GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Francesca Scalpelli - page 9

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Conferenza di Monaco: Macron guarda ad Oriente

EUROPA di

Dal 14 al 16 febbraio, presso l’Hotel Bayerischer Hof, si è svolta la 56° Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Per tre giorni, Monaco è stata di nuovo al centro della diplomazia internazionale e ha accolto i leader mondiali della politica, del mondo accademico e della società civile. Il crescente indebolimento dell’Occidente sulla scena internazionale è stato il tema dominante dell’annuale appuntamento bavarese. Confermate le divergenze profonde sui temi della difesa e della sicurezza tra gli Stati Uniti di Donald Trump e gli alleati europei.
Le parole di Macron
Nel suo intervento alla Conferenza, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, si è soffermato sull’esigenza per l’Europa di impegnarsi nuovamente in un “dialogo strategico” con la Federazione Russa, senza cedere in tal modo sul tema del rispetto dei principi e senza allentare la morsa su Mosca sulla questione ucraina. Il Presidente francese ha, infatti, chiarito di non voler porre fine alle sanzioni nei confronti della Russia, sebbene abbia sottolineato come l’embargo “non abbia cambiato assolutamente nulla” nell’atteggiamento della controparte.
“Ciò di cui abbiamo bisogno è di coinvolgere di nuovo Mosca nel lungo periodo” ha dichiarato Macron, sostenendo che sia “un grave errore” distanziarsi da una parte dell’Europa di cui non si condividono le azioni sulla scena internazionale. La Russia “non può costantemente essere il Paese che blocca ogni progresso all’ONU”. Macron è convinto che la Russia continuerà a destabilizzare la comunità internazionale, specie interferendo nelle campagne elettorali di altri Paesi, tuttavia, ha ricordato altresì azioni analoghe condotte da gruppi dell’estrema destra americana. Per il Presidente francese, queste azioni, pongono una sfida all’Unione europea, che ancora non si è dotata degli strumenti idonei a difendersi da fake news, manipolazioni delle competizioni elettorali ed intimidazioni.
L’intervento di Pompeo
Emmanuel Macron non crede alle rassicurazioni del Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo- intervenuto prima di lui a Monaco- secondo cui l’Occidente “sta vincendo”. “Libertà e democrazia stanno vincendo, e non parlo di nazioni geografiche. L’Occidente non definisce uno spazio o una parte di Stato concreto. È qualsiasi nazione che adotti un modello di rispetto per la libertà individuale, l’impresa libera, la sovranità nazionale” ha dichiarato Pompeo.
La sua è stata anche una risposta alle critiche del presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier, che, nel discorso inaugurale della conferenza aveva accusato gli Stati Uniti di rifiutare “persino l’idea di una comunità internazionale”, agendo “a spese di vicini e partner”. Citando il ruolo di Washington nel mantenere la sicurezza in Europa, rafforzando la Nato al confine con la Russia e nello sforzo globale contro l’Isis, Pompeo ha affermato: “E’ questa l’America che ‘rifiuta la comunità internazionale’? L’Occidente libero ha un futuro più luminoso delle alternative illiberali”.
“Indebolimento dell’Occidente” e l’esigenza di riforma dell’UE
Nel suo intervento alla conferenza il Capo dell’Eliseo ha, contrariamente al Segretario di Stato statunitense, sostenuto che è in corso un “indebolimento dell’Occidente”, anche a causa della recente politica statunitense tendente ad “un certo livello di ritiro, di ripensamento del suo rapporto con l’Europa”. “Quindici anni fa pensavamo che i nostri valori fossero universali, che avremmo dominato il mondo nel lungo periodo…e invece adesso siamo scossi da altri progetti, da altri valori” ha poi affermato citando la Cina, la Russia e la Turchia.
Macron è tornato, così, alle sue dichiarazioni di qualche mese fa, quando aveva definito la Nato in stato di “morte cerebrale”. Egli ha sottolineato che la sua visione della difesa europea non è un progetto contro l’Alleanza atlantica o un’alternativa ad essa, bensì, risponde all’esigenza di dare maggiore credibilità all’Unione europea attraverso la dimensione militare. “Se non abbiamo spazio di manovra – ha sottolineato – non abbiamo credibilità in termini di politica estera” ha dichiarato. L’UE, secondo il Presidente francese, deve definitivamente emanciparsi dall’ombrello statunitense, rilanciandosi come una “potenza politica e strategica”.
A tal proposito, Macron ha ribadito le sue perplessità in merito alla cautela della Germania nel progetto di rilancio dell’Unione, accusandola di aver frenato, in alcuni casi come il bilancio dell’Eurozona, le proposte di riforma formulate da Parigi.
Collegandosi al tema centrale della conferenza, il Presidente francese è tornato sull’idea di estendere la protezione del nucleare francese agli alleati europei, con un’importante novità, quella di pensare tale protezione come complementare e non alternativa alla deterrenza della Nato. Macron si è spinto fino ad ipotizzare un’istanza in cui coordinare le varie iniziative, un Consiglio di sicurezza europeo, nel quale coinvolgere anche il Regno Unito.
In definitiva, sarà fondamentale la velocità con cui l’Europa saprà rispondere tempestivamente alle sfide politiche ed economiche del tempo, evitando un “errore storico”.

Bilancio UE 2021-2027, uno strumento per il futuro dell’Europa

EUROPA di

In seno all’Unione europea si accende il confronto sul bilancio europeo per il 2021-2027, il quadro finanziario pluriennale. In vista del Consiglio europeo straordinario di giovedì 20 febbraio, convocato dal Presidente Charles Michel, a Strasburgo, i deputati del Parlamento europeo riuniti in sessione plenaria, hanno chiesto di evitare una proposta al ribasso e troppo lontana dalla posizione del Parlamento europeo. In aula anche Nikolina Brnjac, Segretario di Stato croato per gli Affari Esteri ed Europei, in rappresentanza del Consiglio, e la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

La posizione del Parlamento europeo

La maggioranza dei deputati europei ha affermato che darà il proprio consenso solo ad un bilancio di lungo termine che soddisfi le ambizioni dell’Unione europea, poiché parlare di bilancio significa parlare del futuro dell’UE.

