GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Francesca Scalpelli - page 4

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Summit UE-CINA: risultati e prospettive

EUROPA di

Commercio ed investimenti, cambiamenti climatici e biodiversità, risposta alla pandemia da COVID-19 e diritti umani: questi i principali temi affrontati da Unione europea e Cina, il 14 settembre, nell’ambito di un summit in videoconferenza. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ed il Presidente cinese Xi Jinping hanno presieduto il vertice, al quale hanno partecipato altresì la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la Cancelliera Angela Merkel, in virtù della presidenza tedesca del Consiglio dell’UE. La riunione ha offerto l’opportunità di dare seguito alle discussioni tenutesi, lo scorso 22 giugno, nell’ambito del 22 ° vertice annuale UE-Cina, e si è dimostrata un’occasione importante per mantenere lo slancio degli scambi ad alto livello UE-Cina, al fine di ottenere risultati concreti in linea con gli interessi e i valori dell’UE. Nel 2019, la Cina è stato, infatti, il terzo Paese di destinazione delle esportazioni agricole e alimentari europee per un valore di circa 14,5 miliardi di euro, mentre l’UE è il primo partner commerciale della Cina. “L’Europa deve essere un player, non un campo di gioco. Oggi abbiamo fatto un passo avanti per una relazione più equilibrata con la Cina. In alcune aree siamo sulla strada giusta, in altre dobbiamo fare ancora strada. Esistono differenze, ma siamo pronti a lavorare. Vogliamo una relazione economica basata su reciprocità, responsabilità” queste le parole del Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al termine del summit. 

Commercio e investimenti

Il 14 settembre, Cina e Unione europea, nell’ambito del summit in videoconferenza, hanno deciso di accelerare i negoziati, avviati nel 2013, per un ambizioso accordo di investimento globale, Comprehensive Agreement on Investments (CAI): entrambe le parti hanno registrato progressi sulle norme che regolano il comportamento delle imprese statali, sul trasferimento forzato di tecnologia e sulla trasparenza delle sovvenzioni; l’UE ha, però, sottolineato che occorre lavorare con urgenza sulle questioni del riequilibrio dell’accesso al mercato e sullo sviluppo sostenibile, invitando la controparte ad intensificare i suoi sforzi su questi temi.  Con l’obiettivo di concludere entro l’anno i negoziati, è stato ribadito l’obiettivo comune di colmare al più presto le lacune rimanenti. A tal proposito l’Unione europea ha sottolineato che sarà necessario un impegno politico ad alto livello da parte cinese per raggiungere un accordo significativo. 

La Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha confermato passi in avanti in merito alle tematiche ancora oggetto di trattative, ma ha ribadito che ancora vi è molto da fare e che la Cina deve convincere l’Europa che valga la pena adottare l’accordo sugli investimenti. Ad oggi, infatti, le aziende cinesi avrebbero già accesso ai mercati europei, dove operano secondo regole di concorrenza eque, mentre lo stesso non avverrebbe per le aziende europee in Cina. Anche il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ribadito che l’Unione europea chiede alla Cina maggiore reciprocità e parità di condizioni.

A tal proposito, le due parti hanno accolto con favore la firma dell’accordo UE-Cina sulle indicazioni geografiche, il quale migliorerà l’accesso al mercato cinese – in particolare per i prodotti agricoli europei di alta qualità – prevedendo il riconoscimento di 100 denominazioni alimentari europee ed altrettante cinesi. L’accordo in questione rappresenterà un duro colpo alle esportazioni di Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, le quali non potranno più utilizzare i nomi protetti europei per i prodotti che rivendono in Cina. 

Cambiamenti climatici, biodiversità e Covid-19

Pechino e Bruxelles hanno, altresì, convenuto di stabilire un dialogo ad alto livello sull’ambiente e il clima, nonché in ambito digitale, per creare rispettivamente il partenariato verde sino-europeo e il partenariato digitale sino-europeo e perseguire, così, ambiziosi impegni congiunti. Con riguardo al cambiamento climatico ed alla biodiversità, l’UE ha incoraggiato la Cina a rafforzare i suoi impegni in materia di clima in termini di riduzione di emissioni di anidride carbonica e fissando l’obiettivo della neutralità climatica a livello nazionale. A tal proposito, l’UE ha poi incoraggiato la Cina a lanciare al più presto il suo sistema nazionale di scambio di quote di emissioni. Inoltre, l’Unione europea ha sottolineato l’importanza di una moratoria in Cina per la costruzione di centrali elettriche a carbone e il finanziamento della loro costruzione all’estero, come parte di un’iniziativa globale. 

L’UE ha sottolineato che gli impegni congiunti sulla biodiversità potrebbero cambiare le regole del gioco a livello globale e la Cina ha un ruolo chiave da svolgere come ospite della Conferenza delle parti il prossimo anno. Un ambizioso accordo globale sarebbe un risultato importante in tale ambito. 

Sulla risposta al COVID-19, l’UE ha sottolineato la responsabilità condivisa di partecipare agli sforzi globali per arrestare la diffusione del virus, promuovere la ricerca su trattamenti e vaccini e rafforzare il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche attraverso la piena attuazione della Risoluzione dell’OMS dello scorso maggio. L’UE ha inoltre sottolineato che le misure di ripresa economica dovranno sostenere la transizione verso un’economia più verde e più sostenibile.

Diritti umani 

Occorre sottolineare che recentemente, la popolarità cinese in seno all’UE ha subito un brusco calo, soprattutto per questioni legate ai diritti umani. In particolare, l’Unione europea ha criticato la Cina per la presunta repressione della minoranza degli Uiguri nella regione autonoma del Xinjiang e per la questione di Hong Kong, dove le autorità hanno arrestato molti manifestanti pro-democrazia e dove, lo scorso 30 giugno, Pechino ha introdotto una nuova legge sulla sicurezza nazionale, che mina le libertà e l’autonomia dei cittadini. Non a caso, il 12 marzo 2019, l’UE aveva definito la Cina un “rivale sistemico” che promuove “modelli alternativi di governance”. Tale definizione servirebbe ad identificare la promozione da parte della Cina di un sistema di tipo autocratico, in contrapposizione con le democrazie di tipo europeo. In seguito al summit dello scorso 22 giugno, lo stesso Charles Michel ha dichiarato che, nonostante l’interdipendenza economica e la necessità di cooperare nell’ambito di tematiche come quella della lotta al cambiamento climatico, la Cina e l’UE non condividono gli stessi valori, sistemi politici ed il medesimo approccio al multilateralismo.

A tal proposito, il 14 settembre i leader dell’UE hanno ribadito le loro gravi preoccupazioni per l’erosione dei diritti e delle libertà fondamentali a seguito dell’imposizione della Legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, in violazione degli impegni internazionali della Cina. I leader hanno, inoltre, ribadito le preoccupazioni dell’UE per il rinvio delle elezioni del Consiglio legislativo e la squalifica dei candidati, nonché per il trattamento delle minoranze etniche e religiose, le limitazioni alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni. Sul tema le due parti hanno, infine, convenuto che, entro la fine dell’anno, in Cina, si svolgerà un dialogo sui diritti umani. 

