L’onda rossa della geopolitica cinese

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Con la fine della Guerra Fredda ed il sempre maggiore dominio globale statunitense, le gerarchie del Partito Comunista Cinese si sono focalizzate verso una strategia geopolitica basata su tre pilastri fondamentali: economia politica, geopolitica militare e sviluppo tecnologico.

Tuttavia, data la vastitá e diversificazione del crescente dominio cinese, questo scritto si focalizzerá solamente sui principali aspetti delle ‘politiche di conquista’ cinesi, fermo restando che questi temi presentano caratteristiche tali che richiederebbero analisi quantitative e qualititative ben piú allargate di quanto verrá qui descritto.

Questi pilastri sono generalmente rappresentati da un ventaglio di attivitá volte a neutralizzare potenziali minacce stabilendo svariati rapporti multilaterali di diversa natura (energetica, commerciale e tecnologica) soprattutto con quelle nazioni sotto l’egida statunitense, spesso malvista da Pechino. La conseguente promozione di un’idea di governance globale basata sul multipolarismo si puó notare dal forte supporto cinese – retorico e non solo – alle nascenti potenze del gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e nel crescente sostegno alle operazioni di peacekeeping dell’ONU negli ultimi anni.

 

Economia politica

In generale, la geopolitica cinese si é recentemente sviluppata attorno alla costruzione di partnership globali vagamente basate sul concetto economico-politico del laissez faire elargendo sostanziali prestiti a nazioni in via di sviluppo.

Questo approccio, au contraire alle condizioni stringenti e pressoché impossibili da soddisfare protratte da parte di istituzioni mondiali (IMF, ONU) e potenze occidentali, ha reso la Cina un partner commerciale il piú delle volte ben accetto. In particolare, avendo adottato un sistema di riscossione dei dazi differente e soprattutto non avendo direttamente interferito nella politica domestica di altre nazioni, la Cina é stata vista piú generalmente di ‘buon occhio’ rispetto alle potenze europee colonizzatrici.

Chiaro esempio di questo punto é la recente Belt and Road Initiative (BRI) – anche consciuta con il nome di Nuova Via della Seta – un progetto mastodontico istituito nel 2013 dal valore di centinaia di miliardi di dollari che mira alla costruzione od al miglioramento di infrastrutture (reti ferroviarie, porti, impianti energetici ed almeno, al momento, una base militare) in paesi in via di sviluppo in Asia, Medio Oriente ed Africa per mezzo di finanziamenti principalmente elargiti da compagnie di bandiera cinesi.

Dallo strapotere produttivo di cui ha goduto in tutti questi anni, avvantaggiato in primis dal boom demografico e di investimenti in manodopera locale, il colosso asiatico si é quindi mosso all’infuori dei propri confini ed ha cambiato la propria strategia di gioco che si puó ora riassumere con il detto latino ‘Do ut des’ – dare al fine di ricevere. Infatti, dietro i miliardi di investimenti in prestiti diretti a decine di nazioni per lo sviluppo della ‘Belt and Road Initiative’, c’é un espediente. Se certe condizioni e scadenze riguardanti lo sviluppo e la gestione delle infrastrutture non vengono rispettate, allora il governo cinese subentrará e ne prenderá possesso, imponendo quindi il pagamento dei debiti in tale maniera. Questo é quanto é giá avvenuto in Pakistan e Sri Lanka e quanto potrebbe accadere molto presto in Gibuti, sede della prima base militare all’infuori dei confini cinesi, cosí come in molti altri paesi toccati da questa iniziativa. Assieme a questo colossale progetto, il governo cinese ha esportato parte della propria cultura (cibo e linguaggio uber alles), un classico esempio di diffusione di ‘soft power’ in pieno contrasto con l’ormai dominante lingua inglese ed usi e costumi americani.

Questo neocolonialismo economico e non strettamente politico né militare, é ancora una volta il volto della geopolitica cinese applicata sia in Africa che in Sud America, spingendo molti paesi piú vicino al ‘Beijing consensus’ opposto al ‘Washington consensus’ delle decadi passate, pienamente in linea con la volontá del Presidene Xi Jingping di fare della Cina la prima ed incontrastata potenza globale contrapponendosi agli Stati Uniti d’America. La recente trade war con gli U.S.A., dove le due superpotenze continuano a colpire l’un l’altra sia con dazi che con giochi diplomatici e strategie di tensione su ‘stati clienti’, ne é un perfetto esempio.

In conclusione, tutto ció puó esser visto sotto il profilo di una strategia volta a dividere e rompere i rapporti multilaterali statunitensi nella regione asiatica e non solo, seguendo il concetto millenario ed a noi familiare di ‘Dividi et impera’.

