Elezioni USA 2020, perché Biden attacca Trump per la gestione Nato

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Si arricchisce di spunti di riflessione la corsa elettorale negli Stati Uniti, dove il 3 novembre i cittadini americani saranno chiamati a eleggere il quarantacinquesimo capo della Casa Bianca. Questa che verrà si appresta ad essere una delle elezioni più accese della storia del paese, oggi diviso sia dai temi sociali interni che negli ultimi mesi sono emersi in modo prepotente, ma anche dalle questioni strategiche che, anche se più lontane dai cittadini, restano comunque rilevanti per un paese che esercita una larga scala di interessi strategici a livello mondiale; lo scontro fra i due candidati, Donald Trump e Joe Biden, rappresenta un passaggio importante qualunque sia l’esito.

Entrambi hanno dietro un bagaglio politico considerevole, conoscono entrambi i meccanismi di governo della Casa Bianca, Trump perché è alle soglie del suo secondo mandato mentre Biden perché in caso di vittoria tornerebbe a Washington dopo l’esperienza di vice presidente durante la presidenza di Obama. Sono rare le affinità e molti i punti contrastanti, soprattutto per quanto riguarda la politica estera, come la gestione delle relazioni con l’Unione Europea e la Nato, organizzazione che lega Washington e Bruxelles nel settore della difesa.

Ed è proprio sull’operato di Trump in materia Nato che il democratico Biden non si è risparmiato. Durante una raccolta fondi della sponda democratica l’ex senatore del Delaware ha accusato il presidente di aver danneggiato la coesione in sede atlantica; ad infiammare quindi il dibattito elettorale su questo nodo così importante ha dichiarato: “se sarò eletto alla Casa Bianca, il primo giorno telefonerò ai Paesi Nato e dirò ‘siamo tornati’, non abbandoniamo i nostri amici, non tratteremo l’Alleanza come un racket di estorsioni”. Prosegue ancora: “Trump ha abbracciato delinquenti e dittatori e ha conficcato le dita negli occhi dei nostri alleati .. ma alla Cina dirò che deve rispettare le regole del comportamento internazionale, non dobbiamo entrare in conflitto con Pechino”. 

Le accuse mosse dall’ex vicepresidente sono molto mirate e afferiscono alla direzione della politica estera sotto la guida del tycoon americano; non è un segreto che quest’ultimo abbia irrigidito nell’arco del suo mandato i rapporti con i paesi oltreoceano. I principali motivi del gelo attengono al modo in cui Washington ha, a prescindere poi dai risultati ottenuti, condotto i propri affari internazionali nonché i rapporti all’interno del Patto Atlantico.

Con riferimento agli ultimi un caso che può essere analizzato e inquadrato come oggetto di accuse da parte di Biden è la questione sulle spese dei Paesi Nato in termini di difesa; sia chiaro che già dal 2014, ovvero prima della presidenza Trump, era stato convenuto in sede Nato che i paesi avrebbero dovuto spendere annualmente il 2% del proprio Pil, e che quest’incremento è sempre stato caldeggiato dagli Stati Uniti, il maggior contribuente. Ciononostante dall’elezione di Trump questo tema sospeso ha acuito il distacco tra i paesi europei e gli Stati Uniti, distacco mostrato poi anche in sede pubblica nel 2019 durante il 70imo summit Nato, quando il presidente Trump lasciò prima del previsto il vertice e non senza ricordare la questione spesa. 

Ad oggi l’ultimo atto di ‘fuoco amico’ risale a luglio; il presidente Trump infatti ha da poco ordinato il ritiro di 6.400 soldati dalla Germania per mostrarsi intransigente di fronte agli impegni non rispettati dai paesi europei, primo fra tutti Berlino che nel 2019 aveva contribuito solo con l’1.38% del proprio Pil. Il taglio del contingente USA in Germania è stato recepito dall’Europa come un indebolimento della cooperazione atlantica sul fronte più importante nel quadrante europeo, quello russo, prima rinforzato dalla Casa Bianca in seguito all’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014. A unire la ‘minaccia’ russa e la questione sul contributo annuale dei paesi Nato si ravvisa che nel 2019, fatta eccezione per Regno Unito, Grecia e Stati Uniti, gli unici ad aver contribuito al Patto per oltre il 2% del proprio Pil sono stati i paesi dell’Europa Orientale, ovvero Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania e Romania, proprio quelle nazioni che nel passato rientravano nel mondo sovietico e che tutt’ora temono di poter tornare sotto l’egemonia russa.

Così il Patto Atlantico, istituito dopo la seconda guerra mondiale nel contesto del bipolarismo USA-URSS per evitare che la seconda potesse attirare l’Europa sotto la propria influenza, potrebbe, a detta di alcuni esperti, mutare o nella più lontana delle ipotesi cessare di esistere. Del resto se prima dell’elezione di Trump la politica estera americana ed europea erano concordi nelle scelte, dal 2017 gli Stati Uniti hanno mirato a fare una politica estera non sempre condivisa; un esempio può essere la scelta della Casa Bianca di trasferire la propria ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, una decisione che la Commissione Europea ha dichiarato divisiva per non aver rispettato le risoluzioni di diritto internazionale nonché l’auspicata ‘soluzione dei due stati’. 

Le accuse che l’ex vice di Obama muove al presidente uscente sono pesanti, riguardano più fronti, a partire dalla vicenda del ‘RussiaGate’ fino all’apertura a paesi considerati da Biden contro i valori USA; effettivamente il timore dei leader europei è che Trump, se rieletto, possa deteriorare ulteriormente i rapporti con i partner della Nato così confermando ciò che gli stessi avevano paventato in sede europea, ovvero l’inizio di una nuova fase di politica estera per l’Unione Europea, senza contare sull’appoggio d’oltreoceano.

Bookreporter Settembre

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