Il Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli ha avvertito: “Un accordo in Consiglio è importante ma se non sarà coincidente con le posizioni del Parlamento, il Parlamento andrà fino in fondo”. “Ho apprezzato molto le posizioni di tutti i gruppi politici nel sostenere la determinazione ad andare fino in fondo” ha sottolineato Sassoli. Andare fino in fondo significa bocciare l’eventuale decisione del Consiglio europeo a favore di un bilancio privo di tutte le risorse considerate necessarie per continuare a perseguire e realizzare le politiche caratterizzanti l’UE, come la coesione, l’agricoltura, la ricerca e la cultura. Per investire, al contempo, sui nuovi settori relativi alla lotta ai cambiamenti climatici, alla difesa, alle migrazioni, alla transizione digitale ed ecologica e per affrontare le conseguenze sociali di quest’ultima. Per continuare, in definitiva, a sostenere regioni, città, agricoltori, giovani, ricercatori ed imprenditori. Attuare il Green Deal con un budget ridotto, ad esempio, significherebbe tagliare i fondi a programmi UE di successo.

“I governi devono essere informati delle conseguenze negative di una eventuale bocciatura del budget pluriennale” ha sottolineato Jan Olbrycht, deputato popolare polacco e correlatore del Multiannual financial framework (MFF). In tale eventuale scenario, l’avvio dell’esercizio provvisorio a partire dal primo gennaio 2021, avrebbe un effetto perverso per gli Stati membri UE: questo si baserebbe sui dodicesimi del vecchio bilancio, comprensivo del contributo britannico. Il Presidente Sassoli ed il team parlamentare dei negoziatori, guidati dal Presidente della commissione Budget, il belga Johan van Overtveldt, hanno, inoltre, insistito su un altro punto: la capacità impositiva diretta dell’Unione europea, per ora limitata ad una quota dei diritti doganali, che in futuro potrebbe estendersi ad altre voci, dalla web tax alla carbon tax, ampliando la capacità di spesa del budget comunitario senza pesare sui bilanci degli Stati membri che oggi assicurano circa l’85% delle risorse necessarie a finanziare le politiche dell’Unione. “La discussione sul bilancio e sulle risorse proprie deve procedere in modo parallelo” ha affermato il Presidente del Parlamento europeo. Per raccogliere risorse proprie la Commissione europea propone una base imponibile comune per le società, la semplificazione dell’Iva, il contributo sulla plastica e una quota degli Emission trading scheme-ETS. Il Parlamento europeo appoggia queste ipotesi, aggiungendo la web tax, la tassa sulle transazioni finanziarie nonché una “carbon border adjustment tax”, al fine di limitare l’ingresso nel mercato interno di prodotti che non rispettino i limiti europei sulle emissioni di CO2, praticando dumping ambientale.

La Commissione ed il Consiglio europeo

La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in apertura del dibattito a Strasburgo, ha ribadito di aver chiesto agli Stati membri di tener conto delle richieste del Parlamento sulle risorse proprie, al fine di alleggerire la pressione sui bilanci nazionali. Sulla questione ambientale le sue dichiarazioni sono state nette: “Non accetterò nessun risultato che non garantisca che almeno il 25% del bilancio sia destinato alla lotta contro il cambiamento climatico, così come mi aspetto che il nuovo bilancio destini risorse fresche al Fondo per la transizione giusta, per sostenere le regioni e i lavoratori che saranno colpiti dalla transizione verde. Senza queste risorse non potremo farcela”.

Il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, assente al dibattito dell’Europarlamento, è impegnato nella negoziazione con gli Stati, nel tentativo di giungere ad una proposta di mediazione tra le varie posizioni, da discutere al Consiglio Affari generali, che avrà luogo lunedì 17 febbraio e poi al vertice con i capi di stato e di governo il 20. Si tratta di un compito arduo, considerando la distanza esistente tra la posizione della Commissione e quella del Parlamento: la prima ha chiesto un budget complessivo pari all’1,1% del Pil UE; il secondo ha proposto l’1,3%, al fine di finanziare tutte le politiche, nuove e vecchie, conciliando le richieste dei cosiddetti stati “frugali” che vorrebbero scendere sotto l’1% e quelle dei soprannominati “amici della coesione”, i quali temono un taglio alle politiche regionali e, pertanto, chiedono un budget complessivamente più ambizioso.

L’obiettivo iniziale della Commissione presieduta da Juncker era di approvare la proposta presentata nel 2018 entro il 2019, dedicando il 2020 all’esame ed all’approvazione dei regolamenti, in codecisione con il Parlamento, dando spazio agli Stati membri ed alle regioni per predisporre gli accordi ed i programmi operativi. Il ritardo fino ad ora registrato rischia di avere conseguenze sull’intero periodo di programmazione, registrando danni per le amministrazioni regionali maggiormente in difficoltà, tra le quali figurano anche quelle italiane.

Economia blu: la Commissione europea vara il fondo BlueInvest

EUROPA di

Nel corso della conferenza BlueInvest Day a Bruxelles, la Commissione europea, in collaborazione con il Fondo europeo per gli investimenti, ha varato il fondo BlueInvest: un fondo di investimento a sostegno dell’economia blu con una dotazione di 75 milioni di €. Nel dettaglio, si tratta di un’azione congiunta condotta dalla Vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), Emma Navarro e da Virginijus Sinckevicius, Commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca.

Il contesto

L’economia blu è un modello di economia globale dedicato alla creazione di un ecosistema sostenibile grazie alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia. Il modello prevede attività legate a oceani, mari e coste, e comprende tutte le imprese operanti nella produzione di beni e servizi che contribuiscono all’economia marittima, attive in mare e a terra. Nel settore rientrano molte iniziative ed imprese promettenti, nate spesso da programmi di ricerca e di sviluppo finanziati dall’Unione europea. Queste sviluppano soluzioni per le energie rinnovabili, i prodotti ittici sostenibili, le biotecnologie blu, i sistemi informatici marittimi e molto altro ancora.

BlueInvest si pone come un’iniziativa della Commissione europea che persegue il miglioramento dell’accesso ai finanziamenti, la loro predisposizione per le start-up, le imprese e le PMI in fase iniziale attive nell’economia blu. L’iniziativa prevede una comunità online, l’assistenza alle imprese per stimolarne la propensione agli investimenti, l’impegno degli investitori, molteplici eventi, un’accademia nonché la preparazione di vari progetti.

