GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Francesca Scalpelli

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Il braccio di ferro tra Unione europea e Ungheria sui temi LGBT

EUROPA di

Negli ultimi giorni il governo ungherese ha acquistato pagine pubblicitarie su diversi giornali europei di orientamento conservatore per criticare l’Unione Europea e illustrare «le proposte dell’Ungheria» per il futuro dell’Unione. Il gesto simbolico è stata una risposta alle critiche che l’Ungheria ha ricevuto nelle ultime settimane in seguito all’approvazione della contestata legge che vieta di affrontare temi LGBT in contesti pubblici frequentati dai minori. Contro la legge i rappresentanti di 14 Stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, hanno firmato un documento congiunto di condanna, il quale si è posto alla base delle discussioni avviate nell’ambito dell’ultimo Consiglio europeo: le forti critiche provenienti dagli altri Stati membri dell’UE, tuttavia, rischiano di non avere un impatto rilevante.

La contestata legge ungherese

Il 15 giugno il Parlamento ungherese ha approvato una legge che paragona di fatto l’omosessualità alla pedofilia e che impedirà di affrontare temi LGBT in contesti pubblici frequentati dai minori. Il giorno precedente più di 5mila persone si erano riunite davanti al Parlamento di Budapest per chiedere al governo di non approvare la legge, sostenendo che avrebbe limitato ulteriormente i diritti della comunità LGBT in un paese già ostile agli omosessuali. Tutti i partiti di opposizione, tranne i neofascisti di Jobbik, hanno boicottato la votazione, ritenendo che il contenuto della legge fosse «discriminatorio» e «diffondesse l’odio». Tuttavia, la legge in questione è stata approvata senza criticità, con 152 voti favorevoli su 199.

La proposta di legge era stata presentata dal partito di estrema destra Fidesz del Primo Ministro Viktor Orbán, che detiene la maggioranza assoluta in Parlamento. Ufficialmente ha lo scopo di tutelare i bambini dalla pedofilia, ma nella sostanza vieterà alle associazioni legate alla comunità LGBT di promuovere i propri programmi educativi e di diffondere informazioni sull’omosessualità o sulla possibilità di richiedere un intervento chirurgico per la riassegnazione del sesso. Inoltre, con la nuova legge sarà possibile vietare o censurare libri per ragazzi che parlano apertamente di omosessualità; non sarà permessa nemmeno la diffusione di campagne pubblicitarie in favore dell’inclusione nei confronti della comunità LGBT+, come quella realizzata da Coca Cola nel 2019 proprio in Ungheria; secondo il canale televisivo RTL Klub Hungary, in aggiunta, anche serie tv come Friends o film come Billy Elliot e Harry Potter, in cui si parla di omosessualità, potrebbero essere mostrati in seconda serata o vietati ai minori.

La reazione dell’UE

Il 23 giugno dopo una lunga discussione, i rappresentanti di 14 paesi membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, hanno firmato un documento congiunto in cui condannano la nuova legge ungherese definendola «una evidente forma di discriminazione». Formalmente la discussione sulla nuova legge ungherese è stata inserita nell’ambito della procedura disciplinare avviata nei confronti dell’Ungheria circa tre anni fa in applicazione dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, che permette alla maggioranza degli stati membri di punire uno stato che violi i valori dell’articolo 2 del Trattato, cioè «il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani».

Nel dettaglio la dichiarazione è stata firmata da Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Svezia e Italia: inizialmente l’Italia non aveva aderito, in attesa di chiarimenti da parte dell’Ungheria, ma poi si è aggiunta agli altri stati.

La dichiarazione è giunta in un contesto caratterizzato da ampi dibattiti e polemiche: in particolare, il giorno precedente, vi erano state ampie critiche nei confronti della decisione della UEFA di vietare all’amministrazione comunale di Monaco di Baviera di illuminare, in maniera simbolica, con i colori dell’arcobaleno l’Allianz Arena, lo stadio di Monaco, in occasione della partita degli Europei di calcio tra Germania e Ungheria. La UEFA aveva spiegato che l’illuminazione sarebbe rientrata in un «contesto politico», in contrasto con la sua linea neutrale.

La questione ungherese è stata altresì centrale il 25 giugno, quando i capi di stato e di governo dell’Unione Europea si sono riuniti nell’ambito del Consiglio Europeo a Bruxelles. La maggior parte dei leader ha criticato il primo ministro ungherese Viktor Orbán: alcuni lo hanno invitato a uscire dall’Unione e altri hanno minacciato di bloccare i fondi comunitari diretti all’Ungheria. Benché i toni siano stati piuttosto forti, rischiano tuttavia di non ottenere risultati rilevanti: la legge, come ha ricordato lo stesso Orbán durante il Consiglio europeo, è già stata approvata e l’Unione europea difficilmente riuscirà a trovare l’unanimità per ricorrere a misure drastiche. La Commissione Europea potrebbe chiedere l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo per bloccare la legge, ma i tempi rischiano di essere molto lunghi.

La pubblicità ai danni dell’Unione europea

«A Bruxelles vogliono costruire un superstato per il quale nessuno ha dato l’autorizzazione»; L’integrazione «è un mezzo, non un fine»; bisogna eliminare dai trattati dell’Unione Europea l’obiettivo di «un’Unione sempre più stretta fra i popoli d’Europa»; le decisioni devono essere prese dai parlamentari eletti «e non dalle ong». Queste sono solo alcune delle dichiarazioni contenute nelle pagine pubblicitarie di diversi giornali europei di orientamento conservatore, con lo stemma del governo ungherese e la firma del primo ministro Viktor Orbán, acquistate dal governo magiaro nelle ultime settimane per screditare l’Unione europea e presentare “le proposte dell’Ungheria”. 

Solo due giornali belgi, da quanto si è appreso, hanno deciso di non pubblicare la pubblicità del governo ungherese: De Standaard, in lingua olandese, e La Libre Belgique, in lingua francese. Il primo ha spiegato di non poter accettare che un governo possa sostenere assunti falsi semplicemente pagando ed eludendo il filtro del giornalismo; il secondo ha, invece, risposto al governo ungherese con un’intera pagina del giornale occupata da una bandiera arcobaleno, simbolo della comunità LGBT+, con al centro i colori della bandiera dell’Ungheria e la scritta “Caro Viktor Orbán, le leggi non dovrebbero mai fare distinzioni tra forme di amore”.

Il via libera definitivo ai Green pass europei

EUROPA di

Il Parlamento europeo ha approvato definitivamente i cosiddetti “Green pass” che, dal primo luglio, permetteranno di circolare all’interno dell’Unione Europea senza particolari restrizioni, purché venga attestata almeno una di tre diverse condizioni: l’avvenuta vaccinazione, un recente risultato negativo ai test per il Covid-19, l’avvenuta guarigione dal virus. Il sistema di certificazione, che dovrà essere adottato formalmente anche dal Consiglio Europeo per essere ufficiale, resterà in vigore per 12 mesi. I certificati saranno rilasciati gratuitamente dalle autorità nazionali e saranno disponibili in formato digitale o cartaceo con un codice QR. Facilitare la libera circolazione e contribuire all’eliminazione graduale e coordinata delle restrizioni: questi gli obiettivi che si pongono alla base del regolamento approvato dal Parlamento europeo.