Il caso Navalny e la condanna europea

EUROPA di

Il 20 agosto, Alexei Navalny, il principale oppositore del Presidente russo Vladimir Putin, dopo aver accusato malori durante un volo tra Tomsk e Mosca, costringendo l’aereo su cui viaggiava a fare un’atterraggio di emergenza a Omsk, è stato ricoverato in terapia intensiva per un presunto avvelenamento. Prima di permettere il suo trasferimento all’estero, i medici di Omsk hanno cambiato più volte versione sulle sue condizioni, escludendo un avvelenamento. Trasferito a Berlino, l’ospedale Charité  ha diffuso un comunicato stampa in cui spiega che Navalny sta ricevendo cure per un’intossicazione da inibitori della colinesterasi, pericolose tossine derivate dall’avvelenamento con un pericoloso agente nervino, il novichok, sviluppato in Russia tra gli anni 80 e 90 e già usato in passato per avvelenare gli oppositori del Presidente Putin. La Russia è chiamata urgentemente a fare chiarezza sul caso: questo l’appello della comunità internazionale, Germania in testa. Quest’ultima è a capo della presidenza di turno al Consiglio dell’UE, non a caso, il 3 settembre, è arrivata la reazione delle istituzioni europee, che hanno esortato i leader dell’UE a condannare in modo chiaro l’uso di un agente chimico contro Navalny, auspicando una risposta internazionale comune.

L’avvelenamento e l’accusa tedesca

Alexei Navalny ha 44 anni, oltre ad essere il più importante e noto dissidente politico di Vladimir Putin, è considerato anche un efficace giornalista investigativo, come dimostrato dalla pubblicazione di diverse inchieste che hanno portato alla luce scandali di corruzione. A causa della sua attività politica e del suo lavoro da giornalista, nel corso degli anni è stato più volte arrestato e oggetto di attacchi. Nel 2017 un attivista filo-putiniano lo attaccò con una sostanza chimica, lasciandolo parzialmente cieco da un occhio. Nel 2019 subì un presunto tentativo di avvelenamento mentre era in carcere per scontare una pena a 30 giorni di reclusione dopo aver organizzato una manifestazione non autorizzata. Fino a giungere allo scorso 20 agosto, quando durante un volo tra Tomsk e Mosca ha accusato malori derivanti da un avvelenamento da novichok, smentito da Mosca, ma certificato dall’equipe di medici che lo ha preso successivamente in cura a Berlino.

 

La Cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha chiesto in prima persona a Mosca di fare urgentemente chiarezza sul caso: “Ci sono domande a cui solo il governo russo può e deve rispondere” – ha incalzato – il mondo aspetterà le risposte”. “L’ospedale Charité ha dato incarico a specialisti di tossicologia dell’esercito tedesco per delle analisi – ha continuato la Cancelliera – adesso c’è un referto chiaro: Alexey Navalny è stato vittima di un agguato, con un agente chimico nervino del novichok. Questo veleno è stato rilevato senza alcun dubbio. E quindi è sicuro che sia stato vittima di un crimine. Avrebbe dovuto essere ridotto al silenzio”. “Io condanno a nome di tutto il governo con la massima forza l’accaduto”, ha concluso la Merkel.

Il Cremlino, da parte sua, respinge le accuse di un suo possibile coinvolgimento nel presunto avvelenamento di Navalny e sostiene che non vi siano motivazioni che giustifichino eventuali sanzioni contro la Russia.

La reazione europea

Il 3 settembre l’Unione europea, tramite una nota ufficiale del suo Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha condannato con la massima fermezza l’avvelenamento del leader dell’opposizione russa, Alexei Navalny. Borrell, chiarendo la posizione dell’Unione dopo la conferma dei risultati dei test eseguiti all’ospedale Charité di Berlino, ha auspicato una risposta internazionale comune, sottolineando il diritto di intraprendere “azioni appropriate” contro la Russia. Egli ha ribadito con fermezza che “l’uso di armi chimiche in qualsiasi circostanza è del tutto inaccettabile e costituisce una violazione del diritto internazionale”. L’Unione europea, pertanto, invita la Federazione russa a cooperare pienamente con l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) per garantire un’indagine internazionale imparziale.

 

Posizione condivisa anche dal Parlamento europeo, più di 100 eurodeputati di vari gruppi politici, infatti, in una lettera indirizzata alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea e all’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, hanno chiesto di avviare un’indagine internazionale e di considerare la possibilità di nuove sanzioni contro la Russia. “Rimaniamo estremamente scettici sul fatto che le autorità russe siano idonee e disponibili a indagare sul reale contesto di questo crimine – si legge nella lettera – Riaffermiamo la necessità da parte dell’Ue di istituire rapidamente il meccanismo di sanzione delle violazioni dei diritti umani dell’Ue, in modo da poter individuare i responsabili dietro agli attacchi contro esponenti dell’opposizione e giornalisti”. Anche il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, si è espresso chiaramente sulla questione in un tweet: “Il governo russo deve ascoltare l’UE. Tutta l’Europa è seriamente preoccupata per l’avvelenamento di Navalny con un agente nervino. Questo caso deve essere indagato a fondo” queste le sue parole.

 

Il 2 settembre anche la Nato si è espressa sull’avvelenamento, definendolo “scioccante” e condannandolo con forza, come si legge nel comunicato del Segretario generale Jens Stoltenberg.

 

 

Il vertice estivo franco-tedesco a Fort Bregançon

EUROPA di

La preoccupazione per l’aumento dei casi di Covid-19, il sostegno ad una mediazione europea in Bielorussia, l’allarme per le condizioni dell’oppositore russo Navalnyj e le tensioni nel Mediterraneo orientale: questi i principali temi affrontati dal Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e la Cancelliera tedesca Angela Merkel nel summit tenutosi il 20 agosto a Fort Bregançon, la residenza estiva del Presidente francese in Costa Azzurra. È il primo vertice tra i due leader in questa sede e la Cancelliera si è detta emozionata al pensiero che in quello stesso posto, nel 1985, François Mitterrand invitò il cancelliere Helmut Kohl. Merkel e Macron rafforzano, così, la ritrovata armonia tra le due potenze europee.

La sfida del Covid-19

Il 20 agosto, a Fort Bregançon, Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno passato in rassegna le principali questioni nell’agenda europea ed internazionale.

I due leader hanno espresso preoccupazione per l’aumento dei contagi da Covid-19 nei due Paesi ed in tutta Europa, chiarendo la linea comune nella politica di prevenzione e nella sperimentazione di un vaccino. Testare, tracciare, isolare: queste le parole d’ordine. “In questo momento ci sono più vaccini già nella fase 3 e abbiamo prospettive ragionevoli di avere un vaccino nei prossimi mesi” così Macron ha espresso la sua soddisfazione per la coordinazione europea nella ricerca. “Questo non risolve i problemi delle prossime settimane ma dei prossimi mesi” ha aggiunto.

