GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Francesca Scalpelli - page 3

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L’ accordo sui fondi dell’UE per le politiche comuni in materia di asilo, migrazione e integrazione

EUROPA di

Il 9 dicembre il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo sulle priorità di bilancio per le politiche di asilo, migrazione e integrazione nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Il rinnovato Fondo “Asilo, migrazione e integrazione”, ammonterà a 9,882 miliardi di euro a prezzi correnti. Rafforzare la politica comune in materia di asilo, sviluppare la migrazione legale in relazione alle esigenze socioeconomiche degli Stati membri, promuovere un’efficace integrazione e inclusione sociale, contrastare l’immigrazione illegale: questi gli obiettivi principali del fondo prefissati dai colegislatori.

Il Fondo asilo migrazione e integrazione

Il “Fondo asilo migrazione e integrazione” (Fami)” è uno strumento finanziario istituito con Regolamento UE n. 516/2014 avente l’obiettivo di promuovere una gestione integrata dei flussi migratori, sostenendo tutti gli aspetti del fenomeno: asilo, integrazione e rimpatrio. Tutti gli Stati membri dell’Unione europea, tranne la Danimarca, partecipano all’attuazione del Fondo. Nel dettaglio, quest’ultimo è gestito dalla Commissione europea tramite la sua Direzione Generale Migrazione e affari interni, con l’ausilio delle Autorità Responsabili del Fondo, vale a dire gli organismi pubblici degli Stati membri interessati. In Italia tale Autorità corrisponde al Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno.

Oltre ad avere una dimensione interna il Fami ha altresì una dimensione esterna, supportando azioni condotte in Paesi terzi, purché queste siano nell’interesse della politica dell’Unione in materia di immigrazione e degli obiettivi UE di sicurezza interna ed è inoltre impiegato per rispondere rapidamente alle emergenze, attraverso procedure che permettano di concedere finanziamenti in un breve lasso di tempo.

Il Fami nel quadro finanziario 2021-2027: l’accordo tra Parlamento e Consiglio

Il 9 dicembre il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo politico sulle priorità di bilancio per le politiche di asilo, migrazione e integrazione nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2021-2027: il rinnovato Fami ammonterà a 9,882 miliardi di euro a prezzi correnti. Rafforzare la politica comune in materia di asilo, sviluppare la migrazione legale in relazione alle esigenze socioeconomiche degli Stati membri, promuovere un’efficace integrazione e inclusione sociale, contrastare l’immigrazione illegale: questi gli obiettivi principali del fondo prefissati dai colegislatori. Altri obiettivi includono la garanzia di rimpatri e riammissioni sicure e dignitose per coloro che non hanno diritto a rimanere nell’UE, nonché il supporto nel processo di reinserimento nei paesi terzi. Su richiesta del Parlamento europeo, il fondo dovrebbe altresì mirare a rafforzare la solidarietà e la condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri, in particolare nei confronti di coloro che sono più colpiti dalle sfide dei flussi migratori e dell’asilo, come Italia e Grecia, attraverso una cooperazione pratica.

La maggior parte dei fondi, circa il 63,5%, sarà destinata a programmi in gestione concorrente tra l’UE e gli Stati membri, le cui assegnazioni varieranno a seconda del numero di cittadini di paesi terzi residenti nel paese, domande di asilo ricevute, decisioni di rimpatrio prese e rimpatri effettuati. Il restante 36,5% sarà gestito direttamente dall’UE e sarà impiegato per rispondere rapidamente alle emergenze, all’ammissione umanitaria da paesi terzi e al reinsediamento di richiedenti asilo e rifugiati in altri Stati membri dell’Unione, “come parte degli sforzi di solidarietà”.

I negoziatori hanno altresì assicurato che i fondi potranno essere assegnati alle Autorità locali e regionali che implementano misure per sostenere il processo di integrazione nella loro comunità.

Gli europarlamentari sono riusciti ad aumentare la somma che i paesi dell’UE riceveranno per ogni persona reinsediata: 10.000 euro, contro i 7.000 euro previsti dal Consiglio, la stessa cifra che riceveranno per ogni persona ricollocata da un altro Stato membro. Inoltre, mentre nell’ambito del precedente quadro finanziario pluriennale 2014-2020 i paesi non hanno ricevuto fondi per l’ammissione umanitaria, ora riceveranno 6.000 € per ogni persona accolta con questo meccanismo, 8.000 € se si tratta di una persona vulnerabile.

Dichiarazioni e prossimi step

“Rinforzato, il nuovo fondo diventerà uno strumento chiave dell’UE per gestire la migrazione, l’asilo e l’integrazione in modo efficace e umano. La solidarietà non sarà solo una frase vuota, perché i paesi dell’UE riceveranno un generoso sostegno finanziario, anche attraverso il reinsediamento e il trasferimento. Le autorità locali e regionali avranno anche un accesso più facile ai fondi da spendere per l’integrazione e maggiori garanzie limiteranno la spesa al di fuori dell’UE, che è stata la priorità per il Parlamento” ha dichiarato la relatrice slovena Tanja Fajon – appartenente al gruppo dei Socialisti e democratici – in seguito al raggiungimento del compromesso.

Quanto ai prossimi passi, l’accordo tra il Parlamento e il Consiglio sarà ora finalizzato a livello tecnico, entrambe le istituzioni europee sono quindi chiamate ad adottarlo formalmente.

UE-ASEAN: il partenariato strategico e la cooperazione nella gestione del Covid-19

EUROPA di

Il 1° dicembre, la 23ª videoconferenza ministeriale ASEAN-UE ha riunito i Ministri degli Esteri dell’Unione europea e i loro omologhi dei 10 Stati membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. I ministri hanno ribadito il ruolo significativo svolto dall’ASEAN e dall’Unione europea nel plasmare l’agenda politica, socioeconomica e di sicurezza a livello regionale e globale, dando vita ad un partenariato strategico che sigla l’evoluzione delle relazioni. Riconoscendo l’unicum rappresentato della connettività e dall’ integrazione regionale dell’ASEAN e dell’UE, è stato ribadito l’impegno reciproco a promuovere la connettività all’interno e tra le due organizzazioni. In virtù del suo ruolo di primo piano tra tutti i partners del Sud-est asiatico, l’UE ha, inoltre, annunciato un nuovo programma da 20 milioni di euro per sostenere la preparazione e la capacità di risposta degli Stati membri dell’ASEAN nella gestione della pandemia da Covid-19.

Le relazioni UE-ASEAN

Le relazioni tra l’Europa e il Sud-est asiatico sono state ufficialmente avviate nel 1972. Tuttavia, è solo di recente che questo rapporto ha subito dei cambiamenti significativi.

Attualmente l’UE e l’ASEAN intrattengono efficaci rapporti di cooperazione in vari campi: dalla politica all’economia, dal commercio agli investimenti, dalla difesa alla sicurezza ed alla connettività tra i popoli. L’Unione europea ha istituto vari programmi per i Paesi membri dell’ASEAN-Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Sultanato del Brunei, Vietnam, la Birmania (Myanmar), Laos e Cambogia-al fine di aiutarli a fronteggiare le sfide non convenzionali legate alla sicurezza, ai cambiamenti climatici ed alle catastrofi ambientali, guadagnandosi un posto di primo piano tra tutti i partners dell’ASEAN.

Oltre a cooperare con l’ASEAN come organizzazione, l’UE mantiene altresì relazioni bilaterali con i singoli Stati membri, concretizzatesi ad esempio nell’Accordo di Libero Scambio UE-Singapore e in quello tra UE e Vietnam (EVFTA).

Nonostante l’esistenza di alcuni ostacoli, derivanti dalle differenze culturali, dalle distanze geografiche e politiche, nonché dalle differenze economiche e sociali, le due organizzazioni sono determinate nel trovare le strategie adatte per beneficiare dei vantaggi offerti dalla cooperazione internazionale, al fine di costruire un rapporto duraturo ed efficace.