Il certificato Covid digitale dell’UE

Il 9 giugno, il Parlamento europeo riunito in seduta plenaria, ha completato l’iter legislativo relativo al “certificato COVID digitale dell’UE”, il cosiddetto “Green pass”, approvando il sistema che permetterà di circolare senza particolari restrizioni all’interno dell’Unione Europea. Il sistema si applicherà dal 1° luglio 2021 e resterà in vigore per 12 mesi.

Il documento attesterà che una persona è stata vaccinata contro il Covid-19 o ha effettuato un test recente con esito negativo o che è guarita dal virus. In pratica, si tratta di tre certificati distinti: un quadro comune dell’UE li renderà compatibili e verificabili in tutto il territorio dell’Unione europea, oltre a prevenire frodi e falsificazioni.

Il certificato sarà rilasciato gratuitamente dalle autorità nazionali e sarà disponibile in formato digitale o cartaceo con un codice QR. Gli Stati membri sono tenuti, dunque, a realizzare un’infrastruttura adeguata al rilascio e alla verifica; essi potranno optare per modalità centralizzate di distribuzione dei certificati, oppure affidare il compito ai centri dove si effettuano le vaccinazioni e i test per rilevare l’eventuale positività al coronavirus ovvero agli operatori sanitari che verificano la guarigione dal Covid-19.

Durante i negoziati tra le istituzioni europee, gli eurodeputati hanno ottenuto un accordo grazie al quale gli Stati dell’UE non potranno imporre ulteriori restrizioni di viaggio ai titolari di certificati – come quarantena, autoisolamento o test – “a meno che non siano necessarie e proporzionate per salvaguardare la salute pubblica”.  Si dovrà tenere conto delle prove scientifiche, “compresi i dati epidemiologici pubblicati dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC)”. Le misure dovranno essere notificate, se possibile, con 48 ore di anticipo agli altri Stati membri e alla Commissione, mentre le persone interessate dovranno ricevere un preavviso di 24 ore.

Test, vaccini e protezione dei dati

Con riguardo ai vaccini, nell’ambito del regolamento approvato dal Parlamento si chiarisce che tutti gli Stati membri dell’Unione dovranno accettare i certificati di vaccinazione rilasciati in altri paesi membri per i vaccini autorizzati dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA); essi potranno decidere se accettare anche i certificati per altri vaccini autorizzati secondo le procedure nazionali o per i vaccini elencati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’uso d’emergenza. Relativamente ai test, invece, i Paesi dell’UE sono incoraggiati a garantire che abbiano prezzi abbordabili e siano ampiamente disponibili; su richiesta del Parlamento, la Commissione europea si è impegnata a mobilitare 100 milioni di euro per consentire agli Stati membri di acquistare test per il rilascio di certificati di test digitali Covid dell’UE.

Inoltre, al fine di consentire l’interoperabilità, cioè lo scambio dei dati tra i vari paesi, la Commissione ha istituito e gestirà un “gateway” per raccogliere le “chiavi pubbliche” dei certificati. I dati sanitari dei cittadini rimarranno comunque nei rispettivi paesi e non saranno trasmessi e conservati in alcun modo; i certificati saranno verificati offline e, in generale, tutti i dati personali dovranno essere trattati in linea con il regolamento generale sulla protezione dei dati.

Prossime tappe e dichiarazioni

Il testo del regolamento relativo ai Green pass dovrà ora essere formalmente adottato dal Consiglio e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, per l’entrata in vigore e l’applicazione immediata dal 1° luglio 2021.

“Oggi il Parlamento ha dato il via al ripristino della libera circolazione e a uno Schengen pienamente funzionale, mentre continuiamo a combattere questa pandemia” ha dichiarato il relatore e presidente della commissione per le libertà civili, Juan Fernando López Aguilar, dopo l’approvazione da parte del Parlamento europeo.

Diddier Reynders, il Commissario europeo alla giustizia, nel corso della plenaria dell’Europarlamento, ha, invece, ricordato che “il regolamento sottolinea l’importanza di test universali e accessibili per tutti i cittadini, soprattutto per le persone che attraversano le frontiere quotidianamente. E per sostenere questi sforzi la Commissione europea si è impegnata a mobilitare 100 milioni di euro per i test necessari al rilascio del certificato”.  

Stop alla plastica monouso: gli orientamenti della Commissione europea

EUROPA di

Entro il 3 luglio gli Stati membri dell’Unione europea dovranno garantire che determinati prodotti di plastica monouso non siano più immessi sul mercato dell’UE: a stabilirlo è una direttiva europea che i 27 Stati membri dovranno recepire nei rispettivi ordinamenti nazionali, affinché entri in vigore per la data concordata. Al fine di facilitare un’applicazione corretta e standardizzata delle nuove norme atte a ridurre i rifiuti marini derivanti dalla plastica monouso e dagli attrezzi da pesca, il 31 maggio la Commissione europea ha fornito degli orientamenti che riportano alcune indicazioni fondamentali per il recepimento. L’obiettivo è promuovere la transizione a favore di un’economia circolare basata su modelli, prodotti e materiali innovativi e sostenibili, nel perseguimento degli obiettivi del Green Deal europeo. Non sono mancate, tuttavia, le polemiche delle parti interessate.

Contesto

Oltre l’80% dei rifiuti marini è costituito da plastica. Quest’ultima si accumula nei mari, negli oceani e sulle spiagge nell’UE e nel mondo, ponendo un grave rischio per la vita marina e la salute umana nonché per le attività economiche. L’accumulo della plastica danneggia, invero, attività come il turismo, la pesca e la navigazione e crea costi di pulizia e smaltimento.

Nell’ambito del Green Deal europeo, l’UE è impegnata nella promozione di un’economia circolare e di un uso sostenibile della plastica, a favore del riuso e del riciclo, riducendo drasticamente la creazione di rifiuti o inquinamento.

In tale contesto è stata emanata la Direttiva UE 2019/904, provvedimento che per la prima volta vieta la vendita di cotton-fioc, posate, piatti, cannucce, palette, bastoncini per palloncini realizzati in plastica, nonché alcuni contenitori alimentari in polistirolo espanso. I 27 Stati membri hanno l’onere di recepire tale direttiva nei rispettivi ordinamenti nazionali entro il prossimo 3 luglio, pertanto, la Commissione europea, al fine di facilitare un’applicazione corretta e standardizzata delle nuove norme, ha pubblicato alcune linee guida che riportano le indicazioni fondamentali per il recepimento.

Contenuto degli orientamenti

Nel dettaglio, gli orientamenti forniti dalla Commissione europea, maturati attraverso ampie consultazioni con gli Stati membri e le parti interessate, specificano definizioni e termini chiave per garantire un’attuazione coerente in tutta l’Unione.

In particolare, rileva che, ai sensi della direttiva, la definizione di plastica comprende tutti quei materiali costituiti da un polimero a cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze, e che possono fungere da componente strutturale principale dei prodotti finali, ad eccezione dei polimeri naturali che non sono stati modificati chimicamente. 

