Accordo Brexit, No deal o proroga? I voti del Parlamento inglese

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Quelle del 12, 13 e 14 marzo sono giornate che nel Regno Unito difficilmente verranno dimenticate: si è agli sgoccioli – la Brexit secondo i piani dovrebbe avvenire il 29 marzo – ma ancora non si è riusciti a giungere all’approvazione dell’accordo che consenta al Regno Unito di uscire dall’Unione Europea.

Martedì 12 marzo, il Parlamento britannico ha bocciato – di nuovo – con 391 voti contrari e 242 voti a favore, l’accordo Brexit, siglato dalla premier May con i negoziatori europei. Non è la prima volta che il Regno Unito si trova ad affrontare tale situazione: il 15 gennaio 2019 si è tenuta la prima votazione e l’accordo è stato bocciato con 432 voti contrari e 202 a favore, uno scarto maggiore rispetto al secondo voto ed un significato politico da non sottovalutare, considerando che è stato lo stesso partito conservatore a votare contro l’approvazione. L’accordo sottoposto al voto inglese è stato in parte revisionato e modificato rispetto a quello di gennaio, proprio per consentire la sua accettazione: la sera dell’11 marzo, la premier inglese e il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker hanno presentato l’accordo con tre novità, volte a favorire la sua approvazione nella Camera dei Comuni inglese. In realtà, l’accordo non è stato modificato nei suoi punti essenziali, uno dei quali è senz’altro la questione del confine tra Irlanda ed Irlanda del Nord, al centro della nuova intesa. Il cosiddetto backstop entrerebbe in vigore a partire dal 2021 se non si riuscisse a trovare un accordo definitivo entro il dicembre 2020 a garanzia di un confine non rigido tra il paese dell’UE e la regione del Regno Unito: si prevede che il Regno Unito rimanga nell’unione doganale fino a che non si trova un accordo per una sua uscita; inoltre, l’Irlanda del Nord sarà integrata nel “mercato unico europeo” nell’ambito delle merci, come se il confine venisse idealmente spostato verso la Gran Bretagna. L’intesa May-Juncker è volta fornire maggiori garanzie nell’ambito backstop e prevede una dichiarazione legalmente vincolante, un impegno a cominciare sin da subito i negoziati per le future relazioni e la pubblicazione di una dichiarazione unilaterale da parte di Theresa May per mostrare la volontà politica del suo governo. Il governo May però è stato a tutti gli effetti bocciato insieme all’accordo e la posizione della premier è molto delicata, anche se è uscita vincitrice dal voto di sfiducia di dicembre e non sembra avere nessuna intenzione di dimettersi.

Dato l’esito negativo della prima votazione, mercoledì 13 marzo, il parlamento inglese si è espresso in merito al No Deal, l’opzione di uscita dall’Unione Europea senza alcun accordo. I sostenitori di una hard Brexit sono a favore del No Deal, con il quale il Regno Unito potrà, a lungo termine, riacquisire le proprie potenzialità di crescita. Ben diverso è lo scenario previsto dagli oppositori: vi sono in merito gravi preoccupazioni che nel lasciare l’UE senza un accordo in vigore si possa danneggiare l’economia e causare aumenti dei prezzi. Anche in questo caso il risultato è stato negativo: in quella che viene definita “una notte di dramma nella Camera dei Comuni”, con soli quattro voti di scarto – 312 a 308 – si è deciso di respingere tale opzione, causando un’ulteriore crisi interna al partito conservatore inglese. Tuttavia, il voto non è vincolante: in base alla normativa vigente, il 29 marzo il Regno Unito potrebbe comunque uscire dall’UE senza un accordo. Per evitare il No Deal è necessario revocare l’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europea rinunciando alla Brexit, oppure concordare un accordo che venga poi approvato. A tal proposito, un portavoce della Commissione europea ha dichiarato: “Ci sono solo due modi per lasciare l’UE: con o senza accordo. L’UE è pronta per entrambi”. Sebbene quella del No Deal sembri essere la soluzione favorita dopo la bocciatura dell’accordo, considerando che scatterà se entro il 29 marzo non vi sarà l’approvazione dell’accordo o la proroga della scadenza, la premier inglese cerca ancora dei consensi per un’uscita dall’UE con l’accordo negoziato: nel caso di approvazione da parte del Parlamento, potrebbe essere richiesta all’UE una proroga per avere maggior tempo per definire i dettagli tecnici.

A tal proposito, giovedì 14 marzo, 412 deputati hanno votato positivamente, con larga maggioranza, una mozione del governo per estendere la scadenza dei due anni al 30 giugno 2019, sempre se l’accordo di Theresa May verrà approvato quando sarà sottoposto ad ulteriore votazione; in caso di bocciatura invece, sarebbe necessaria un’estensione più lunga. Il governo inglese chiederà dunque all’Unione Europea di estendere la proroga dei termini di uscita dall’UE: il compromesso per far avvenire ciò è che deve essere approvato l’accordo entro il 20 marzo. Nel parlamento inglese è stata respinta l’ipotesi di procedere ad un secondo referendum per la Brexit, preferendo procedere dunque con la richiesta di proroga. Theresa May, dopo le due clamorose sconfitte alla Camera dei Comuni, farà un altro tentativo per far passare il suo accordo di ritiro dall’Unione Europea.

Il caos inglese degli ultimi giorni è stato molto sentito in tutta Europa: il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn ha criticato i fallimenti del governo affermando che l’unica soluzione è l’accordo proposto dal suo partito, il Labour, che prevede un’unione doganale tra il Regno Unito ed il resto d’Europa. La Commissione UE ha affermato che il rinvio dal 29 marzo al 30 giugno non è automatico, l’ultima parola spetta ai 27 Stati membri dell’UE: mentre il presidente della Commissione europea Juncker ha insistito sul fatto che qualsiasi rinvio “dovrebbe essere completato prima delle elezioni europee” alla fine di maggio, il presidente del Consiglio europeo Tusk sta spingendo i leader dell’Unione Europea a considerare la possibilità di una proroga alla Brexit per consentire al Regno Unito di rivalutare ai suoi obiettivi nei negoziati.

La richiesta di proroga sarà oggetto dell’approvazione o della bocciatura del Consiglio europeo, previsto per il prossimo 21 marzo.

Bookreporter Settembre

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