La 23ª videoconferenza ministeriale: l’avvio del partenariato strategico

Il 1° dicembre, nell’ambito della 23ª videoconferenza ministeriale ASEAN-UE, le due organizzazioni hanno aperto un nuovo capitolo nella loro relazione di lunga data, diventando partners strategici.

Entrando nel merito della videoconferenza, quest’ultima è stata copresieduta dall’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal Ministro degli Affari esteri di Singapore, Vivian Balakrishnan, in qualità di paese coordinatore per le relazioni del dialogo ASEAN-UE. Al vertice hanno partecipato i Ministri degli Esteri o i loro rappresentanti di tutti gli Stati membri dell’ASEAN e dei 27 Stati membri dell’UE, oltre al segretariato dell’ASEAN e alla Commissione europea, rappresentata dalla Commissaria per le partnerships internazionali, Jutta Urpilainen. I ministri hanno ribadito il ruolo significativo svolto dall’ASEAN e dall’Unione europea nel plasmare l’agenda politica, socioeconomica e di sicurezza a livello locale e globale. Riconoscendo l’unicum rappresentato della connettività e dall’ integrazione regionale dell’ASEAN e dell’UE, è stato ribadito l’impegno reciproco a promuovere la connettività all’interno e tra le due organizzazioni. In tale ottica di rafforzamento della cooperazione attraverso la connettività è stato istituito un partenariato strategico, siglando l’evoluzione delle relazioni, con l’impegno a tenere regolari vertici tra i rispettivi leader.

La connettività tra i popoli è così promossa nello spirito di pace, inclusività, sviluppo, cooperazione, sostenibilità economica, fiscale, finanziaria, sociale e ambientale, fondandosi su condizioni di parità nonché su norme di mutuo vantaggio, in conformità agli standard internazionali pertinenti.

“Questo partenariato strategico rappresenta due elementi fondamentali: in primo luogo il riconoscimento del fatto che, davanti alla crescente insicurezza geopolitica e alle sfide al multilateralismo, l’UE e l’ASEAN avvieranno relazioni più strette. In secondo luogo, l’opportunità per un maggiore dialogo tra i leader così da tenere d’occhio e dare forma alle possibilità di una cooperazione più approfondita in materia di commercio, sicurezza e difesa, come anche di sviluppo sostenibile” queste le parole di Josep Borrell a conclusione della videoconferenza.

Il programma di aiuti per la gestione della pandemia da Covid-19

Oltre ad aver inaugurato un nuovo capitolo nell’ambito delle relazioni reciproche, l’Unione europea ha altresì annunciato, tramite la Commissaria per le partnerships internazionali, Jutta Urpilainen, un nuovo programma da 20 milioni di euro per sostenere la preparazione e la capacità di risposta degli Stati membri dell’ASEAN nella gestione della pandemia da Covid-19, migliorando il coordinamento regionale e rafforzando la capacità dei sistemi sanitari nel sud-est asiatico, con particolare attenzione alle popolazioni vulnerabili. Il programma di aiuti, che si inserisce nell’ambito della risposta globale dell’UE alla pandemia da coronavirus, ha una durata di 42 mesi e sarà attuato dall’Organizzazione mondiale della sanità, in stretta collaborazione con le autorità nazionali e il segretariato dell’ASEAN.

“Il programma di risposta e preparazione alla pandemia del sud-est asiatico fa parte della risposta di solidarietà da 350 milioni di euro dell’Unione europea per sostenere i nostri partner ASEAN nell’affrontare la pandemia COVID-19. Un forte coordinamento regionale sull’accesso a informazioni, attrezzature e vaccini è essenziale per superare questa crisi. Siamo in questo insieme e, come partner, più forti insieme ” ha dichiarato Jutta Urpilainen.

Francia: il violento sgombero della polizia e la contestata legge sulla sicurezza

EUROPA di

Gli eventi francesi tornano ad essere al centro dei dibattiti dell’opinione pubblica. Il 23 novembre la polizia francese ha sgomberato in modo violento centinaia di migranti che avevano allestito un accampamento in Place de la République, a Parigi. Le immagini del violento sgombero, diffuse dai media, hanno suscitato le proteste dei partiti di sinistra, ma anche di quelli che sostengono la maggioranza di governo, delle Ong e dei sindacati. Il giorno successivo, in un clima politico già compromesso da simili tensioni, si sono aggiunte nuove contestazioni in seguito all’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale di una controversa proposta di legge sulla sicurezza, presentata dal partito del Presidente Emmanuel Macron, La République En Marche. Nel mirino i diritti civili e la libertà di stampa: se la legge sarà approvata anche dal Senato renderà più complicato per i giornalisti raccontare le azioni violente o illegali della polizia, con il rischio che queste diventino più frequenti e diffuse. I due eventi risultano essere, dunque, strettamente connessi, in una Francia già provata dal secondo confinement nel tentativo di gestire l’aumento dei contagi da Coronavirus.

Lo sgombero a Place de la République

Il 23 novembre, con l’aiuto di volontari, circa 400 migranti – la maggior parte originari dell’Afghanistan – si sono accampati in Place de la République, piazza simbolica di Parigi, sede di numerose manifestazioni. Soltanto un’ora dopo le forze dell’ordine sono intervenute rimuovendo in modo violento le loro tende, in alcuni casi con le persone ancora all’interno, tra le proteste degli attivisti e degli stessi migranti, utilizzando gas lacrimogeni e granate assordanti per disperdere gli occupanti, i quali si sono rifugiati nelle vie adiacenti alla piazza.

I migranti, secondo l’associazione umanitaria “Utopia 56”, provenivano dal campo di Saint-Denis, sgomberato lo scorso 17 novembre. Il Prefetto della polizia di Parigi, Didier Lallement, all’inizio dell’anno ha deciso, infatti, di applicare il principio della “tolleranza zero” nei confronti dei campi di migranti nella capitale francese e da allora molti migranti si erano spostati proprio a Saint-Denis. Tuttavia, in seguito allo sgombero del 17 novembre, una parte dei essi era stata trasferita in centri di accoglienza o palestre nell’Ile-de-France, ma tra le 500 e le 1000 persone vagavano per le strade della periferia parigina.

Le immagini del violento sgombero, diffuse dai quotidiani e dai social network, hanno suscitato le proteste dei partiti di sinistra, ma anche di quelli che sostengono la maggioranza di governo, delle Ong e dei sindacati. Lo stesso Ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ha scritto su Twitter di essere rimasto «scioccato» dalle immagini dello sgombero. «Ho appena richiesto al capo della polizia un rapporto dettagliato su cosa sia realmente successo, entro mezzogiorno di domani – ha aggiunto – Prenderò le decisioni del caso non appena lo avrò ricevuto». La Prefettura di Parigi e quella dell’Ile-de-France, che hanno gestito lo sgombero, hanno replicato che «la costituzione di tali campi, organizzata da alcune associazioni, non era accettabile» e hanno ricordato che «tutte le persone bisognose di alloggio sono invitate a venire nei centri diurni dove vengono loro offerte soluzioni adatte alla loro situazione».

Le Ministre della Cittadinanza e dell’Edilizia abitativa, Marlene Schiappa ed Emmanuelle Wargon, in un comunicato congiunto diffuso il giorno successivo, hanno dichiarato che i migranti dovrebbero essere trattati «con umanità e fraternità» e hanno assicurato che il Prefetto della regione Ile-de-France ha individuato «240 posti nei centri di accoglienza e nelle strutture ricettive di emergenza» e che «4.500 posti aggiuntivi per i richiedenti asilo saranno finanziati dal governo nel 2021».

