GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Novembre 2017 - page 3

Il blocco saudita nei confronti dello Yemen persiste causando sempre più morti

MEDIO ORIENTE di

Dopo undici giorni dal lancio del missile diretto a Riyadh da parte dei ribelli Houti, lo Yemen sta ancora subendo un blocco navale, terrestre e aereo che impedisce l’entrata nel paese di aiuti umanitari per far fronte ai sempre più gravi problemi che la popolazione, tra cui molti bambini, sta ingiustamente sopportando.

Sebbene lunedì L’Arabia Saudita avesse annunciato la riapertura delle vie aree e navali per accedere allo Yemen ad oggi ufficiali yemeniti riferiscono che il porto di Hudaida, punto più importante per la raccolta di aiuti, non è stato aperto. Il blocco sembra dunque persistere nonostante i reclami fatti da parte di diverse organizzazioni internazionali riguardo la disastrosa situazione umanitaria.

Secondo l’organizzazione non governativa Save The Children non meno di 130 bambini muoiono ogni giorno in Yemen a causa di malnutrizione e malattie evitabili. L’ONG ha messo in guardia l’Arabia Saudita sui rischi che questo blocco sta causando e sulla possibilità che essi si moltiplichino nel caso in cui il blocco persista e gli aiuti umanitari non raggiungano il paese.

Le prospettive future sono infatti sconcertanti: ci si aspetta che entro la fine dell’anno 10.000 bambini moriranno per fame e malattie nelle province di Hudaydah e Ta’izza. Il direttore di Save The Children in Yemen ha dichiarato. “these deaths are as senseless as they are preventable. They mean more than a hundred mothers grieving for the death of a child, day after day”.

L’ONG citata non è l’unica organizzazione internazionale a denunciare le atrocità in atto nella popolazione yemenita. Anche tre agenzie ONU, la FAO, l’UNICEF e la WHO, hanno pubblicamente chiesto all’Arabia Saudita di intervenire in favore della rimozione del blocco. Le tre agenzie segnalano che 3.2 milioni di persone rischiano seriamente la carestia mentre un milione di bambini sarebbe a rischio per una epidemia di difterite. Ciò su cui convengono le organizzazioni e su cui viene accusata l’Arabia Saudita, è l’insensatezza di queste morti di civili e il fatto che molte di queste sarebbero evitabili con facilità se solo il paese avesse accesso agli aiuti umanitari.

Kosovo: Kfor, esercitazione per garantire sicurezza al monastero di Decane.

SICUREZZA di

Nei giorni scorsi presso Belo Polje, il quartier generale della Kososvo Force(KFOR), si è tenuto un intenso addestramento per il Multinational Battle Group West(MNBG-W).

KFOR è una forza militare internazionale guidata dalla NATO, responsabile di ristabilire l’ordine e la pace in Kosovo, regione che ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia nel 2008. Il 15 novembre scorso, inoltre, è stata la data del passaggio di consegne al comando, con il generale Salvatore Cuoci che è subentrato al generale Giovanni Fungo.

In particolare, i militari sono stati impegnati in un’esercitazione volta ad intensificare le procedure di controllo della folla e dell’ordine pubblico in occasione  di disordini o di concentrazione di masse ostili in prossimità di un sito protetto come il Monastero di Decane.

Come riportato dal comunicato dell’ufficio stampa del contingente italiano delle Kosovo Force, Il Battaglione di manovra multinazionale, su base 3° Reggimento Artiglieria da Montagna della Brigata Alpina “Julia” ha dislocato, nell’area di esercitazione di Camp “Villaggio Italia”,  un posto di comando e unità di manovra composto da militari Italiani, austriaci, sloveni e moldavi. L’obbiettivo era quello di preparare le unità del Multinational Battle Group West, che  risponde come primo responsabile, nei casi di disordini e violenze provocate dall’avvicinamento di una potenziale massa ostile in prossimità di un’ area sensibile e a rischio come quella del monastero di Decane.

L’operazione rientra nell’ambito delle attività autorizzate dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Esso prevede, oltre a garantire la sicurezza del Monastero di Decane, di mantenere la libertà di movimento, di impedire il ricorso alla violenza e di sviluppare progetti della Cooperazione Civile e Militare tesi a supportare il processo di crescita economica grazie allo sviluppo delle istituzioni locali.