I due leader hanno manifestato la volontà di non richiudere i rispettivi Paesi e di non privare ulteriormente i cittadini delle loro libertà, rimarcando la necessità di imparare a convivere con il virus, scovando ed isolando i focolai. “Vogliamo in ogni caso evitare che vengano di nuovo chiuse le frontiere nell’Unione europea” ha dichiarato Angela Merkel, per poi evidenziare l’importanza di concordare e sviluppare criteri simili nella gestione della pandemia, muovendosi su basi scientifiche.

Sulla scia del risultato raggiunto con il Recovery Fund, un programma finanziario senza precedenti per affrontare una crisi pandemica senza precedenti, Merkel e Macron hanno sottolineato che se l’obiettivo è comune a tutti gli Stati membri dell’Unione europea, il risultato è tangibile. L’imperativo è ora quello di scongiurare un nuovo confinamento, ridare slancio alla crescita europea ed unirsi in una sola voce nell’ambito della politica estera continentale.

Le altre questioni cruciali

Altro tema condiviso da Francia e Germania è la preoccupazione per le condizioni del leader dell’opposizione russa, Aleksej Navalnyj, avvelenato pochi giorni fa. I due leader hanno offerto a Leggi Tutto

La ricostruzione di Beirut passa per la Francia

EUROPA di

“Perché è il Libano. Perché è la Francia. Perché siete voi, perché siamo noi” queste le parole del Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, che, dopo aver immediatamente mandato due aerei militari e un aereo civile per i primi aiuti di emergenza, ha interrotto le sue vacanze e si è precipitato a Beirut a poche ore dall’esplosione che il 4 agosto ha dilaniato la città. Macron ha incontrato le autorità locali, le forze politiche ed il popolo libanese, cogliendo così l’occasione per riaprirsi uno spazio di influenza in Medio Oriente. La Francia è, infatti, considerata una seconda patria da molti libanesi a causa dei forti legami storici tra i due Paesi. In virtù di questa cruciale relazione il 9 agosto Macron ha altresì organizzato una videoconferenza dei donatori, alla quale hanno partecipato anche i vertici delle istituzioni europee: i leader mondiali, riuniti in videoconferenza dal Presidente francese con il sostegno delle Nazioni Unite, hanno annunciato lo stanziamento di 250 milioni di euro per aiutare il Libano nella ricostruzione. Come ulteriore gesto di solidarietà, il 13 e 14 agosto la Ministra della Difesa francese, Florence Parly, si è recata a Beirut per accogliere la portaelicotteri Tonnere carica di aiuti per la capitale libanese.

L’esplosione e il viaggio di Macron

Quindici anni dopo l’esplosione dell’autobomba che uccise il Primo Ministro Rafiq Hariri – la cui morte mise fine all’occupazione siriana del Libano e cambiò la storia successiva del Paese – il 4 agosto un’altra tremenda deflagrazione ha ferito la Capitale libanese. Secondo la versione ufficiale riferita dal Presidente del Libano, Michel Aoun, a provocarla sarebbe stato un incendio in un deposito nel porto della città dove erano immagazzinate 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, sequestrate diversi anni fa da una nave. A poco più di una settimana dall’enorme esplosione, le operazioni di recupero dei corpi dalle macerie sono ancora in corso e ci sono grandi difficoltà ad affrontare le scarsità alimentari e i problemi sanitari che ne sono derivati. Non si è fatta attendere la reazione del popolo libanese che ha sin da subito manifestato contro quello che hanno definito “il crimine del secolo”, denunciando la corruzione sistemica presente nel Paese e la situazione già precaria del governo è precipitata con l’annuncio delle dimissioni l’11 agosto.

 

Neppure la manifestazione di solidarietà da parte dei leader mondiali, Francia in testa, si è fatta attendere. Il 6 agosto, due giorni dopo l’esplosione, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, si è recato a Beirut per testimoniare la solidarietà della Francia dopo la tragedia, ponendosi come primo Capo di Stato giunto sul posto. Macron, in nome dei legami storici tra i due Paesi, dopo aver incontrato le autorità locali, le forze politiche ed il popolo libanese, ha sottolineato che in Libano c’è bisogno di “profondi cambiamenti” da parte delle autorità, promettendo aiuti in cambio di riforme strutturali ed ha chiesto inoltre l’apertura di un’inchiesta internazionale sull’esplosione.

Il forte legame tra i due Paesi è di lunga data e deriva in particolar modo dal mandato francese della Siria e del Libano, un mandato della Società delle Nazioni di classe A creato dopo la Prima guerra mondiale in seguito alla caduta dell’Impero ottomano. Successivamente, la Francia ha coltivato le relazioni bilaterali e dunque l’influenza nel Paese Mediorientale, a causa del valore geopolitico del Libano, al fine di assicurarsi un posto privilegiato nel quadrante più cruciale e decisivo nelle grandi dinamiche globali. “Perché è il Libano. Perché è la Francia. Perché siete voi, perché siamo noi” queste le parole del Presidente Macron atterrato a Beirut.

A testimonianza del legame tra i due Paesi, nonché della frustrazione dei libanesi per la totale incapacità del governo nel garantire la sicurezza e la gestione dello Stato, rileva che una petizione per ricostituire un mandato francese in Libano ha raccolto più di 50.000 firme in 24 ore.

La conferenza internazionale dei donatori

Il 9 agosto la Francia ha altresì organizzato una videoconferenza dei donatori, alla quale hanno partecipato anche i vertici delle istituzioni europee. Macron, aprendo la conferenza internazionale da lui voluta ha affermato che “il mondo deve agire in fretta e con efficacia” per aiutare il Libano, sottolineando che “il caos e la violenza non devono vincere”.

I leader mondiali, con il sostegno delle Nazioni Unite, hanno annunciato lo stanziamento di 250 milioni di euro per aiutare il Libano nella ricostruzione. La Commissione europea donerà altri 30 milioni di euro al Libano per affrontare le prime necessità del post esplosione, come annunciato dal Commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic. “L’Ue ha aiutato il Libano subito dopo l’esplosione mobilitando centinaia di soccorritori e inviando a Beirut equipaggiamento medico” ha dichiarato il Commissario, ringraziando tutti i Paesi europei che hanno manifestato solidarietà.  Lo stanziamento dei 30 milioni di euro si va ad aggiungere agli altri 33 milioni annunciati dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una telefonata con il Presidente libanese, Michel Aoun. Gli aiuti europei saranno distribuiti attraverso le agenzie dell’ONU, le quali in una bozza dell’Emergency response framework’ (Efr) hanno stimato che al Libano serviranno 117 milioni di dollari nei prossimi tre mesi per rispondere alla crisi generata dalla devastante esplosione.

 

A rimarcare il ruolo della Francia in questa crisi è il viaggio della Ministra della Difesa francese, Florence Parly, a Beirut per accogliere la portaelicotteri Tonnere carica di aiuti per la capitale libanese. “Uno degli obiettivi è rendere il porto nuovamente operativo”, ha dichiarato Parly.