Anche i polimeri plastici biodegradabili e/o a base biologica sono considerati plastica ai sensi della direttiva: attualmente, infatti, non sono disponibili standard tecnici ampiamente condivisi per certificare che uno specifico prodotto sia correttamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente.

Per altri prodotti in plastica monouso, come attrezzi da pesca e salviettine umidificate, l’Unione europea ha fissato ulteriori misure di limitazione o riduzione del loro uso attraverso requisiti di etichettatura, schemi di responsabilità estesa del produttore (“principio chi inquina paga”), campagne e standard di progettazione. Nel dettaglio, l’etichettatura di determinati beni dovrà seguire le regole stabilite dal regolamento del 17 dicembre 2020, relativo alle specifiche armonizzate di marcatura sui prodotti di plastica monouso.

Dichiarazioni e proteste in Italia

In occasione della pubblicazione degli orientamenti da parte della Commissione europea, il vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, Frans Timmermans, ha ribadito che “la riduzione della plastica monouso aiuta a proteggere la salute delle persone e del pianeta. Le norme UE rappresentano una pietra miliare nell’affrontare il problema dei rifiuti marini. Stimolano anche la nascita di modelli di business sostenibili e ci avvicina a un’economia circolare in cui il riutilizzo precede l’usa e getta”.

In Italia non sono mancate le proteste da parte dei rappresentati dei settori industriale e agroalimentare che non condividono il provvedimento adottato dalla Commissione europea. Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, ha dichiarato: “Auspico che il commissario Gentiloni voglia intervenire perché il testo, nella forma attuale, è fortemente pregiudizievole per l’interesse dell’industria italiana”. “Riteniamo fortemente sbagliata l’impostazione sulle bioplastiche compostabili delle linee guida emanate nei giorni scorsi dalla Commissione europea, che invece farebbe bene a seguire il modello italiano, che ha permesso di ridurre i sacchetti per l’asporto merci di quasi il 60% dopo il bando entrato in vigore circa 10 anni fa”. Così Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.

Lo stesso Ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha affermato che si tratta di “una direttiva assurda, per la quale va bene solo la plastica che si ricicla. Questo a noi non può andar bene” aggiungendo che “l’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima”.

Azzerare l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo: il piano d’azione dell’UE

EUROPA di

Nonostante i significativi progressi compiuti dall’Unione europea negli ultimi decenni, l’inquinamento ha ancora un forte impatto sulla salute e sull’ambiente. Nell’ambito delle azioni messe in atto per ridurre tale impatto, il 12 maggio la Commissione europea ha adottato il piano d’azione “Azzerare l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo”. Perseguendo uno dei principali obiettivi del Green Deal europeo, il piano definisce una visione integrata per il 2050: un mondo in cui l’inquinamento è ridotto a livelli che non siano più dannosi per la salute umana e gli ecosistemi naturali. A tal fine la Commissione europea prevede la combinazione di tutte le pertinenti politiche dell’UE volte a contrastare e prevenire l’inquinamento, con particolare attenzione alle modalità offerte dalle soluzioni digitali per fronteggiare tale fenomeno.

Contesto

L’inquinamento è la principale causa ambientale alla base di molteplici malattie mentali e fisiche nonché di decessi prematuri, soprattutto tra le persone che vivono in zone più svantaggiate o in aree in cui il flusso del traffico risulta essere molto elevato. Inoltre, l’inquinamento è una delle principali cause della perdita di biodiversità, riducendo la capacità degli ecosistemi di fornire servizi come la decontaminazione dell’aria e dell’acqua.

L’Unione europea ha già stabilito numerosi obiettivi in materia di inquinamento: la normativa vigente prevede, invero, disposizioni per la qualità ambientale e molti atti legislativi mirano a contrastare le fonti di tale fenomeno. Inoltre, nell’ambito della Strategia per la biodiversità nonché della Strategia “Dal produttore al consumatore”, la Commissione europea ha annunciato alcuni importanti obiettivi generali volti alla riduzione della perdita di nutrienti e dei pesticidi.

Tuttavia, poiché il fenomeno dell’inquinamento incide ancora in misura rilevante, è fondamentale predisporre un’azione di miglioramento delle modalità in cui vengono implementate ed applicate le leggi già in vigore a livello europeo.

Il piano d’azione

In tale contesto ed a fronte di tali esigenze a livello europeo nonché mondiale, il 12 maggio, la Commissione europea ha adottato il piano d’azione dell’UE “Azzerare l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo” per il periodo 2021-20124: per orientare l’UE verso l’obiettivo 2050, ovvero un pianeta sano per persone in buona salute, il piano d’azione stabilisce obiettivi chiave per il 2030 miranti a ridurre l’inquinamento alla fonte, rispetto alla situazione attuale.

Nel dettaglio, il piano, delineando una serie di iniziative e di azioni faro, prevede di migliorare: la qualità dell’aria, in modo da ridurre del 55 % il numero di morti premature causate dall’inquinamento atmosferico; la qualità dell’acqua, riducendo del 50% i rifiuti di plastica in mare e del 30% le microplastiche rilasciate nell’ambiente; la qualità del suolo, riducendo del 50 % le perdite di nutrienti e l’uso di pesticidi chimici. Inoltre, esso mira a ridurre: del 25 % gli ecosistemi dell’UE in cui l’inquinamento atmosferico minaccia la biodiversità; del 30 % la percentuale di persone che soffrono di disturbi cronici dovuti al rumore dei trasporti; in modo significativo la produzione di rifiuti e del 50 % i rifiuti urbani residui.

Insieme alla Strategia sulle sostanze chimiche per la sostenibilità, adottata lo scorso anno, il piano presentato dalla Commissione europea traduce in azione l’obiettivo dell’UE di azzerare l’inquinamento per un ambiente privo di sostanze tossiche, nel perseguimento degli obiettivi dell’UE in materia di neutralità climatica, salute, biodiversità ed efficienza delle risorse.

Il tema sarà al centro della Settimana verde dell’UE di quest’anno, il principale evento annuale sulla politica ambientale, che si terrà tra il primo e il quattro giugno e consentirà ai cittadini di tutta l’UE di discutere il tema dalle sue molteplici angolazioni.

Dichiarazioni

Il Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per il Green Deal europeo, Frans Timmermans, ha commentato l’adozione del piano affermando “Il Green Deal mira a costruire un pianeta sano per tutti. Per offrire ai cittadini e al pianeta un ambiente privo di sostanze tossiche, dobbiamo agire subito. Questo piano guiderà il nostro lavoro verso la realizzazione dell’obiettivo stabilito”. Timmermans ha poi sottolineato che “le nuove tecnologie verdi già esistenti possono contribuire a ridurre l’inquinamento e offrire nuove opportunità commerciali”.

Virginijus Sinkevičius, Commissario europeo responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, ha, invece, dichiarato: “Le ragioni per cui l’UE dovrebbe guidare la lotta globale contro l’inquinamento sono oggi più forti che mai. Con il piano d’azione sull’inquinamento zero creeremo un ambiente in cui i cittadini europei potranno vivere in modo sano, contribuiremo a una ripresa resiliente e promuoveremo la transizione verso un’economia pulita, circolare e climaticamente neutra”.

