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Flaminia Maturilli - page 2

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Cambiamenti climatici, la nuova strategia di adattamento dell’Unione europea

EUROPA di

Il 24 febbraio 2021 la Commissione europea ha adottato una nuova strategia di adattamento ai cambiamenti climatici per garantire la capacità degli Stati di saper reagire e di sapersi adattare con resilienza ai loro effetti. L’azione dell’UE in materia di cambiamenti climatici è volta, infatti, sia alla riduzione e alla mitigazione dei cambiamenti climatici, sia a migliorare le capacità di adattamento degli Stati membri, considerando le conseguenze che già vi sono e che causano all’economia danni per 12 miliardi di euro l’anno. “La pandemia di COVID-19 ci ha ricordato con durezza che una preparazione insufficiente può avere conseguenze disastrose. Non esiste alcun vaccino contro la crisi climatica, ma possiamo ancora combatterla e prepararci ai suoi effetti inevitabili”. Queste le parole di Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal europeo.

Continua la lotta ai cambiamenti climatici

L’Unione europea è divenuta un leader nel settore della lotta ai cambiamenti climatici e, anno dopo anno, non sono mancate nuove strategie e novità per far fronte ad uno dei principali problemi del 21° secolo. Ciononostante, anche se si riuscisse a mettere fine a tutte le emissioni di gas a effetto serra, per anni dovremo avere a che fare, ancora, con gli effetti dei cambiamenti climatici già in corso. Gli eventi climatici e metereologici estremi, dovuti all’emissione di gas a effetto serra, sono sempre più frequenti ed hanno un impatto diretto sulla società. Gli incendi boschivi, le ondate di calore e la siccità, gli uragani, le carenze idriche: sono tutti fenomeni causati dai cambiamenti climatici e che incidono direttamente sull’economia europea con perdite di circa 12 miliardi di euro l’anno. A risentirne sono, principalmente, l’agricoltura, l’acquacoltura, il turismo, il trasporto merci sui fiumi e così via.

È importante, dunque, garantire un continuo aggiornamento delle strategie europee in materia di cambiamenti climatici e, soprattutto, garantire la capacità di adattamento e resilienza degli Stati membri, che mentre promuovono politiche volte al contrasto del climate change, devono imparare a convivere con i suoi effetti.

La nuova strategia

La strategia adottata dalla Commissione europea il 24 febbraio va di pari passo con l’impegno dell’UE di diventare climaticamente neutra entro il 2050. Tuttavia, come detto, oltre ad agire per contrastare i cambiamenti climatici, l’UE considera fondamentale anche agire per garantire una miglior capacità di adattamento degli Stati membri, vista l’inevitabilità degli effetti. La strategia mira, dunque, ad intensificare l’azione in tutti i settori dell’economia e della società con un adattamento più intelligente, rapido e sistemico. In linea con quanto previsto dal Green Deal europeo, particolare importanza è rivolta alla modalità di raggiungimento di un buon livello di resilienza: è essenziale che, anche in questo caso, si faccia fede ad un modo giusto ed equo di azione.

Particolare attenzione è rivolta, poi, all’azione internazionale: l’UE intende continuare a cooperare con gli altri paesi, in particolar modo i paesi parte dell’accordo di Parigi, garantendo tre azioni. In primo luogo, aumentare il sostegno alla resilienza e alla preparazione ai cambiamenti climatici a livello internazionale. Poi, aumentare i finanziamenti internazionali per rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici, arrivati alla cifra di 21,9 miliardi di euro. Infine, rafforzare l’impegno e gli scambi a livello mondiale.

Gli obiettivi

La strategia persegue tre obiettivi: rendere l’adattamento più intelligente; rendere l’adattamento più sistemico; accelerare l’adattamento trasversale. La Commissione, nel perseguire questi obiettivi, continuerà a fornire orientamenti, capacità tecnica e opportunità di finanziamento per aiutare gli Stati membri, le regioni e le amministrazioni locali nell’attuazione delle strategie di adattamento. Inoltre, verrà potenziata la piattaforma europea Climate-ADAPT, realizzata per far ampliare le conoscenze in materia di adattamento, collegandola ad altri portali e fonti di informazioni e rendendole accessibili ai cittadini. In particolare, si possono approfondire con molteplici dati gli effetti dei cambiamenti climatici, gli aspetti socioeconomici connessi e i costi, ma anche i benefici, dell’adattamento. Si tratta di uno strumento alla portata di tutti che aiuterà nell’implementazione di politiche di resilienza.

L’intervento di Timmermans

Parlando della strategia europea sul tema, il vicepresidente della Commissione UE, nonché responsabile per il Green Deal europeo, ha riconosciuto l’importanza della strategia anche per le questioni legate al mediterraneo. In particolare, si è affermato che nel Mediterraneo “c’è un problema gigantesco” per quanto riguarda l’adattamento ai cambiamenti climatici. “Ci sarà anche una pressione migratoria enorme se non riusciamo a evitare conflitti per esempio sull’acqua, e mi sembra logico e necessario un dialogo con tutti i paesi del Mediterraneo” ha poi aggiunto.

Infine, richiamando la situazione attuale, il Vicepresidente ha affermato che “la pandemia di COVID-19 ci ha ricordato con durezza che una preparazione insufficiente può avere conseguenze disastrose. Non esiste alcun vaccino contro la crisi climatica, ma possiamo ancora combatterla e prepararci ai suoi effetti inevitabili – che si fanno già sentire sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea”. “Se ci prepariamo oggi, possiamo ancora costruire un domani resiliente ai cambiamenti climatici”, ha concluso Timmermans.

Commissione europea, al via una politica commerciale più sostenibile

EUROPA di

Il rapporto tra commercio e sostenibilità è al centro dell’agenda europea da diverso tempo, sia per l’importanza che ricopre il commercio come strumento di diffusione dei valori europei, sia per il modo in cui incide su ambiente e clima. A tal fine, il 18 febbraio la Commissione europea ha presentato la sua strategia commerciale per una politica aperta, sostenibile e assertiva, volta a riformare l’OMC con regole più eque e sostenibili. I prossimi anni, dunque, saranno caratterizzati da una apertura dell’UE per contribuire alla ripresa economica sostenendo anche la trasformazione verde e digitale e procedendo verso una riforma delle norme commerciali globali. La strategia lanciata dalla Commissione europea si basa su una consultazione pubblica ampia e inclusiva, lavorando a contatto con gli Stati membri, il Parlamento europeo, le imprese e la società civile.

Commercio e sviluppo sostenibile

L’Unione europea ha dimostrato il proprio impegno in materia di clima e ambiente sin da subito, diventando un attore di primo piano nella promozione del rispetto dell’ambiente e delle norme ambientali internazionali. In questa attività, è centrale la politica commerciale europea, sia come mezzo di diffusione dei valori, degli standard e dei principi dell’UE, sia perché se non gestita bene, è suscettibile di incidere negativamente su ambiente e clima, comportando ingenti scambi tra l’UE e i Paesi terzi. Negli ultimi anni, l’UE ha, dunque, sviluppato una serie di regole e strategie commerciali volte ad assicurare un commercio sostenibile ed equo sia negli accordi commerciali bilaterali, sia nei negoziati in seno all’Organizzazione mondiale del commercio.

