IRAN: dalle proteste di novembre alla pandemia, con le denunce dell’OMPI e la condanna dell’UE

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Secondo l’Organizzazione dei Mojahedin del popolo iraniano l’emergenza pandemica ha permesso al regime di rafforzare il proprio potere nonostante gli errori commessi e soprattutto far passare in secondo piano il malessere del popolo. Qalibaf eletto Presidente del Parlamento. L’Unione Europea condanna le dichiarazioni su Israele di Khamanei.

La pandemia di coronavirus che ha colpito duramente la Repubblica Islamica iraniana ha inflitto pesante conseguenze all’economia del Paese, già intensamente provata dalle sanzioni americane e da alcune carenze strutturali. I casi sono tornati a crescere e il portavoce del Ministero della Salute, Kianoush Jahanpour, ha affermato come la situazione non debba essere considerata normale e come alcune zone del Paese vivano un momento critico. Il viceministro della salute ha definito Teheran “il tallone d’Achille del Paese”, la città ha una densità abitativa molto alta. Secondo i dati ufficiali, altri 57 persone sarebbero morte a causa del nuovo virus nelle ultime 24 ore portando il totale a quasi 7.800 vittime. I nuovi contagi sarebbero 2.282 con il totale dei casi che sale a 149.000.

Il primo caso di coronavirus è stato registrato lo scorso 19 febbraio nella città santa di Qom, e da allora il contagio è cresciuto in maniera esponenziale diffondendosi in tutte le province  del Paese fino a far diventare l’Iran uno dei principali epicentri della pandemia e il focolaio del Medio Oriente. Il governo ha iniziato ad allenare il lockdown, dapprima fuori Teheran e poi anche nella capitale, per evitare il collasso dell’economia.

Elezioni di febbraio e la vittoria dell’astensionismo

Le elezioni di febbraio si sono concluse con una netta vittoria dell’ala conservatrice. Ma la vittoria è stata solo sulla carta, perché alle urne è avvenuto ciò che più si temeva: solo il 42% degli iraniani (il minimo storico di affluenza dalla rivoluzione del 1979) si è recato alle urne per il rinnovo del Majlis, depotenziando in questo modo la vittoria dei conservatori. Un astensionismo già in parte annunciato nelle settimane precedenti da moderati e riformisti, in polemica con le bocciature della maggior parte  dei loro candidati dal parte del Consiglio dei Guardiani, che in Iran decide sull’ammissibilità dei candidati.

Solo quattro elettori su dieci si sono recati alle urne nel Paese, solo uno su quattro a Teheran. Le percentuali sono le più basse della storia  della Repubblica islamica, la cui credibilità fra i propri cittadini è stata scossa negli ultimi mesi da una serie  di eventi tragici: in particolare dalla morte di Soleimani e dall’abbattimento per errore dell’aereo civile ucraino.

La scarsa affluenza alle urne ha contribuito alla conquista del Parlamento da parte dei conservatori: il partito Usulgaran si è assicurato oltre il 70% del totale dei seggi dell’Assemblea. Qualche giorno fa il deputato fondamentalista ed ex sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Qalibaf è stato eletto Presidente del Parlamento, con una maggioranza di voti di 230 deputati. Qalibaf, che è stato anche capo della polizia, ha promesso di contrastare l’impostazione “moderata” del Presidente del Paese, Hassan Rouhani, in politica economica ed estera; molti lo indicano come il possibile successore dello stesso Rouhani.

Rivolte per la libertà

Le proteste sono scoppiate a metà novembre dopo la decisione improvvisa delle autorità iraniane, sotto pressione per le sanzioni introdotte dagli statunitensi dopo lo strappo sull’accordo nucleare, di razionare il petrolio e di ridurre i sussidi all’industria petrolifera, provocando un rapido aumento del prezzo del petrolio. Dopo pochi giorni le proteste si sono diffuse in tutto il Paese, arrivando ad interessare oltre cento città, ma è stato molto complicato ottenere informazioni precise: dopo pochi giorni il governo ha bloccato internet, impedendo la circolazione di notizie, per poi ripristinarlo dopo una settimana circa. A quel punto hanno iniziato a circolare diversi video sui social network che mostravano il lato oscuro delle proteste: persone feriti e forze dell’ordine che sparano sui manfestanti. Secondo un’inchiesta firmata da Reuters i morti seguiti alla repressione delle proteste sarebbero stati oltre 1.500. La stessa guida suprema, Ali Khamenei, pare abbia dato l’ordine di fare tutto il necessario per porre fine alle rivolte. L’inchiesta è stata etichettata come “falsa propaganda messa in circolazione dagli Stati Uniti” dal Supremo Consiglio.

La disaffezione popolare nei confronti della politica interna sta ormai diventando un fattore ricorrente in Iran. In seguito agli eventi di novembre, nel mese di gennaio, una nuova ondata di proteste è scoppiata dopo l’ammissione di responsabilità da parte delle autorità centrali dell’abbattimento del volo civile della Ukrainian Airline.

