isola al mondo che ospita un universo di specie animali e vegetali da record. Tralasciando i segreti naturali, ci affacciamo nella realtà politica del popolo di Noyse Be , le cui tradizioni e modo di vivere restano radicati nel passato; come ci confessa la guida turistica intervistata, il presidente è il più delle volte corrotto e organizza campagne elettorali in tutto il paese, illudendo i cittadini di dar loro nuove speranze di vita. La politica tuttavia non è al centro della vita di un malgascio, potendo a malapena terminare le scuole di primo grado e di conseguenza sviluppare un interesse per le questioni più “alte”; è l’elevato costo, sia per le scuole pubbliche che quelle private, ad essere la causa dell’elevato analfabetismo.

Spesso si inizia ma non si porta a termine, così come la costruzione delle case che vengono iniziate in cemento per poi rimanere incomplete o continuate in legno, essendo meno costoso. Percorrendo le strade dell’isola, si respira un’aria di collaborazione, di sentita unione fra gli abitanti dei numerosi villaggi a poca distanza l’uno dall’altro, che variano dai 50 ai 350 abitanti, ad eccezione delle tre città maggiori che ne contano di più.. un’aria profumata dalle spezie tipiche che colorano i piatti locali, dal pollame e gli animali che collaborano alla sopravvivenza delle famiglie. Dai più comuni galli alle tipiche mucche, gli zebù, la cui carne è un piatto forte. I mercati sono affollati, mosche a non finire che sorvolano il cibo venduto direttamente sulla strada ma che per loro sono parte della quotidianità, date le condizioni igieniche ancora scarse.

La numerosità dei bambini è uno tra gli aspetti che può lasciare più sorpresi: la natalità è altissima e le ragazze diventano madri già dai 16 anni, con una media di 6 bambini. Nonostante tutto ciò, a Nosy Be si vive molto bene, grazie al turismo che ogni anno aumenta e permette alla popolazione una vita dignitosa; è la natura a comandare e l’uomo scandisce le sue giornate proprio in base ad essa. La difficoltà nell’ottenere i visti per uscire dal Madagascar fa sì che questa gente non conosca, se non coloro che lavorano in stretto contatto con i turisti, il Mondo che si nasconde appena fuori;  sarà proprio questo a far apparire questo popolo tranquillo, sorridente e senza dubbio privo della frenesia occidentale.

 

Laura Sacher

Laura Sacher
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