Dopo il ritiro di Trump, quale futuro per la Siria?

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Gli Stati Uniti hanno annunciato qualche giorno fa un cambiamento nella loro politica estera che avrà conseguenze molto rilevanti in tutto il medio oriente. Anche se in proposito ci sono versioni contrastanti (un funzionario dell’amministrazione Trump durante una conference call ha parlato infatti di una misura che interesserà solo un centinaio di soldati americani), la versione riportata dai principali quotidiani è che il Presidente Donald Trump ha deciso di ritirare le truppe di soldati americani presenti nel nord della Siria.

Questa decisione, abbastanza prevedibile, ha subito avuto come conseguenza la decisione annunciata dal ministro della Difesa di Ankara, di colpire obiettivi militari nel nord est della Siria, 181 in totale per ora, ed il bilancio è di 15 morti. La zona a nord della Siria , al confine con la Turchia, è controllata ormai quasi totalmente dai curdi e rappresenta una criticità per Erdoğan che infatti vorrebbe stabilizzarla e renderla “safe zone

Le relazioni tra Stati Uniti, Turchia e curdi sono diventate particolarmente strette a partire dall’inizio della guerra in Siria nel 2011, guerra inseritasi nel contesto più ampio delle primavere arabe. La situazione in Siria era degenerata rapidamente: le manifestazioni contro il governo autoritario di Assad cominciarono ad essere represse sempre più brutalmente, e in breve si trasformarono in insurrezioni armate. La drammatica situazione in Siria ben presto cambiò natura e divenne di fatto una guerra per procura, con l’intervento di molte potenze vicine (come l’Iran, che si schierò in favore di Assad e i sunniti e la Turchia, potenza notoriamente sciita) e lontane ( Russia e Stati Uniti). In questo complesso quadro si inserì anche l’ISIS, fenomeno nato in Iraq da ex uomini di Saddam Hussein e Al quaeda, che approfittò del caos in Siria per inserirsi nel paese nel 2012 e prendere il controllo di diverse zone. Fu nel 2013, quando la situazione era ormai totalmente fuori controllo e Assad faceva ormai uso sistematico di armi chimiche contro la popolazione, che l’allora Presidente Barack Obama decise di intervenire in maniera più incisiva, individuando nei curdi siriani del YPG (Unità di Protezione Popolare) i propri alleati anche contro la minaccia dell’ormai istituitosi ISIS. I curdi siriani infatti, oltre ad essersi dimostrati molto abili nelle battaglie, erano motivati a  recuperare i territori a nord della Siria in quel momento sotto il controllo dell’ISIS, e vedevano negli Stati Uniti un alleato potente da cui ottenere eventualmente un aiuto alla loro causa di creazione di uno Stato curdo o quantomeno fortemente indipendente dal governo centrale.

Il movimento insurrezionista siriano curdo YPG tuttavia, è ideologicamente legato al PKK (partito curdo dei lavoratori), considerato in Turchia organizzazione terroristica, motivo per cui il suo leader Abdullah Ocalan è tenuto in carcere ad Ankara dal 1999. I curdi siriani inoltre, divenuti più forti in Siria grazie alle vittorie contro l’ISIS, costituivano  una minaccia per la sicurezza e l’unità nazionale turca (cosi come anche il PKK del resto, partito politico curdo che operava in Turchia con il fine di creare uno stato indipendente).  L’Alleanza tra Stati Uniti e curdi rappresentava dunque un problema per la Turchia, e tra le due potenze infatti (entrambe membri della NATO) i rapporti si erano incrinati. In questi anni in varie occasioni la Turchia ha intrapreso operazioni militari nel nord della Siria, arrivando nel 2018 ad attaccare e conquistare la città di Afrin, da due anni controllata dai curdi siriani. La situazione da allora è più o meno stabile: a ovest dell’Eufrate il territorio è controllato dalla Turchia, mentre ad est dai curdi siriani. Fino ad agosto 2019, il governo statunitense aveva garantito nella zona protezione e sicurezza ai curdi con il dispiego di 14.000 forze armate, a seguito delle ultime dichiarazioni di Trump tuttavia, la marcia indietro americana potrebbe presentare per i curdi il rischio di una nuova invasione turca.

La decisione di Trump, che è stata definita da molti un “tradimento” nei confronti dei curdi, è stata criticata anche all’interno della stessa amministrazione americana e tra i fedelissimi Repubblicani. Il senatore Lindsey Graham infatti ha annunciato, d’intesa con il collega democratico Chris Van Hollen,  la sua decisione di presentare al Congresso delle sanzioni contro Ankara: «Mentre l’amministrazione si rifiuta di agire contro la Turchia, mi aspetto un forte sostegno bipartisan… molti membri del Congresso ritengono che sarebbe sbagliato abbandonare i curdi che sono stati forti alleati contro l’Isis» ha sostenuto il Repubblicano Graham. Tra gli scenari temuti, infatti, ora c’è, oltre alla eventualità di repressioni turche contro i curdi, il timore del riinsorgere dell’ISIS. Il rischio, cioè, che l’organizzazione terroristica sfrutti la situazione caotica che verrebbe di nuovo a crearsi al confine tra Turchia e Siria per riorganizzarsi e rafforzarsi.

 

Bookreporter Settembre

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