Per cercare di scongiurare una nuova ondata di insoddisfazione, le istituzioni stanno cercando di recuperare la retorica incentrata sulla resistenza del popolo iraniano di fronte alle sfide proveniente dall’esterno, a cui i governanti hanno spesso fatto ricorso nei momenti più complicati della storia recente del Paese. In quest’ottica, incolpare il ruolo di forze straniere in determinati eventi, in primis gli Stati Uniti, si inserisce nel tentativo di voler compattare il popolo attorno alla bandiera del nazionalismo puntando su un sentimento di identità nazionale per spingere le persone ad accettare eventuali sacrifici per il bene del Paese.

Il ritiro dalla guerra siriana

Secondo dichiarazione rilasciate dal governo israeliano nelle prime settimane di maggio, pare che l’Iran abbia iniziato a ritirare i propri uomini dalla Siria, e soprattutto abbia allontanato le proprie milizie  dalle aeree siriane  più vicine al confine con Israele. Secondo Israele l’Iran si sarebbe trasformato da risorsa in un peso per la Siria. In verità l’Iran è stato decisivo per mantenere in piedi il presidente Assad e il suo regime: Teheran ha inviato in Siria non solo i suoi uomini migliori, ma ha anche mobilitato migliaia di combattenti dell’Hezbollah iraniano, e di gruppi sciiti provenienti da Iraq e Afganistan.

La denuncia da parte dell’OMPI/MEK

L’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo iraniano, l’asse principale della resistenza iraniana, tramite la sua ampia rete all’interno dell’Iran, continua a denunciare la politica portata avanti dall’attuale governo della Repubblica islamica. Secondo la leader, Maryam Rajavi, “la Suprema Guida Khamenei sta tentando di trarre vantaggio dall’attuale emergenza sanitaria per poter preservare il proprio regime”. In una dichiarazione rilasciata sul proprio sito si legge che “il regime dei mullah ha tentato di nascondere il malcontento sotto le ceneri con una fitta censura sulla crisi del coronavirus” oltre ad occultare una cattiva gestione dell’emergenza; il numero dei contagiati e delle vittime sarebbe decisamente superiore a quello ufficiale: si parla di oltre 40.000 vittime (un numero sei volte maggiore rispetto alle quasi 8.000 dichiarate dal governo).

L’OMPI sottolinea come di recente l’ex presidente del Comitato parlamentare del regime  per la Sicurezza e la Politica estera, Heshmatollah Falahatpisheh, abbia rilasciato un’intervista in cui dichiara che l’Iran abbia speso all’incirca 20-30 miliardi di dollari nella guerra in Siria; denaro, che insieme agli introiti derivanti dall’industria petrolifera, dovrebbe essere utilizzato per il benessere della società civile e non per sopprimerla come durante le proteste di novembre, continua la nota.

Secondo la Resistenza iraniana l’economia del regime è sull’orlo del collasso: l’economia si sta contraendo del 9%, il tasso di inflazione varia dal 50% al 60%, il bilancio ha un deficit del 50% e la svalutazione della valuta nazionale continua. Sotto la pressione delle proteste sociali e dei fallimenti politici ed economici, l’intero regime è stato reso debole e impotente. I portavoce e i funzionari del regime non possono fare altro che mentire. Le istituzioni sono impegnate in lotte interne e litigi e Khamenei sta preparando il terreno per abbattere il governo di Rouhani.

L’UE condanna le minacce di Khamenei su Israele

Intanto qualche giorno fa è arrivata la condanna da parte dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea e dell’Alto Rappresentante Josep Borrell per le dichiarazioni di Khamenei che mettono in discussione la legittimità di Israele. “Tali dichiarazione sono totalmente inaccettabili e incompatibili con l’obiettivo” di garantire che “la regione sia stabile e pacifica”. “L’UE ribadisce il proprio impegno a favore della sicurezza di Israele”, si legge in tweet del portavoce di Borrell, Peter Stano.

La Guida suprema iraniana  nel suo discorso per la Giornata di Qods aveva detto che “il jihad e la lotta per liberare la Palestina sono doveri islamici. Il principale obiettivo di questa lotta è la liberazione di tutte le terre palestinesi e il ritorno dei palestinesi alla loro patria”. “I gruppi jihadisti devono essere organizzati e si devono espandere nelle terre palestinesi, perché i sionisti capiscono solo il linguaggio della forza. Il virus sionista sarà presto estirpato”, dichiara Khamenei.

 

Di Mario Savina

Bookreporter Settembre

Mario Savina, analista geopolitico, si occupa di Nord Africa e Medio Oriente. Ha conseguito la laurea in Lingue e letterature straniere all’Università di Bologna, la laurea magistrale in Sviluppo e Cooperazione internazionale a La Sapienza, dove ha ottenuto anche un Master II in Geopolitica e Sicurezza globale. Su European Affairs scrive nella sezione Medio Oriente.

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