Lo Stato agonizzante della libertà di stampa in Ungheria

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La scorsa settimana, Szabolcs Dull, il direttore del giornale ungherese Index.hu – una delle poche testate ancora indipendenti – è stato licenziato per aver parlato delle pressioni esercitate dal Governo di Orban sul suo giornale. Dinanzi al rifiuto da parte del Consiglio di amministrazione di reintegrare Dull, oltre 70 membri della redazione hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta, accusando il governo ungherese di interferire sulla libertà di stampa e di minare l’indipendenza dei media. Negli ultimi anni, infatti, i sostenitori del Primo ministro nazionalista e conservatore, Viktor Orban, hanno assunto gradualmente il controllo dei media ungheresi e l’Ungheria è passata dal 23° all’89° posto, su 180 paesi, nell’indice sulla libertà di stampa stilato da Reporter senza frontiere. L’opposizione protesta ed il caso ungherese scuote l’Europa intera.

Il caso Dull

Fondato nel 1999, il sito di informazione indipendente ungherese Index.hu è diventato il portale di notizie più letto nel Paese dopo la chiusura nel 2014 e nel 2016 dei quotidiani Origo e Nepszabadsag. Index.hu è molto seguito in Ungheria – circa 1,5 milioni di visite giornaliere sul sito, in un paese con una popolazione di 10 milioni – grazie alla sua linea editoriale trasparente che promette di perseguire solo l’interesse dei lettori: ne risulta un giornalismo serio e competente.

Proprio in virtù dei valori propugnati dal giornale, il direttore Szabolcs Dull, la scorsa settimana, ha pubblicato un editoriale in cui ha avvisato i lettori che l’indipendenza della testata giornalistica era a rischio e di conseguenza quella dello staff editoriale. In particolare, questi timori si erano concretizzati alcuni mesi fa quando Miklos Vaszily, imprenditore vicino al Primo Ministro Orban, aveva acquisito il 50% di una società che controlla la pubblicità e le entrate di Index.hu. Vaszily gestisce tra le altre TV2, un’emittente vicina al governo ed è considerato uno dei fautori nella trasformazione della testata Origo in un portale pro-Orban.

Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’editoriale Dull è stato licenziato con l’accusa di aver inoltrato documenti riservati ad altri media. Come reazione, oltre 70 giornalisti si sono licenziati denunciando una manovra delle autorità finalizzata a compromettere il libero esercizio della professione. Anche la reazione dei cittadini ungheresi non è tardata ad arrivare: a Budapest migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare solidarietà ai giornalisti di Index.hu, in una manifestazione di protesta organizzata dal partito di opposizione Momentum.

È importante sottolineare che anche il proprietario del giornale online 24.hu, Zoltán Varga, che dirige il principale concorrente di Index, ha dichiarato che il governo ungherese sta cercando di screditare la sua società di media, la Central Media Group (Central Médiacsoport).

Il contesto e il ruolo dell’UE

Negli ultimi anni il Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, ha progressivamente adottato politiche sempre più autoritarie, assumendo anche il controllo dei media indipendenti del Paese. In Ungheria, infatti, molte testate sono state acquistate da uomini dell’entourage di Orban e circa 500 società di media – tra cui portali online, giornali locali, radio e canali televisivi – sono state raggruppate in un’unica fondazione finalizzata alla propaganda governativa. Non a caso l’Ungheria è passata dal 23° all’89° posto su 180 paesi nell’indice sulla libertà di stampa, stilato da Reporter senza frontiere, e circa il 90% dei media sono controllati dal governo.

Tale rapporto del governo ungherese con i media crea indignazione ed imbarazzo in Europa. Nel 2018 il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio di adottare provvedimenti per evitare che l’Ungheria violasse i valori fondanti dell’Unione in materia di indipendenza giudiziaria, libertà di espressione, corruzione, diritti di minoranze, migranti e rifugiati. Contro Budapest è stata avviata la cosiddetta procedura sullo Stato di diritto, ai sensi dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona. Tuttavia, nei primi mesi del 2020, una risoluzione del Parlamento Europeo ha denunciato che “l’incapacità del Consiglio di applicare efficacemente l’articolo 7 continua a compromettere l’integrità dei valori comuni europei e così a Strasurgo il partito di Orban, Fidesz, continua a restare nel Partito popolare europeo”.

Inoltre, rileva che nell’intesa raggiunta in seno al Consiglio europeo straordinario del 17-21 luglio, per evitare lo stallo nell’approvazione del Recovery Fund, si è approdati ad una formulazione abbastanza vaga sul meccanismo di condizionalità tra rispetto dello Stato di diritto e stanziamento dei fondi europei. A tal proposito, il presidente del partito Renew Europe, Dacian Ciolos ha dichiarato che “Il direttore è stato licenziato nella stessa settimana in cui Viktor Orban è tornato a Budapest dichiarando che i leader dell’Ue avevano promesso di far cadere contro il suo governo le procedure dell’articolo 7”. Ciolos, pertanto, ha chiesto al Consiglio europeo ed alla Commissione di “agire con urgenza” puntando il dito contro l’Europarlamento accusandolo “di legittimare il percorso illiberale di Orban”.

Governo Castex al completo: la nomina di 11 Segretari di Stato

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“La squadra è completa” ha dichiarato il Primo Ministro francese Jean Castex. Con la nomina di 11 nuovi Segretari di Stato, salgono a 43 i membri dell’esecutivo: 21 uomini e 22 donne, di cui 16 Ministri, 14 Vice Ministri e 12 Segretari di Stato (di cui solo uno, Gabriel Attal, portavoce del governo, è stato nominato il 6 luglio), oltre al Primo Ministro. Si tratta del Governo francese più numeroso della storia politica recente. Gli ex Primi Ministri, François Hollande, Nicolas Sarkozy e lo stesso Primo Ministro uscente Edouard Philippe, non hanno, infatti, mai avuto così tanti ministri nel loro entourage. Dobbiamo tornare all’era di Alain Juppé, nel 1995, per trovare un governo così numeroso. I profili selezionati, che rappresentano le diverse forze politiche della maggioranza, dimostrano il desiderio di premiare alcuni deputati meritevoli, ma anche di concentrarsi sulla sfera sociale, poiché la crisi economica dovuta al Covid-19 occuperà l’agenda per i prossimi due anni.