Il contesto è quello del Piano di investimenti per l’Europa, il quale intende stimolare gli investimenti per creare crescita ed occupazione, facendo ricordo ad un uso più intelligente delle risorse finanziarie, eliminando gli ostacoli agli investimenti ed offrendo visibilità ed assistenza tecnica ai progetti di investimento. Il nuovo programma è sostenuto dal Fondo europeo per gli investimenti strategici, pilastro finanziario del Piano di investimenti per l’Europa.

Fondo BlueInvest: i dettagli

Il fondo BlueInvest varato a Bruxelles sarà gestito dal Fondo europeo per gli investimenti e finanzierà fondi sottostanti che si rivolgono strategicamente all’economia blu e la sostengono. Si tratta di un settore cruciale, in grado di svolgere un ruolo importante nella transizione verso un’economia neutra, in termini di emissioni di carbonio, entro il 2050, una delle ambizioni annunciate nel Green Deal europeo.

Il fondo è completato dalla piattaforma BlueInvest della Commissione europea che stimola la propensione agli investimenti e l’accesso ai finanziamenti per le imprese, le PMI e le scale-up in fase iniziale.

Attraverso il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, la Commissione finanzia, inoltre, un regime supplementare di sovvenzioni di 40 milioni di € per sostenere le PMI dell’economia blu a sviluppare e commercializzare prodotti, tecnologie e servizi nuovi, innovativi e sostenibili.

Le dichiarazioni

Virginijus Sinkevičius, Commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, in prima linea per l’attivazione di questo fondo, ha dichiarato: “Se gli oceani sono tra i più colpiti dai cambiamenti climatici, essi offrono anche molte soluzioni in ogni singolo settore marino – dalla pesca e acquacoltura, all’energia eolica offshore, del moto ondoso e mareomotrice, alle biotecnologie blu e a molti altri settori legati all’innovazione – che consentono di rispondere all’emergenza climatica. Il fondo di investimenti di 75 milioni di € serve a sbloccare il potenziale dell’economia blu per contribuire al Green Deal europeo e provvedere alla crescita economica delle PMI europee che sviluppano prodotti e servizi innovativi e sostenibili”.

La Vicepresidente della BEI, Emma Navarro, responsabile per l’economia blu, ha invece affermato: “Gli oceani sono indispensabili per la vita sulla Terra, eppure sono in pericolo e occorre proteggerli. È per questo che stiamo sviluppando soluzioni innovative di finanziamento a sostegno dell’economia blu che ci consentano di stanziare finanziamenti per proteggere gli oceani e trasformare le superfici marine in una risorsa economica sostenibile. Il fondo BlueInvest che avviamo oggi darà un contributo importante per mobilitare investimenti privati in questo settore e far decollare progetti essenziali. Questa iniziativa rappresenta un altro partenariato fondamentale tra il Fondo europeo per gli investimenti e la Commissione europea”.

“Gli oceani offrono un potenziale enorme di crescita economica che deve però essere sostenibile. Gli investimenti nel settore dell’economia blu che abbiamo sottoscritto oggi mostrano come i finanziamenti pubblici dell’UE possano essere impiegati per attirare gli investimenti privati e catalizzare lo sviluppo in questo settore. Sono lieto che possiamo varare oggi il fondo BlueInvest che, insieme agli ulteriori capitali privati, contribuirà a portare avanti il programma europeo di economia blu” queste, infine, le parole di Alain Godard, amministratore unico del Fondo europeo per gli investimenti.

Bruxelles: la cerimonia in memoria delle vittime dell’olocausto ed il discorso di Liliana Segre

EUROPA di

Il 29 gennaio il Parlamento europeo ha aperto la sessione plenaria a Bruxelles con una cerimonia solenne in memoria delle vittime dell’olocausto.

La Giornata internazionale della memoria per le vittime dell’Olocausto si celebra il 27 gennaio per ricordare l’Anniversario della Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz nel 1945. Con il termine Olocausto si fa riferimento allo sterminio di 6 milioni di ebrei, rom e altri gruppi perseguitati dai regimi nazisti e fascisti.

“È mio dovere testimoniare”

Aprendo la cerimonia, il Presidente del Parlamento, David Sassoli, ha affermato: “Oggi ci inchiniamo davanti a tutte le vittime della Shoah e vogliamo assumerci il nostro dovere di ricordare”. Sassoli ha poi sottolineato che “il nazismo e il razzismo non sono opinioni, ma sono crimini, e ogni volta che leggiamo sul giornale notizie di violenze e insulti, noi dobbiamo considerarli rivolti a ciascuno di noi. Sono attacchi all’Europa e ai valori che essa rappresenta”.

La senatrice a vita Liliana Segre è intervenuta durante la cerimonia parlando della liberazione, con un discorso memorabile in cui ha condiviso la memoria del male inflitto ad Auschwitz ed il dovere di testimoniare con i deputati europei.

La senatrice italiana ha ricordato l’assoluta disumanità dei campi e delle cosiddette “marce della morte” organizzate dai nazisti nel 1945, alle quali sopravvisse da ragazza a differenza di molti altri che non ce l’hanno fatta. “La loro unica colpa era quella di essere nati”, ha affermato.

La senatrice ha poi spiegato il motivo per cui ha deciso di porre fine agli incontri con gli studenti sulla Shoah (l’ultimo si terrà in primavera ad Arezzo): “Da trent’anni parlo nelle scuole e sento una difficoltà psichica molto forte di continuare. È mio dovere testimoniare”, tuttavia “da tre anni sento di essere io che salto fuori dalle mie memorie, quella ragazzina magra, denutrita, disperata, sola e non la posso più sopportare. Sono la nonna di me stessa e sento che se non la smetto di parlare, se non mi ritiro quel tempo che mi resta a ricordare da sola e a pensare alle grandi gioie della mia famiglia ritrovata, non lo potrò più fare comunque perché non ce la farò più”, ha continuato. “Sento che i ricordi di quella ragazzina che sono stata non mi danno pace: quella ragazzina lì che ha fatto la marcia della morte, che ha brucato nei letamai e non piangeva più è un’altra da me e io sono anche la nonna di me stessa ed è una sensazione che non mi abbandona”, ha concluso.