In particolare, tutti i più recenti accordi commerciali dell’Unione europea contengono un capitolo apposito dedicato al rapporto tra Commercio e Sviluppo Sostenibile – Trade and Sustainable Development Chapter – con impegni specifici volti a ratificare ed attuare gli accordi multilaterali ambientali, tra cui l’Accordo di Parigi. Tale capitolo, generalmente, contiene norme sul clima, la biodiversità, la gestione delle foreste, la gestione dei rifiuti, la condotta aziendale responsabile e il rispetto dei diritti dei lavoratori. L’impegno dell’Unione europea in materia di sostenibilità, clima e protezione ambientale è presente da diversi anni e andrà via via aumentando e consolidandosi, fino a garantire effettivi meccanismi di applicazione e azioni efficaci in caso di mancato rispetto di tali capitoli.

La nuova strategia

Le sfide che ha dovuto affrontare l’Unione europea nell’ultimo anno sono molteplici e si aggiungono a quelle che dovranno essere affrontate prossimamente: la ripresa economica, i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, le tensioni internazionali anche per la corsa ai vaccini e la difesa del multilateralismo. La nuova strategia pubblicata dalla Commissione europea si inserisce proprio in questo contesto: andrà ad intensificare l’integrazione della politica commerciale dell’UE nelle priorità economiche dell’UE, così come previsto dal Green Deal europeo, e affermerà il ruolo della politica commerciale dell’UE nell’ambito della ripresa economica post-Covid. Avere un ruolo di primo piano nella lotta ai cambiamenti climatici e nella protezione ambientale fa sì che l’UE debba integrare questi aspetti in ogni politica portata avanti e, per di più, la posizione di leader dell’UE nel commercio mondiale fa sì che si garantisca un commercio equo e sostenibile.

Gli obiettivi previsti

La nuova strategia ha come scopo la creazione di una politica commerciale aperta, sostenibile e assertiva. Queste tre caratteristiche figurano proprio come gli obiettivi fondamentali da portare a termine nell’ambito della strategia. In primo luogo, la politica commerciale dell’UE è volta al sostegno della ripresa e della trasformazione verde e digitale dell’economia; poi, definisce le norme per una globalizzazione più sostenibile ed equa; infine, vuole aumentare la capacità dell’UE di perseguire i propri interessi e far valere i propri diritti.

Questi tre obiettivi verranno conseguiti nell’ambito della riforma dell’OMC, sostenendo la transizione verde con catene del valore responsabili, rafforzando l’impatto normativo dell’UE, sviluppando ulteriori partenariati con i paesi vicini e l’Africa, e rafforzando la fase di applicazione degli accordi commerciali a parità di condizioni con gli altri Paesi. L’Unione europea investe molto sull’importanza del commercio con i Paesi terzi e si ritiene che il modo migliore per garantire la prosperità dell’UE sia proprio continuare con gli scambi commerciali globali. La novità principale della strategia è nel concetto di “autonomia strategica aperta”: l’UE vuole inserirsi e rimanere nella scena mondiale collaborando con quanti più partner possibili, e intensificando la cooperazione transatlantica ma, allo stesso tempo, rimanendo autonoma e affermandosi come attore principale, senza trovarsi ad essere indifesa. In particolare, si ritiene che l’apertura e l’impegno rappresentino una scelta strategica che favorisce la prosperità, la competitività e il dinamismo.

A tal proposito, il Vicepresidente esecutivo, nonché Commissario per il Commercio, Dombrovskis, ha dichiarato, presentando la strategia, “Adottiamo un approccio aperto, strategico e assertivo, che sottolinea la capacità dell’UE di compiere le proprie scelte e di plasmare il mondo che la circonda attraverso la leadership e l’impegno, e che rispecchia i nostri interessi strategici e i nostri valori”.

Recovery Fund, i presidenti UE firmano il regolamento del dispositivo di ripresa e resilienza

EUROPA di

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE a metà dicembre hanno approvato il testo del Recovery Fund, il principale strumento previsto per bilanciare la crisi economica provocata dalla diffusione del Covid-19 in Europa. Dopo oltre un mese, è arrivata l’approvazione definitiva: il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato e adottato il regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza da 672,5 miliardi di euro. Si tratta dello strumento centrale, nonché della parte più cospicua, del Next Generation EU, il piano concordato lo scorso luglio dai leader europei. La presidente della Commissione Von der Leyen, il presidente del Parlamento Sassoli e il presidente di turno del Consiglio Costa, lasciano ora la palla in mano agli Stati membri, invitandoli a ratificare quanto prima la decisione sulle risorse proprie, sbloccando i fondi del Recovery Fund nel rispetto dei requisiti previsti.

L’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio

Il 10 febbraio 2020, riunito in sessione plenaria, il Parlamento europeo ha dato il via libera al dispositivo per la ripresa e la resilienza da 672,5 miliardi di euro. In particolare, il regolamento sugli obiettivi, il finanziamento e le regole di accesso al Recovery and Resilience Facility, è stato approvato con 582 voti favorevoli, 40 contrari e 69 astensioni, dunque la larga maggioranza dell’Eurocamera si è espressa a favore. Il giorno seguente, l’11 febbraio, anche il Consiglio dell’Unione europea, con presidenza portoghese, ha adottato il regolamento in questione, garantendo agli Stati membri la possibilità di attuare investimenti pubblici e riforme e, dunque, aiutandoli ad affrontare l’impatto della pandemia.

672,5 miliardi di euro, concessi con sovvenzioni e prestiti, verranno messi a disposizione degli Stati membri dell’UE per finanziare le misure nazionali necessarie a far fronte alla crisi economica, sociale e sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19. I finanziamenti saranno disponibili per tre anni e i governi europei potranno richiedere fino al 13% di prefinanziamento per i loro piani di ripresa e resilienza, che assumono ora un ruolo centrale.

Requisiti di ammissibilità e misure previste

Gli Stati membri avranno accesso allo strumento di ripresa e resilienza solo se i piani nazionali previsti garantiranno il rispetto dei requisiti. In primo luogo, i piani nazionali si dovranno incentrare sulle politiche chiave dell’Unione europea: transizione verde, biodiversità, trasformazione digitale, coesione economica e competitività, coesione sociale e territoriale, occupazione e crescita intelligente, nonché politiche per la prossima generazione. Inoltre, potranno ricevere i fondi previsti da questo dispositivo solamente quei paesi membri impegnati nel rispetto dello Stato di diritto e dei valori fondamentali dell’Unione europea. A tali requisiti base, verranno aggiunte di volta in volta nuove raccomandazioni a seconda delle priorità individuate nell’ambito del semestre europeo.

Tra i requisiti fondamentali, come detto, risultano gli obiettivi verdi e digitali. Considerati delle priorità, nel regolamento è stato specificato che almeno il 37% della dotazione di ciascun piano deve sostenere la transizione verde e almeno il 20% deve essere a supporto della trasformazione digitale. Più in generale, poi, tutte le misure incluse nei piani degli Stati membri dovrebbero rispettare il principio “non arrecare un danno significativo”, al fine di rispettare in toto gli obiettivi ambientali europei. A tal fine, il 12 febbraio la Commissione ha presentato le sue linee guida sull’attuazione di tale principio, con l’obiettivo di sostenere gli Stati membri nel garantire che tutti gli investimenti e le riforme previste dallo strumento di ripresa e resilienza non danneggino gli obiettivi ambientali europei, delineando i principi chiave e una metodologia ben precisa in materia. Il rispetto di questo principio è considerato una condizione preliminare per l’approvazione dei piani da parte della Commissione europea e del Consiglio.