La controversa legge sulla sicurezza

Il 24 novembre, in un clima politico già molto teso a causa degli eventi di Place de la République, si sono aggiunte nuove contestazioni in seguito all’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale di una controversa proposta di legge sulla sicurezza, presentata dal partito del presidente Emmanuel Macron, La République En Marche. I critici sostengono che, se sarà approvata anche dal Senato, colpirà i diritti civili e la libertà di stampa. L’Articolo 24, il più contestato, introduce un nuovo reato per chiunque diffonda immagini in grado di «danneggiare l’integrità fisica e morale» degli agenti di polizia, con condanne che possono arrivare ad un anno di carcere e al pagamento di 45mila euro di multa. La legge renderebbe più complicato per i giornalisti raccontare le azioni violente o illegali della polizia, con il rischio che eventi come quelle di Place de la République diventino più frequenti e diffusi.

Tra le altre cose, la legge in questione stabilisce le regole per l’uso di droni, restringe la vendita di fuochi d’artificio usati spesso dai manifestanti durante le proteste, e dà maggiori poteri agli agenti della polizia locale.

Si tratta dell’ultima di una serie di iniziative avviate negli ultimi mesi dal governo di Macron con l’obiettivo di contrastare il crimine e il terrorismo.

La nuova legge ha raccolto parecchi consensi a destra, ma allo stesso tempo ha suscitato l’indignazione della sinistra, che ha accusato Macron di voler andare incontro alle richieste della destra radicale in vista delle prossime elezioni presidenziali, che si terranno nel 2022.

A dicembre il Parlamento francese esaminerà un’altra proposta di legge voluta dal partito di Macron, avente l’obiettivo di contrastare quello che il Presidente, in un discorso tenuto ad ottobre, aveva definito «separatismo islamista», termine impiegato per indicare il fatto che molti membri della comunità musulmana vivrebbero in una «società parallela», porosa al fondamentalismo islamico e contraria ai valori secolari della Repubblica francese. Il discorso di Macron è stato seguito dal ritorno del terrore in Francia, pertanto, nei prossimi mesi, il Governo francese sarà chiamato ad agire con cautela e a ponderare le proprie azioni, in una Francia già provata dal secondo confinement nel tentativo di gestire l’aumento dei contagi da Coronavirus.

 

L’accordo sul bilancio pluriennale dell’UE in ostaggio del veto di Polonia, Ungheria e Slovenia

EUROPA di

L’iter di approvazione del bilancio pluriennale europeo per il periodo 2021-2027 si conferma lungo e complesso. Il 16 novembre, nell’ambito di una riunione del Consiglio dell’Unione europea, Ungheria e Polonia, come preannunciato, hanno posto il proprio veto sull’aumento delle risorse proprie dell’UE, opponendosi al meccanismo di condizionalità che vincola l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Pochi giorni dopo, anche la Slovenia si è detta contraria a tale meccanismo: la presa di posizione è giunta alla vigilia di una riunione dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri tenutasi il 19 novembre in videoconferenza. In tale sede è emersa la volontà degli altri Stati membri di “lasciare sbollire i riottosi” per ora, al contempo si è ribadita la necessità di giungere ad un nuovo compromesso il prima possibile. Il compromesso sul nuovo bilancio si trova dunque in ostaggio e nel mezzo di una corsa ad ostacoli.

Il veto di Ungheria e Polonia

Il 16 novembre, in seno ad una riunione del Consiglio dell’Unione Europea – l’istituzione europea che comprende i rappresentanti dei governi dei 27 stati membri – Ungheria e Polonia hanno posto il veto su uno dei pilastri del nuovo bilancio pluriennale europeo per il periodo 2021-2027, vale a dire sull’aumento delle risorse proprie dell’UE, che richiede un’approvazione all’unanimità. Si tratta di un pilastro che permetterà all’Unione Europea di emettere titoli comunitari da collocare sul mercato e finanziare così il Recovery Fund nonché altre importanti sezioni del nuovo bilancio pluriennale. Nel dettaglio, i due Paesi a guida semi-autoritaria si oppongono al meccanismo di condizionalità economica che vincola l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Il loro veto era stato preannunciato allorché il Consiglio e il Parlamento hanno trovato un accordo sul bilancio pluriennale: con l’entrata in vigore del nuovo meccanismo di condizionalità – il quale è stato comunque approvato nella riunione del Consiglio dell’UE, in quanto non è stata costituita una minoranza di blocco – entrambi otterranno, infatti, quasi sicuramente sanzioni o riduzioni dei propri fondi. Varsavia e Budapest si oppongono da anni all’introduzione di controlli più stringenti sui fondi europei, che ricevono in quantità ingente e utilizzano per rafforzare il controllo sull’economia e sulla politica esercitato dalla propria classe dirigente.

Il “no” arriva anche dalla Slovenia

Il 18 novembre anche la Slovenia si è detta contraria all’accordo tra Parlamento e Consiglio relativo al meccanismo che vincola l’erogazione di fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto. In una lettera indirizzata fra gli altri al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e alla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il Premier sloveno, Janez Jansa, ha spiegato che ai suoi occhi solo “una istanza giudiziaria indipendente può spiegare cosa è lo stato di diritto, non una maggioranza politica”. Nella sua lettera di quattro pagine, il premier sloveno denuncia un’operazione basata “su due pesi e due misure” e sostiene che il meccanismo non sarebbe in linea con l’accordo politico raggiunto dai 27 Stati membri a luglio sul quadro finanziario per affrontare la pandemia da Covid-19. Janša ha poi aggiunto che la Slovenia si richiama al “rispetto incondizionato dello stato di diritto in tutti i casi e senza doppi standard”.

Intestatari della lettera sono anche la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’UE, e il capo del governo portoghese, Antonio Costa, prossimo presidente nel primo semestre 2021, prima di passare il testimone proprio alla Slovenia. Nei mesi scorsi Lubiana, a più riprese, si è allineata alle posizioni del Gruppo di Visegrad, in particolare sul tema dei migranti, partecipando anche in qualità di Paese ospite a riunioni del quartetto che comprende Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia.

Il Consiglio europeo e le prospettive future

Il 19 novembre i Capi di Stato e di Governo hanno tenuto una riunione in videoconferenza, come ormai avviene una volta al mese da quando è scoppiata l’emergenza sanitaria ed economica. “Dobbiamo continuare le discussioni per trovare un compromesso” ha dichiarato in una conferenza stampa alla fine della riunione il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Secondo le informazioni raccolte a margine dell’incontro, sia il Premier polacco, Mateusz Morawiecki, che la sua controparte ungherese, Viktor Orbán, hanno preso la parola. La discussione è stata però breve, impegnando i leader per 30 minuti circa. Ciò che è emerso è il desiderio degli altri Stati membri di “lasciare sbollire i riottosi” per ora.

Diversi funzionari europei sono convinti che il veto dei tre Paesi potrebbe decadere dinanzi alla prospettiva di ottenere ancora più fondi, in virtù del fatto che le loro economie non possono permettersi di ricevere i fondi del nuovo bilancio in ritardo. Altri ritengono che soprattutto Ungheria e Polonia non cederanno finché il nuovo meccanismo di condizionalità economica non sarà modificato e diluito, dato che con il compromesso attuale rischiano seriamente di perdere il diritto a ricevere parte dei fondi. Una terza opzione sul tavolo è che gli altri Stati membri minaccino di separare il Recovery Fund dal bilancio pluriennale, istituendolo con un trattato intergovernativo simile a quello con cui nacque il MES. In questo modo Polonia e Ungheria verrebbero tagliate fuori: esclusione che non possono permettersi, data la loro dipendenza dai fondi europei.

Nei prossimi giorni emergerà la strategia dei governi europei più influenti, fra cui soprattutto quello tedesco che ha lavorato attivamente per il raggiungimento di un accordo sul bilancio europeo.