Il comunicato ha reso noto che l’esercitazione è stata svolta sotto gli occhi del Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate ungheresi, il Generale Zoltán Mihócza

Il monastero, appartenente alla Chiesa Ortodossa Serba, dal 2006 è stato inserito nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

 

 

La dimensione geografica della politica internazionale

EUROPA di

La Società Geografica Italiana ha ospitato il secondo incontro del seminario organizzato dal professore Edoardo Boria “Nuovi orizzonti geopolitici: la geopolitica di oggi”, con la partecipazione di Lucio Caracciolo, Luca Scuccimarra, Silvia Siniscalchi e Rosario Sommella, con l’ introduzione del mediatore Daniela Scalea.

Daniele Scalea, ricercato dell’università di Roma “La Sapienza”, ha introdotto il rapporto politica-geografia come un rapporto da sempre esistito, nelle cui civiltà antiche veniva dato quasi per scontato: da Erodoto a Montesquieu il discorso geopolitico era basato sul presupposto stesso del legame tra politica e geografia. A partire dall’ 800 e per il secolo successivo si inizia a parlare di determinismo, distaccando quindi la dimensione umana dal resto. Verso la seconda metà del ‘900 al centro delle riflessioni si presentano le relazioni sociali, trasformando così in strumentalizzazione il discorso geografico nella politica. Fronte a queste evoluzioni nel corso del tempo vi sono state numerose reazioni, più o meno critiche ma a grande risonanza nell’opinione pubblica. La riscoperta della geopolitica ha comunque incarnato le tradizioni della dottrina, che nonostante i cambiamenti e le evoluzioni, resteranno sempre invariate.

Rosario Sommella, docente di geografia regionale presso “l’Orientale” ha esordito spiegando la vastità di concetti e teorie che la questione della dimensione della geografia abbraccia; la dimensione classica della geopolitica (con la tendenza ambientalista e l’affidamento alla spiegazione tramite le teorie delle relazioni internazionali) a volte appare un po’ “pesante” rispetto al pragmatismo cui si relaziona quotidianamente un discorso geopolitico. La storia è secondo Sommella l’elemento da cui poter parlare effettivamente di geopolitica, motivo per cui cita la Russia come esempio di paese che in base alla geografia ha costruito la sua storia di potenza e che ancora oggi vi basa le relazioni con il resto degli attori internazionali. Il professore si sposta poi sulla politica estera, domandando retoricamente come non si possa dire che essa sia influenzata dalla posizione geografica. Ciò che si necessita per la geopolitica d’oggi è rivisitare la geopolitica grafica, riprendere i fondamenti classici, tenendo però presente dell’importanza realistica, dei fatti che quindi compongono il teatro geopolitico attuale. Il nostro obiettivo deve essere quello di unire i fondamenti tradizionali con quelli contemporanei.

La seconda a intervenire è Silvia Siniscalchi, professoressa di geografia a Salerno la quale imposta il suo discorso sugli studi di Haushofer, uno tra i primi studiosi delle teorie geopolitiche classiche e che considerava la geopolitica una scienza al servizio della pace.  Il punto di partenza deve essere ad ogni modo domandarsi cosa voglia dire geopolitica: essa assume un significato ambiguo, essendo composta da due parole apparentemente discorde; vi sono infatti numerose definizioni relative a ciascuna delle due, ma più difficilmente una unitaria per entrambe. Seconda nota figura nominata dalla professoressa è Ratzel che in “La geografia dell’uomo” sconfessa la visione deterministica fatta dall’ interpretazione francese e afferma che l’uomo ha libertà di scelta ma non può annullare le sue condizioni primarie e che tale libertà è quindi limitata. Ratzel affronta poi un “eterno”  argomento: i confini, definendoli come un qualcosa di illusorio, dal momento in cui il popolo non è legato strettamente al suo territorio, ma bisogna considerare anche il fattore tempo, il contesto nel quale il popolo è inserito. Questi concetti secondo la Siniscalchi sono oggi alla base della geografia territoriale, soprattutto a livello locale. Conclude affermando che oggi la geopolitica dovrebbe esser vista come una riqualificazione territoriale della stessa politica, sempre più affidata a persone ignoranti ed incapaci di gestire dinamiche di importanza vitale. Deve essere una dottrina da praticare e non più teorie su teorie.

Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes riflette su come la geopolitica oggi sia un termine alla moda, anche se di uso recente. Si torna a riscoprire della geopolitica dalla fine della II Guerra Mondiale alla fine della Guerra fredda quando è evidente la necessità di rompere con gli schemi che fino a quel momento avevano sorretto il pensiero della geopolitica. Tale riscoperta, ammette Caracciolo, è purtroppo avvenuta in un momento in cui la politica internazionale è stata interdetta dalla scienza politica, i cui ragionamenti sono totalmente opposti rispetto a quelli della geopolitica: la scienza politica pensa che si possano formalizzare le leggi e le formule direttamente applicabili nei vari casi, mentre la geopolitica si libera di tali “scienticismi”. Ciò che rende la geopolitica attuale è proprio la contrapposizione della dimensione formale con quella pragmatica rappresentata dai fatti (si veda la Catalogna che ha una visione del proprio territorio molto più espansa di quella che la Costituzione, e quindi la base giuridica formale, effettivamente stabilisce); questo perché si sta riscoprendo la geografia in quanto legittimazione di attuazione di alcune politiche. Ciò nonostante Caracciolo ribadisce che non è mai stata così forte l’ignoranza dei politici, dei media ecc. su tali questioni. Individua infine il problema della geopolitica attuale nel fatto che ogni tanto provi a rifarsi alla scienza, tentando di prevedere il futuro e  provocando quindi semplificazioni che anche nella comunicazione pubblica eguagliano tutti i fenomeni critici, senza invece andare in profondità , analizzandone le specificità di ciascuno.

L’ultimo intervento è di Luca Scuccimarra, docente di storia del pensiero politico dell’università La Sapienza il quale colloca i rapporti storici del pensiero politico e geografico in uno spazio delle scienze sociali, dato l’inserimento sempre più spaziale della dottrina storica, motivo per cui negli ultimi 30 anni gli storici hanno imparato a studiare il tempo nello spazio. Cita Carlo Galli che oltre al livello spaziale parla di quello della costruzione riflessiva dello spazio politico, inteso come contesto in cui le azioni politiche si attuano. Questo tipo di studi è avvenuto in seguito alla nascita della realtà internazionali, degli studi delle relazioni internazionali e quindi con l’apparizione dello stato nazione sovrano. Un errore che secondo il professore è stato spesso compiuto è la restrizione del pensiero politico sui filoni nazionali, e non anche sovranazionali, sottovalutando così la complessità dell’universalità dei pensieri, nonostante poi si convenga che molti  dei fenomeni comuni a tutte le realtà sono il risultato di comuni atteggiamenti politici, come le persecuzioni religiose. Ciò che la geopolitica d’oggi può fare è  contribuire alla contestualizzazione, collegando la materialità dei fenomeni.

Da questi punti di vista si può indubbiamente affermare che la politica rappresenta un elemento chiave di tutto ciò che riguarda la realtà geopolitica e, anche se in maniera a volte eccessiva, quest’ultima occupa al giorno d’oggi una centralità senza precedenti; il miglioramento degli attori politici può essere senz’altro trovare adeguati strumenti per allargare innanzitutto la conoscenza di realtà a noi molto vicine e scoprire poi la modernità partendo dalle sue fondamenta dell’antichità.

Laura Sacher

Iraq: liberati 13 villaggi e uccisi 45 militanti nella provincia dell’Anbar. Le forze di sicurezza irachene proseguono nell’avanzata verso Rawa.

MEDIO ORIENTE di

Liberati, negli ultimi tre giorni, 13 villaggi nella regione irachena dell’Anbar e uccisi 45 militanti dello Stato Islamico, queste le notizie riportate dal comunicato dell’ufficio stampa delle forze militari Irachene. Il resoconto riguarda le operazioni militari condotte nell’Iraq occidentale dal 12 al 15 novembre.  Secondo quanto riportato dal comandante delle forze speciali dell’antiterrorismo, Abdul Amir Rashid Yarallah, durante le operazioni sono stati disinnescati 100 ordigni, distrutte 16 autobombe e otto motocicli. Sono stati uccisi inoltre tre attentatori suicidi.

Numerose, in questi giorni, le operazioni da parte delle forze Irachene nella regione a nord dell’Eufrate, indirizzate a sconfiggere definitivamente lo Stato Islamico, che aveva proclamato il “califfato” nel 2014. I tredici villaggi liberati sono limitrofi alla città di Rawa, che rappresenta l’ultimo obiettivo per l’esercito Iracheno.

Queste azioni rientrano in quello che era stato annunciato dalle autorità irachene a settembre, ossia un’ operazione quasi fulminea per eliminare definitivamente l’Isis dal confine con la Siria. Lo scorso 3 novembre, il premier Haider al Abadi  ha annunciato la presa di Qaim “in tempo record”.

Il governatorato di Anbar è la più grande  regione dell’Iraq e comprende gran parte del territorio occidentale del paese. Le caratteristiche geografiche della provincia di Al-Qaim, caratterizzata da vasti deserti, l’hanno resa un luogo strategico per il califfato, permettendo il trasferimento di uomini attraverso il confine con la Siria.