Da ultimo, vista l’ingente quantità di denaro che verrà fornita agli Stati, è importante garantire l’impegno anche per adeguati sistemi di controllo volti a prevenire, individuare e correggere casi di corruzione, frode e conflitto di interessi.

La cerimonia della firma e la procedura di approvazione

Il 12 febbraio si è svolta la cerimonia della firma del regolamento sul dispositivo di ripresa e resilienza. “I cittadini e le imprese non possono aspettare, per questo lanciamo un appello ai parlamenti nazionali che possono accelerare e dare subito il via libera allo strumento che inietterà nelle economie dei 27 Stati Ue 750 miliardi di euro, e assicurerà che ci sia una ripresa europea, di tutti”. Queste le parole del presidente del PE Sassoli. Antonio Costa ha invece ricordato che l’ambizione è far approvare dalla Commissione Ue i piani nazionali definitivi entro fine aprile. All’appello dei due leader si è aggiunta anche la Von der Leyen, invitando gli Stati membri a ratificare quanto prima la decisione sulle risorse per dare il via libera al Next Generation EU. La presidente poi, ha sottolineato come questo sia “davvero un momento storico” e come nessuno stato membro da solo sarebbe stato in grado di gestire questa crisi economica.

Gli Stati membri, per presentare alla Commissione i loro piani per la ripresa e la resilienza, hanno tempo fino al 30 aprile 2021. Dopodiché, per i due mesi successivi, la Commissione valuterà i piani e il Consiglio, in un mese circa, dovrà adottare la sua decisione in merito all’approvazione di ciascun piano. Ad ogni modo, affinché i fondi possano diventare disponibili, i 27 Stati membri dovranno ratificare la decisione sulle risorse europee: è la decisione stessa ad autorizzare la Commissione a contrarre prestiti sui mercati dei capitali e sbloccare le risorse. Una volta terminati questi primi passaggi, ogni Stato membro otterrà un anticipo del 13% della cifra totale – per l’Italia circa 27 miliardi sui 209 totali – mentre le successive tranche saranno erogate ogni sei mesi a seguito delle valutazioni della Commissione europea sugli obiettivi stabiliti nel piano nazionale.

L’appello lanciato dai tre presidenti delle istituzioni europee è spinto dal fatto che, al momento, nessun paese europeo ha consegnato il proprio piano. 18 paesi membri hanno mandato una bozza definitiva che verrà analizzata dalla Commissione europea, ma la strada per ottenere le risorse è ancora lunga per tutti i 27 paesi dell’UE.

Fondo Sociale Europeo Plus, raggiunto l’accordo per il 2021-2027

EUROPA di

Il 28 gennaio il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo politico sul progetto di regolamento che istituisce il Fondo sociale europeo Plus, parte del bilancio europeo per il periodo 2021-2027. Il FSE+ contribuisce al finanziamento dell’attuazione dei principi dei diritti sociali: sosterrà gli investimenti nella creazione di posti di lavoro, nell’istruzione e nella formazione, nonché nell’inclusione sociale, nell’accesso all’assistenza sanitaria e nelle misure volte all’eliminazione della povertà. L’attuale FSE+ riunisce il Fondo sociale europeo, l’iniziativa per l’occupazione giovanile, il Fondo di aiuti europei agli indigenti e il programma per l’occupazione e l’innovazione sociale. L’accordo politico raggiunto verrà sottoposto all’approvazione degli ambasciatori degli Stati membri presso l’UE e alla Plenaria del Parlamento europeo.

Il Fondo sociale europeo

Il Fondo sociale europeo investe nei cittadini europei da oltre 60 anni. Contribuisce all’inclusione sociale, alle opportunità di lavoro, alla lotta alla povertà, all’istruzione, alle competenze e all’occupabilità dei giovani, nonché a migliori condizioni di vita, salute e società più eque. Allo stesso tempo, i singoli progetti e programmi sviluppati devono contribuire a migliorare la coesione economica, sociale e territoriale. Si tratta dunque del principale strumento di cui si avvale l’UE per promuovere l’occupazione e l’integrazione sociale. La crisi da coronavirus ha reso necessario un cambiamento anche in tale contesto: lo scorso maggio la Commissione ha presentato i cambiamenti dei programmi di finanziamento sociale dell’UE necessari per affrontare le sfide sociali e occupazionali nell’era post crisi; è stato previsto lo strumento REACT-EU per sostenere l’occupazione e sono state presentate delle modifiche relative al FSE+ nel quadro del futuro bilancio dell’UE per il periodo 2021-2027.

L’accordo raggiunto sul FSE+

Il nuovo Fondo sociale europeo Plus, composto dal Fondo sociale europeo, l’iniziativa per l’occupazione giovanile, il Fondo di aiuti europei agli indigenti e il programma per l’occupazione e l’innovazione sociale, rientra nel quadro finanziario pluriennale 2021-2027 con una somma di quasi 88 miliardi di euro circa.

La presidenza portoghese del Consiglio dell’UE e i membri del Parlamento europeo hanno raggiunto l’accordo politico sul progetto di regolamento che istituisce il FSE+: il fondo è stato proposto per la prima volta dalla Commissione europea nel 2018 proprio per essere inserito nel QFP del 2021 e con la pandemia da Covid-19 le sue misure sono state rafforzate. I gruppi negoziali che hanno discusso del FSE+ hanno concordato i requisiti relativi all’assegnazione delle risorse del FSE+ a livello nazionale in base agli obiettivi strategici del fondo, tra cui l’inclusione sociale, il sostegno ai giovani inattivi e così via.

Il supporto ai giovani e ai più vulnerabili

Il FSE+ investirà nei giovani, tra i più colpiti dalla crisi socioeconomica che ha causato il Covid-19: in molti Stati membri dell’UE, tra cui l’Italia, c’è un’alta percentuale di NEET, coloro che hanno tra i 15 e i 29 anni, non lavorano e non seguono un percorso scolastico o formativo. L’obiettivo è di destinare almeno il 12,5% delle risorse del FSE+ ad azioni concrete volte ad aiutare i giovani permettendogli di trovare un lavoro e conseguire una qualifica. A tal fine, è previsto che ogni Stato membro destini un importo adeguato ad azioni mirate a sostegno di misure per l’occupazione giovanile. Il FSE+ si occuperà, poi, di sostenere direttamente l’innovazione sociale nella sua nuova componente Occupazione e innovazione sociale, con una dotazione finanziaria di 676 milioni di euro.

Il Fondo sociale europeo plus, inoltre, sosterrà le persone più vulnerabili colpite dalla perdita di posti di lavoro e da diminuzioni di reddito: per questo motivo, è richiesto agli Stati membri di destinare almeno il 25% delle proprie risorse del FSE+ alla promozione dell’inclusione sociale. Per di più, verranno forniti prodotti alimentari e assistenza materiale di base alle persone indigenti con l’integrazione di FSE+ e FEAD, il fondo di aiuti agli indigenti. Infine, è previsto un forte investimento sui minori che hanno sofferto e soffriranno le conseguenze della crisi: la povertà infantile è un fenomeno molto diffuso negli Stati membri UE e per questo si richiede un investimento di almeno il 5% delle risorse alla lotta di questo problema in quegli Stati con un livello di povertà infantile superiore alla media europea; gli altri Stati membri dovranno comunque destinare un importo adeguato alla gestione di tale fenomeno.

Prossime tappe e dichiarazioni

Il 28 gennaio scorso è stato raggiunto l’accordo politico. Ciò significa che il Parlamento europeo e il Consiglio dovranno approvare formalmente il regolamento relativo al FSE+, che dovrà passare al vaglio anche dagli ambasciatori degli Stati membri che compongono il Coreper: solo allora potrà entrare in vigore.