Ambiente e clima: le sfide dell’Unione europea

EUROPA di

Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva l’accordo raggiunto con gli Stati membri dell’UE sul programma LIFE, l’unico programma dell’Unione europea dedicato esclusivamente all’ambiente e al clima che entrerà in vigore retroattivamente dal 1° gennaio 2021. LIFE diventerà il più ambizioso programma climatico e ambientale dell’UE e contribuirà a compiere la transizione verso un’economia ecologica, circolare, efficiente e sostenibile, a proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente, nonché ad arrestare ed invertire la perdita di biodiversità. Tale approvazione arriva pochi giorni dopo il raggiungimento dell’intesa tra le istituzioni europee per la riduzione del 55% delle emissioni di gas serra nell’atmosfera entro il 2030, nonché della Conferenza sul clima organizzata dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Le sfide ambientali e climatiche si confermano essere, dunque, al centro dell’agenda europea e mondiale.

Nuova fase per il programma LIFE: l’approvazione del Parlamento europeo

Il programma LIFE è stato lanciato nel 1992 ed è l’unico programma dell’Unione europea dedicato specificamente all’azione ambientale e climatica: svolge, dunque, un ruolo cruciale nel sostenere l’attuazione della legislazione e delle politiche dell’UE in questi settori.  Ad oggi sono state attuate cinque fasi del programma, tramite il quale sono stati cofinanziati circa 4600 progetti in tutta l’Unione europea, con un contributo totale di circa 6,5 ​​miliardi di euro alla protezione dell’ambiente e del clima.

Con riguardo alla prossima fase del programma, relativa al periodo 2021-2027, il 29 aprile il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva l’accordo raggiunto con gli Stati membri dell’UE che entrerà in vigore retroattivamente a partire dal 1° gennaio 2021. Il testo è stato approvato senza votazione poiché non sono stati presentati emendamenti, in virtù dei termini previsti nell’ambito della procedura legislativa ordinaria in seconda lettura. LIFE diventerà il più ambizioso programma climatico e ambientale dell’UE e contribuirà a compiere la transizione verso un’economia ecologica, circolare, efficiente e sostenibile, a proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente, nonché ad arrestare ed invertire la perdita di biodiversità.

Risorse e dichiarazioni

Il bilancio totale assegnato al programma LIFE nell’ambito del compromesso raggiunto sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027 è di 5,4 miliardi di euro, di cui 3,5 miliardi saranno destinati alle attività ambientali e 1,9 miliardi di euro all’azione per il clima. La Commissione europea dovrebbe dare la priorità ai progetti che, tra le altre cose, hanno un chiaro interesse transfrontaliero, il più alto potenziale di replicabilità e di adozione (nel settore pubblico o privato) o di mobilitare maggiori investimenti.

Il programma contribuirà a rendere le azioni per il clima un aspetto fondamentale di tutte le politiche dell’UE e a raggiungere l’obiettivo generale di investire almeno il 30% del bilancio europeo per gli obiettivi climatici, nonché, dal 2024, il 7,5% per gli obiettivi della biodiversità, percentuale aumentata al 10% nel 2026 e nel 2027. La Commissione monitorerà e riferirà regolarmente sull’integrazione degli obiettivi del clima e della biodiversità, tracciando anche la spesa.

A margine dell’approvazione da parte del Parlamento europeo, il relatore Nils Torvalds ha dichiarato “Quando guardiamo a ciò che è stato raggiunto da LIFE finora, è chiaro che un bilancio più grande può aiutarci a raggiungere ancora di più in futuro. Anche se avrei preferito un budget maggiore per LIFE, sono molto contento che abbiamo raggiunto un nuovo livello di impegno verso la natura e il clima, in modo che il programma possa continuare a testare idee e mostrare soluzioni verdi future”.

L’intesa sul taglio delle emissioni e la Conferenza sul clima

Il via libera del Parlamento europeo alla nuova fase del programma LIFE arriva pochi giorni dopo il raggiungimento di un’intesa tra Parlamento, Consiglio dell’UE e Commissione europea per la riduzione, entro il 2030, del 55% delle emissioni di gas serra nell’atmosfera rispetto ai livelli del 1990. L’obiettivo risulta essere più ambizioso rispetto a quello attualmente in vigore, che si ferma al 40%, tuttavia si tratta del risultato di un compromesso raggiunto dopo mesi di trattative in cui il Parlamento europeo aveva chiesto una riduzione del 60%. 

L’Unione Europea ha altresì confermato l’obiettivo della neutralità carbonica – vale a dire il saldo netto delle emissioni di gas serra nell’atmosfera pari a zero – entro il 2050: anche in questo caso il Parlamento Europeo aveva chiesto una formula più ambiziosa, che prevedesse il raggiungimento di un obiettivo diverso per ogni singolo stato. Fissare un obiettivo a livello dell’UE, invero, risulta essere meno ambizioso poichè basterà che la media delle emissioni degli Stati membri sia pari a zero. Il Parlamento ha comunque ottenuto delle concessioni, come l’istituzione di un Comitato consultivo scientifico europeo, che sarà indipendente e valuterà l’andamento della situazione climatica nell’Unione Europea.

L’intesa tra le istituzioni europee è arrivata alla vigilia della Conferenza sul clima organizzata, in formato virtuale, dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden in occasione della Giornata Mondiale della Terra. Il Presidente statunitense ha aperto il vertice annunciando l’ambizioso obiettivo di dimezzare le emissioni entro il 2030 e di azzerarle nel 2050. “Siamo risoluti ad agire. Rispondendo e combattendo i cambiamenti climatici vedo l’occasione di creare milioni di posti di lavoro. È il decennio decisivo per evitare le conseguenze peggiori: dobbiamo agire. Questo vertice è il primo passo del cammino che dobbiamo fare insieme” queste le parole di Joe Biden, tese a ribadire l’importanza cruciale degli obiettivi ambientali e climatici nell’attuale agenda mondiale.

La nuova strategia europea per la lotta contro la tratta di esseri umani

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Il 14 aprile la Commissione europea ha presentato una nuova strategia per la lotta contro la tratta di esseri umani, incentrata sulla prevenzione della criminalità, sulla consegna dei trafficanti alla giustizia, nonché sulla protezione e l’emancipazione delle vittime. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, la tratta di esseri umani rimane, infatti, una grave minaccia nell’UE e nel mondo. A fronte del trasferimento online delle attività dei trafficanti e dell’emergenza pandemica, la nuova strategia europea definisce le misure che consentiranno all’Unione europea e ai suoi Stati membri di continuare a rafforzare la lotta contro la tratta di esseri umani in nome della salvaguardia dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.