“L’antisemitismo ed il razzismo ci sono sempre stati”

“Anche oggi qualcuno non vuole guardare e anche adesso qualcuno dice che non è vero” ha detto la senatrice. Ha poi ricordato con le parole di Primo Levi “lo stupore per il male altrui”, che “nessuno che è stato prigioniero ha mai potuto dimenticare”.

Liliana Segre ha continuato soffermandosi sulla constatazione che “l’antisemitismo ed il razzismo ci sono sempre stati “ci sono corsi e ricorsi storici”. La parola razza ancora è utilizzata e per questo è necessario combattere il razzismo strutturale, che c’è ancora.

Durante il suo discorso, ha ricordato una bambina del campo di Terezin, che – prima di essere uccisa dai nazisti – disegnò una farfalla gialla che vola sopra ai fili spinati. “Anche oggi fatico a ricordare”, ha detto la senatrice, provata da molti anni passati a essere testimone dell’Olocausto, “ma mi è sembrato un grande dovere accettare questo invito per ricordare il male altrui, ma anche per ricordare che si può, una gamba davanti all’altra, essere come quella bambina di Terezin”.

“Questo è un semplicissimo messaggio da nonna che vorrei lasciare ai miei futuri nipoti ideali: che siano in grado di fare la scelta della non indifferenza e con la loro responsabilità e la loro coscienza essere sempre quella farfalla gialla che vola sopra i fili spinati” ha concluso.

Un lungo applauso del Parlamento europeo ha salutato il discorso della senatrice a vita. L’Europarlamento ha poi osservato un minuto di silenzio su richiesta del Presidente David Sassoli. Molto emozionati gli europarlamenti. stando alle immagini diffuse. Era presente anche Anita Lasker-Wallfisch, membro sopravvissuto dell’orchestra delle donne ad Auschwitz.

Gli altri contributi

È stato poi il turno delle dichiarazioni della Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sull’inviolabilità della dignità di ogni persona e sul dovere dei cittadini europei di lottare contro l’antisemitismo, il razzismo e la discriminazione. “Lo sterminio di 6 milioni di ebrei è il male assoluto, la barbarie peggiore che l’umanità ha potuto realizzare ad altri uomini e come tedesca avverto un senso profondo di colpa”-ha dichiarato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen-“Come tedesca sento anche un senso di responsabilità particolare, perché in Europa so che sono stati i nostri vicini a tenderci la mano riaccogliendoci tra i popoli democratici”. “Lottiamo contro ogni forma di antisemitismo, non dimentichiamo mai” ha concluso.

“Per noi italiani è una grandissima emozione e anche motivo di orgoglio perché certamente l’esperienza di Liliana Segre è una esperienza che può dare insegnamenti e può essere di straordinaria importanza non solo per noi italiani ma per tutta l’Europa” ha detto il Commissario europeo Paolo Gentiloni. “Il fatto che oggi sia Liliana Segre a prendere la parola” ha aggiunto “è un grandissimo motivo di orgoglio e di soddisfazione, è un modo per dire che l’Italia è uno di quei Paesi in cui si coltiva la memoria e in cui nonostante qualche gesto estremista e incredibile, i cittadini, le istituzioni e le grandi figure di prestigio tengono alto l’onore del nostro Paese sui temi della memoria”.

Francia, chiusura di 14 reattori nucleari per un approvvigionamento differenziato

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Électricité de France (EDF), la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, ha presentato un piano per la chiusura, entro il 2035, di 14 reattori nucleari in 7 centrali presenti nel territorio nazionale. Si tratta dei reattori più vecchi, vale a dire a più alto rischio e con la manutenzione più complessa. Le 7 centrali interessate non saranno eliminate, bensì lavoreranno a metà servizio.

Il piano di EDF

La scadenza per il processo di chiusura è fissata tra 15 anni ma già durante quest’anno verranno spenti due reattori, al confine con la Germania, nella località di Fessenheim. Gli altri reattori sono presenti negli impianti di Blayais, Bugey, Chinon, Cruas, Dampierre, Gravelines e Tricastin.

Puntare sull’energia rinnovabile e liberarsi dei reattori più vecchi sono gli obiettivi del piano presentato da EDF al Governo, con la prospettiva di un passaggio dalla condizione attuale in cui oltre il 70% di energia è prodotta dalle centrali nucleari, ad un approvvigionamento maggiormente differenziato. Nel dettaglio, l’obiettivo è un calo del 20% dell’energia proveniente dalle centrali nucleari entro il 2035.

“Il principio generale sarà quello di spegnere i reattori, escluso Fessenheim, al termine della loro quinta interruzione decennale, vale a dire spegnimenti tra il 2029 e il 2035” come si legge nella prima versione della Programmazione pluriennale dell’energia, che stabilisce le priorità del Governo per l’azione energetica nella Francia continentale nei prossimi sei anni. Il testo sarà sottoposto alla consultazione pubblica fino al 19 febbraio.

Maxence Cordiez, ingegnere nel settore energetico, ha posto l’accento sull’importanza della fusione tra la necessaria lotta contro il cambiamento climatico e la volontà politica di chiudere le centrali nucleari ai massimi livelli dello stato.

L’azione del Governo

Da parte sua, il Governo francese ha stanziato 1 miliardo e 800 milioni di euro per la produzione del biogas. Un altro campo che attira molto l’amministrazione francese è l’eolico: la scommessa è quella di raddoppiare l’energia prodotta da pale off shore, sfruttando l’oceano. “La visualizzazione di una traiettoria leggibile e anticipata consentirà alle regioni e ai dipendenti di prepararsi meglio, iniziare la loro conversione con largo anticipo e strutturare il settore dello smantellamento. Porterà inoltre visibilità a tutte le parti interessate nel sistema elettrico per i loro investimenti”, ha aggiunto il Governo francese.

La Ministra della transizione ecologica e solidale, Élisabeth Borne in un’intervista rilasciata lunedì 20 gennaio al quotidiano Le Monde, ha dichiarato: “Questa è la prima strategia nazionale a basse emissioni di carbonio che fornisce una traiettoria settore per settore per raggiungere il neutralità del carbonio a metà del secolo”. La Ministra ha poi aggiunto “Diamo obiettivi credibili, che traduciamo in azione, spegnendo il primo reattore della centrale di Fessenheim a febbraio e spegnendo le centrali a carbone”.