Le istituzioni europee hanno mostrato un forte entusiasmo per il raggiungimento di tale accordo. Il ministro portoghese della Pianificazione ha affermato che “Il Fondo sociale europeo Plus fornirà un contributo decisivo per attenuare le conseguenze negative dell’attuale crisi promuovendo l’occupazione e riducendo i livelli di povertà, creando migliori opportunità per tutti, soprattutto per i giovani e i bambini. Anche i gruppi più vulnerabili saranno favoriti dal FSE+”. Valdis Dombrovskis, il Vicepresidente esecutivo per un’economia al servizio delle persone, ha dichiarato: “Questo strumento di finanziamento segnerà il nostro principale percorso per investire nelle persone e costruire un’Europa più sociale e inclusiva nel processo di uscita dalla crisi. Il FSE+ contribuirà a creare maggiori pari opportunità, un migliore accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro più eque e una protezione sociale rafforzata”.

Caso Navalny, la condanna dell’UE e le manifestazioni in Russia

EUROPA di

Lo scorso agosto, il principale oppositore del presidente Putin, Alexei Navalny, è stato ricoverato in terapia intensiva per un avvelenamento di cui è accusata la sicurezza russa. L’inchiesta internazionale è durata diversi mesi e per tutto il periodo della convalescenza Navalny è stato ospitato in Germania, pronto a fare rientro in Russia una volta migliorate le sue condizioni di salute. Consapevole dei rischi a cui andava incontro, Navalny ha deciso di tornare in patria domenica 17 gennaio ma, una volta atterrato all’aeroporto di Mosca, è stato subito fermato dagli agenti aeroportuali e consegnato alle autorità giudiziarie russe. Il suo arresto ha dato luogo a molte reazioni, scatenando una serie di proteste in Russia e forti prese di posizione da parte delle istituzioni europee.

Alexei Navalny, dall’avvelenamento all’arresto

Il più noto dissidente politico dell’attuale presidente russo Vladimir Putin, nonché uno dei migliori giornalisti investigativi, è al centro dell’attenzione già da diversi anni per la sua attività politica ed è stato più volte arrestato dalle autorità russe. Dopo anni di arresti, tentati omicidi e avvelenamenti, lo scorso 20 agosto, durante un volo tra Tomsk e Mosca, ha accusato dei malori, costringendo l’aereo ad un atterraggio di emergenza a Omsk. Non senza difficoltà è stato poi trasferito a Berlino, dove l’equipe di medici che lo ha preso in cura ha confermato l’avvelenamento avvenuto con una variante del novichok, un agente nervino di produzione russa: questa versione è stata poi confermata anche da altri laboratori indipendenti, nonché dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.

Navalny ha trascorso un primo periodo in coma, dopodiché si è risvegliato ed ha passato la sua convalescenza in Germania, consapevole che sarebbe voluto tornare in patria non appena possibile. Durante tutto il periodo, il governo russo ha ricevuto numerose accuse da parte della comunità internazionale e delle testate giornalistiche che hanno indagato in merito, fino a ricostruire gli spostamenti di agenti che per anni hanno pedinato l’oppositore di Putin. Sembrerebbe che degli agenti dell’FSB, il Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa, facciano parte di un gruppo clandestino specializzato nell’uso di tossine e sostanze velenose che seguiva Navalny sin dal 2017, dopo aver lanciato la sua candidatura alle presidenziali del 2018.

Pur consapevole della propria posizione rischiosa e convinto che dietro il proprio avvelenamento ci sia anche il presidente Putin, Navalny è comunque voluto tornare in Russia appena terminato il periodo di convalescenza. Fermato all’aeroporto di Mosca il 17 gennaio dalle autorità aeroportuali, Navalny è stato consegnato alle autorità giudiziarie russe che ne hanno disposto l’arresto in attesa di un’udienza che dovrà valutare l’accusa: secondo gli agenti, l’oppositore di Putin ha violato gli obblighi di una precedente sentenza detentiva che risale al 2014. Lo stesso governo russo aveva annunciato nei giorni precedenti al suo rientro che, una volta atterrato, sarebbe stato arrestato per questo motivo e nonostante la grande partecipazione popolare dei suoi sostenitori che lo attendevano in aeroporto, il suo destino è stato proprio questo, con una custodia cautelare di 30 giorni. Dopo 3 giorni, la polizia russa ha arrestato anche alcuni collaboratori di Navalny, tra cui la portavoce, gli avvocati e un altro membro dell’organizzazione.

Le reazioni dell’Unione europea

Non appena si è diffusa la notizia dell’arresto di Navalny, la comunità internazionale ha rinnovato la propria posizione in merito facendo sentire la propria voce e non sono mancate le accuse europee. In primo luogo, il Parlamento europeo ha preso una seria posizione adottando una risoluzione e richiedendo il rilascio “immediato e incondizionato” di quello che, a tutti gli effetti, è un prigioniero politico. In particolare, l’Eurocamera ha chiesto il rilascio anche di tutte le persone fermate in occasione del suo rientro in Russia, compresi giornalisti, collaboratori o cittadini che lo sostengono. Poi, tutti gli Stati membri sono stati invitati ad “inasprire sensibilmente le misure restrittive nei confronti della Russia”, anche sanzionando le persone fisiche e giuridiche coinvolte nell’arresto di Navalny. L’invito a tali sanzioni è stato poi allargato anche agli oligarchi russi legati al regime, nonché ai membri della cerchia di Putin. I deputati hanno anche chiesto una revisione della cooperazione con la Russia, in particolare sui progetti come il Nord Stream 2, chiedendo di fermare subito i lavori del completamento. La risoluzione è stata adottata con 581 voti favorevoli, 50 contrari e 44 astensioni: la stragrande maggioranza degli eurodeputati ha dunque preso una posizione ben precisa.

Il 25 gennaio, la questione di Navalny è stata al centro del Consiglio Affari Esteri dell’UE. L’Alto rappresentante dell’Unione europea Josep Borrell ha informato i ministri degli Esteri in merito alla Russia e alla detenzione di Alexei Navalny: il Consiglio ha condannato le detenzioni di massa e la brutalità della polizia durante le proteste in Russia ed ha invitato il paese di Putin a rilasciare quanto prima Navalny e i detenuti. In tale contesto l’Alto rappresentante ha informato i ministri che terrà una visita a Mosca prossimamente.

Anche la presidente della Commissione europea ha espresso la propria opinione in merito, chiedendo alle autorità russe di rilasciare immediatamente e garantire la sicurezza di Navalny, poiché “la detenzione di oppositori politici è contraria agli impegni internazionali della Russia”.

Nonostante tutti gli Stati membri condannino le azioni del governo russo, gli arresti da parte della polizia e il trattamento degli oppositori, non è semplice trovare una posizione comune sulle sanzioni. I Paesi Baltici, Polonia e Romania sono favorevoli alle sanzioni, così come l’Italia. Francia e Germania hanno mostrato una posizione meno netta verso le sanzioni, aspettando a sbilanciarsi in merito.