La lotta alla tratta di esseri umani

Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni e le strategie avviate allo scopo di frenare tale minaccia, la tratta di esseri umani risulta essere ancora un fenomeno globale, che continua a colpire anche l’Unione europea. Tale attività criminale ha un impatto notevole sul tessuto sociale, sullo Stato di diritto nonché sullo sviluppo sostenibile negli Stati membri dell’UE e nei Paesi partner.  Secondo gli ultimi dati disponibili, tra il 2017 e il 2018, vi sono state più di 14000 vittime registrate all’interno dell’Unione europea ed è probabile che il numero effettivo sia significativamente più alto, poiché le vittime della tratta di esseri umani rimangono spesso inosservate. Le vittime sono principalmente donne e ragazze, oggetto di tratta a fini di sfruttamento sessuale.

I trafficanti sfruttano le disuguaglianze e le vulnerabilità economico-sociali attualmente estremizzate dalla pandemia da Covid-19, la quale ostacola, altresì, l’accesso delle vittime alla giustizia e all’assistenza. Inoltre, recentemente i trafficanti hanno adottato un nuovo modello di reclutamento e sfruttamento online delle vittime, rendendo più difficile per le forze dell’ordine e la magistratura rispondere alla minaccia.

La lotta alla tratta di esseri umani è da tempo una priorità per l’Unione europea. Negli anni sono stati compiuti progressi sotto molti aspetti: la cooperazione tra attori chiave, anche a livello politico, sia a livello nazionale che europeo, ha condotto a procedimenti giudiziari e condanne, oltre che ad un migliore processo di identificazione, assistenza e sostegno alle vittime; inoltre, sono state realizzate rilevanti campagne di sensibilizzazione e formazione, mentre studi e rapporti hanno aumentato la conoscenza del fenomeno, contribuendo allo sviluppo di strategie di risposta adeguate.

La strategia della Commissione europea

Nell’ambito di tale sforzo volto a interrompere la tratta di esseri umani, il 14 aprile la Commissione europea ha approvato una nuova strategia per il periodo 2021-2025, incentrata sulla prevenzione della criminalità, sulla consegna dei trafficanti alla giustizia, nonché sulla protezione e l’emancipazione delle vittime. Tale strategia si fonda sul quadro giuridico e politico globale dell’UE in vigore, sancito nella Direttiva anti-tratta risalente al 5 aprile 2011, per la cui applicazione la Commissione continuerà a sostenere gli Stati membri e, se necessario, a proporre revisioni per garantirne l’idoneità allo scopo.

Nel dettaglio, la nuova strategia si concentra: sulla riduzione della domanda che favorisce la tratta di esseri umani; sullo smantellamento del modello commerciale dei trafficanti, online e offline; sulla protezione, sostegno ed emancipazione delle vittime, con particolare attenzione alle donne e ai bambini; sulla promozione della cooperazione internazionale.

Poiché la tratta di esseri umani è spesso in mano a gruppi della criminalità organizzata, la strategia per combatterla risulta essere strettamente collegata alla strategia dell’Unione europea per la lotta alla criminalità organizzata, anch’essa presentata il 14 aprile. La protezione della società europea dalla criminalità organizzata, ivi inclusa la lotta contro la tratta di esseri umani, costituisce, infatti, una priorità della strategia europea nell’ambito della più vasta Unione della sicurezza.

Ruolo della Commissione e dichiarazioni

Con questa strategia, la Commissione europea definisce un forte quadro politico e un rinnovato impegno, al centro del quale vi sono donne e bambini. Le priorità e le misure previste saranno attuate tra il 2021 e il 2025 ma, in tale periodo, la Commissione continuerà a monitorare i nuovi sviluppi e tendenze basate sull’analisi delle modalità con cui evolve la tratta gli esseri umani nell’Unione europea e non solo. La Commissione sarà, inoltre, chiamata a lavorare a stretto contatto con tutti i partner al fine di massimizzare l’impatto delle azioni previste. Il coordinatore dell’UE contro la tratta degli esseri umani contribuirà a garantire il coordinamento e la coerenza tra le istituzioni, le agenzie dell’UE, gli Stati membri e gli attori internazionali. Unire le forze nella lotta contro la tratta di esseri umani risulta essere, infatti, essenziale per garantire la sicurezza europea, la protezione delle persone vulnerabili e dell’economia, nonché la salvaguardia dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.

“La lotta contro la tratta di esseri umani rientra nel nostro lavoro per costruire un’Europa che protegge – queste le parole della Vicepresidente per la Promozione dello stile di vita europeo, Margaritis Schinas – Con la strategia odierna, stiamo adottando un triplice approccio, utilizzando in parallelo la legislazione, il sostegno politico e operativo e i finanziamenti allo scopo di ridurre la domanda, smantellare le attività criminali ed emancipare le vittime di questo reato abominevole”. Ylva Johansson, Commissaria per gli Affari interni, ha invece dichiarato: “Dobbiamo proteggere le vittime e consegnare alla giustizia i responsabili che considerano gli esseri umani come fossero una merce. Esamineremo le norme in vigore per verificare se siano ancora adatte allo scopo e prenderemo in considerazione la possibilità di qualificare come reato l’utilizzo dei servizi derivanti dallo sfruttamento delle vittime della tratta”.

Il braccio di ferro tra Unione europea e Cina: le sanzioni reciproche

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Lo scorso 22 marzo, l’Unione europea ha approvato delle sanzioni indirizzate alla Cina a causa delle violazioni compiute nel paese nei confronti della minoranza musulmana degli Uiguri. Si tratta di una misura concordata con i partner occidentali che assume soprattutto un valore simbolico: sono le prime sanzioni che l’Unione Europea impone alla Cina dai fatti di Tienanmen del 1989. Come reazione, la Cina ha annunciato che sanzionerà importanti politici e accademici dell’Unione Europea, nonché quattro istituzioni. Finora, nei rapporti con Pechino, rivale sistemico ma anche uno dei principali partner commerciali dell’UE, Bruxelles aveva cercato di mantenere un difficile equilibrio, tra interessi e valori democratici. L’approvazione di sanzioni incrociate mostra come il clima sia decisamente cambiato nelle ultime settimane: ora a prevalere è una turbolenza politica.

Le violazioni nei confronti degli Uiguri

Gli Uiguri sono una minoranza etnica, prevalentemente di religione musulmana, insediatasi principalmente nella regione dello Xinjiang, nel nord ovest della Cina. Nella regione vive circa l’1,5% della popolazione cinese, ma secondo l’organizzazione Chinese Human Rights Defenders si verifica il 20 % degli arresti del paese. Diverse inchieste giornalistiche, testimonianze e rapporti delle Nazioni Unite hanno rivelato che la Cina ha detenuto e tuttora detiene milioni di Uiguri in campi di prigionia, definiti “di trasformazione attraverso l’educazione”. Il governo ha sempre negato la repressione sistematica contro tale minoranza, giustificandola come una campagna antiterroristica. Ciò che appare evidente è che l’autorità centrale cinese ha sempre mal sopportato gli Uiguri a causa delle loro antiche spinte indipendentiste, che portarono a repressioni già nell’epoca di Mao Zedong e che si sono inasprite negli ultimi vent’anni fino a far divenire la regione uno dei posti più sorvegliati al mondo. Nel dettaglio gli abitanti dello Xinjiang sono sottoposti a controlli di polizia quotidiani, a procedure di riconoscimento facciale e a intercettazioni telefoniche di massa. Queste forme di oppressione si configurano come gravi violazioni dei diritti umani che deteriorano il tessuto sociale locale, provocando profonde ferite nelle comunità e nelle famiglie.