 

Geopolitica militare: armi, relazione sino-russa e non solo

Oltre alla Belt and Road Initiative prima menzionata, Pechino si é mossa velocemente e strategicamente dal punto di vista militare per incrementare la propria presenza in alcuni punti nevralgici tra cui il confine sino-indiano, il corno d’Africa ed il Mare Cinese Meridionale, dove sono nati e si sono susseguiti pericolosamente parecchi contenziosi.

Sebbene lontane centina di miglia dalle proprie coste, le isole Paracelso e Spratly nel Mar Cinese Meridionale sono state fortemente rivendicate dal Presidente Xingping, il quale ha dato il via libera alla costruzione di isole artificiali dichiarandole non solo territorio sovrano, ma addirittura facendone zona militare, aumentando conseguentemente la tensione in una regione chiave del commercio internazionale, della pesca e che presenta vastissimi giacimenti di petrolio e gas naturale.

Questo evento, che puó esser considerato uno dei primi veri campanelli di allarme da un punto di vista della sicurezza nella regione, non ha portato ad alcuna reazione da parte della comunitá internazionale che sino ad oggi ha generalmente fatto ben poco per fermare questo aggressivo espansionismo nel Mar Cinese Meridionale.

Degno di nota da un punto di vista operativo é il contenzioso riguardante il confine sino-indiano del Doklam, dove da decenni Cina ed India si studiano e stuzzicano l’un l’altra attraversando il confine con personale e mezzi militari, come avvenne nel 2017, sebbene senza riportare alcun incidente. Punto strategico nella regione Himalayana, é il simbolo chiave della crescente audia e sfrontatezza potenzialmente catastrofica di queste due nazioni, dato il possesso di armi nucleari da ambe le parti.

Infine, da riportare la costruzione della prima ed unica base militare estera cinese in Gibuti, uno stato collocato all’estremitá meridionale del Mar Rosso che giá ospita potenze mondiali quali U.S.A. e Giappone, e rappresenta uno snodo vitale del commercio mondiale di petrolio. Questa base ha legalmente consentito un’espansione della portata militare cinese sia via mare che via terra, in quanto correntemente designata quale base logistica per operazioni di anti-pirateria e peacekeeping in Africa. Tuttavia, crescenti timori e ripetuti incidenti diplomatici riguardanti le forze cinesi hanno recentemente fatto crescere le tensioni nella zona.

Nonostante il netto ridimensionamento delle esportazioni di armi rispetto alla prima decade degli anni 2000, la Cina (non a caso, dato l’approccio anti-U.S.A) figura tra i maggiori esportatori verso l’Africa subsahariana, regione ‘calda’ dove Stati Uniti e Francia hanno condotto varie operazioni militari per destabilizzare potentati locali e cellule terroristiche di matrice islamica. Nonostante ció, il dato piú importante riguardo al commercio di armi risiede nel dominio incontrastato cinese nella vendita di droni da guerra soprattutto in Medio Oriente, sottolineando non solo l’irruzione su un mercato sostanzialmente nuovo, ma anche un considerevole balzo in avanti dal punto di vista della tecnologia avionistica e militare.

Anche se ancora lontana dalla Russia in termini generali di esportazione d’armi, la relazione tra le due superpotenze é andata in crescendo nell’arco degli ultimi anni, con un picco di intesa sottolineato da accordi di natura commerciale ed energica nel 2018 e da un’imponente esercitazione militare congiunta lo stesso anno. La Cina é un mercato naturale per i vicini russi, soprattutto alla luce del passato comunista del Cremlino e dalle prospettive pseudo-democratiche ora sostenute da entrambi i paesi. Inoltre, migliaia di chilometri di confine spingono l’un l’altro ad esser partner commerciali piuttosto che avversari, dato l’altissimo costo di un eventuale pattugliamento e difesa del confine in comune.

In conclusione, si puó dire che il potere militare cinese sia andato in crescendo quasi quanto la sua influenza ed espansione internazionale. L’alta presenza in azioni di peacekeeping in Africa ha permesso ad uno stato sino ad oggi praticamente inattivo all’infuori dei propri confini di migliorare le proprie strategie operative e di comunicazione in situazioni di crisi, sebbene non di guerra. Per quanto possa esser considerato marginale, questo fattore ha attirato l’attenzione di grandi e piccoli stati, a livello globale.  

Sviluppo tecnologico, spionaggio e cyberwarfare

In concordanza con una sempre crescente presenza globale, la Cina é diventata una tra le piú attive e pericolose nazioni nel cyberspazio e nello spionaggio industriale. In questi campi ha recentemente portato a segno gravi attacchi a sistemi di difesa e sicurezza statunitensi trafugando progetti di natura top secret riguardanti cacciabombardieri, aerei stealth e droni da guerra poi fedelmente riprodotti in patria con nomi e caratteristiche, anche se poche, differenti.