Le proteste in Russia

Dopo essere stato arrestato, Navalny ha lanciato sui propri social network un appello per far scendere in piazza i cittadini russi e manifestare contro il governo, con il preciso invito a “non tacere e resistere”. Dando seguito alla richiesta di Navalny, per il weekend del 23 e 24 gennaio sono state organizzate manifestazioni in più di 60 città russe tra cui Mosca, San Pietroburgo, Novosibirsk, che hanno portato a più di tremila arresti. La manifestazione principale è quella svolta a Mosca, vicino alle sedi delle istituzioni russe. Oltre migliaia di manifestanti hanno occupato le piazze e le strade principali provocando una forte reazione da parte della polizia che ha arrestato oltre mille persone. Non è mancata neanche in questo caso la reazione dell’UE: l’Alto rappresentante Borrell ha condannato gli arresti di massa, l’uso sproporzionato della forza e l’interruzione di internet e della rete telefonica.

Inizia la fine dell’era Merkel in Germania, Armin Laschet è il nuovo leader della CDU

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La CDU, l’Unione Cristiano-Democratica, lo storico partito tedesco guidato da Angela Merkel nonché la principale forza politica in Germania, ha scelto il nuovo leader, Armin Laschet. Governatore del Nord-Reno Vestfalia ed ex eurodeputato, è stato eletto dal congresso del partito che si è tenuto in modalità telematica, a causa della pandemia in corso, il 16 gennaio scorso. Angela Merkel sarà cancelliere della Germania fino a fine settembre, quando ci saranno le elezioni federali. Se sarà Armin Laschet il candidato a cancelliere tedesco per la CDU ancora non si sa, ma il partito ha comunque scelto la linea della continuità tra i segretari.

L’era Merkel

L’Unione Cristiano-Democratica, la CDU, è stata per 18 anni guidata da una delle più importanti donne nel panorama politico europeo, Angela Merkel. Dall’aprile del 2000 al dicembre del 2018 ha ricoperto il ruolo di leader nel partito che, al momento, è la principale forza politica in Germania. Nel 2005 è stata nominata Cancelliera a seguito delle elezioni federali, diventando la prima donna in Germania e una delle poche donne in Europa a ricoprire tale ruolo. Dopo aver governato ben quattro volte, complice anche una diminuzione di consensi del suo partito, ha annunciato nel 2018 che non si sarebbe ricandidata né alla presidenza del partito, né alle elezioni del 2021. Nello stesso anno ha lasciato il posto da leader della CDU, pur restando alla guida del governo tedesco: il 7 dicembre 2018 Annegret Kramp-Karrenbauer è stata eletta dal congresso quale leader del partito, mostrando una forte continuità con la linea politica della Merkel. Di fatto, pur avendo lasciato la guida del partito, Angela Merkel è rimasta alla guida del paese, governando secondo il proprio indirizzo politico e in continuità con la nuova leader, costretta ad annunciare le proprie dimissioni nel febbraio 2020 per uno scandalo.

Il vero passo in avanti, dunque, è arrivato con il nuovo anno. Il 16 gennaio vi sono state le elezioni del nuovo leader della CDU e l’attuale cancelliera ha già affermato di non partecipare alle prossime elezioni, rendendo il nuovo leader anche il probabile nuovo candidato a cancelliere.

Il congresso della CDU

Il Congresso dell’Unione Cristiano-Democratica si è riunito online il 15 e 16 gennaio con il compito di eleggere il nuovo leader del partito, probabile prossimo cancelliere tedesco. I candidati in lizza erano tre uomini, europeisti, centristi e nati nello Stato Nord-Reno Vestfalia. In particolare, Friedrich Merz, appartenente all’ala destra del partito e con posizioni anti-Merkel: conosciuto principalmente per il suo conservatorismo sulle questioni fiscali e per le sue posizioni dure sull’immigrazione; è vicino ai paesi frugali per quanto concerne il dibattito europeo sugli aiuti per l’epidemia da Covid-19, ma riconosce l’importanza di una politica estera europea coordinata e più efficace. Norbert Röttgen è il più giovane tra i candidati, già presidente della commissione Esteri del Bundestag, è tra i più esperti di politica estera del partito e tra le voci più credibili in materia. Da ultimo, Armin Laschet, più moderato e già primo ministro dello Stato della Renania Settentrionale: senz’altro la scelta di maggior continuità con Angela Merkel. Dopo 20 anni di leadership femminile, la competizione è stata tutta al maschile.

Il nuovo leader: Armin Laschet

Con 521 voti ottenuti al ballottaggio con Friedrich Merz, Armin Laschet, 59 anni, è stato eletto segretario dell’Unione Cristiano-Democratica. Dopo vent’anni di Angela Merkel tra partito e governo, continua a premiare il suo indirizzo politico: Laschet è infatti il candidato più in linea con l’attuale cancelliere tedesco e con la classe dirigente. Tuttavia, la votazione è stata tutt’altro che semplice e immediata. Al primo turno era in vantaggio Friedrich Merz di cinque voti, appoggiato dalla base della CDU e dalla maggior parte degli elettori. Al ballottaggio la situazione è cambiata totalmente: i voti che al primo turno sono andati sul terzo candidato, Norbert Röttgen, si sono riversati su Laschet, considerato parte dell’establishment e centrista, che è riuscito dunque a superare Merz, non senza polemiche da parte dei cosiddetti “merziani”.

Ex eurodeputato e attuale governatore del Land più popoloso della Germania, Laschet è stato appoggiato da gran parte del partito soprattutto nella competizione con il radicale Merz e da importanti figure quali Manfreb Weber, capogruppo del PPE a Bruxelles, nonché dall’ex segretaria della CDU. Dal suo programma emerge la volontà di rimanere un partito europeista e centrista, con lotta alla criminalità e al terrorismo come priorità in politica interna e promozione dell’europeismo e del multilateralismo in politica estera.

La corsa a cancelliere tedesco

Nonostante la vicinanza e la continuità tra Laschet e Merkel, non è affatto scontata la successione anche per il ruolo di cancelliere. Di norma, il leader della CDU ha accesso diretto alla corsa per cancelliere tedesco del partito ma, in questo caso, la situazione è più complessa del previsto e i nomi verranno svelati tra qualche mese. Ci sono altre figure come quella di Markus Söder, il leader della CSU in Baviera (partito fratello della CDU, con candidato in comune), o Jens Spahn, il Ministro della Salute che sta gestendo molto bene la pandemia, che risultano molto apprezzate nei sondaggi come futuri cancellieri, pur non avendo ancora confermato la loro volontà di candidarsi. Lo stesso Laschet non ha ancora sciolto le riserve e, data la situazione all’interno del partito, è difficile prevedere chi sarà a candidarsi al ruolo di cancelliere in vista delle elezioni federali del prossimo 26 settembre.

L’accordo globale UE-Cina in materia di investimenti

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Il 2020 è stato molto intenso per l’Unione europea e anche gli ultimi giorni dell’anno hanno visto le istituzioni europee molto impegnate. Sebbene gran parte delle attenzioni fosse per concludere l’accordo Brexit e dar via alle campagne di vaccinazione in tutta Europa, molta importanza è stata data anche all’accordo globale UE-Cina in materia di investimenti, raggiunto il 30 dicembre scorso e passato un po’ inosservato. Si tratta di un accordo in materia di investimenti che ha una grande rilevanza economica e contribuirà a riequilibrare le relazioni commerciali tra l’UE e la Cina, basandole sui valori comuni e sui principi dello sviluppo sostenibile.