François Brottes, il Presidente del Consiglio Direttivo di Réseau de Transport d’Électricité (RTE) -il gestore della trasmissione di elettricità- ha spiegato in una conferenza stampa che “Entro il 2030, 45 GW di carbone saranno chiusi (equivalente di 45 reattori nucleari), 27 reattori nucleari entro il 2035 tra Francia e paesi vicini in Europa. Questo è ciò che è in gioco, è la decarbonizzazione”.

I precedenti

L’attenzione della Francia al tema della differenziazione energetica è riconducibile a due eventi: la canicola estiva, che ha costretto a spegnere le centrali nucleari per il rischio di surriscaldamento, ed un recente terremoto di 5,4 gradi sulla scala Richter al Sud Est del Paese che ha fatto temere il peggio per una centrale, spenta per qualche giorno. In particolare, dopo quest’ultimo evento l’associazione “Sortir du nucleaire”, che milita per l’abbandono del nucleare ha ricordato che le centrali nucleari sono a norma per scosse fino a 5,2, mentre è stata espressa un’opinione diversa dal Direttore dell’Agenzia per la sicurezza nucleare Rémy Catteau, il quale ha dichiarato che “le installazioni sono pensate per resistere a scosse molto più elevate”. L’indice SMS (Sisma maggiorato di sicurezza) è stato calcolato nuovamente in seguito al disastro di Fukushima: è superiore al terremoto più grave che verosimilmente può prodursi una volta ogni mille anni, e che nel caso del Sud della Francia risale all’8 agosto 1873 di 4,7 gradi sulla scala Richter, a Chateauneuf-du-Rhone, a pochi chilometri dall’attuale centrale di Tricastin.

Un sondaggio pubblicato lo scorso giugno ha mostrato che il 69% della popolazione francese ritiene che l’energia nucleare contribuisca al cambiamento climatico. Date le sfide poste dal cambiamento climatico, l’obiettivo è evitare un atteggiamento sia irresponsabile che pericoloso.

Attualmente sono 417 i reattori nucleari esistenti al mondo e i Paesi che li gestiscono sono 31. È importante sottolineare, tuttavia, che la costruzione di centrali è diminuita negli ultimi 5 anni a causa del disastro di Fukushima del 2011, dovuto principalmente allo tsunami che ha seguito il terremoto di Tohoku.

 

 

Libia: la Conferenza di Berlino e il ruolo dell’Unione europea

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La Conferenza di Berlino sulla Libia ha riunito i partner regionali e internazionali più influenti nell’attuale fase cruciale della crisi libica. I partecipanti, Paesi ed Organizzazioni, hanno raggiunto un accordo su 55 punti e su una sua applicazione rapida.

I risultati della Conferenza di Berlino

Dopo 4 ore di colloqui, è stata presentata una dichiarazione condivisa in cui i partecipanti si sono impegnati ad astenersi da qualsiasi misura e da qualsiasi ulteriore sostegno militare alle parti “sul territorio e sopra il territorio della Libia, a partire dall’inizio del cessate il fuoco”. I presenti hanno poi ribadito il proprio impegno ad astenersi dalle “interferenze nel conflitto armato e negli affari interni della Libia” in virtù del fatto che “solo un processo politico libico e guidato dalla Libia può mettere fine al conflitto e portare una pace duratura”. 16 partner, tra Paesi ed Organizzazioni internazionali, hanno votato a favore di un embargo sulle armi proposto dalle Nazioni Unite che dovrà essere monitorato con maggiore attenzione rispetto al passato.

Lo scopo è quello di facilitare un processo di pace nell’ambito di un conflitto civile, in corso ormai da anni, caratterizzato da una complessità dovuta alla pluralità delle parti coinvolte.

Al tavolo dove si sono riuniti tutti i Paesi UE ed extra UE che hanno dato la propria approvazione alla dichiarazione finale sono mancati i due leader libici Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar, la cui partecipazione alla Conferenza è stata frutto di negoziazioni ed accolta con favore dalla comunità internazionale. Sembra che i due leader libici abbiano nominato i membri della commissione militare “5+5” che, secondo il piano di azione United Nations Support Mission in Libya-Unsmil, dovrebbe avere il compito di monitorare il cessate il fuoco e stabilire la linea degli schieramenti.

L’Unione europea e la crisi libica

Quanto al ruolo dell’Unione europea, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’Alto rappresentante/Vicepresidente della Commissione Josep Borrell hanno rilasciato una dichiarazione comune, in cui hanno ribadito che l’unica soluzione sostenibile alla crisi in Libia sono gli sforzi di mediazione guidati dalle Nazioni Unite, che mettono al centro i bisogni di tutto il popolo libico. I due, a nome dell’Unione, hanno dichiarato di sostenere “l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale della Libia, nell’interesse della stabilità e della prosperità della regione, che sono importanti anche per l’Europa”.

L’Unione Europea è soprattutto interessata a porre fine al conflitto nel timore che la crisi peggiori e che diventi “una seconda Siria”, come affermato dal Ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas. Anche in Europa però si manifestano interessi contrastanti: l’Italia, che ha sempre avuto un peso importante nella questione libica, sostiene al-Serraj, ma da vari mesi ha perso molta della sua influenza; la Francia si è legata a Haftar, per interessi economici ed energetici, nonché nella speranza di riuscire a contrastare i gruppi terroristici in Libia e nei paesi limitrofi. Nel frattempo, la Grecia protesta per non essere stata invitata a Berlino, minacciando di porre il suo veto alle iniziative dell’Unione sulla Libia.

 

Riunione straordinaria del Cops sulla Libia

In seno all’Unione è stata convocata una riunione straordinaria del Comitato Europeo per la Politica e la Sicurezza (Cops) sulla Libia. Si inizierà, così, a lavorare sul mandato del Consiglio per la rimodulazione dell’Operazione Sophia, che dovrà essere profondamente rivista per indirizzarla sul monitoraggio efficace dell’embargo di armi dell’ONU, non solo via mare ma anche via aria ed auspicabilmente via terra. L’Operazione Sophia, congiuntamente ad una proposta per una missione di peacekeeping in Libia, sarà un punto ricorrente nell’agenda del Cops. L’Alto rappresentante dell’Ue Jospe Borrell ha auspicato, infatti, che entrambe le iniziative siano pronte per il Consiglio Affari esteri dell’Ue che si terrà il 17 febbraio.