Gli attacchi cibernetici contro gli U.S.A. sono andati aumentando nell’arco dell’ultimo anno anche se molte altre nazioni sono state oggetto di spionaggio industriale. Dalla formula per il diossido di titanio a progetti di natura tecnologica e militare, la Cina ha trafugato diversi prodotti e proprietá intellettuali in ogni angolo del pianeta, abusando del proprio potere in campo cibernetico data anche la difficoltá nel rintracciare questi attacchi e la mancanza di un corpus di leggi internazionale applicabili.

Il vero cavallo di battaglia per l’egemonia globale del Presidente Xi Jingping é tuttavia rappresentato dal primato nello sviluppo di tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (ICT), quali la cosidetta ‘tecnologia 5G’, e nel potenziamento di sistemi di intelligenza artificiale.

Riguardo al primo elemento, l’utilizzo di tecnologia 5G sviluppata da compagnie cinesi é stato considerato un fattore ad alto rischio in quanto rappresenterebbe una potenziale via di accesso ad informazioni e dati sensibili su scala globale. Nonostante non vi siano certezze né prove a riguardo, la strategia altamente aggressiva protratta da Pechino ha portato diversi stati ad esser alquanto guardinghi a riguardo, anche se é giusto ricordare come potenze occidentali (vedasi il caso Snowden nel 2013) hanno giá dato prova di poter avere dominio incotrastato – ed incontrollato – su informazioni dettagliate personali a livello globale.

La questione tecnologica é quindi centrale nella strategia geopolitica cinese. Come abbiamo notato nell’arco degli ultimi anni, le potenzialitá di destabilizzazione politica, misinformazione e disinformazione delle masse per mezzo di piattaforme online e non solo é incredibilmente ampia. Ucraina, Stati Uniti ed India sono solamente alcuni degli esempi di come campagne di natura politico-informatica e tecnologica possono avere risvolti inimmaginabili prima di questa decade, senza dimenticare la miniera d’oro rappresentata dal semplice scambio di dati e metadati che le compagnie cinesi – ad esempio Huawei – si ritroverebbero a poter analizzare e vendere a terzi.

Infine, sebbene apparentemente lontana dal mondo (geo)politico, il progresso in materia di tecnologie all’avanguardia quali intelligenza artificiale, robotica, computer quantistici ed ingegnieria genetica sono centrali nel progetto di egemonia globale cinese. Come riportato da Putin “Chi avrá la supremazia sul mondo dell’intelligenza artificiale comanderá il mondo” ed il Presidente Jingping non ha intenzione alcuna di perdere questa gara.

I punti di vantaggio cinesi a riguardo sono due. In primis, l’immensitá del quantitativo di dati prodotto dalla sempre piú ‘connessa’ e sorvegliata popolazione cinese, che rappresenta il fattore centrale nello sviluppo di tecnologie basate su intelligenza artificiale. Senza dati su cui basare algoritmi e previsioni varie sul comportamento e sulle decisioni delle persone, il progetto non avrebbe lunga vita. In secondo luogo, l’autoritarismo presente in Cina permette di produrre sistemi di intelligenza artificiale di gran lunga piú sofisticati ed accurati di quelli occidentali in quanto il governo cinese impone strette politiche di sorveglianza (hi-tech CCTV) e puó concedersi il ‘lusso’ di richiedere e ricevere informazioni a qualsiasi compagnia cinese allargando la propria sfera di influenza a livelli impensabili in occidente, dove politiche, societá civile e leggi sulla privacy quali la recente GDPR rallentano questo processo di sviluppo. In particolare, il potenziale espresso da sistemi di intelligenza artificiale in campo militare é altamente pericoloso, soprattutto considerato il crescente numero di droni da guerra venduti dalla Cina ed il forte espansionismo nei settori tecnologico e miltiare.

In tutto ció, non bisogna dimenticare come lo slancio geopolitico cinese sia stato il prodotto di una decade d’oro per la Cina, la quale ha recentemente iniziato a subire ‘rallentamenti’ da diversi punti di vista.  Vi sono stati cali da un punto di vista sia produttivo che finanziario, crescenti problemi di natura umanitaria e legale riguardanti minoranze etniche (Uigiuri), abusi di potere intestini e crescenti timori per quanto concerne il trentesimo anniversario della strage di piazza Tienamen.

A fronte di questi ed altri fattori, il Presidente Jingping dovrá fronteggiare un’annata non facile, dove una politica internazionale ostile – vedasi le recenti reazioni indonesiane e filippine nel Mare Cinese Meridionale, la trade war con gli Stati Uniti e la propaganda anti-5G da parte di svariate potenze occidentali – e le crescenti pressioni interne lo porteranno a dover prendere decisioni cruciali, se non drastiche.

di Eugenio Cavalieri

Bookreporter Settembre

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