Le conferme

Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, nella formazione del nuovo Governo guidato da Castex era ansioso di trovare “il giusto equilibrio tra continuità e necessario rinnovamento”. Non a caso, tra gli 11 Segretari di Stato nominati domenica 26 luglio – 20 giorni dopo la nomina di Ministri e Vice Ministri – 5 sono stati riconfermati, o addirittura “rafforzati” all’interno dell’esecutivo: si tratta di Sophie Cluzel, Jean-Baptiste Lemoyne, Cédric O, Laurent Pietraszewski e Adrien Taquet. Quest’ultimo, che ha guidato la riforma delle pensioni dallo scorso dicembre, nel nuovo Governo sarà responsabile della realizzazione del fascicolo sospeso a causa della pandemia di Covid-19 e su cui Macron punta molto per perfezionare il suo percorso di presidente riformatore. Inoltre, la crisi sanitaria richiede a Pietraszewski di occuparsi del portafoglio relativo alla salute sul lavoro. Sophie Cluzel, riconfermata Segretario di Stato per la disabilità, ha dichiarato “È una grande gioia poter riprendere il mio lavoro” ed ha aggiunto di voler “accelerare le misure a favore delle persone con disabilità”. La sua relegazione a semplice Segretario di Stato non ha convinto tutte le principali parti interessate: “L’assenza di un ministero delegato all’handicap è un segnale molto negativo” aveva lamentato il Presidente del Consiglio consultivo nazionale delle persone disabili, Jérémie Boroy. Anche Jean-Baptiste Lemoyne, Segretario di Stato incaricato del turismo, dei francesi all’estero e della Francofonia, continuerà il suo lavoro in un contesto fortemente segnato dalla crisi sanitaria ed economica. Da marzo, in particolare, ha lavorato per riferire le preoccupazioni dei professionisti del settore turistico, presenziando ad un comitato settoriale settimanale ed organizzando il rimpatrio di 190.000 turisti francesi bloccati all’estero. Cédric O, è invece il Segretario di Stato incaricato per la transizione digitale e le comunicazioni elettroniche: responsabile della diffusione dell’applicazione per il tracciamento dei contagi, StopCovid, Cédric O lavora in particolare su un sistema di identità digitale fornito dallo Stato, in modo che gli utenti di Internet possano identificarsi online con un’affidabilità pari a quella offerta dalla carta identità nel mondo reale. Infine, Adrien Taquet è stato rinnovato nelle sue funzioni di Segretario di Stato per l’infanzia e le famiglie. In particolare, Taquet sarà impegnato nel proseguimento del lavoro sui “primi 1000 giorni” del bambino, le cui conclusioni sono attese per settembre. Tra le questioni attuali vi sono poi l’estensione del congedo di paternità, la remunerazione del congedo parentale e la riflessione sulle disposizioni in materia di assistenza all’infanzia.

I nuovi Segretari di Stato

Tra i nuovi Segretari di Stato figura Clément Beaune, responsabile degli affari, che succede a Amélie de Montchalin. Precedentemente consigliere per l’Europa di Emmanuel Macron, Beaune, 37 anni, è stato molto influente nel dare forma alla politica europea del Presidente, dai negoziati sulla Brexit alla riforma dell’area dell’euro. Olivia Grégoire è la nuova responsabile dell’economia sociale, solidale e responsabile: ex direttrice aziendale, era Vicepresidente del comitato finanziario dell’Assemblea Nazionale; fondatrice di una società di consulenza di strategia aziendale per le PMI e le start-up, impegnata da molto tempo con la destra liberale e la destra centrale, Grégoire ha lavorato presso gli uffici ministeriali di Jean-Pierre Raffarin e Xavier Bertrand. Joël Giraud, è invece il Segretario di Stato incaricato per la ruralità. Il deputato per le Hautes-Alpes, delle fila del Partito radicale di sinistra ed eletto con LREM, è stato relatore generale per il bilancio. Egli entra nel governo per occuparsi di un portafoglio inesistente nell’esecutivo di Edouard Philippe ma che fa eco all’arrivo a Matignon di Jean Castex presentatosi come un uomo dei “territori”. Giraud è stato notato nell’ambito dei lavori dell’Assemblea nazionale nel 2019 per aver richiesto una seconda deliberazione sul voto di un controverso emendamento su un vantaggio fiscale concesso all’olio di palma.  Sarah El Hairy, è la responsabile dei giovani e dell’impiego: prima della sua elezione in Assemblea, la giovane donna è stata responsabile delle vendite nella cooperativa del voucher del Groupe Up. Lo scorso giugno aveva presentato al governo un rapporto “Per la filantropia francese”. Presso lo stesso Ministero dell’istruzione nazionale, della gioventù e dello sport, Nathalie Elimas, è stata nominata responsabile dell’educazione primaria. Elimas era membro della Commissione Affari sociali dell’Assemblea nazionale ed è stata anche consigliere regionale. Infine, in virtù della svolta ambientalista che intende compiere l’esecutivo, Bérangère Abba, è la Segretaria di Stato responsabile della biodiversità presso il Ministero della transizione ecologica. Nel 2019, ha co-firmato una rubrica su Le Monde che afferma che “l’ecologia è al centro dell’Atto II del quinquennio” e un’altra, nel 2018, su Le Journal du Dimanche, promuovendo l’”efficienza energetica” e chiedendo la chiusura delle centrali a carbone e nucleari. In questo fascicolo, è stata criticata dal sito Reporterre dopo la sua nomina al consiglio di amministrazione di Andra-l’agenzia nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi- responsabile della discarica di Bure contro la quale Bérangère Abba era attiva. È stata altresì criticata per la sua posizione sul divieto d’uso del glifosato, che ha difeso, mentre votava a settembre 2018 contro la sua inclusione nella legge.

Il Consiglio europeo straordinario del 17-21 luglio: i risultati

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Dopo quattro giorni di negoziati serrati caratterizzati dalla contrapposizione tra l’Europa meridionale e i cosiddetti “Paesi frugali”, il 21 luglio, il Consiglio europeo, riunito a Bruxelles, è giunto ad un’intesa sul Recovery Fund e sul bilancio pluriennale dell’UE per il periodo 2021-2027. L’ammontare complessivo del Fondo per la ripresa, il principale strumento dell’Unione europea per stimolare la ripresa economica dopo la pandemia, sarà di 750 miliardi, di cui 390 a fondo perduto e 360 sotto forma di prestiti. Il compromesso raggiunto rappresenta un traguardo storico per l’Unione europea, che, per la prima volta, opta per un considerevole indebitamento comune. Il Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, ha parlato di “una giornata storica per l’Europa e per l’Italia” con toni simili a quelli usati dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, protagonisti nei negoziati. “Abbiamo raggiunto un’intesa sul pacchetto per la ripresa e sul bilancio europeo. Sono stati certamente negoziati difficili in tempi molto difficili per tutti gli europei. Una maratona che si è conclusa con successo per tutti i 27 Stati membri, ma soprattutto per i cittadini. È un buon accordo. È un accordo solido. Ma è soprattutto l’accordo giusto per l’Europa in questo momento” questo il commento del Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.

I negoziati

Quando, il 21 luglio, alle 5,30 del mattino, è stata raggiunta l’intesa in seno al Consiglio europeo – l’istituzione dell’UE che raggruppa i Capi di Stato e di Governo – mancavano solo 25 minuti per battere il record della durata dei negoziati che resiste dal Vertice di Nizza del 2000. Il raggiungimento di un accordo sul Recovery Fund e sul bilancio pluriennale dell’UE non era affatto scontato ed è stato complicato dalla distanza tra le posizioni iniziali, dalle tensioni presenti in ogni trattativa delicata e dalla formazione e lo scioglimento continuo di coalizioni nel corso dei negoziati. La preoccupazione generale, infatti, era l’ipotesi che il negoziato si chiudesse senza un’intesa, a causa di veti esercitati dai paesi schierati in diversi blocchi di interessi. Da una parte i cosiddetti Paesi “frugali” – Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Austria a cui si è aggiunta la Finlandia – che chiedevano la riduzione dell’ammontare complessivo, sia del Fondo per la ripresa che del bilancio pluriennale, maggiori controlli sulle spese e una forte limitazione delle sovvenzioni a fondo perduto. Dall’altra parte quasi tutti gli altri Paesi e soprattutto quelli dell’Europa meridionale, Italia in testa, che insistevano per non procedere con la riduzione delle ambizioni e degli strumenti europei per la ripresa dal Covid-19. Tra questi si inseriva anche il blocco dell’Europa orientale, la cui posizione, prima del Consiglio era incerta: l’Ungheria di Viktor Orban in particolare, infatti, non intendeva vincolare l’erogazione dei fondi al rispetto dello stato di diritto.