Le dichiarazioni

“Ho parlato dell’attuazione dei risultati della Conferenza di Berlino col Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e gli ho rivolto un invito a partecipare presto alla riunione dei commissari, al fine di discutere una stretta collaborazione tra la Commissione Ue e l’Onu” queste le parole della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, su Twitter.

“L’Unione europea si sta attrezzando per attuare i risultati della conferenza di Berlino. Siamo pronti a mobilitare le nostre risorse dove sono maggiormente necessarie” questo è quanto affermato, invece, dal Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in una dichiarazione. “A breve termine- ha affermato- il nostro contributo consisterà nel riflettere sul modo più efficace di monitorare il rispetto del cessate il fuoco e il rispetto dell’embargo sulle armi”.

“La conferenza di Berlino ha funzionato” – ha dichiarato, infine, su Twitter il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli- “La dichiarazione ha trovato il consenso della comunità internazionale per dare pace alla Libia. Ruolo chiave dell’Unione europea quando agisce unita. Adesso la parola passa ai leader dei due fronti libici”.

 

Macron nel mirino in una Francia in subbuglio dal 5 dicembre

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Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio, a Parigi, nel cuore del quartiere di Montparnasse, è divampato un incendio nella brasserie “La Rotonde”. Si tratta di un’istituzione parigina ed è lo stesso ristorante in cui il Presidente francese, Emmanuel Macron, festeggiò la vittoria al primo turno alle elezioni presidenziali del 2017, in una cena che gli aveva fatto guadagnare diverse critiche.

Incendio nella “brasserie presidenziale”

Il responsabile del locale ha riferito che l’incendio è divampato intorno alle 5 e un quarto, non provocando, così, dato l’orario, delle vittime e non rendendo necessaria un’evacuazione. Giunta sul posto dopo alcuni minuti, la polizia ha scoperto un inizio di incendio all’esterno del ristorante, nella zona dei tavolini, in quel momento chiusa. Chi ha appiccato il fuoco ha rotto un vetro per accedere alla parte esterna del ristorante, sul marciapiede, per poi procedere con l’atto vandalico. Il fuoco è stato domato dai pompieri tempestivamente, compromettendo soltanto una decina di metri quadrati del locale, come spiegato dal Capitano Florian Lointier di BSPP-Brigade de sapeurs-pompiers de Paris, i vigili del Fuoco parigini.

I responsabili del ristorante parlano di «danni importanti» e di «diversi giorni di chiusura, forse settimane», prima di poter riaprire ai clienti.

Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, ha manifestato il suo supporto alla brasserie e ha descritto l’incendio come un “danno inaccettabile”.

Le indagini e i precedenti

La Procura ha aperto subito un’inchiesta e gli investigatori hanno affermato che l’incendio non è stato casuale. La pista criminale sembra quella più probabile. Rémy Heitz, il pubblico ministero di Parigi, ha confermato che si tratta di “un atto volontario” aggiungendo “Sono state trovate tracce di idrocarburi”.

“Nelle immagini video, vediamo due ragazzi che cercano di sfondare la porta”- ha dichiarato un alto funzionario del Ministero degli Interni- “Poi li vediamo rompere la finestra sul lato, lanciare quella che sembra essere benzina e dare fuoco a una credenza su cui sono posizionati i tovaglioli”.

Non è la prima volta che il locale è stato minacciato ed attaccato. Come “Le Fouquet’s” sugli Champs Elysées, locale da Nicolas Sarkozy, La Rotonde è diventata un simbolo politico.

Un altro tentativo di incendio era stato sventato, con modalità simili, pochi giorni prima, lo scorso 9 gennaio: il fuoco è stato immediatamente spento.

Il legame del ristorante con il Presidente francese lascia sospettare un colpo diretto allo stesso Macron, una rivendicazione politica.

Durante l’anno, la Rotonda ha dovuto chiudere le porte più volte durante le dimostrazioni dei gilet gialli. Il giorno prima dell’evento, durante la manifestazione contro la riforma delle pensioni, i manifestanti hanno sfilato davanti al locale urlando “Morte a Macron, Morte a La Rotonde!”.

Tentativo di blitz in un teatro parigino

Lo stesso giorno, il Presidente francese è stato protagonista di un altro evento: una trentina di manifestanti hanno tentato di entrare in un teatro parigino, Bouffe du Nord, in cui Macron e la première dame Brigitte stavano assistendo allo spettacolo “La Mouche”. Il tentativo è stato bloccato dalla polizia, Macron e la consorte sono stati messi in sicurezza, per poi rientrare nella sala per assistere alla fine dello spettacolo teatrale.

A segnalare la loro presenza nel teatro sembra esser stato il giornalista militante Taha Bouhafs, che su Twitter ha scritto “Qualcosa si sta preparando, la serata sarà movimentata”, invitando i militanti ad intervenire.

L’entourage di Macron, dopo l’episodio, ha fatto sapere che “il Presidente continuerà a recarsi a teatro come è abituato a fare e vigilerà affinché azioni politiche non violino la libertà di espressione, la libertà degli artisti e la libertà di creazione”.

Questi eventi si inquadrano in una Francia in subbuglio dal 5 dicembre, data dell’inizio degli scioperi e delle manifestazioni contro la riforma delle pensioni voluta dal Governo dello stesso Macron.

In seguito al procedere delle manifestazioni, il governo francese ha deciso di fare una parziale marcia indietro sulla riforma, revocando temporaneamente dal progetto di riforma la misura più contestata dell’età pensionabile a 64 anni per uscire dal mondo del lavoro a tasso pieno.

Nonostante questa modifica concessa dal governo francese, i sindacati francesi sembrano aver raccolto il testimone dai gilet gialli e continuano a scendere in piazza a Parigi e nel resto del paese.

In questo contesto, il 21 gennaio, nell’ambito di un nuovo blitz contro la riforma aspramente criticata, si è verificato l’ennesimo taglio di corrente nella zona dell’aeroporto di Orly e dei mercati generali di Rungis, a sud di Parigi. L’evento è stato rivendicato dal sindacato CGT Energie che ha agito con l’obiettivo di “colpire l’economia e mostrare la mobilitazione contro la riforma delle pensioni”.