«Il potere di veto è obsoleto per l’UE e dannoso per chi la esercita» ha commentato il Ministro italiano per gli Affari Europei, Enzo Amendola, aggiungendo che sul Recovery Fund e il nuovo bilancio «non si può perdere tempo».

Bilancio pluriennale dell’Unione europea: l’accordo tra il Parlamento ed il Consiglio

EUROPA di

Il 10 novembre, il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo preliminare sulla cruciale questione del budget pluriennale per il periodo 2021-2027. Si tratta di un passo decisivo per l’attuazione del Recovery Fund, il principale strumento comunitario per fronteggiare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus, rinominato Next Generation EU, nonché del nuovo meccanismo di condizionalità per il rispetto dello stato di diritto. Tra le voci che il Parlamento europeo è riuscito ad incrementare rispetto alla proposta iniziale del Consiglio – tradizionalmente più conservativa – figurano spese per la salute e la ricerca. Inoltre, è stato raggiunto un accordo vincolante – se sarà approvato in maniera definitiva – per dotare l’UE di risorse proprie da qui al 2027. Tuttavia, permangono diversi nodi che dovranno essere sciolti nelle prossime settimane dalle istituzioni europee.

Il compromesso

Martedì 10 novembre, il Presidente della Commissione Bilanci del Parlamento europeo, Johan Van Overtveldt, ha annunciato che l’Europarlamento ed il Consiglio dell’Unione europea – l’organo che comprende i rappresentanti dei 27 governi dell’UE – hanno raggiunto un compromesso sul bilancio pluriennale dell’Unione europea per il periodo 2021-2027. Quest’ultimo è finanziato in maniera proporzionale dagli Stati membri dell’UE ed è il serbatoio utilizzato per il funzionamento delle istituzioni europee e per i cosiddetti fondi europei.  Le sue voci principali sono approvate ogni sette anni, anche se ogni anno vi sono dei piccoli aggiustamenti.

L’accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio risulta essere molto importante in vista dell’attuazione di importanti misure al centro del dibattito negli ultimi mesi, in particolare del Recovery Fund, il principale strumento comunitario per fronteggiare la crisi economica dovuta alla diffusione del Covid-19, rinominato Next Generation EU, nonché del nuovo meccanismo di condizionalità per il rispetto dello stato di diritto.

 

Con riguardo all’entità del compromesso, escluso il Recovery Fund, il nuovo bilancio prevederà circa 1.074 miliardi di euro: una cifra molto simile a quella del bilancio precedente, pari a circa l’1% del PIL dell’UE. È il prezzo che i leader più progressisti e quelli più inclini ad aumentare il bilancio europeo hanno dovuto pagare per l’approvazione del Recovery Fund da parte dei Paesi più scettici. Anche le singole voci di spesa del bilancio non subiranno modifiche radicali. All’inizio dei negoziati il Parlamento europeo aveva chiesto ai singoli Stati di aumentare la disponibilità del bilancio in maniera significativa, fra 40 e 110 miliardi di euro, mentre il compromesso finale prevede 16 miliardi in più rispetto alla bozza proposta dal Consiglio, che perlopiù agiscono sulle voci di bilancio della salute e della ricerca.

Il pacchetto politico concordato dalle due istituzioni europee comprende: un rafforzamento mirato dei programmi dell’UE, tra cui Orizzonte Europa, EU4Health ed Erasmus+, pari a 15 miliardi; maggiore flessibilità per consentire all’UE di rispondere ad esigenze impreviste; maggiore coinvolgimento dell’autorità di bilancio nel controllo delle entrate nell’ambito di Next Generation EU; maggiore ambizione in materia di biodiversità, nonché un rafforzamento del monitoraggio della spesa per quanto riguarda la biodiversità, il clima e le questioni di genere; infine, una tabella di marcia per l’introduzione di nuove risorse proprie dell’UE.

Un fattore da tenere in considerazione è che tali fondi non saranno immediatamente disponibili: saranno infatti reperiti dalle eventuali multe che il dipartimento della Concorrenza dell’UE imporrà nei prossimi anni alle imprese che non rispettano le norme europee, dando per scontato che eccederanno quella cifra e che saranno effettivamente riscossi.

Step successivi e criticità

Quanto agli step successivi, l’accordo dovrà completare il suo iter legislativo e dunque essere approvato all’unanimità dalla plenaria del Parlamento Europeo – si tratterà perlopiù di una formalità – ma anche dal Consiglio dell’UE, dove, ai sensi dei trattati europei sarà necessario l’assenso di tutti i 27 Stati membri.

L’approvazione da parte del Consiglio dell’UE appare più complessa. Nel dettaglio, il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, ha già minacciato di porre il veto sull’intero bilancio pluriennale se il meccanismo di condizionalità economica non verrà modificato. D’altra parte, dallo scorso bilancio l’Ungheria ha ottenuto quasi 30 miliardi di euro, una cifra considerevole considerando che si tratta di un Paese che ha un PIL annuale da 160 miliardi di euro, pertanto, difficilmente potrà permettersi dei ritardi nell’erogazione dei suddetti fondi.

Inoltre, permangono dei nodi da sciogliere in merito al Recovery Fund, il quale dovrà essere negoziato nel dettaglio. A tal proposito, proprio il 10 novembre, in una decisione separata dai negoziati per il bilancio pluriennale, la commissione Bilanci del Parlamento ha approvato altresì la base negoziale per le trattative con il Consiglio, che si terranno nelle prossime settimane: fra le altre cose l’Europarlamento chiede di aumentare l’anticipo dei fondi totali ai governi nazionali passando dal 10 al 20 %, da versare entro la prima parte del 2021 per far partire subito i progetti selezionati.

Infine, una volta raggiunto l’accordo sia sul bilancio pluriennale sia sul Recovery Fund, prima di iniziare ad erogare i fondi, si dovrà ottenere l’approvazione da parte di tutti i parlamenti nazionali in merito alla procedura con cui l’Unione Europea produrrà titoli comunitari per reperire i 750 miliardi di euro del Fondo per la ripresa sui mercati finanziari.

Le dichiarazioni

“Ottimo lavoro del Parlamento europeo e del team negoziale! L’accordo sul Quadro finanziario pluriennale e sulle risorse proprie raggiunto oggi è un ottimo risultato per i nostri cittadini. Adesso l’Europa può cominciare a ricostruire da questa crisi” è quanto scritto dal Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, in un Tweet, ringraziando anche la Presidenza tedesca del Consiglio dell’Ue e la commissione europea per l’accordo trovato a Bruxelles sul bilancio pluriennale.

“Il risultato è impressionante” ha dichiarato invece il Ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, “Il tempo stringe e il denaro è necessario con urgenza per molti paesi – ha aggiunto il Ministro tedesco – dobbiamo agire velocemente in modo da poter contrastare con tutte le nostre forze gli effetti della pandemia anche a livello europeo”.

Gli attacchi terroristici in Francia ed Austria e l’esigenza di una strategia comune europea

EUROPA di

Stiamo assistendo ad un ritorno del terrorismo di matrice jihadista in Occidente: negli ultimi giorni il terrore è tornato in Francia e Austria. Nella notte del 2 novembre Vienna è stata teatro di un attacco rivendicato dallo Stato Islamico il giorno successivo; l’autore dell’attentato, il ventenne Kujtim Fejzulai, ha ucciso almeno 4 persone e ne ha ferite 17, prima di essere neutralizzato dalla polizia austriaca. Pochi giorni prima, il 29 ottobre, in Francia, a Nizza, Brahim Aoussaoui, 21 anni, armato di coltello, ha attaccato la chiesa di Notre-Dame, uccidendo 3 persone; si è trattato del terzo attacco avvenuto in Francia nel giro di poche settimane, dopo la ripubblicazione, ad inizio settembre, da parte della rivista satirica francese, Charlie Hebdo, di alcune vignette del Profeta Maometto, considerate offensive e “islamofobe”. Da sempre la Francia è nel mirino, a causa della memoria coloniale e della contestata laicità assoluta. La centralità dell’obiettivo francese, pertanto, sorprende meno rispetto a quanto accaduto a Vienna. Al fine di scongiurare nuovi attacchi risulta essere prioritaria una reazione coordinata a livello europeo. Non a caso, in un colloquio telefonico, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e il Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, hanno concordato sulla necessità di elaborare una strategia comune europea contro il terrorismo.

