Belgio: la questione dell’immigrazione al centro della crisi politica

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Dopo aver perso il sostegno della Nuova Alleanza Fiamminga (N-VA), il partito fiammingo indipendentista di destra nonché il principale partito di governo il quale occupa il maggior numero di seggi nelle due camere del Parlamento federale, e dopo il rifiuto del Partito Socialista e dei Verdi, all’opposizione, di sostenere il nuovo governo di minoranza fino alle prossime elezioni federali del 26 maggio, il Primo Ministro belga, Charles Michel, ha annunciato le sue dimissioni al Parlamento e le ha presentate al Re Filippo del Belgio. Quest’ultimo ha chiesto a Michel di restare in carica, seppur con poteri ridotti, per permettere ai partiti di giungere ad un accordo e formare una nuova alleanza.

Egli, 42 anni, francofono e di orientamento liberale, è diventato Primo Ministro nell’ottobre del 2014, dopo le elezioni del 25 maggio 2014, diventando il primo ministro più giovane del Paese dal 1841 e ponendosi alla guida di una coalizione tra quattro partiti di centro destra senza precedenti, composta dai liberali (Open VLD e MR), dai fiamminghi democristiani (CD&V) e dai  nazionalisti (N-VA).

Il governo è caduto sull’onda della questione dell’immigrazione: il motivo di rottura tra la Nuova Alleanza Fiamminga e la coalizione di governo è, infatti, la contestazione della linea adottata dai tre alleati e dunque della posizione ufficiale del Belgio che he deciso di sottoscrivere il Trattato di Marrakech, cioè il cosiddetto Global Compact, il documento programmatico non giuridicamente vincolante dell’ONU, frutto di due anni di negoziazione e sottoscritto da 164 Stati,  che stabilisce 23 obiettivi relativi alla gestione del fenomeno dell’immigrazione. Quest’ultimo mira ad un’immigrazione sicura, ordinata e regolare.

Recentemente N-VA ha mutato la propria natura attraverso una “svolta aggressiva”, trasformandosi da un partito sostanzialmente separatista ad un partito di successo di destra, promotore di una politica dura contro l’immigrazione ed a favore della difesa dei confini. Ciò si è tradotto in una sempre maggiore instabilità dell’esecutivo. Il politico che ha contribuito maggiormente a tale svolta è stato Theo Francken: egli ha fatto parlare molto di sé a causa di varie dichiarazioni forti come ad esempio le accuse nei confronti dell’ONG Medici senza frontiere sul coinvolgimento nel contrabbando di esseri umani nonché il caso diplomatico dell’asilo politico al catalano Carles Puigdemont; è stato lui a guidare l’opposizione al Global Compact e per criticarlo ha affermato che esso “tocca il nocciolo della questione: il trasferimento della sovranità e del diritto di autodeterminazione e la salvaguardia dei propri confini”.

Il partito N-VA ha deciso di provocare tale spaccatura nell’esecutivo dopo vari tentativi di dialogo avanzati da Michel. I fiamminghi nazionalisti, infatti, non hanno mai nascosto le ostilità al documento dell’ONU, in preda al timore che l’adesione agli obiettivi delineati incidano sulla legislazione nazionale in materia di immigrazione. La questione è diventata più complessa in seguito all’avvio di una campagna sui social media caratterizzata dalla scelta di immagini a impatto, la quale ha suscitato varie critiche, anche interne alla coalizione. Tra i vari contenuti diffusi online vi è una foto di gruppo di donne con lo hijab, il velo islamico, con uno slogan sull’urgenza di “preservare la propria cultura” da ingerenze esterne.

La posizione del partito N-VA si associa a quella sposata da molti partiti europei di destra, concordi nel sostenere che il Global Compact favorisca l’arrivo in Europa di migranti “incontrollati”. In virtù di tali posizioni la sottoscrizione del documento programmatico dell’ONU è stata caratterizzata da alcune assenze rilevanti a livello europeo, a partire dall’Austria di Sebastian Kurz fino a giungere all’Italia di Giuseppe Conte e del governo Lega-Movimento 5 Stelle.

Focalizzando l’attenzione sul caso del Belgio, non è la prima crisi politica che il Paese si trova ad affrontare negli ultimi anni: per ben 540 giorni, tra la metà del 2010 e la fine del 2011, il Belgio rimase senza un governo, un’impasse istituzionale in cui risultava impossibile trovare una maggioranza in seguito alle elezioni che avevano decretato il successo proprio del partito N-VA. Lo stesso Michel è riuscito a mantenere la carica di Primo ministro superando diverse crisi.

A tal proposito occorre evidenziare che le divisioni interne tra la ricca regione delle Fiandre e la Vallonia, meno ricca e francofona, hanno sempre rappresentato un motivo di debolezza e di instabilità per i governi nazionali. A ciò si aggiungono altre disfunzioni insite nel sistema come l’inefficacia delle forze di sicurezza nazionali nonché i problemi nei livelli inferiori di governo, che, anche in seguito agli attentati terroristici, hanno addirittura spinto a parlare di uno “Stato fallito”.

Con riguardo ai prossimi sviluppi è probabile che a gennaio 2019 si tengano elezioni anticipate e che Michel rimanga Primo ministro ad interim fino a quel momento.

In definitiva il caso belga risulta esemplare delle dinamiche politiche attualmente esistenti a livello europeo ed internazionale caratterizzate dalla continua tensione tra l’apertura e la difesa dei confini.

 

Bookreporter Settembre

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