 

L’Unione europea nella crisi tra Iran e USA

EUROPA di

In seguito all’escalation fra Stati Uniti ed Iran, dovuta all’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani nell’ambito di un’operazione statunitense, si pone la questione relativa al ruolo ricoperto dai paesi europei e dall’Unione europea nella crisi internazionale. Nonostante la posizione scomoda, fra gli storici alleati degli Stati Uniti ed un Paese come l’Iran con cui l’Unione nel 2015 ha negoziato lo storico accordo sullo sviluppo non militare dell’energia nucleare, e nonostante lo scetticismo dei più critici, qualcosa sembra muoversi.

Nell’ambito di tali controversie internazionali, puntualmente, si torna a dibattere sul ruolo che è chiamata ad occupare l’UE e sull’incidenza della sua politica estera. Questo poiché spesso si reclama un ruolo maggiormente attivo e si lamenta un impegno insufficiente.

Le accuse

Politico ha accusato l’Unione Europea di essere “fuori fase” sulla questione iraniana, mentre gli alleati statunitensi stanno conducendo una politica estera molto aggressiva senza consultarsi con gli altri Stati.

Poche settimane fa la neopresidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, aveva promesso che l’istituzione che guida sarebbe stata una “commissione geopolitica”, con un aumento del peso dell’Unione europea tra i grandi attori globali che articolano le relazioni internazionali, punto debole fino ad oggi nell’articolazione del disegno europeo. Nonostante l’istituzione di organi impegnati nella definizione di una politica estera europea, come l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica sicurezza- carica ricoperta dallo spagnolo Josep Borrell, succeduto all’italiana Federica Mogherini- gli Stati membri più potenti ed aventi un ruolo maggiore nel consesso internazionale sono da sempre restii a cedere la propria sovranità.

In tal modo aumenta la difficoltà di trovare una posizione di compromesso tra i 28 e ciò indebolisce il ruolo dell’Unione, rallentando la sua reazione ufficiale ai grandi avvenimenti. Così come è accaduto in seguito all’uccisione del generale iraniano: la prima dichiarazione ufficiale di von der Leyen sulla morte di Suleimani è arrivata lunedì alle 18.30, a più di tre giorni di distanza dall’evento.

La soluzione diplomatica garantita dall’UE

Nonostante ciò, altri importanti leader dell’Unione europea, come lo stesso Alto rappresentante Borrell ed il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, hanno reagito più tempestivamente. Josep Borrell, formalmente anche vicepresidente della Commissione europea, si è mostrato come il più attivo leader europeo, convocando una riunione straordinaria dei ministri degli esteri degli stati membri per il 10 gennaio, al fine di “discutere sui recenti sviluppi in Iraq ed Iran” e concordare una linea comune, ribadendo il pieno impegno dell’UE “per evitare una escalation nella regione”. Soprattutto, Borrell ha tenuto un colloquio telefonico con il potente Ministro degli esteri iraniano, Javad Zarif- uno dei principali negoziatori dell’accordo del 2015 tra Iran, USA, Francia, Regno Unito, Cina e Germania, negoziato con successo con il grande contributo dell’Unione europea. Borrell ha riferito che Zarif ha “condannato molto chiaramente” l’uccisione di Soleimani, ma lo ha “rassicurato” sulla non intenzione di mettere in atto una escalation di violenze. Il Ministro degli esteri iraniano appartiene all’ala moderata, pertanto non hanno sorpreso le sue posizioni più concilianti se confrontate con quelle dei leader più conservatori. Tuttavia, alla luce dell’intenzione- anticipata da mesi in seguito al ritiro degli Stati Uniti ed annunciata da Zarif stesso- di non rispettare più i limiti imposti dallo storico accordo siglato nel 2015, i suoi toni hanno comunque avuto un forte valore simbolico. Nel dettaglio, il Ministro degli esteri iraniano ha dichiarato che non rispetterà più il numero massimo di centrifughe stabilito nel 2015- la cui costruzione per l’arricchimento dell’uranio è un passaggio fondamentale per la preparazione della bomba atomica- ma ha anche annunciato che continuerà a consentire le ispezioni internazionali nei siti iraniani, smentendo di essere uscito dall’accordo. Il governo iraniano ha così tenuto la porta aperta per una soluzione diplomatica della crisi, mandando un messaggio ai paesi che ancora sono rimasti fedeli all’accordo, gli stati europei, riconoscendo i loro sforzi. Sembra dunque che Borrell sia riuscito nel complicato compito di mantenere un canale di comunicazione e le relazioni reciproche fra Iran ed Unione europea, tassello fondamentale per evitare l’inasprimento della crisi.

Colui che guida l’organo che riunisce i capi di Stato e di Governo dell’UE, Charles Michel, dal canto suo, ha pubblicato una dichiarazione a poche ore dall’evento, chiedendo ad ambedue le parti di evitare una escalation violenta. Egli nei giorni successivi si è anche confrontato con il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nonché con il Primo ministro canadese, Justin Trudeau.

Gli stati membri che hanno sottoscritto l’accordo del 2015

 

Anche gli Stati membri vincolati dall’accordo del 2015, si sono mossi con una cautela non differente da quella messa in atto dall’UE. Il Regno Unito, ad esempio, si trova ad affrontare un’ulteriore complicazione dovuta alla Brexit: il governo guidato da Boris Johnson deve trovare una posizione di compromesso fra gli Stati Uniti – con cui desidera rafforzare i legami commerciali dopo l’uscita dall’Unione Europea – ed i tradizionali alleati europei, con cui molto spesso negli ultimi anni ha trovato una linea comune in politica estera e con cui sta negoziando per la concretizzazione della Brexit. Pertanto, ciò ha condotto il governo britannico ad assumere posizioni piuttosto contraddittorie sull’uccisione di Souleimani, condannando Trump, senza citarlo direttamente, sottolineando l’influenza negativa dell’Iran nel quadrante Mediorientale, ma, al contempo, chiedendo agli USA di evitare un inasprimento della crisi.

Anche Germania e Francia hanno reagito in maniera diversa: il Ministro degli Esteri tedesco ha esplicitamente accusato il governo americano di “non aver reso più semplici le cose” con l’uccisione di Soleimani, mentre il Ministro francese si è detto preoccupato per le conseguenze sulla coalizione che sta combattendo contro l’ISIS in quel quadrante, coalizione guidata proprio dagli Stati Uniti.

