Usa-Arabia saudita: accordo concluso per un nuovo sistema di difesa missilistico

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La scorsa settimana, Stati Uniti e Arabia Saudita hanno firmato un accordo per l’acquisto di un nuovo sofisticato sistema di difesa missilistico.  La trattativa era in corso dal dicembre 2016 e mercoledì scorso un funzionario del Dipartimento di Stato ne ha definitivamente confermato la conclusione.

Questa firma consentirà all’Arabia Saudita di acquistare un sistema di difesa antimissili da 15 miliardi di dollari dall’azienda americana Lockheed Martin, un’azienda operante nel settore della sicurezza e dell’ingegneria aerospaziale con sede nel Maryland. La Lockheed Martin è uno dei più importanti fornitori di armi del Pentagono e l’accordo include l’acquisizione del THAAD, o difesa d’area  terminale ad alta quota, che è considerato il “gioiello della corona” degli Stati Uniti nei sistemi di difesa missilistica. L’Arabia Saudita otterrà 44 lanciatori THAAD, missili e relativi equipaggiamenti.

Gli  ultimi eventi accaduti a Istanbul, hanno messo a serio rischio l’accordo. L’omicidio di Jamal Khashoggi, giornalista saudita del Washington Post con base negli USA, presso il consolato saudita di Istanbul lo scorso ottobre, aveva infatti sollevato preoccupazioni e opposizione tra i membri del Congresso, che hanno esercitato pressioni per ridimensionare le relazioni USA-Arabia Saudita.

Tuttavia, il presidente Trump si è schierato con lo storico alleato, ricordando che l’accordo è importante per almeno due ragioni. Dal punto di vista della sicurezza, la presenza forte e stabilizzante dell’Arabia Saudita è fondamentale per Israele, e in mancanza di questa aumenterebbero per l’altro alleato USA le difficoltà e le sfide a livello regionale. L’accordo, infatti, ha lo scopo di rafforzare la posizione saudita in Medio Oriente. Inoltre, promuovere e proteggere sostenendo la sicurezza a lungo termine dell’Arabia Saudita e della regione del Golfo contro la minaccia dell’Iran e dei gruppi estremisti finanziati e sostenuti da Teheran è funzionale alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che possiedono molteplici interessi nella regione.

Thomas Karako, direttore del Missile Defense Project presso il Center for Strategic and International Studies, ha inoltre sottolineato che “Besides probably being the largest missile defence sale to date, it also represents an important political commitment by both the U.S. and the Kingdom of Saudi Arabia to counter Iranian ballistic missiles by every means possible.”

In secondo luogo, l’accordo è importante per una ragione economica. Se non dagli Stati Uniti, Riyadh comprerebbe comunque armamenti da altri paesi. Come affermato dal presidente Trump, esistono altri mezzi per “punire” la condotta della monarchia, senza compromettere un accordo da miliardi dei dollari. Nonostante l’opposizione del Congresso, infatti, il Presidente ha proseguito con la firma.

Tuttavia, ciò non è bastato a cambiare l’opinione dei senatori. Mercoledì, il Senato ha avanzato una risoluzione per ritirare il sostegno degli Stati Uniti alla coalizione a guida saudita nello Yemen, in risposta all’omicidio del giornalista a Istanbul e per sottolineare l’inaccettabilità dei metodi sauditi.

La risoluzione ha superato il primo turno di votazioni, 63 a 37. La grande differenza denota la preoccupazione già esistente circa l’impegno degli Stati Uniti nello scontro yemenita e una disapprovazione ancora maggiore per il sostegno di Trump al regno dopo l’omicidio di Khashoggi.

Questo voto segna anche una crisi senza precedenti tra il Congresso e la Casa Bianca in merito ai poteri di guerra. Il voto dei senatori arriva a poche ore di distanza da una seduta del Senato in cui il Segretario di Stato Mike Pompeo e il Segretario alla Difesa Jim Mattis hanno sostenuto di fronte alla camera l’importanza di mantenere il sostegno degli Stati Uniti alla coalizione saudita nello Yemen per garantire la sicurezza nella regione e ostacolare la crescita dell’influenza iraniana nella regione. Sebbene il Presidente possa porre il veto sulla risoluzione, paralizzando così lo sforzo dei senatori, sarebbe comunque prova di una forte contrapposizione negli Stati Uniti, tra la Casa Bianca e il Senato. Inoltre, qualora la risoluzione non dovesse passare nell’immediato, vi sono probabilità che ciò accada tra qualche mese, visto che anche la leadership democratica, inclusa Nancy Peloso, l’appoggia. È abbastanza plausibile che il dibattito rimanga vivo e possa creare ulteriori attriti all’interno dei vertici americani. E di certo è qualcosa che non vorremmo vedere all’interno di uno dei più grandi poteri economici e militari mondiali.

 

 

Paola Fratantoni

Bookreporter Settembre

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