Decisivo è stato il sostegno del governo tedesco – che detiene la Presidenza di turno del Consiglio dell’UE – a promuovere soluzioni ambiziose, di concerto con il governo francese. Al contempo si è rivelata proficua la rinnovata unità di intenti fra i Paesi più colpiti dalla pandemia come Italia, Spagna e Francia.

L’accordo sul Recovery Fund

Il compromesso raggiunto rappresenta un traguardo storico in primis per l’Unione europea, prima che per i singoli Stati membri: per la prima volta si è optato per un considerevole indebitamento comune per il rilancio della crescita e dunque per finanziare un trasferimento di risorse dai paesi più ricchi a quelli più in difficoltà, in un breve lasso di tempo.

Il Fondo per la ripresa, chiamato dalla Commissione “Next Generation UE”, avrà un valore complessivo di 750 miliardi di euro, che saranno raccolti sui mercati finanziari a nome dell’Unione Europea: di questi, 390 miliardi saranno distribuiti come sussidi a fondo perduto, mentre 360 miliardi sotto forma di prestiti.

L’UE potrà esercitare alcune forme di controllo sulla modalità di spesa dei fondi: è stata rifiutata la proposta dei paesi frugali di un diritto di veto sulle spese, ma l’ottenimento dei fondi sarà legato alla presentazione di un piano di riforme che dovrà essere approvato a maggioranza qualificata sia dalla Commissione Europea che dal Consiglio Europeo. Un’altra condizione è legata al raggiungimento dei termini intermedi del piano di riforme ed è stata introdotta, altresì, la possibilità per ogni Stato membro di chiedere una sospensione temporanea dei pagamenti in caso di sospetta violazione dei termini: si tratta del cosiddetto “freno di emergenza”.

Il Fondo sarà disponibile a partire dal secondo trimestre del 2021, tuttavia, l’accordo prevede che potrà essere usato per finanziare progetti avviati già dal febbraio 2020.

 

Il principale serbatoio del Fondo per la ripresa si chiamerà Recovery and Resilience Facility (RRF) dal valore di 672, 5 miliardi, di cui 312,5 saranno distribuiti come sussidi. Il 70 % di questi sussidi verrà stanziato entro il 2022, mentre il restante 30 % entro il 2023. Da ciò si deduce che i primi progetti finanziati con i nuovi sussidi europei partiranno fra il 2021 e il 2022, e i finanziamenti verranno erogati verosimilmente fino al 2025.

I criteri con cui verranno distribuite le risorse del RFF sono la popolazione di ogni singolo stato membro, il PIL pro capite, e per i primi due anni il tasso medio di disoccupazione fra il 2015 ed il 2019; nel 2023 questo criterio verrà sostituito con la riduzione del PIL nazionale fra il 2020 ed il 2021 a causa della pandemia.

Entrambi i criteri rendono l’Italia uno dei principali beneficiari del RFF e quindi dell’intero Fondo. Secondo un calcolo diffuso dal Governo italiano l’Italia otterrebbe circa 81,4 miliardi di sussidi e 127,4 miliardi di prestiti, per un totale di 209 miliardi.

Il bilancio pluriennale

Quanto al Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027, questo è negoziato degli Stati membri ogni sette anni e fornisce le linee guida per la spesa dei contributi che ciascuno stato si impegna a versare all’Unione europea in base alla loro popolazione e ricchezza. Il 21 luglio il Consiglio europeo ha raggiunto un’intesa per lo stanziamento di 1.074 miliardi di euro per il prossimo bilancio pluriennale, tuttavia, la competenza sul bilancio è condivisa con il Parlamento europeo, chiamato ad esprimersi e ad apportare le modifiche ritenute necessarie.

L’argomento più efficace per convincere i 5 Paesi frugali ad approvare il Fondo per la ripresa sono stati i cosiddetti rebates, cioè degli sconti sui versamenti nazionali al bilancio pluriennale: tutti i frugal five hanno ottenuto degli sconti maggiori rispetto allo scorso bilancio per un totale di circa 53 miliardi in meno.

Inoltre, occorre sottolineare che per la prima volta nella sua storia, dal primo gennaio 2021 l’Unione Europea raccoglierà delle entrate fiscali che non dovranno essere negoziate con singoli paesi: è un primo e significativo passo per evitare le eterne trattative sul bilancio pluriennale, nonché un modo per guadagnare sempre più sovranità. Nel dettaglio, dal 2021 ciascuno Stato membro dovrà versare 80 centesimi per ogni chilo di plastica non riciclata, mentre dal 2023 entrerà in vigore una tassa sulle importazioni dai Paesi che non rispettano gli standard europei sulle emissioni inquinanti.

Francia, dinamiche ed indagini del grave incendio nella cattedrale di Nantes

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Nella mattinata del 18 luglio è divampato un incendio nella cattedrale gotica di Nantes, nel nord-ovest della Francia, facendo tornare alla mente le immagini, risalenti ad un anno e mezzo fa, della devastazione di Notre-Dame, una ferita ancora aperta per i cittadini francesi e non solo. Secondo le ricostruzioni, l’incendio si sarebbe sviluppato da tre diversi punti ed è stato circoscritto in poche ore. La maggior parte dell’edificio e degli arredi non ha subito particolari danni, tranne la distruzione di un grande organo risalente al XVII secolo. La Procura della Repubblica di Nantes ha aperto un’inchiesta per “incendio doloso”, ma le indagini sono ancora in corso.

L’incendio

La cattedrale di Nantes, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, è un edificio gotico del XV secolo ed è stata completata solo nel 1891, dopo 457 anni di lavori. Il cantiere fu avviato, infatti, nel 1434 dal Duca di Bretagna, Giovanni V, nello stile gotico “fiammeggiante” in voga all’epoca. Dal 1862 la cattedrale della cittadina sulla Loira è stata dichiarata monumento storico dal governo francese. La sua navata centrale supera in altezza quella di Notre-Dame di Parigi, devastata il 15 aprile 2019 da un incendio che ne ha distrutto la struttura.

Già nel 1944, la cattedrale di Nantes, aveva subito gravi danni a causa dei bombardamenti e il 28 gennaio 1972 era stata colpita da un altro grande incendio, che aveva danneggiato il tetto e aveva costretto alla chiusura della struttura per i successivi tre anni.

Nel 2015, sempre a Nantes, un altro edificio cattolico è stato colpito da un incendio che ha distrutto tre quarti del tetto della Basilica di Saint-Donatien-et-Saint-Rogatien, risalente al XIX secolo.