Gli inglesi, i tedeschi ed i francesi, secondo Politico, hanno iniziato ad esprimere più chiaramente la loro vicinanza agli Stati Uniti dopo che il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, si è lamentato del fatto che “gli europei non sono stati di aiuto”. Come risposta, i tre paesi hanno pubblicato un comunicato congiunto sull’Iran in cui viene evidenziato il suo “impatto negativo” in Medio Oriente.

Il 14 gennaio i tre Paesi europei firmatari dell’accordo sul nucleare iraniano hanno annunciato di avere demandato ad un meccanismo di risoluzione delle controversie, previsto dall’accordo del 2015, la decisione di Teheran di rivedere l’applicazione dell’intesa. La scelta di Germania, Francia e Regno Unito è politicamente significativa: al netto della comunicazione congiunta contro l’influenza negativa dell’Iran, si tratta di un tentativo di mantenere le relazioni con Teheran nel quadro dell’importante accordo.

In definitiva, la soluzione diplomatica sembra essere ancora la via prediletta e questo anche grazie all’Unione europea.

Parigi: il corpo di un quattordicenne è stato ritrovato a Charles de Gaulle, sognava l’Europa

EUROPA di

L’8 gennaio, a bordo del volo Air France AF 703 proveniente da Abidjan ed atterrato a Parigi, è stato trovato il cadavere di un passeggero clandestino in un carrello. A seguito delle indagini, il Ministero dei trasporti della Costa d’Avorio, dopo aver consultato la famiglia, ha rivelato la sua identità: Ani Guibahi Laurent Barthélémy, 14 anni. Era nato il 5 febbraio 2005 a Yopougon, nel distretto di Abidjan in Costa d’Avorio ed era uno studente regolare a Niangon Lokoua, un sobborgo dello stesso distretto.

Il ritrovamento e le indagini

Il Boeing 777, dopo un volo di sei ore, è arrivato all’aeroporto Charles de Gaulle verso le 6 di mattina ed il corpo è stato trovato intorno alle 6:40. Dopo aver fatto scendere i passeggeri, sono cominciati i preparativi per il viaggio in direzione opposta verso il Paese africano. I tecnici si sono avvicinati come di routine al carrello di atterraggio scoprendo la presenza di un cadavere. Un portavoce della compagnia aerea francese ha confermato la morte di un passeggero clandestino- privo di documenti o lettere- senza specificare la sua età e deplorando un “dramma umano”. Il corpo del bambino è stato portato all’istituto medico-legale ed i gendarmi dei trasporti aerei hanno condotto l’inchiesta.

Sembrerebbe che il 14enne sia morto per asfissia o per congelamento, come tante persone prima di lui, nel tentativo di raggiungere l’Europa da clandestino.  Le temperature scendono a -50 gradi tra i 9 e i 10mila-l’altitudine alla quale volano gli aerei di linea- e l’ambiente dove si trovava il quattordicenne non è né riscaldato né pressurizzato.

Le immagini delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto mostrano come Ani Guibahi Laurent Barthélémy abbia raggiunto il carrello di atterraggio dell’aeromobile afferrandolo mentre si preparava al decollo, verso le 22,55. In un’intervista, il Ministro dei trasporti ivoriano Amadou Koné ha spiegato come nel video “si vede un individuo che indossa una maglietta (…) Pensiamo sia riuscito a entrare sulla pista scavalcando le recinzioni. Poi si deve essere nascosto nelle siepi per infine correre ad afferrare il carrello di atterraggio dell’aereo proprio al momento del decollo”.

Un caso non isolato

Si tratta di un caso non isolato: negli ultimi anni, diversi clandestini, tra cui adolescenti africani, sono stati trovati morti per il freddo o investiti. Secondo i dati dell’ong International Volunteer Center (Cevi), nel 2017 sono arrivati in Italia dalla Costa d’Avorio 8.753 migranti tra i 14 e i  24 anni. Tra questi 1.263 sono donne e 1.474 sono minori non accompagnati. Un evento simile si è verificato nell’aeroporto di Milano Malpensa, nei primi anni 2000.  Lo scorso primo luglio, invece, il corpo di un clandestino è stato ritrovato nel giardino di una casa di Clapham, poco lontano dall’aeroporto di Heathrow: era caduto dal volo Nairobi-Londra della Kenya Airways. Nel 2012 un altro clandestino, José Matada, era precipitato vicino a Heathrow da un aereo proveniente dall’Angola. Così era accaduto anche a Yahuine Koita e Fode Tounkara: avevano 14 e 15 anni quando si nascosero il 29 Luglio del 1999 in un carrello di un aereo partito da Conakry in Guinea e diretto a Bruxelles. Morirono assiderati, ma i due bambini portavano una lettera scritta a mano con destinatario l’Europa: “Signori membri e responsabili dell’Europa, è alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza che noi gridiamo aiuto in Africa. Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa, aiutateci, abbiamo dei problemi e i bambini non hanno diritti…in Guinea, abbiamo molte scuole ma una grande mancanza di istruzione e d’insegnamento, salvo nelle scuole private dove si può avere una buona istruzione e un buon insegnamento, ma ci vogliono molti soldi, e i nostri genitori sono poveri, in media ci danno da mangiare. E poi non abbiamo scuole di sport come il calcio, il basket, il tennis, eccetera. Dunque in questo caso noi africani, e soprattutto noi bambini e giovani africani, vi chiediamo di fare una grande organizzazione utile per l’Africa perché progredisca”.

La sicurezza dell’aeroporto

Oltre alla tragedia umana, l’evento indica una grave violazione della sicurezza all’aeroporto ivoriano di Abidjan e ci si domanda come un ragazzo di 14 anni possa ottenere clandestinamente l’accesso ad un aereo e se ha beneficiato della complicità di qualcuno. Si sospetta, infatti, che un complice adulto lo abbia aiutato a passare, pur sapendo che il tentativo si sarebbe concluso molto probabilmente con la sua morte.

Da parte sua, il Governo della Costa d’Avorio ha dichiarato di aver “intrapreso il rafforzamento” delle disposizioni di sicurezza nell’aeroporto: sono state adottate diverse misure, in particolare il divieto di passaggio nella zona adiacente all’area aeroportuale per creare “una zona cuscinetto di sicurezza intorno l’aeroporto”.

Una corsa che è passata inosservata e un dramma umano, emblema della gravità di un fenomeno a cui urge trovare una soluzione.

Francesca Scalpelli
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