Le relazioni UE-Cina

La conclusione dell’accordo di investimenti ha fatto seguito all’incontro in videoconferenza del 30 dicembre tra Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Xi Jinping, presidente cinese. A margine dell’incontro, si è tenuto anche uno scambio di opinioni tra il presidente francese Macron, la cancelliera tedesca Merkel e il presidente Xi Jinping. Tale riunione ha dato seguito al 22° vertice UE-Cina del 22 giugno scorso, nonché alla riunione dei leader in videoconferenza del 14 settembre e rientra nel più ampio approccio europeo alle relazioni con la Cina.

L’Unione europea e la Cina sono due dei maggiori attori commerciali al mondo: la Cina è il secondo partner commerciale dell’UE dopo gli Stati Uniti mentre l’UE figura come il primo partner commerciale della Cina. A fronte di ciò, è fondamentale per l’UE stabilire delle relazioni commerciali con la Cina, volte a garantire una convenienza reciproca negli scambi commerciali, che include anche la volontà di operare in modo equo, il rispetto degli stessi diritti e degli standard ambientali.

I negoziati per un accordo sugli investimenti sono iniziati nel 2013 proprio con l’obiettivo di fornire agli investitori cinesi ed europei un accesso a lungo termine, equo e prevedibile ai mercati dell’UE e della Cina, proteggendo i propri investitori. L’agenda strategica per la cooperazione UE-Cina del 2020 ha posto tale accordo al centro delle relazioni bilaterali, impegnandosi per la sua conclusione proprio entro il 2020, dopo 7 anni di negoziati e 35 round negoziali.

Gli elementi principali dell’accordo

Il Comprehensive Agreement on Investment, il CAI, è stato raggiunto come accordo “di principio” da Bruxelles e Pechino al fine di rendere più interdipendenti i due blocchi economici e rafforzare la cooperazione economica. Si tratta di un accordo di fondamentale interesse dal punto di vista commerciale: l’accordo garantisce agli investitori europei l’accesso a diversi settori del mercato cinese, dalle telecomunicazioni alla finanza e così via. L’accordo è molto importante per gli investitori europei in quando rende le condizioni di accesso al mercato per le imprese europee chiare e indipendenti dalle politiche cinesi ed altresì consente all’UE di ricorrere al meccanismo di risoluzione delle controversie in caso di violazione degli impegni. L’UE ha negoziato anche l’eliminazione di restrizioni che ostacolano l’attività delle imprese europee in Cina, garantendo un ambizioso accordo. Agli investitori cinesi ed europei verrà dunque assicurato un trattamento equo, senza condizioni discriminatorie e con condizioni di reciprocità tra investitori.

D’altra parte, l’accordo ha una valenza fondamentale anche dal punto di vista politico. Infatti, i vantaggi per la Cina sono di carattere più geopolitico: a poca distanza dalla conclusione dell’accordo commerciale con i paesi del Sud-Est asiatico, nonché Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, la Cina intensifica i propri rapporti commerciali anche con 27 paesi occidentali. Nell’ambito delle relazioni internazionali, è fondamentale che la Cina garantisca un clima più disteso con l’Europa, soprattutto alla luce dei consensi ottenuto dalla presidenza Biden-Harris nel vecchio continente.

I diritti umani e la tutela ambientale

Sebbene si tratti di un accordo commerciale e sebbene il volume degli scambi tra UE e Cina nel 2020 sia arrivato a 477 miliardi di euro, non si può ridurre tutto all’aspetto economico. Nell’ambito della negoziazione del CAI, si è parlato molto del rispetto dei diritti umani – in particolare contro il lavoro forzato – e delle disposizioni a tutela dell’ambiente e della lotta ai cambiamenti climatici. Lo stesso Parlamento europeo ha votato una risoluzione proprio per far sì che l’accordo includesse adeguati impegni in questo senso. Come tutti i più recenti accordi commerciali dell’Unione europea, anche nel CAI figurano disposizioni in materia di norme del lavoro, nonché in materia di ambiente e clima, in particolar modo per attuare efficacemente l’accordo di Parigi. I principi dello sviluppo sostenibile figurano, invero, tra i valori comuni sul quale il CAI si fonda. Tuttavia, è necessario sottolineare che, pur avendone tutte le intenzioni, non sempre l’UE riesce a garantire efficacemente il rispetto di tali disposizioni.

I prossimi passi

Il 30 dicembre è stato raggiunto un accordo “di principio”. Ciò significa che alla volontà politica europea e cinese di raggiungere tale accordo, dovranno seguire numerose fasi. Anzitutto, conformemente alle norme giuridiche, l’accordo dovrà essere firmato. Dopodiché si passerà alla ratifica dello stesso, fino alla sua conclusione effettiva. A partire dalla firma dell’accordo, le due parti mirano a concludere i negoziati entro due anni. A quel punto, entrerà in gioco il meccanismo di applicazione e monitoraggio: sarà la Commissione europea a monitorare l’attuazione degli impegni assunti dall’UE in merito all’accordo.

Per l’Unione europea l’accordo raggiunto “ha un grande significato economico e lega le due parti a una relazione sugli investimenti fondata sui valori e basata sui principi dello sviluppo sostenibile”, mentre per Xi Jinping, l’accordo “fornirà agli investimenti reciproci un maggiore accesso al mercato, un livello più elevato di ambiente imprenditoriale, maggiori garanzie istituzionali e una cooperazione più brillante”, stimolando anche “con forza la ripresa mondiale nel periodo post-epidemia”.

Il Portogallo guiderà il Consiglio dell’UE per i prossimi sei mesi

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Dal 1° gennaio al 30 giugno 2021 è il Portogallo a tenere la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Insieme alla Germania e alla Slovenia, il Portogallo è parte del trio che si alternerà alla guida del Consiglio: Angela Merkel ha così passato il testimone ad Antonio Costa, il premier portoghese, che guiderà l’istituzione europea presiedendo le riunioni e garantendo la continuità dei lavori europei in seno al Consiglio. Tra le priorità portoghesi figura l’importanza di mantenere un alto tasso di vaccinazioni, nonché introdurre gli strumenti per la ripresa economica e sociale europea e garantire la transizione verde.

Il funzionamento del Consiglio dell’UE

Il Consiglio dell’Unione europea prevede l’assegnazione della propria Presidenza a tutti gli Stati membri, ognuno per un periodo di sei mesi, che si alternano a rotazione a gruppi di tre. Il trio stabilisce un programma comune per i 18 mesi, sulla base del quale ogni paese porta avanti un programma semestrale più dettagliato. La collaborazione tra i paesi del trio è un sistema di fondamentale importanza introdotto con il trattato di Lisbona nel 2009 che permette al Consiglio dell’Unione europea di mantenere un determinato indirizzo nelle politiche svolte e nell’agenda dei lavori. Da luglio 2020 a gennaio 2021 la Germania ha presieduto il Consiglio dell’UE, passando il testimone al Portogallo a inizio 2021.

La Presidenza del Consiglio UE ha due compiti principali: pianificare e presiedere le sessioni del Consiglio e le riunioni degli organi preparatori, ad eccezione del Consiglio Affari Esteri, e rappresentare il Consiglio nelle relazioni con le altre istituzioni dell’Unione europea, lavorando in stretto coordinamento con il presidente del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

La presidenza del Portogallo

“Tempo di agire: per una ripresa equa, verde e digitale”. È questo il motto della presidenza portoghese, al quale si ispirano le priorità di Antonio Costa. In particolare, il programma del Portogallo si concentra su cinque diversi settori, i principali, in linea con gli obiettivi dell’agenda strategica dell’Unione europea. Rafforzare la resilienza dell’Europa, promuovere la fiducia nel modello sociale europeo, promuovere una ripresa sostenibile, accelerare una transizione digitale equa e inclusiva, riaffermare il ruolo dell’UE nel mondo, facendo in modo che sia basato su apertura e multilateralismo.