Gli attacchi terroristici in Francia

Il 29 ottobre, intorno alle nove di mattina, il ventunenne tunisino Brahim Aoussaoui ha accoltellato e ucciso tre persone nella basilica di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza, città francese già duramente colpita in passato, in quello che il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha definito «un attacco terroristico islamista». Le tre vittime sono il custode della chiesa di 55 anni, una donna di 60 anni e un’altra di 44 morta in un ristorante limitrofo dopo essere stata accoltellata nella chiesa. L’aggressore era arrivato in Europa passando per l’Italia: era sbarcato a Lampedusa a fine settembre ed era passato per Bari il 9 ottobre; tuttavia, secondo le ricostruzioni, non era stato segnalato dalle autorità tunisine, né era noto all’intelligence. Il sindaco di Nizza, Christian Estrosi, giunto sul luogo dell’attacco, ha riferito alla stampa che l’uomo «continuava a ripetere “Allah akbar”».

Su Twitter, il Presidente del Consiglio francese per il culto musulmano (CFCM), Mohammed Moussaoui, ha condannato fermamente l’attacco terroristico e «in segno di lutto e solidarietà con le vittime e i loro cari» ha chiesto «ai musulmani di Francia di annullare tutti i festeggiamenti del Mawlid» l’anniversario della nascita di Maometto.

Due ore dopo l’attacco, la radio francese Europe 1 ha segnalato che in mattinata, ad Avignone, un uomo armato era stato ucciso dai poliziotti dopo aver tentato di aggredire delle persone per strada, inoltre l’Ambasciata francese in Arabia Saudita ha annunciato in un comunicato che una guardia giurata fuori dal loro edificio era stata aggredita da un uomo con un coltello.

Da sempre la Francia è nel mirino e ha costituito la colonna principale dei foreign fighters europei. Non a caso, recentemente, in diversi Paesi islamici, vi sono state manifestazioni e proteste contro il Presidente francese Macron. La difesa della laicità assoluta, che espelle ogni simbolo religioso dalla vita pubblica, nonché la lotta contro l’Islam radicale, sono tra i temi che hanno maggiormente impegnato l’attuale governo. Proprio qualche settimana prima dell’attacco di Nizza, Emmanuel Macron aveva annunciato un nuovo Disegno di legge contenente misure dure contro il «separatismo», termine che impiega per indicare il fatto che molti membri della comunità musulmana vivrebbero in una «società parallela», affine al fondamentalismo islamico e contraria ai valori della Repubblica francese. In un’affermazione molto contestata, Macron ha descritto l’Islam come una religione “in crisi” in tutto il mondo e ha dichiarato che il governo francese è intenzionato a “difendere la Repubblica e i suoi valori”. La decisione di prevedere nuove misure era stata presa dopo un altro evento, l’uccisione di Samuel Paty, l’insegnante di scuola media decapitato il 16 ottobre nella periferia nord di Parigi, dopo aver mostrato vignette satiriche sul profeta Maometto nell’ambito di una lezione sulla libertà d’espressione. Proprio la rivista satirica Charlie Hebdo ha scelto di ristampare le caricature di Maometto in occasione dell’apertura del processo sulla strage del 7 gennaio 2015, tuttavia, poco dopo l’avvio del processo, il 25 settembre, un 18enne di origine pakistana arrivato in Francia tre anni prima, ha accoltellato due persone fuori dagli ex uffici della rivista, riseminando il terrore in Francia.

La notte di terrore a Vienna

Nella notte del 2 novembre, alla vigilia dell’entrata in vigore di un coprifuoco nazionale per frenare la diffusione della pandemia da Covid-19, il terrore è giunto anche a Vienna, teatro di un attentato terroristico, rivendicato il giorno successivo dallo Stato Islamico. L’autore dell’attentato, che ha ucciso almeno 4 persone e ne ha ferite 17, prima di essere neutralizzato dalla polizia austriaca, si chiamava Kujtim Fejzulai, aveva 20 anni, era nato a Vienna ma aveva origini albanesi della Macedonia del Nord. Era stato condannato, nell’aprile 2019, a 22 mesi di prigione perché aveva tentato, insieme ad altri 90 islamisti austriaci, di recarsi in Siria per unirsi al gruppo dello Stato Islamico ma a dicembre gli era stata concessa la scarcerazione anticipata in virtù del diritto minorile. Secondo le ricostruzioni, poco prima di entrare in azione, il ventenne aveva prestato giuramento di fedeltà al nuovo leader dell’Isis, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Quraishi.

Il Cancelliere austriaco Kurz ha descritto l’episodio con termini duri definendolo un “attacco terroristico ripugnante”. “Si è trattato di un attacco alla nostra libera società, ma è chiaro che non ci lasceremo spaventare e difenderemo con tutte le nostre forze il nostro modello di vita” queste le parole di Kurz, il quale ha aggiunto “Non cadremo nella trappola del terrorismo”.

L’esigenza di una strategia comune

Al fine di scongiurare nuovi attacchi terroristici in Europa risulta essere prioritaria una reazione coordinata alla nuova ondata di terrore. Non a caso, in un colloquio telefonico, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e il Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, hanno concordato sulla necessità di elaborare una strategia comune europea contro il terrorismo. Nell’ambito della telefonata, il Cancelliere Kurz ha ringraziato il Presidente francese per la sua visita presso l‘ ambasciata austriaca nel giorno successivo all’attacco terroristico e ha assicurato che la collaborazione tra i due Paesi sarà fortificata anche in ambito europeo.

 

L’accordo per il coordinamento delle misure che limitano la libera circolazione nell’Unione europea

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Il 13 ottobre, il Consiglio dell’Unione europea ha raggiunto un accordo grazie al quale le misure che limitano la libera circolazione a causa della pandemia da coronavirus saranno più chiare e prevedibili. L’obiettivo è evitare frammentazioni e interruzioni ed accrescere la trasparenza e la prevedibilità appannaggio di cittadini ed imprese. Nel dettaglio, i Ministri competenti per ogni Stato membro hanno concordato un approccio coordinato che comprende una cartina unica, pubblicata ogni settimana dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, in cui il livello di rischio delle regioni europee sarà indicato utilizzando un sistema a semaforo. Un approccio ben coordinato, prevedibile e trasparente all’adozione delle restrizioni alla libertà di circolazione è necessario per prevenire la diffusione del virus, tutelare la salute dei cittadini e al contempo salvaguardare la libera circolazione nell’Unione, in condizioni di sicurezza.

Il contesto

La libera circolazione e dunque il diritto dei cittadini europei di spostarsi e risiedere liberamente nell’Unione europea, nonché l’assenza di controlli alle frontiere interne, sono alcuni dei risultati più importanti dell’UE e un motore importante dell’economia europea. Di conseguenza, le restrizioni al diritto fondamentale alla libera circolazione nell’UE dovrebbero essere imposte solo se strettamente necessarie per far fronte a rischi per la salute pubblica e dovrebbero essere coordinate, proporzionate e non discriminatorie.