 

“Un incendio importante” recitava un comunicato dei pompieri nelle prime ore della mattina del 18 luglio. Circa 100 vigili del fuoco e 40 dispositivi sono stati inviati per domare l’incendio, segnalato intorno alle 7.45, nella cattedrale di Nantes di Saint-Pierre-et-Saint-Paul. I vigili del fuoco sono stati in grado di circoscriverlo abbastanza rapidamente: intorno alle 10 del mattino hanno annunciato di aver domato le fiamme.

La maggior parte dell’edificio e degli arredi non ha subito particolari danni tranne un grande organo risalente al XVII secolo, distrutto dalle fiamme. L’incendio ha recato danni altresì ad un dipinto di Ippolito Flandrin del XIX secolo, alla zona del coro ed alle vetrate sulla facciata, alcune delle quali risalivano al XVI secolo, secondo Laurent Delpire, curatore di oggetti d’antiquariato e opere d’arte della Loira Atlantica.

L’amministratore diocesano, Padre François Renaud, responsabile della cattedrale, è riuscito a tornare con i pompieri all’interno dell’edificio e ha annunciato che “il grande organo era completamente scomparso”. “È molto impressionante ed è una perdita incommensurabile” ha aggiunto, commosso.

Per fortuna, “non siamo in uno scenario da Notre-Dame de Paris” ha sottolineato il direttore dipartimentale dei vigili del fuoco, il generale Laurent Ferlay, specificando che il tetto “rifatto in cemento armato, non è stato danneggiato”.

Le indagini

Il procuratore di Nantes, Pierre Sennès, ha annunciato che è stata aperta un’indagine per “incendio doloso”. “Le indagini iniziali non sono riuscite a trovare alcun segno di irruzione” ha aggiunto nel tardo pomeriggio.

Nel pomeriggio, nel corso delle prime indagini, un uomo di 39 anni, è stato preso in custodia e rilasciato “senza alcun procedimento giudiziario” nella serata del 19 luglio.

Di nazionalità ruandese, il sospettato era un volontario nella cattedrale di Nantes, seguito e ospitato dalla diocesi, come altri, secondo quanto riferito dal Procuratore Sennès. Il volontario è stato incaricato di chiudere la Cattedrale di San Pietro e San Paolo il giorno prima dell’incendio e gli investigatori hanno verificato i suoi spostamenti. Secondo Padre Hubert Champenois, che lo conosce bene, il trentanovenne è stato l’ultimo a lasciare la cattedrale il 17 sera. “Lo conosco da quattro o cinque anni”, ha detto, prima di aggiungere “Mi fido di lui come in tutti i collaboratori”. Il rettore della cattedrale ha poi sottolineato che “ogni sera, prima di chiudere un’ispezione viene svolta molto accuratamente e tutto era in ordine venerdì sera”.

Le reazioni delle autorità francesi

Il Primo Ministro francese, Jean Castex, si è recato sul posto nel pomeriggio, accompagnato dai Ministri dell’Interno, Gerald Darmanin, e della cultura, Roselyne Bachelot. Castex ha reso omaggio alla “dedizione e alla grande professionalità” dei pompieri. “È il momento della ricostruzione, che spero sia il più rapida possibile e in cui lo stato farà la sua parte” ha aggiunto. La Ministra Bachelot ha dichiarato da parte sua che “la qualità del patrimonio francese comporta sforzi finanziari considerevoli e lo Stato sarà ovviamente presente per un’operazione che sarà necessariamente lunga”.

“Supporto per i nostri vigili del fuoco che corrono tutti i rischi per salvare questo gioiello gotico” ha twittato il Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron in mattinata.

La Sindaca di Nantes, Johanna Rolland, che è riuscita ad entrare nella cattedrale, ha espresso il suo stato d’animo quando ha scoperto il danno: “Ciò che domina è l’emozione e la tristezza per i cattolici di Nantes, perché è un luogo emblematico, per loro e per tutto il popolo di Nantes”

Alla fine del pomeriggio, la Heritage Foundation ha annunciato il lancio di una campagna di raccolta fondi per la ricostruzione del grande organo.

 

 

Il caso Apple: la Corte di giustizia dell’UE ha annullato la decisione della Commissione sul rimborso da 13 miliardi all’Irlanda

EUROPA di

Il 15 luglio Apple ha vinto il ricorso presentato alla Corte di Giustizia dell’UE contro la decisione della Commissione europea, risalente al 2016, secondo cui la società aveva beneficiato per anni di un regime fiscale agevolato da parte dell’Irlanda. I giudici di Lussemburgo hanno annullato dunque l’ordine che imponeva all’azienda il risarcimento all’Irlanda di 13 miliardi di euro, più interessi, per gli accordi fiscali, ritenuti illeciti, sottoscritti con Dublino nel 1991 e nel 2007. La Corte ha dichiarato che la Commissione non ha dimostrato che gli accordi fiscali tra lo Stato membro e la società configurassero una forma illecita di aiuti di Stato. Apple, vince così il primo round della battaglia giudiziaria contro l’antitrust dell’Unione europea.

Background

Nel 2016, dopo quasi tre anni di indagini, la Commissione europea ha concluso che Apple aveva beneficiato per anni di un regime fiscale agevolato da parte dell’Irlanda. L’oggetto dell’accusa non era una presunta manovra dell’azienda per nascondere guadagni al fisco, bensì la presunta offerta da parte di Dublino di condizioni fiscali favorevoli pur di convincere l’Apple a stabilire lì la sua sede europea. Secondo la Commissione il trattamento riservato all’azienda si è, dunque, configurato come un aiuto di Stato.

Le indagini mostrarono che due società controllate da Apple-Apple Sales International e Apple Operations Europe- aventi sede in Irlanda, producevano ricavi “non corrispondenti alla realtà economica”. Nel dettaglio tutti i ricavi delle vendite erano attribuiti ad un generico “ufficio centrale” che, secondo la Commissione, esisteva meramente sulla carta e “non poteva generare quel tipo di profitti”. Grazie a questo sistema e ad una serie di regimi fiscali agevolati volti ad attirare le multinazionali sul suo territorio, l’azienda statunitense è riuscita a pagare solo l’1% delle tasse nel 2003, percentuale ulteriormente ridotta allo 0,005 per le attività legate di Apple Sales International.

“Questo tipo di tassazione selettiva riservato ad Apple in Irlanda è illegale secondo le leggi dell’UE, perché dà ad Apple vantaggi considerevoli rispetto ad altre aziende che sono soggette alla normale tassazione” evidenziava la Commissione nel suo comunicato.

Quando la Commissione accerta simili trattamenti illeciti ha il potere di imporre allo stato membro interessato di procedere al recupero delle tasse non versate. Di conseguenza, la Commissione all’epoca decise che il governo irlandese avrebbe dovuto “recuperare le tasse non pagate nel paese da Apple per gli anni compresi tra il 2003 e il 2013 per una cifra intorno ai 13 miliardi di euro, più gli interessi”. La cifra dei 13 miliardi deriva da una stima basata sulle attività degli ultimi 10 anni di Apple nell’Ue.

Come reazione, la Apple e il governo irlandese hanno deciso di presentare un ricorso in appello alla Corte di Giustizia dell’UE. Con una lettera, il CEO di Apple, Tim Cook, aveva dichiarato di ritenere la decisione della Commissione non conforme ai principi fiscali internazionali e dannosa per l’economia europea.