Come affermato, le priorità del Portogallo e l’agenda stabilita per questo semestre si rifanno a quella prevista dal trio e, più in generale, ai valori e alle azioni dell’UE. Le priorità rimangono le stesse anche con il cambiare della presidenza: la lotta al covid-19 e l’intensificazione della resilienza dell’UE, l’importanza della transizione verde e digitale e affermare il ruolo dell’UE sono tra le priorità di tutte le istituzioni europee. In particolare, se la presidenza tedesca si è trovata nel pieno della pandemia e degli accordi complessi da negoziare (recovery fund, bilancio pluriennale, Brexit), la presidenza portoghese si concentrerà sul superamento della pandemia di Covid-19 e sulla distribuzione dei fondi europei, promuovendo altresì un’UE innovativa e solidale, con i valori della convergenza e della coesione. “Ottimo incontro per il passaggio del testimone della presidenza di turno del Consiglio Ue con la cancelliera Angela Merkel. Abbiamo concordato sull’importanza di mantenere un alto tasso di vaccinazioni e mettere in campo gli strumenti per la ripresa economica e sociale” ha scritto il premier portoghese su Twitter, riaffermando la vicinanza di intenti con la Germania. Il Portogallo dovrà anche vigilare sul rispetto delle norme ambientali e del Green Deal europeo, soprattutto nell’ambito della ripresa economica degli Stati membri. La ripresa economica si vuole, invero, far conciliare in toto con la sostenibilità socio-ambientale, in modo del tutto fedele alla posizione politica del premier portoghese, ex segretario del Partito socialista. Quanto alla Brexit, tema molto caldo a Bruxelles, l’ambasciatore portoghese presso l’Ue ha affermato che tutti si augurano “che l’Eurocamera approvi l’accordo post Brexit il prima possibile, nell’ambito di uno spirito di leale cooperazione con il Parlamento europeo”.

La visita di Charles Michel a Lisbona

Lunedì 4 gennaio sono iniziati i lavori della presidenza portoghese con la prima riunione di coordinamento Coreper, al fine di preparare la settimana di lavoro mentre, il giorno seguente, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel si è recato in visita a Lisbona per l’avvio del semestre portoghese. “Questi sono tempi difficili, ma possiamo uscirne più forti solo se combattiamo il Covid insieme e uniamo i percorsi di ripresa economica”, ha scritto Michel su Twitter a proposito. L’incontro di lavoro è stato poi seguito da una breve visita al monastero di Jeronimos, dove nel 1985 è stato firmato il Trattato di adesione del Portogallo all’allora Comunità economica europea.

Il Portogallo rimarrà in carica fino al 30 giugno 2021, dopodiché la presidenza del Consiglio dell’UE passerà alla Slovenia, il terzo dei tre paesi protagonisti nel 2020-2021.

Vax Day, l’Europa si vaccina contro il Covid-19 ma non senza polemiche

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La diffusione del Covid-19 in Europa, sin dall’inizio, ha avuto come conseguenza principale la necessità di garantire quanto prima l’inizio delle vaccinazioni in Europa e nel mondo, così da garantire la sicurezza e la salute dei cittadini. Dopo intensi mesi di studi e sperimentazioni, e dopo aver raggiunto le 16 milioni di persone contagiate, il 21 dicembre la Commissione europea ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio per il vaccino anti Covid-19 sviluppato da BioNTech e Pfizer, a seguito dell’approvazione dell’agenzia europea per i medicinali. Nell’ambito della strategia sui vaccini contro il coronavirus, la Commissione europea ha dato il via alla campagna di vaccinazione in Europa, iniziata nei giorni 27-28-29 dicembre 2020. Gli Stati membri hanno, dunque, attuato i piani nazionali di vaccinazione e dato inizio al Vax Day, ma non senza polemiche.

La strategia sui vaccini contro il Covid-19

La risposta più efficace contro la diffusione del Covid-19 è senz’altro lo sviluppo e la distribuzione di un vaccino: per questo, al centro della risposta europea alla pandemia, vi è proprio la strategia sui vaccini. La Commissione europea e gli Stati membri hanno concordato, sin da subito, un’azione congiunta a livello europeo in materia di vaccini, così da garantire un approccio centralizzato per l’approvvigionamento e lo sviluppo dei vaccini. In primo luogo, importanti finanziamenti sono stati fatti proprio a tale scopo; poi, la Commissione europea ha concluso accordi di acquisto preliminare con i produttori di vaccini per conto degli Stati membri, garantendo che tutti gli Stati membri dell’UE avrebbero avuto uguale accesso ai vaccini, con una distribuzione proporzionale alla popolazione. A tal fine, sono stati conclusi sei contratti di acquisto del vaccino con diversi produttori tra cui BioNTech-Pfizer, AstraZeneca, CureVac, Moderna e così via. A ottobre 2020 la Commissione europea ha invitato gli Stati membri a preparare le strategie nazionali di vaccinazione, così da farsi trovare pronti e preparati una volta avvenuta l’approvazione del vaccino, risalente a fine dicembre 2020.

L’autorizzazione del primo vaccino e l’inizio della campagna in Europa

Lo scorso 21 dicembre, la Commissione europea ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata – quando il beneficio della disponibilità immediata è superiore ai rischi connessi – per il vaccino anti Covid-19 sviluppato da BioNTech e Pfizer, divenuto il primo vaccino autorizzato in Europa. L’autorizzazione della Commissione europea è seguita all’approvazione del vaccino da parte dell’agenzia europea per i medicinali, che tuttavia ha richiesto alle aziende produttrici di fornire ulteriori dati su sicurezza ed efficacia quanto prima, e ha posto le basi per l’inizio della campagna vaccinale in UE.

La Commissione e l’azienda farmaceutica hanno iniziato a lavorare per consegnare le prime dosi il 26 dicembre, così da dare inizio alle giornate europee della vaccinazione previste per il 27, 28 e 29 dicembre. Le consegne poi proseguono fino alla fine di dicembre e avranno una cadenza settimanale costante nei mesi successivi. L’obiettivo è di completare la distribuzione di 200 milioni di dosi entro settembre 2021 e portare a termine così le vaccinazioni.  Il 26 dicembre la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha annunciato l’avvenuta consegna del vaccino ai 27 paesi membri dell’UE, confermando l’inizio della campagna vaccinale per il 27 dicembre, il Vax Day. “Stiamo iniziando a voltare pagina in un anno difficile. Il vaccino è stato consegnato. La vaccinazione inizierà domani nell’Ue” ha scritto su Twitter la presidente della Commissione europea, “Le Giornate europee della vaccinazione sono un toccante momento di unità. La vaccinazione è la chiave per uscire dalla pandemia”, ha poi aggiunto.

Se non sempre l’azione degli Stati membri dell’UE è stata contraddistinta dall’unità, questa volta non si può dire che non ci sia stata un’azione comune. Iniziare le vaccinazioni quasi tutti nello stesso giorno – Germania, Slovacchia e Ungheria hanno iniziato sabato 26 – è stato un importante gesto di unità e collaborazione. Il Commissario europeo agli affari economici Gentiloni lo considera “un giorno di speranza”, mentre per il Primo ministro italiano Conte si tratta di “un messaggio di fiducia che si irradia in Italia e in Europa”.