Le sanzioni dell’UE

Le sanzioni approvate il 22 marzo da parte dell’Unione Europea sono rivolte a quattro funzionari di stato cinesi nonché ad un’istituzione del paese, ritenuti responsabili della repressione degli Uiguri. Le misure punitive prevedono divieti di viaggio verso l’Unione Europea nonché di ingresso per affari e hanno soprattutto un valore simbolico: si tratta, invero, delle prime sanzioni che l’Unione Europea impone alla Cina dal 1989, quando fu adottato un embargo di armi dopo la strage compiuta dal governo cinese nella manifestazione di piazza Tienanmen a Pechino, tuttora in vigore.

Le sanzioni europee – le prime nel quadro del cosiddetto “Magnitsky Act” approvato a fine 2020 – fanno parte di un pacchetto di misure approvate all’unanimità e indirizzate a vari paesi, teatro di violazioni dei diritti umani. Nel caso della Cina, i funzionari di alto rango selezionati includono Zhu Hailun, al vertice del programma su larga scala di sorveglianza, detenzione e indottrinamento degli uiguri. Gli altri tre sono Wang Junzheng, Wang Mingshan e Chen Mingguo, ritenuti responsabili di “detenzioni arbitrarie e trattamenti degradanti inflitti a uiguri e persone di altre minoranze etniche musulmane, nonché di violazioni sistematiche della loro libertà di religione o credo”.

“La decisione europea è basata su nient’altro che bugie e disinformazione” e “interferisce con gli affari interni della Cina” questo il commento di un portavoce del ministero degli affari esteri cinese, il quale ha invitato l’Unione europea “a tornare sui propri passi, ad affrontare apertamente la gravità del suo errore e rimediare”.

Rileva che le sanzioni in questione non sono il frutto di una mera escalation nelle relazioni bilaterali: la misura europea si inserisce, invero, nell’ambito di un’azione coordinata con Stati Uniti, Regno Unito e Canada, che a loro volta hanno annunciato misure punitive contro gli stessi cinque obiettivi cinesi e potrebbe segnare un significativo step nella creazione di un fronte internazionale volto a contrastare l’ascesa della Cina, uno dei principali obiettivi del neopresidente degli Stati Uniti, Joe Biden.

Le sanzioni della Cina

La risposta di Pechino alle sanzioni europee risulta essere particolarmente drastica, a dimostrazione di quanto il tema sia delicato per Pechino: 11 personalità sanzionate, tra cui parlamentari, accademici ed enti europei. Ai sanzionati, nonché alle loro famiglie, sarà proibito l’ingresso in Cina, Hong Kong e Macao, mentre alle aziende e alle istituzioni coinvolte sarà proibito di fare affari con la Cina stessa. Fra le persone colpite vi sono cinque parlamentari europei: Reinhard Butikofer dei Verdi, Michael Gahler e Miriam Lexmann del PPe, Raphael Glucksmann dei Socialisti e Democratici e Ilhan Kyuchyuk adi Renew Europe. Ma anche un politico olandese, Sjoerd Wiemer Sjoerdsma, un deputato del parlamento belga di origine italiana, Samuel Cogolati, e una di quello lituano, Dovile Sakaliene, insieme al ricercatore tedesco Adrian Zenz e allo svedese Bjorn Jerden. Tutti colpevoli di «aver seriamente danneggiato la sovranità e gli interessi della Cina e volontariamente diffuso menzogne e disinformazione»

A circa tre mesi dalla firma della super intesa sugli investimenti – Comprehensive Investment Agreement  (CAI) – frutto di sette anni di complessi negoziati e presentata come una nuova, importante pagina nelle relazioni bilaterali, tra Bruxelles e Pechino il clima è decisamente cambiato.

I certificati verdi digitali per la ripresa del turismo: la proposta della Commissione europea

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Il 17 marzo la Commissione europea ha proposto di creare un certificato verde digitale per agevolare e rendere sicura la libera circolazione all’interno dell’UE durante la pandemia da Covid-19. Il progetto prevede di emettere un certificato verde digitale per attestare tre diverse condizioni: l’avvenuta vaccinazione, un recente risultato negativo ai test per il coronavirus o la guarigione. L’impiego di certificati e “passaporti di immunità” risulta essere discusso da tempo in numerose aree del mondo, soprattutto come una possibile soluzione volta a tutelare, almeno in parte, il settore del turismo, messo in crisi dalla pandemia, tuttavia, vi è ancora molto scetticismo sulla possibilità di sviluppare una soluzione condivisa e soprattutto funzionale.  

La proposta

Il 17 marzo 2021 la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa intesa a creare un certificato verde digitale per agevolare la libera circolazione sicura dei cittadini nell’UE durante la pandemia da Covid-19 e tutelare il settore del turismo, messo a dura prova dalla pandemia.

Il 25 e 26 febbraio, i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea avevano discusso l’istituzione del certificato verde ed era emerso come i leader dei paesi europei meridionali, la cui economia dipende molto dal turismo, fossero favorevoli, mentre qualche scetticismo era stato avanzato dagli Stati membri dell’Europa settentrionale. Il confronto in seno al Consiglio europeo si era concluso con la decisione di proseguire in tale direzione. La proposta della Commissione è dunque un primo passo compiuto nell’ambito di questo progetto.

Quest’ultimo prevede l’emissione di un certificato verde digitale per attestare tre diverse condizioni: l’avvenuta vaccinazione o un recente risultato negativo ai test per il coronavirus o la guarigione. Ogni certificato potrà essere digitale o cartaceo, dotato di un QR code per poterne fare una scansione e verificarne l’autenticità. L’ emissione sarà a carico dei singoli stati membri, che potranno scegliere le modalità di distribuzione in modo centralizzato, oppure affidando il compito ai centri dove si effettuano le vaccinazioni e i test per rilevare l’eventuale positività al coronavirus o agli operatori sanitari che verificano la guarigione dal virus. Ogni organismo autorizzato a produrre certificati disporrà di una propria chiave digitale, cioè di un sistema che consenta di ridurre i rischi di contraffazione. Il registro delle chiavi digitali sarà mantenuto da ogni paese e la verifica, a livello europeo, non prevederà l’impiego di un sistema centralizzato: questa soluzione dovrebbe garantire la tutela della privacy, considerato che i certificati avranno informazioni sensibili come quelle relative allo stato di salute. In generale il certificato conterrà comunque il minor numero possibile di dati: nome e cognome, data di nascita, giorno di rilascio, un codice identificativo univoco e informazioni sulla vaccinazione o l’esito di un test recente o sulla guarigione. I controlli nei paesi di destinazione serviranno esclusivamente per verificare l’autenticità del certificato, mentre non potranno essere conservate le informazioni personali.

Lo scetticismo

Il progetto avanzato dalla Commissione europea risulta essere piuttosto ambizioso e vi sono forti dubbi che possa essere pronto e funzionante per la prossima estate. I paesi del Nord Europa mantengono, inoltre, un certo scetticismo, poiché ogni Stato membro sarà libero di imporre o meno proprie limitazioni ai viaggi. Dal canto loro, invece, i Paesi del Sud Europa chiedono che il piano sia portato avanti velocemente per garantire la ripresa del settore turistico.