La sentenza della Corte di Giustizia dell’UE

Dopo quattro anni, il 15 luglio, la Corte di Giustizia dell’UE ha stabilito che le due società controllate dalla Apple non hanno avuto nessun illecito vantaggio e che pertanto non hanno violato alcuna regola. I giudici di Francoforte si sono schierati a favore dell’azienda statunitense, dichiarando che la Commissione non ha fornito prove adeguate che mostrassero che gli accordi fiscali tra l’azienda e Dublino configurassero una forma di aiuti di Stato illecita.

La Commissione europea ora ha due mesi e 10 giorni di tempo per presentare a sua volta un riscorso, ma per il momento deve incassare una sconfitta considerata da molti clamorosa.

Secondo la Corte “la Commissione ha sbagliato a dichiarare che la Apple ha avuto un vantaggio selettivo e quindi, per estensione, un aiuto di Stato”. I giudici hanno dichiarato che Bruxelles “ha concluso erroneamente” che le autorità fiscali irlandesi “hanno dato ad Apple un vantaggio selettivo”. “La Commissione avrebbe dovuto dimostrare che il reddito rappresentava il valore delle attività realmente portate avanti dalle filiali irlandesi”.

Il tempismo di questa sentenza non è dei più felici per l’Unione europea: proprio il 15 luglio, infatti, la Commissione ha annunciato un intervento per contrastare gli Stati a fiscalità agevolata, portato avanti in prima persona dal Commissario all’economia, Paolo Gentiloni e dalla Vicepresidente della Commissione nonché Commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, che già nel suo primo mandato, ai tempi della Commissione guidata da Juncker, aveva condotto una serie di indagini per arginare pratiche anti-concorrenziali.

Le dichiarazioni

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Francia: aggredito un autista di Bayonne nel tentativo di far rispettare le misure precauzionali contro il Covid-19

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La Francia è stata duramente colpita dal Covid-19 ed ha combattuto duramente per domare i focolai nel Paese, che, secondo un conteggio della Johns Hopkins University, ha visto oltre 208.000 contagiati confermati ed oltre 30.000 decessi. Gli esperti dicono che il vero bilancio sia più alto, a causa dei test limitati e dei contagi lievi mancanti nelle stime. Nonostante questo, risulta ancora difficile far rispettare le misure di precauzione. Il 5 luglio, a Bayonne, nella costa occidentale francese, il conducente di un autobus di linea è stato aggredito da un gruppo di persone dopo averle esortate ad indossare la mascherina. La vittima, Philippe Monguillot, un uomo di 59 anni, è stato massacrato di colpi alla testa e gravemente ferito. Quando è stato soccorso era in condizioni di incoscienza, è stato ricoverato in gravissime condizioni ed è morto dopo qualche giorno in stato di morte cerebrale. Come reazione, i suoi colleghi hanno scioperato bloccando nove linee della cittadina: una decisione che il sindaco di Bayonne Jean-René Etchegaray e quello della vicina Anglet Claude Olive – che è anche presidente del sindacato dei trasporti – hanno condiviso, esprimendo piena solidarietà ai lavoratori.

L’aggressione

L’aggressione ai danni di Philippe Monguillot è avvenuta intorno alle sette di sera. Secondo la polizia il conducente è stato aggredito quando si è rifiutato di far salire sull’autobus un uomo con un cane che non indossava la mascherina e quando ha chiesto anche ad altri passeggerei che già si trovavano sulla vettura-anche loro senza mascherina e sprovvisti altresì di biglietto-di scendere. E’ scoppiata una furiosa lite: l’autista à stato spinto fuori dall’autobus; lì, due persone gli hanno dato calci e pugni violenti nella parte superiore del corpo e in particolare alla testa; i quattro uomini hanno poi lasciato l’autista incosciente sul marciapiede prima di fuggire per rifugiarsi nell’appartamento di uno di loro. Questo il resoconto della Procura.

“Abbiamo assistito a un atto particolarmente violento e barbaro” ha affermato il sindaco di Bayonne Jean-René Etchegaray. Quest’ultimo si è augurato “che gli autori siano condannati severamente” dando “un segnale forte per tutta la città”.

Dopo l’aggressione, Philippe Monguillot era già in stato di morte cerebrale. “In accordo con i medici” ha riferito la figlia Marie all’Agence France Presse il 10 luglio “abbiamo deciso di lasciarlo andare in pace e non accanirci”.

Due uomini si trovano attualmente in stato di detenzione per l’omicidio, si tratta di due giovani di 22 e 23 anni, pregiudicati; altri due, di una trentina d’anni, sono accusati di complicità ed omissione di soccorso e si trovano in stato di fermo.

La reazione politica

Immediata la reazione del Governo francese: il neoprimoministro Jean Castex ha parlato di “crimine abietto” che “non resterà impunito”. Il Ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, è intervenuto sul luogo dei fatti per essere presente di persona. Giunto a Bayonne, Darmanin ha incontrato una delegazione del personale dei mezzi pubblici che ha espresso la rabbia della categoria, annunciando la propria astensione dal lavoro, in virtù del diritto di sciopero in presenza di minacce alla sicurezza. “Riprenderanno servizio in condizioni di sicurezza rinforzate” ha annunciato l’azienda di trasporti Keolis. “I team di Keolis rimangono mobilitati su tutte le nostre reti, in Francia e in tutto il mondo, in modo che tale aggressione non si verifichi più e che i nostri trasporti pubblici rimangano uno spazio vitale in cui il rispetto per le persone e la proprietà diventi di nuovo responsabilità di tutti” ha continuato Keolis in una nota.

“È stata un’aggressione odiosa, inqualificabile, confido nella magistratura per punire gli autori di questa barbarie” ha dichiarato il Ministro dell’Interno, aggiungendo che “non si tratta di un semplice fatto di cronaca”. “Il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro e il ministro dell’Interno – ha continuato Darmanin– non permetteranno che questa violenza gratuita diventi qualcosa di banale. Il conducente di un bus deve poter guidare il suo mezzo senza rischiare la vita”.

Anche il Ministro dei trasporti, Jean-Baptiste Djebbari, si è recato sul posto e ha incontrato i conducenti di Chronoplus, la rete di trasporti dell’agglomerato di Bayonne.

 

Nelle file della destra l’aggressione ha ravvivato le richieste di autorità e sanzioni più severe. Il deputato di Les Républicains (LR) Eric Ciotti ha chiesto “pesanti sanzioni contro gli assassini”. Per il senatore Bruno Retailleau (LR) “non ci sarà una lotta efficace contro questa ferocia senza un ritorno dell’autorità e la fine del lassismo sistemico”. “Ucciso per voler semplicemente far rispettare le regole. Questo omicidio non deve rimanere impunito. Le condanne devono essere esemplari e realmente eseguite” ha reagito su Twitter il Presidente del Consiglio regionale dell’Hauts-de-France Xavier Bertrand (ex LR). Definendo “feccia” i presunti aggressori del conducente, la leader di Rassemblement National, Marine Le Pen, ha chiesto “una rivolta di fronte a questa barbarie”

 

 

Francesca Scalpelli
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