Per limitare la diffusione della pandemia da coronavirus i 27 Stati membri dell’UE hanno adottato varie misure, alcune delle quali, come l’obbligo di sottoporsi a una quarantena o a un test, hanno inciso su tale libertà fondamentale. Pur mirando a salvaguardare la salute e il benessere dei cittadini, le misure in questione hanno avuto conseguenze notevoli per l’economia europea e per i diritti dei cittadini. Pertanto, il 4 settembre, la Commissione europea, ha presentato una proposta di raccomandazione del Consiglio dell’UE per un approccio coordinato alla limitazione della libertà di circolazione.

La raccomandazione del Consiglio dell’UE

Al fine di limitare tali conseguenze, il Consiglio dell’UE ha accolto la proposta della Commissione ed ha concordato un approccio coordinato alle restrizioni di viaggio connesse alla pandemia da Covid-19, il quale comprende una cartina unica, pubblicata ogni settimana dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, in cui il livello di rischio delle regioni europee sarà indicato utilizzando un sistema a semaforo. Le regioni saranno contrassegnate dai colori “verde”, “arancione”, “rosso” e “grigio” (se le informazioni disponibili non risultano essere sufficienti). I fattori considerati saranno: il “tasso cumulativo dei casi di infezione da coronavirus registrati in 14 giorni“, vale a dire il numero totale di nuovi casi di infezione da coronavirus registrati ogni 100 000 abitanti negli ultimi 14 giorni; il “tasso di positività dei test“, ossia la percentuale di test positivi all’infezione da coronavirus nell’ultima settimana; il “tasso di test effettuati“, cioè la percentuale di test del coronavirus effettuati ogni 100 000 abitanti nell’ultima settimana.

In base alla cartina gli Stati membri decideranno se introdurre determinate restrizioni o misure di precauzione, come la quarantena o un test, nei confronti di viaggiatori provenienti da altre zone dell’UE. In particolare, gli Stati membri hanno convenuto che non vi saranno restrizioni per i viaggiatori provenienti da regioni “verdi”, mentre i viaggiatori provenienti da regioni “arancioni” o “rosse” potranno essere soggetti all’imposizione di misure restrittive.

Consultata insieme alle informazioni messe a disposizione sulla piattaforma web “Re-open EU”, la cartina permetterà così ai viaggiatori di sapere a quali misure saranno soggetti recandosi in un’altra regione dell’UE.

Ai sensi della raccomandazione del Consiglio dell’UE, la quale non risulta essere giuridicamente vincolante, gli Stati membri dovrebbero fornire informazioni chiare, complete e tempestive sulle eventuali restrizioni alla libera circolazione, con il massimo anticipo possibile rispetto all’entrata in vigore delle nuove misure. Come regola generale, tali informazioni dovrebbero essere pubblicate 24 ore prima della loro entrata in vigore, tenendo conto del fatto che le emergenze epidemiologiche necessitano una certa flessibilità.

Quanto all’estensione dell’accordo raggiunto il 13 ottobre, esso si applica a tutti i paesi dell’UE e al Regno Unito durante il periodo di transizione, inoltre la cartina comprenderà anche Islanda, Liechtenstein e Norvegia.

Le dichiarazioni

“A causa delle restrizioni di viaggio, per alcuni dei nostri cittadini è oggi difficile recarsi al lavoro, all’università o far visita ai propri cari. È nostro dovere comune garantire il coordinamento di tutte le misure suscettibili di incidere sulla libera circolazione e fornire ai nostri cittadini tutte le informazioni di cui hanno bisogno per decidere in merito al loro viaggio” ha dichiarato Michael Roth, Ministro aggiunto per l’Europa della Germania.

Quanto alla Commissione europea, compiacendosi per l’accordo raggiunto dal Consiglio ha affermato: “Accogliamo con favore questo accordo, che fa maggiore chiarezza nella situazione di confusione attuale. La coesione fra gli Stati membri invia un segnale forte ai cittadini ed è un chiaro esempio di come l’UE agisca dove e quando è assolutamente necessario. Abbiamo imparato la lezione: non sormonteremo la crisi chiudendo unilateralmente le frontiere, ma attraverso uno sforzo collettivo”.

 

 

Il Consiglio europeo e la ricerca di un ruolo globale dell’UE

EUROPA di

Il 1° e 2 ottobre, i Capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri dell’Unione europea si sono riuniti a Bruxelles per un Consiglio europeo che ha adottato conclusioni su molteplici questioni cruciali. I leader presenti hanno tenuto una discussione approfondita sulla gestione della pandemia di Covid-19 e sui suoi effetti nell’ambito del mercato unico, hanno condannato l’escalation nel mediterraneo orientale, hanno discusso sulle relazioni con la Cina e sanzionato l’inaccettabile violenza da parte delle autorità bielorusse nei confronti dei manifestanti pacifici, nonché le intimidazioni, gli arresti e le detenzioni arbitrarie a seguito delle elezioni presidenziali, di cui non riconoscono i risultati. Il Consiglio europeo ha chiesto altresì la cessazione immediata delle ostilità in Nagorno-Karabakh e ha condannato il tentato omicidio dell’oppositore russo Alexei Navalny. Si è trattato dunque, di un Consiglio europeo principalmente dedicato alla politica estera, nella costante ricerca di un ruolo di primo piano nelle dinamiche globali.

Covid-19 e ripercussioni economiche

Nell’ambito delle riunioni tenutesi il 1° e 2 ottobre, il Consiglio europeo ha ribadito la sua determinazione a restare unito nella gestione dell’emergenza dovuta al Covid-19 ed ha invitato il Consiglio dell’UE e la Commissione europea ad intensificare ulteriormente gli sforzi di coordinamento, nonché i lavori sullo sviluppo e sulla distribuzione di un vaccino a livello dell’Unione. Una solida base economica è ora essenziale per una crescita inclusiva e sostenibile, per la competitività, l’occupazione, la prosperità e il ruolo dell’Europa sulla scena mondiale. La pandemia di COVID-19 avrà un impatto duraturo sull’economia europea e mondiale, pertanto, il Consiglio ha sottolineato la necessità di tornare quanto prima al normale funzionamento del mercato unico nonché di perseguire una politica industriale europea ambiziosa ed accelerare la transizione digitale in Europa.

Le principali questioni in politica estera: Mediterraneo orientale e Bielorussia

Analizzando le questioni cruciali nell’ambito delle relazioni esterne, il Consiglio europeo ha ribadito che è nell’ nell’interesse strategico dell’UE avere un contesto stabile e sicuro nel Mediterraneo orientale, nonché sviluppare relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose con la Turchia. Nel dettaglio, dopo un lungo negoziato notturno, i Capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri, hanno trovato un accordo sul modo in cui affrontare la politica estera turca nel Mediterraneo. I leader hanno minacciato Ankara di sanzioni se dovesse continuare a violare i confini di Cipro e Grecia ed al contempo hanno aperto al dialogo strategico. Il doppio messaggio nei confronti della Turchia è stato voluto soprattutto da Berlino e Roma, contrarie a sanzioni tout court.

Nelle conclusioni adottate emerge che i 27 si sono accordati per affermare che “in caso di rinnovate azioni unilaterali o provocazioni in violazione del diritto internazionale, l’Unione utilizzerà tutti gli strumenti e le opzioni a sua disposizione”. Il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in una conferenza stampa notturna, ha ammesso che ci sono volute sette ore di “discussioni appassionate” per raggiungere tale compromesso. La dura presa di posizione è stata mossa dalle richieste di Cipro e in parte della Grecia, due paesi minacciati da Ankara nelle acque del Mediterraneo Orientale.