In aggiunta, molti ritengono che includere nell’emissione dei certificati i guariti o i negativi ai test al coronavirus non sia una buona idea, sostenendo che l’avvenuta vaccinazione sia più semplice ed immediata da certificare e renderebbe più rapida e chiara l’emissione dei certificati nonché la loro verifica. Altri affermano che una soluzione di questo tipo sia discriminatoria nei confronti di chi sarà ancora in attesa di ricevere il vaccino, o di chi non potrà essere sottoposto alla vaccinazione a causa di altri problemi di salute.

A questi dubbi si aggiungono le incertezze circa la capacità dei vaccini di rendere meno contagiosi e quindi di contribuire a ridurre la diffusione del coronavirus: i vaccini finora autorizzati hanno, invero, mostrato di avere un’alta efficacia nel proteggere contro le forme gravi di Covid-19, mentre sono ancora in corso le verifiche volte a comprendere se rendano meno contagiosi. Resta, infine, da capire quanto duri l’immunità acquisita tramite il vaccino.

In definitiva, molti ritengono che i tempi non siano ancora maturi per certificati e passaporti di immunità, visto che alcuni importanti studi e valutazioni sono ancora in corso.

La Commissione europea risponde a tali scetticismi affermando che questi problemi potrebbero essere superati poiché il progetto proposto è caratterizzato dalla flessibilità e dalla possibilità di essere aggiornato. Le pressioni da parte del settore del turismo sono, del resto, molto alte e vi è il timore che si possa perdere un’opportunità.

Prossimi step e dichiarazioni

Per essere pronta prima dell’estate, la proposta avanzata dalla Commissione europea dovrà essere rapidamente valutata e poi eventualmente approvata dal Parlamento Europeo e dai singoli Stati membri dell’UE. Mentre proseguirà tale processo di approvazione, la Commissione ha raccomandato ai governi dell’Unione di attivarsi per gestire i sistemi di emissione e di verifica dei certificati.

Quanto alle dichiarazioni delle parti coinvolte, Věra Jourová, vicepresidente per i Valori e la trasparenza, ha affermato che “Il certificato verde digitale offre una soluzione a livello dell’UE che garantisce a tutti i cittadini europei la disponibilità di uno strumento digitale armonizzato che agevoli la libera circolazione nell’Unione. È un messaggio positivo a sostegno della ripresa”. “Con il certificato verde digitale, stiamo adottando un approccio europeo per garantire che quest’estate i cittadini dell’UE e i loro familiari possano viaggiare in sicurezza e con restrizioni minime-queste, invece, le parole del Commissario per la giustizia, Didier Reynders -Un approccio comune a livello dell’UE non solo ci aiuterà a ripristinare gradualmente la libera circolazione nell’Unione e ad evitare frammentarietà, ma sarà anche un’opportunità per influenzare le norme mondiali e per fungere da esempio sulla base dei nostri valori europei come la protezione dei dati.”

Conferenza sul futuro dell’Europa: la firma della dichiarazione comune

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Il 10 marzo, il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, il Primo ministro portoghese António Costa e la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen hanno firmato, per conto delle rispettive istituzioni dell’UE, la dichiarazione comune relativa alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Si tratta di un passo preliminare all’avvio di una serie di dibattiti e discussioni che consentiranno ai cittadini europei di condividere le loro idee per contribuire a plasmare il futuro dell’Europa. Salute, cambiamenti climatici, equità sociale, trasformazione digitale, il ruolo dell’UE nel mondo e il rafforzamento dei processi democratici: questi i temi principali della Conferenza, i quali coincidono con le priorità generali dell’Unione europea.

L’origine della Conferenza

L’istituzione di una Conferenza sul futuro dell’Europa è stata inizialmente proposta dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, nel marzo del 2019, nell’ambito della sua lettera aperta ai cittadini dell’UE intitolata “Per un Rinascimento europeo”. La proposta è stata poi formalmente avanzata dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, all’inizio del suo mandato, con l’obiettivo di promuovere un ruolo attivo e determinante dei cittadini europei nella costruzione del futuro dell’Unione. Negli orientamenti politici presentati nel luglio 2019, Ursula von der Leyen aveva, in particolare, indicato che: la Conferenza si sarebbe dovuta avviare nel 2020 con una durata di due anni e avrebbe dovuto riunire i cittadini, la società civile e le istituzioni europee in qualità di partner paritari; la portata e gli obiettivi delle Conferenza sarebbero stati definiti di comune accordo tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione; vi sarebbe stato un impegno politico a dar seguito alle decisioni della Conferenza, se opportuno anche mediante un’azione legislativa o eventuali modifiche del trattato.

I lavori di tale Conferenza, rimandati di un anno anche a causa della pandemia da Covid-19, dovrebbero avviarsi il 9 maggio 2021, a Strasburgo. Il suo obiettivo primario è il conferimento ai cittadini europei di un ruolo più incisivo nella definizione delle politiche e delle ambizioni dell’UE, migliorando la resilienza dell’Unione alle crisi, sia economiche che sanitarie. La Conferenza costituirà un nuovo spazio d’incontro pubblico per un dibattito aperto, inclusivo, trasparente e strutturato con i cittadini europei sulle questioni che li riguardano e che incidono sulla loro vita quotidiana.

La firma della dichiarazione comune

L’atto che segna l’inizio del processo che permette ai cittadini di partecipare alla ridefinizione delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea è arrivato il 10 marzo con la firma da parte del Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, il Presidente di turno del Consiglio dell’UE, Antonio Costa, e la Presidente della Commissione europea, per conto delle rispettive istituzioni dell’UE, di una dichiarazione comune relativa alla Conferenza sul futuro dell’Europa.

La dichiarazione comune definisce la portata, la struttura, gli obiettivi ed i principi della Conferenza. Essa, inoltre, getta le basi per eventi avviati dai cittadini, da organizzare in collaborazione con tutte le parti coinvolte. La partecipazione dei cittadini al processo è infatti essenziale per garantire il massimo coinvolgimento e la massima diffusione ed una particolare attenzione è attribuita alle iniziative avviate dai giovani europei.

Salute, cambiamenti climatici, equità sociale, trasformazione digitale, il ruolo dell’UE nel mondo e il rafforzamento dei processi democratici: questi temi, considerati fondamentali nell’ambito della Conferenza, coincidono con le priorità generali dell’UE nonché con le principali questioni sollevate dai cittadini nell’ambito dei sondaggi d’opinione.

La dichiarazione comune, inoltre, sancisce che la conferenza si articolerà in vari spazi, virtuali e, possibilmente, fisici, nel rispetto delle norme anti COVID. Una piattaforma digitale multilingue interattiva consentirà ai cittadini ed ai portatori d’interessi di presentare idee online e li aiuterà a partecipare o ad organizzare eventi. La piattaforma e tutti gli eventi organizzati sotto l’egida della conferenza dovranno basarsi sui principi di inclusività, apertura e trasparenza, nel rispetto della privacy e delle norme dell’UE in materia di protezione dei dati.

