Qualche riflessione per prepararci al prossimo 2 giugno

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Una delle tante evoluzioni delle Frecce Tricolori

Tra qualche giorno in occasione del 2 giugno,  festa della Repubblica, le Frecce Tricolori – orgoglio nazionale – sorvoleranno i cieli d’Italia. 
La consueta parata militare non si potrà tenere per ovvi motivi di sicurezza dei militari che sfilano e del pubblico che potrebbe assembrarsi per ammirarli.
Sicuramente il volo delle frecce tricolori sarà criticato da qualche antimilitarista, più o meno sabotatore della politica di difesa nazionale, che lamenterà il costo esoso del carburante dei velivoli e che coglierà l’occasione per ribadire quanto sia costosa oggi la difesa in Italia, gli F35, e in generale tutto ciò che sia riferibile allo specifico comparto (diceva il Vate: “non timeo culices!”)
La parata non si terrà, e direi anche giustamente. 
Mi rattrista però pensare che, qualora non ci fosse stata l’epidemia, la parata si sarebbe tenuta con l’ormai consueta e trendy dimostrazione di austerity. 
Mi spiego meglio: da tanti anni ormai la parata si celebra con sempre meno reparti militari in campo, sempre meno carri armati, sempre meno missili, e sempre più componenti civili che sfilano unitamente agli appartenenti al comparto difesa e sicurezza. 
In pratica, bisogna far vedere a tutti che abbiamo delle Forze Armate, ma bisogna vergognarsi di far vedere quante ne abbiamo, quante indennità di missione siano state liquidate al personale per intervenire alla parata, e comunque bisogna mostrarsi militari, ma non troppo bellicosi e non troppo combattivi.
Come se una squadra di rugby esibisse giocatori sottopeso o smilzi per fare in modo che non si dica che il rugby è uno sport che richiede prestanza fisica, sacrificio, una certa muscolatura ecc. ecc.. 
Tralascio al riguardo considerazioni politiche, ma lascio al lettore intendere quale sia la contraddizione – purtroppo non solo in termini – di voler organizzare una parata militare, che però non sia troppo militare.
Difficile anche da concepire filosoficamente.

Questo senza nulla togliere a chi presta servizio civile, o magari appartiene a corpi civili o non armati dello Stato – penso alla Protezione Civile ed ai Vigili del Fuoco o alla Polizia Municipale – che svolgono un lavoro degnissimo, indispensabile, troppe volte sottovalutato e senza il quale la nostra Repubblica sarebbe davvero persa. 
La parata militare dovrebbe essere semplicemente, orgogliosamente ed anche spocchiosamente una parata militare.
Superato questo fin troppo lungo inciso sulla sfilata, ritengo sarebbe giusta una riflessione sulla necessità di non disperdere il senso di patriottismo che buona parte degli italiani hanno ritrovato, riscoperto o conosciuto ex novo in questo periodo di tragica pandemia. Francamente in questi giorni io non ho mai cantato l’Inno d’Italia – chiamato così da tutti, ma ben sappiamo che il nostro inno si intitola “Canto degli Italiani” – perché mi sembrava un’esternazione troppo goliardica di un momento, quale quello del canto dell’inno nazionale, che dovrebbe essere connotato da maggiore rispetto e sacralità. 

Durante l’esecuzione dell’inno non si balla, non si gesticola, si resta fermi, si ascolta o si canta… senza la mano sul cuore (non siamo americani!).
Tuttavia ho apprezzato l’iniziativa  ed anche quella di esporre tricolori un po’ dappertutto.

Patriottismo e coronavirus (fonte: www.lasesia.vercelli.it)

Il patriottismo che ha permeato i nostri cuori in questi giorni non è né di destra né di sinistra: non tutto ciò che è nazionale è beceramente  “fascista”, e non tutto ciò che è internazionale è beceramente “comunista”. 
Ragionare secondo questi schemi categorici, ora come allora, è stupido, ipocrita e anacronistico. 
Sarebbe bello che ognuno conservasse questo attaccamento all’idea di Nazione, di Patria, di tricolore e di italianità.
Ritengo sia molto sbagliato ricorrere ai nostri simboli nazionali solo durante un incontro di calcio o solo ed esclusivamente quando sia capitato qualche guaio, quando si senta collettivamente il bisogno di appellarci a qualcosa che ci unisca tutti. 
Guardate proprio gli americani: siano essi repubblicani o democratici, i nostri cugini d’oltremare sono tutti estremamente nazionalisti – in senso buono – e mettono i loro colori, i loro simboli unitari, il loro inno, l’esaltazione delle Forze Armate davvero dovunque e dappertutto. 
Sarebbe bello che, asciugate le lacrime per i nostri innumerevoli morti, figli d’Italia che hanno pagato lo scotto di una minore conoscenza di questo perfido virus, tutti portassimo con noi questo sentimento di appartenenza nazionale.
Sarebbe bello che tutti – dopo aver imparato ad utilizzare Zoom, Google meet, l’identità digitale ed il sito dell’Inps – imparassimo ad utilizzare quotidianamente questo fiero sentimento di orgoglio nazionale e di patriottismo per migliorare il nostro lavoro, la nostra famiglia, la nostra società.
La parola patriottismo, spesso associata solo a movimenti di destra, dovrebbe essere invece una parola totalmente priva di colore politico. 
Il patriottismo non è fanatismo fazioso, non dovrebbe appartenere solo a pochi (spesso solo ai militari!), ma dovrebbe contraddistinguere ogni cittadino italiano a prescindere dal suo credo politico e dalle sue abitudini di vita.

Carabinieri a cavallo in parata sui Fori Imperiali

Se tutti condividessimo questo senso patriottico di appartenenza alla Nazione saremmo ancora uniti nel cantare il nostro inno e nello sventolare la nostra bandiera, ricordandoci di questi simboli anche in questi ultimi giorni, in cui ci è stato concesso di uscire, di incontrarci, di avviare una forma moderata di socialità e di viaggiare all’interno delle Regioni.
Dovremmo cercare tutti di non disperdere i sentimenti e l’orgoglio di appartenenza nazionale, di italianità, di speranza nei destini della nostra Patria anche quando il coronavirus sarà solo un lontano ricordo.
Ricordiamoci invece di quanto i nostri simboli ed i nostri colori ci abbiano unito e ci abbiano fatto sentire vivi e fiduciosi che tutto sarebbe andato bene.

Bookreporter Settembre

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