L’accordo sul mediterraneo orientale ha permesso altresì di sbloccare la questione bielorussa: gli Stati membri erano già da tempo d’accordo per sanzionare il regime dittatoriale e repressivo di Aleksander Lukashenko; Cipro, tuttavia, bloccava le misure restrittive in attesa di ottenere sanzioni anche sul versante turco. Il Consiglio europeo ha così condannato l’inaccettabile violenza da parte delle autorità bielorusse nei confronti dei manifestanti pacifici, nonché delle intimidazioni, degli arresti e delle detenzioni che hanno fatto seguito alle elezioni presidenziali, di cui i leader non riconoscono i risultati. In particolare, il Consiglio europeo ha annunciato di aver imposto sanzioni mirate a 40 politici e funzionari bielorussi considerati vicini al dittatore Alexander Lukashenko, il quale, tuttavia, non è stato incluso nella lista delle persone sanzionate, presumibilmente al fine di mantenere aperta la possibilità di raggiungere un accordo. Le sanzioni prevedono, tra le varie misure adottate, il divieto di viaggiare nell’Unione Europea e il congelamento dei conti bancari. Rileva che poco dopo anche gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni mirate contro otto funzionari bielorussi. Come ritorsione, la Bielorussia ha, a sua volta, imposto delle sanzioni nei confronti dell’UE, ha dichiarato di voler cancellare tutti gli accrediti di giornalisti stranieri nel Paese e di aver convocato i propri ambasciatori in Polonia e Lituania, chiedendo a questi due Paesi di ridimensionare la grandezza delle loro missioni diplomatiche a Minsk.

Le altre questioni in politica estera

Con riguardo ai rapporti con la Cina, il Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di riequilibrare le relazioni economiche e di ottenere reciprocità, ha ricordato l’obiettivo di portare a termine entro la fine di quest’anno i negoziati relativi ad un ambizioso accordo globale UE-Cina in materia di investimenti ed ha invitato la Cina a rispettare i precedenti impegni assunti per rimuovere gli ostacoli all’accesso al mercato, nonché ad avviare negoziati sulle sovvenzioni all’industria in seno all’Organizzazione mondiale del commercio. Inoltre, i leader dell’UE hanno incoraggiato la Cina ad assumersi una maggiore responsabilità nella risposta alle sfide globali, in particolare adottando una più ambiziosa azione per il clima, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e sostenendo le risposte multilaterali alla pandemia in corso.

Quanto al Conflitto in Nagorno-Karabakh, il Consiglio europeo ha chiesto la cessazione immediata delle ostilità ed ha esortato le parti a rinnovare l’impegno a favore di un cessate il fuoco duraturo e di una risoluzione pacifica del conflitto. Il Consiglio auspica che l’Azerbaigian e l’Armenia aprano al più presto negoziati sostanziali senza precondizioni, considerando inaccettabili la perdita di vite umane e i danni alla popolazione civile.

Infine, il Consiglio europeo ha condannato il tentato omicidio dell’oppositore russo, Alexei Navalny, per mezzo di un agente nervino chimico militare, definendone l’uso una grave violazione del diritto internazionale. Il Consiglio europeo ha, pertanto, invitato le autorità della Federazione russa a cooperare con l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) al fine di garantire un’indagine internazionale imparziale ed assicurare la giustizia.

Stato di diritto: il rapporto della Commissione europea e un nuovo compromesso sul tavolo dei negoziati

EUROPA di

Sistemi giudiziari nazionali, quadri anticorruzione, pluralismo, libertà dei media e bilanciamento dei poteri: questi i temi principali per un sistema efficace di governance democratica affrontati dal report sullo Stato di diritto dell’UE, presentato il 30 settembre dalla Commissione europea. Il documento sottolinea che molti Stati membri hanno standard elevati, ma rileva altresì l’esistenza nell’Unione di seri problemi legati principalmente ai due Stati membri nel mirino in materia di Stato di diritto: Ungheria e Polonia. L’obiettivo del report è ampliare gli attuali strumenti dell’Unione europea con un nuovo meccanismo di prevenzione e promuovere un dibattito inclusivo e una cultura dello Stato di diritto in tutta l’UE. I governi dell’UE hanno, infatti, trovato un accordo su un meccanismo per legare i fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Resta ferma, tuttavia, l’opposizione dei Paesi dell’est. “Lo Stato di diritto e i nostri valori condivisi sono alla base delle nostre società. Fanno parte della nostra identità comune di europei. Lo Stato di diritto difende i cittadini dalla legge del più forte. Pur avendo standard molto elevati in materia di Stato di diritto nell’UE, abbiamo anche diversi problemi da affrontare” ha commentato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

Il report della Commissione europea

La relazione sullo Stato di diritto, pubblicata dalla Commissione europea il 30 settembre, presenta sia una sintesi della situazione generale dello Stato di diritto nell’Unione europea sia, nei suoi 27 capitoli dedicati a ciascuno Stato membro, delle valutazioni specifiche circa gli sviluppi significativi legati allo Stato di diritto. I temi principali affrontati nell’ambito del report, per un sistema efficace di governance democratica, sono il sistema giudiziario, il quadro anticorruzione, il pluralismo dei media e altre questioni istituzionali relative al bilanciamento dei poteri.

I capitoli dedicati a ciascuno Stato membro si basano su una valutazione qualitativa effettuata dalla Commissione: si concentrano su una sintesi degli sviluppi significativi da gennaio 2019, introdotti da una breve descrizione fattuale del quadro giuridico e istituzionale rilevante per ciascun pilastro. La Commissione ha garantito un approccio coerente ed equivalente applicando la stessa metodologia ed esaminando gli stessi argomenti in tutti gli Stati membri, pur rimanendo proporzionata alla situazione specifica e agli sviluppi. Nell’ambito della preparazione della relazione, la Commissione ha altresì invitato le parti interessate a fornire contributi scritti, attraverso una consultazione mirata delle parti interessate aperta dal 24 marzo al 4 maggio 2020.

Il documento evidenzia che molti Stati membri hanno standard elevati, ma rileva altresì l’esistenza nell’Unione di seri problemi legati allo Stato di diritto. Il testo riflette, inoltre, sulle conseguenze delle misure di emergenza adottate dagli Stati membri a causa della crisi dovuta al Covid-19.

Con riguardo ai sistemi giudiziari, il report sottolinea che alcuni Stati membri stanno avviando riforme volte a rafforzare l’indipendenza della magistratura e stanno riducendo l’influenza del potere esecutivo o legislativo sul sistema giudiziario. Il tema continua però, per alcune realtà, e soprattutto nel caso della Polonia e dell’Ungheria, a destare preoccupazione, il che ha indotto l’avvio di procedure di infrazione.

In merito all’anticorruzione, la relazione evidenzia come diversi Stati membri abbiano adottato strategie organiche di lotta alla corruzione, mentre altri le stanno predisponendo. Per garantirne la riuscita è fondamentale comunque che vi siano un’attuazione e un monitoraggio efficaci.

Nota in gran parte positiva per la libertà e il pluralismo dei media nell’Unione europea: i cittadini dell’UE godono, infatti, di elevati standard di libertà e pluralismo. Soprattutto durante la pandemia di coronavirus, i media si sono dimostrati essenziali nella lotta alla disinformazione. Anche in questo caso, tuttavia, alcune valutazioni hanno individuato casi in cui la pressione politica sui media ha dato adito a gravi preoccupazioni.

Per quanto riguarda i sistemi di bilanciamento dei poteri istituzionali, invece, molti Stati membri hanno messo a punto strategie sistematiche per coinvolgere i portatori di interessi e garantire che le riforme strutturali scaturiscano da un ampio dibattito all’interno della società. Al tempo stesso, la relazione mostra che il ricorso eccessivo a una legislazione accelerata e di emergenza può destare preoccupazioni per quanto riguarda lo Stato di diritto.