Le polemiche dietro il Vax Day

Tuttavia, anche in questo caso, non sono mancate differenze e polemiche. Ogni Paese ha fissato le proprie priorità nei piani di vaccinazione e, quasi in tutti i paesi, i primi a poter ricevere le dosi di vaccino sono operatori sanitari, anziani e persone malate. Se in Italia la prima dose di vaccino è stata somministrata ad un’infermiera ed in Francia ad un’anziana signora, in Grecia e in Repubblica Ceca sono stati i primi ministri ad iniziare e a farsi immortalare dalla stampa. Ad ogni modo, il vero elemento di discussione e polemica, in special modo in Italia, è stato il numero delle dosi ricevute da ogni Paese. La Germania, sede della BioNTech, ha avuto 151.125 dosi di vaccini, la Francia 19.500 dosi, mentre paesi come l’Italia, la Spagna, la Croazia, la Bulgaria e altri Stati membri hanno avuto 9.750 dosi. Queste polemiche sono state messe a tacere dal commissario italiano per l’emergenza Arcuri, il quale ha negato ogni forma di discriminazione nei confronti dell’Italia, sostenendo che “I contratti con le aziende produttrici dei vaccini sono stipulati direttamente dalla Commissione Europea per conto di tutti i Paesi membri e ogni Paese riceve la quota percentuale di dosi in proporzione alla popolazione”. Dunque, se molti Stati membri hanno ricevuto, per il momento, meno dosi di vaccino, con tutta probabilità ne riceveranno di più nel prossimo periodo. Un effettivo problema per la riuscita della campagna di vaccinazione, dunque, non è tanto il numero delle dosi ricevute, quanto il numero delle persone effettivamente disposte a farsi vaccinare: in molti paesi europei gran parte dei cittadini sono scettici sul vaccino e questo è un ostacolo importante per la validità della campagna europea.

Brexit, slitta di nuovo l’ultima scadenza per l’accordo

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Il 13 dicembre 2020 era la data prevista dall’Unione europea e dal Regno Unito per definire un accordo commerciale fra le parti in vista dell’uscita definitiva del Regno Unito dall’UE. Come prevedibile, anche quest’ultima scadenza è stata rimandata, le trattative per l’accordo commerciale proseguiranno ancora e sembra difficile che possa entrare in vigore il 1° gennaio 2021. A prendere questa decisione sono state le principali figure coinvolte: la presidente della Commissione europea Von der Leyen e il primo ministro britannico Johnson. La Commissione europea farà il possibile per negoziare un accordo nei tempi ma, vista la situazione, sono state presentate una serie di misure di emergenza per prepararsi ad un eventuale scenario di no deal.

Gli ultimi tentativi di negoziazione

Il Regno Unito è uscito dall’UE il 31 gennaio 2020 e, in quel periodo, entrambe le parti hanno concordato un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2020, durante il quale il diritto dell’UE avrebbe continuato ad applicarsi in UK. Il periodo di transizione era particolarmente importante per negoziare i termini del futuro partenariato tra le parti ma, ad oggi, l’esito è ancora incerto. Le divergenze di fondo tra le parti e la pandemia di Covid-19 non hanno di certo reso la strada più facile.

Dai primi giorni di dicembre, sono diverse le occasioni che Ursula Von der Leyen e Boris Johnson hanno avuto per incontrarsi o svolgere telefonate in vista dell’ultimo tentativo di negoziare l’accordo per la Brexit. Dopo aver sospeso i negoziati per le divergenze tra le due parti, Londra e Bruxelles si sono accordati per provare a riavviare le trattative un’ultima volta. La scadenza è ufficialmente il 31 dicembre 2020, ma in realtà c’è bisogno di avere un accordo commerciale già dai prossimi giorni se si considerano gli aspetti tecnici di approvazione del testo. In caso di mancato accordo commerciale, sarà il no deal a prevalere: nessun accordo. Uscire dall’UE senza accordo sarebbe un disastro per l’economia britannica, a partire dai dazi che saranno imposti sui prodotti, fino a danneggiare anche i paesi europei che hanno particolari rapporti con il Regno Unito, come ad esempio l’Irlanda, nonché l’intero settore bancario inglese.

Il piano di emergenza della Commissione europea

La Commissione europea riconosce la complessità della situazione Brexit e, per quanto si impegni a raggiungere un accordo reciprocamente vantaggioso con il Regno Unito, ammette l’incertezza sulla possibilità che il 1° gennaio 2021 ci sarà un accordo in vigore. Per questo motivo, il 10 dicembre sono state presentate una serie di misure di emergenza mirate, con lo scopo di garantire una reciprocità di base dei collegamenti aerei e stradali tra l’UE e il Regno Unito, nonché per l’accesso delle navi europee e inglesi. Queste misure non sostituiranno di certo l’accordo commerciale, che continua ad essere auspicato dalla Commissione, bensì avranno lo scopo di gestire il periodo in cui vi sarà un no deal.

In particolare, sono quattro le misure di emergenza che la Commissione europea ha presentato per attenuare le gravi perturbazioni che si verificheranno dal 1° gennaio. In primo luogo, è stata fatta una proposta di regolamento che garantisca la fornitura di determinati servizi aerei tra il Regno Unito e l’Unione europea per sei mesi, a condizione che anche il Regno Unito attui le stesse garanzie. Di seguito, nell’ambito della sicurezza aerea, è stato presentata una proposta al fine di garantire l’utilizzo ininterrotto dei certificati di sicurezza sugli aeromobili, evitando il fermo operativo degli aeromobili europei. Poi, si vuole garantire per sei mesi la connettività di base del trasporto stradale di merci e passeggeri europei e inglesi. Infine, è stata presentata una proposta di regolamento volta a definire il quadro giuridico appropriato fino al 31 dicembre 2021 o fino alla conclusione di un accordo di pesca con il Regno Unito, che garantisca l’accesso reciproco delle navi dell’UE e del Regno Unito nelle acque delle due parti.

L’incontro del 13 dicembre e la posizione del Parlamento europeo

Il 13 dicembre, Ursula Von der Leyen e Boris Johnson hanno avuto una telefonata ufficiale a seguito della quale è stata rilasciata una dichiarazione congiunta. Ancora una volta e sempre più a ridosso del termine, anche l’ultima scadenza è stata rinviata. Si è deciso di concedere una ulteriore proroga ai negoziatori europei e inglesi e, al momento, non si può dire con certezza di essere vicini ad un accordo. Un primo elemento di difficoltà è senz’altro il level playing field, le regole sulla concorrenza equa tra imprese: i negoziatori europei hanno richiesto una clausola per il mantenimento di elevati standard ambientali e lavorativi, i negoziatori inglesi ritengono tale clausola troppo allineata agli standard europei. Anche la questione della pesca è particolarmente importante, mentre la terza questione aperta è quella del meccanismo di risoluzione delle controversie legali.

Ad abbreviare ancora di più i tempi della scadenza, come noto, sono gli aspetti tecnici di approvazione dell’accordo commerciale: una volta raggiunto, l’accordo dovrà essere esaminato dai consulenti legali delle parti e approvato dal Parlamento europeo in seduta plenaria. A tal proposito, la conferenza dei presidenti di delegazione del Parlamento ha affermato che esaminerà un accordo su Brexit, in tempo utile per il 1° gennaio 2021, solo se questo arriverà entro la mezzanotte del 20 dicembre. La questione rimane, dunque, ancora una volta, del tutto aperta.

Flaminia Maturilli
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