Prossime tappe e commenti dei leader delle istituzioni UE

Quanto ai prossimi step, presto sarà istituito un comitato esecutivo che rappresenterà in modo equilibrato il Parlamento europeo, la Commissione ed il Consiglio dell’UE, le tre istituzioni che guidano l’iniziativa, con i parlamenti nazionali nel ruolo di osservatori. Tale comitato esecutivo supervisionerà i lavori e preparerà le riunioni plenarie della conferenza, compresi i contributi dei cittadini e il loro follow-up.

“La giornata di oggi segna un nuovo inizio per l’Unione europea e per tutti i suoi cittadini – ha commentato il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, al momento della firma della dichiarazione comune – Con la conferenza sul futuro dell’Europa tutti i cittadini europei e la nostra società civile avranno l’occasione unica di plasmare il futuro dell’Europa, un progetto comune per una democrazia europea funzionante. Chiediamo a tutti voi di farvi avanti per partecipare, con le vostre opinioni, alla costruzione dell’Europa di domani, la VOSTRA Europa”. La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha, invece, dichiarato: “Oggi vogliamo invitare tutti gli europei a esprimersi. Per spiegare in quale Europa vogliono vivere, per plasmarla e per unire le forze e aiutarci a costruirla. Le aspettative dei cittadini sono chiare: vogliono dire la loro sul futuro dell’Europa, sulle questioni che incidono sulla loro vita. La nostra promessa di oggi è altrettanto chiara: noi li ascolteremo. E poi agiremo.” Infine, il Primo Ministro portoghese Costa ha definito la convocazione della Conferenza “un messaggio di fiducia e speranza per il futuro che inviamo gli europei. Fiducia nel fatto che riusciremo a superare la pandemia e la crisi; speranza nel fatto che, insieme, riusciremo a costruire un’Europa equa, verde e digitale”.

L’Unione europea dei vaccini, tra approccio comunitario e rivendicazioni

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Negli ultimi giorni diversi Stati membri dell’Unione europea hanno annunciato che prenderanno autonomamente delle decisioni relative all’acquisto dei vaccini contro il Covid-19. Gli ultimi a rompere simbolicamente il fronte comune sono stati i governi di Austria e Danimarca: i due Stati, accodandosi ad Ungheria, Slovacchia, e Repubblica Ceca, derogheranno, invero, all’approccio comunitario, fino ad ora garante di una maggiore forza contrattuale, ma accompagnato da lunghi negoziati. Ad essere nel mirino è proprio la complessità alla base delle trattative e delle procedure europee di approvazione dei vaccini. In definitiva, la gestione della campagna vaccinale europea si fa sempre più complessa e appare chiaro come si stiano creando le condizioni per uno scenario che le istituzioni europee hanno voluto scongiurare fin dai primi mesi dell’emergenza pandemica: permettere a ciascun paese di muoversi autonomamente in ordine sparso.

I “dissidenti”

Il primo marzo, i governi di Austria e Ungheria – aderenti ad un approccio conservatore dal punto di vista economico – hanno annunciato che avvieranno dei negoziati con il governo israeliano per una possibile partnership volta ad ospitare dei centri di produzione delle aziende farmaceutiche Pfizer e Moderna sul proprio territorio. L’obiettivo è quello di ottenere una corsia preferenziale nelle forniture del vaccino rispetto ai contratti stipulati dalle istituzioni europee.

Il Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, ha dichiarato che l’approccio comunitario “è stato fondamentalmente corretto” ma l’Agenzia europea per il farmaco (EMA) è stata “troppo lenta” nell’approvare i vaccini, e che in futuro il suo Paese “non dovrebbe dipendere soltanto dall’Unione Europea per la produzione di vaccini”. Dal canto suo, la Prima Ministra danese, Mette Frederiksen, ha adottato un approccio meno critico, tuttavia, ha sottolineato che “potremmo trovarci a dover vaccinare di nuovo, magari una volta l’anno: per questo dobbiamo potenziare con forza la produzione dei vaccini”.

L’Austria e l’Ungheria sono solo gli ultimi Stati membri dell’UE che hanno deciso di derogare all’approccio comunitario, fino ad ora adottato per la fornitura di vaccini contro il Covid-19: invero, l’Ungheria, Paese guidato da un governo semi-autoritario, nell’ambito della propria campagna di vaccinazione nazionale sta utilizzando anche il vaccino russo Sputnik V nonché il vaccino cinese Sinopharm, entrambi non approvati dall’Agenzia europea per il farmaco (EMA); inoltre, anche la Slovacchia ha ricevuto 2 milioni di dosi dello Sputnik V, mentre Polonia e Repubblica Ceca stanno negoziando rispettivamente con Cina e Russia per ricevere forniture di vaccini.

La strategia comunitaria

Fino ad ora l’approccio comunitario ha garantito agli Stati membri una maggiore forza contrattuale, appannaggio soprattutto degli Stati membri di piccole dimensioni, i quali non avrebbero potuto permettersi di stipulare contratti vantaggiosi; al contrario, tale approccio sembra essere meno conveniente per gli Stati membri di medie e grandi dimensioni, i quali autonomamente sarebbero probabilmente riusciti a ricevere un maggior numero di dosi rispetto a quelle attuali.

La Commissione europea ha effettivamente stipulato contratti a prezzi minori e condizioni più vantaggiose rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti ed al Regno Unito, tuttavia, la complessità e le tempistiche dei negoziati sono state considerate eccessive.

In realtà la scrupolosità dei controlli dell’EMA si spiega con l’esigenza di rassicurare un’opinione pubblica europea inizialmente molto scettica nei confronti di vaccini realizzati in tempi così rapidi. Inoltre, la Commissione europea ha puntato molto sul vaccino prodotto dall’azienda britannico-svedese AstraZeneca, il cui vaccino è prodotto soprattutto in Europa, è uno dei meno costosi e più facili da conservare, inoltre prevede una dose di richiamo che può essere somministrata anche a distanza di tre mesi. La drastica riduzione delle forniture annunciata dall’azienda a fine gennaio, ha, tuttavia, inciso pesantemente sulle campagne vaccinali europee.

In definitiva, a mettere in difficoltà i Paesi europei e la strategia comunitaria sarebbero stati quindi i ritardi – legati altresì alla necessità di mettere d’accordo i governi di 27 paesi – e i tagli nelle forniture da parte dei produttori di vaccini.

La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha minimizzato le accuse dei “dissidenti”, sostenendo che i ritardi nelle forniture di vaccini dovrebbero esaurirsi entro qualche settimana, e che nei prossimi mesi gli Stati membri dell’UE “avranno molte più dosi di quelle che serviranno”. Invero, l’aumento delle forniture previsto per i prossimi mesi –  reso possibile anche dalla disponibilità di nuovi vaccini come quello di Johnson & Johnson, la cui autorizzazione è prevista per metà marzo – dovrebbe consentire di accelerare le campagne vaccinali in tutti gli Stati membri dell’UE.

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Francesca Scalpelli
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