Un nuovo strumento per legare i fondi europei al rispetto dello Stato di diritto

L’obiettivo che si pone il report presentato dalla Commissione è l’ampliamento degli attuali strumenti dell’Unione europea con un nuovo strumento di prevenzione, nonché la promozione di un dibattito inclusivo e di una cultura dello Stato di diritto in tutta l’UE. Quanto al primo obiettivo, rileva che, il 30 settembre, in concomitanza alla pubblicazione del report, il governo tedesco – che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea – ha riferito di aver ricevuto un mandato per introdurre un meccanismo che colleghi l’accesso ai fondi europei – e dunque anche il Recovery Fund – al rispetto dello stato di diritto, che al momento non è garantito in diversi paesi europei a guida semi-autoritaria, come Ungheria e Polonia. Si tratta del primo passo concreto, dopo il sostanziale fallimento degli strumenti legislativi adottati, per permettere alle istituzioni europee di ottenere un efficace strumento di pressione nei confronti dei governi dei paesi dell’Est, il cui margine di manovra economico dipende molto dai fondi che ogni anno ricevono dall’Unione Europea.

I governi di diversi Stati membri del Nord Europa hanno votato contro il compromesso raggiunto in Consiglio poichè ritengono che indebolisca eccessivamente i poteri a disposizione della Commissione Europe e che di conseguenza sia troppo simile ai meccanismi poco efficaci già in vigore. La proposta è stata ovviamente respinta anche dai governi dei paesi dell’Est e dunque dai diretti interessati. Nonostante la proposta sia stata approvata dal Consiglio e verrà negoziata col Parlamento nelle prossime settimane, i governi dei paesi dell’Est hanno, infatti, già lasciato intendere di volerla bloccare ponendo il veto su un’altra questione, molto più rilevante: l’approvazione del nuovo bilancio pluriennale 2021-2028, strettamente connessa al Recovery Fund.

La Commissione europea ha presentato un nuovo piano sulla migrazione e l’asilo

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Un nuovo inizio in materia di migrazione: il 23 settembre la Commissione europea ha proposto un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo che contempla i diversi elementi necessari per un approccio europeo globale alla materia. Il piano mira a stabilire procedure migliori e più rapide durante tutto il sistema di asilo e migrazione e a garantire un equilibrio tra i principi di equa ripartizione della responsabilità e solidarietà. Ciò risulta fondamentale per ripristinare la fiducia tra gli Stati membri e nella capacità dell’Unione europea di gestire i flussi migratori. I due obiettivi principali del piano sono, infatti, costruire la fiducia e trovare un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Tuttavia, il nodo principale risulta essere la condivisione dei rimpatri dei migranti, più che la condivisione dell’accoglienza.

L’esigenza di una riforma

Il fenomeno della migrazione risulta essere molto complesso, con molteplici sfaccettature che devono essere analizzate congiuntamente: dalla sicurezza delle persone che cercano protezione internazionale o una vita migliore, alle preoccupazioni dei paesi che si trovano in prossimità delle frontiere esterne dell’UE, che temono le ripercussioni delle pressioni migratorie e che necessitano di solidarietà,  alle preoccupazioni di altri Stati membri, i quali paventano che, in caso di mancato rispetto delle procedure alle frontiere esterne, i rispettivi sistemi nazionali di asilo, integrazione o rimpatrio non siano in grado di far fronte a eventuali grandi flussi. Il sistema attuale basato sul Regolamento di Dublino non risulta essere efficiente e negli ultimi cinque anni, dopo l’apice dei flussi migratori aventi come destinazione le coste europee raggiunto nel 2015, l’Unione europea non è riuscita a porvi rimedio. Il Regolamento di Dublino, infatti, attualmente, si presenta come un collo di bottiglia legislativo che trattiene in Italia e in Grecia, i due Stati di maggior approdo, migliaia di migranti che arrivano via mare, considerato dagli esperti di immigrazione datato e inefficiente.

L’UE è chiamata dunque a superare l’attuale situazione di stallo e dimostrarsi in grado di gestire un fenomeno così complesso e con ripercussioni cruciali.

Il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo

Con il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo presentato il 23 settembre, la Commissione europea propone soluzioni comuni a quella che è una sfida europea, che coinvolge, seppur in misura diversa, tutti gli Stati membri. Le proposte tengono fede all’impegno assunto dalla Presidente Ursula von der Leyen nei suoi orientamenti politici e sono state anticipate nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione dello scorso 16 settembre. Inoltre, il patto si basa su consultazioni approfondite con il Parlamento europeo, tutti gli Stati membri, la società civile, le parti sociali e le imprese, e mira a garantire un attento equilibrio che integra le loro prospettive.

Il primo pilastro proposto dalla Commissione per promuovere la fiducia nella materia migratoria consiste in procedure più efficienti e più rapide. In particolare, la Commissione propone di introdurre una procedura integrata di frontiera che, per la prima volta, prevede accertamenti preliminari all’ingresso riguardo all’identificazione di tutte le persone che attraversano le frontiere esterne dell’UE senza autorizzazione o che sono sbarcate in seguito a un’operazione di ricerca e soccorso.

Il secondo pilastro del patto è l’equa ripartizione della responsabilità e la solidarietà: gli Stati membri saranno tenuti ad agire in modo responsabile e solidale. Ogni Stato membro, senza eccezioni, deve, infatti, contribuire a stabilizzare il sistema generale, sostenere gli Stati membri sotto pressione e garantire che l’Unione adempia ai propri obblighi umanitari.

In aggiunta, l’UE cercherà di promuovere partenariati su misura e reciprocamente vantaggiosi con i paesi terzi, nonché di dar vita ad un sistema comune dell’Unione per i rimpatri, al fine di rendere più credibili ed effettive le norme dell’UE in materia di migrazione. Proporrà, inoltre, una governance comune per la migrazione con una migliore pianificazione strategica per garantire che le politiche dell’UE e quelle nazionali siano allineate, e un monitoraggio rafforzato della gestione della migrazione per rafforzare la fiducia reciproca. La gestione delle frontiere esterne sarà migliorata attraverso il corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea, il cui impiego è previsto a partire dal 1º gennaio 2021, che fornirà un maggiore sostegno ovunque necessario.

In sostanza, tuttavia, la nuova proposta punta a condividere lo sforzo europeo sui rimpatri più che sull’accoglienza: prevedendo la possibilità di scegliere se accogliere concretamente i richiedenti nel proprio territorio oppure se aiutare i paesi di primo ingresso, cioè Italia, Grecia e Spagna, a rimpatriare un numero pari di richiedenti asilo la cui richiesta di protezione è stata negata, oppure, terza opzione, finanziare centri di accoglienza nei paesi di primo ingresso o programmi di sviluppo nei paesi di origine dei richiedenti.

Dichiarazioni e prossime tappe

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, ha dichiarato “Oggi proponiamo una soluzione europea per ricostruire la fiducia tra Stati membri e per ripristinare la fiducia dei cittadini nella nostra capacità di gestire come Unione”. “L’Ue ha già dato prova in altri settori della sua capacità di fare passi straordinari per conciliare prospettive divergenti – ha affermato la Von der Leyen – Ora è tempo di alzare la sfida per gestire la migrazione in modo congiunto, col giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità”.

Spetta ora al Parlamento europeo ed al Consiglio esaminare e adottare l’intera legislazione necessaria per realizzare una vera politica comune in materia di asilo e migrazione. Data l’urgenza della situazione in vari Stati membri, i legislatori europei sono invitati a raggiungere un accordo politico sui principi fondamentali del regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, nonchè ad adottare il regolamento relativo all’Agenzia dell’UE per l’asilo e il regolamento Eurodac entro la fine dell’anno. Anche la direttiva sulle condizioni di accoglienza, il regolamento qualifiche e la rifusione della direttiva rimpatri dovrebbero essere adottati rapidamente, sulla base dei progressi già compiuti dal 2016.

Francesca Scalpelli
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