Intanto nel corso del weekend, le forze di sicurezza nazionali hanno scoperto a Hawija, città nella provincia di Kirkurk, strappata allo Stato Islamico ad ottobre, diverse fosse comuni contenenti corpi di almeno 400 persone uccise dall’ ISIS.

Autobomba esplode nella città di Aden, attacco rivendicato dall’ISIS

MEDIO ORIENTE/SICUREZZA di

Un’autobomba è esplosa nel quartiere Al-Mansoura della città di Aden, in Yemen. L’attacco è stato rivendicato dalle forze dello Stato Islamico.

L’automobile esplosa nella città di Aden mirava a colpire un accampamento usato forze di sicurezza della coalizione Saudita avversa ai ribelli Houthi. Nell’attacco è stata danneggiata anche la moschea Zayen bin Sultan, situata nei pressi dell’accampamento.  A quanto riportato dai testimoni il numero dei morti sembra ammontare alla decina mentre non si hanno dati precisi sul numero dei feriti, tra sono presenti cui alcuni civili.

La dinamica dell’attacco non è del tutto chiara, in quanto lo Stato Islamico rivendicando l’accaduto ha rivelato che vi fosse un solo uomo, Abu Hajar al-Adani, nella macchina carica di esplosivi, i quali sono stati detonati a distanza. Mentre i testimoni locali hanno riportato la presenza di due uomini.

Dalla rivendicazione si evince anche che il vero bersaglio di Adani fosse la “Security Belt” fondata dagli Emirati Arabi Uniti, la quale doveva essere distrutta uccidendo e ferendo tutti coloro al suo interno. Gli Emirati Arabi Uniti sono un alleato chiave dell’Arabia Saudita che dal 2015 combatte contro i ribelli Houthi, che hanno fatto della città di Aden la loro capitale temporanea.

Questo inoltre non è il primo attacco che la città subisce, il 5 Novembre scorso un’autobomba esplose nei pressi di un posto di blocco, uccidendo 15 persone e ferendone altre 20. Anche in quel caso l’attacco fu rivendicato dalle forze dello Stato Islamico.

La tensione aumenta tra Yemen e Arabia Saudita

MEDIO ORIENTE di

La situazione umanitaria yemenita è critica a causa del blocco terrestre, aereo e navale che lo stato sta subendo dall’Arabia Saudita come risposta al missile lanciato verso l’aeroporto di Riyadh lo scorso cinque Novembre.

Il conflitto, inizialmente solo intestino allo Yemen, iniziato nel 2014 con la ribellione degli sciiti Houthi che ha visto nel 2015 la partecipazione dell’Arabia Saudita per l’appoggio al governo di Abd Rabbo Mansour Hadi, si inasprisce a causa del missile lanciato contro l’Arabia Saudita. I ribelli Houthi hanno infatti rivendicato il lancio di un missile balistico Burkan 2-H diretto verso Riyadh, il quale però è stato intercettato dalle forze saudite nei pressi dell’aeroporto internazionale di Riyadh e neutralizzato nel deserto senza che facesse morti o feriti.

La reazione saudita non ha tardato a mancare, accusando subito il paese nemico, l’Iran, di aver sostenuto lo Yemen nel lancio del missile, di produzione iraniana. L’Arabia Saudita denuncia l’accaduto come “un atto di guerra” e accusa ancora l’Iran di aver violato la risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che vieta gli stati di fornire allo Yemen armi.

Provvedimenti sono stati presi anche nei confronti dello Yemen il quale da martedì sei Novembre subisce un blocco terrestre, aereo e navale da parte dell’Arabia Saudita. Tale blocco è stato da poco intensificato rendendo ancora più costosi i beni d prima necessità e bloccando gli aiuti umanitari al paese. L’ONU ha espresso preoccupazione per l’attuale situazione yemenita e considera questo blocco come un grande come ostacolo per gli aiuti umanitari, necessari per un paese, lo Yemen, che conta circa 20 milioni di persone bisognose di assistenza.

Intanto l’Iran, che ha subito rifiutato ogni accusa a lui rivolta dall’Arabia Saudita, ha successivamente dichiarato che il lancio del missile contro Riyadh è una chiara “reazione all’aggressione saudita”.

 

Terremoto Iraq-Iran; Primi soccorsi umanitari dall’Italia, il bilancio delle vittime è disastroso

MEDIO ORIENTE di

Un bilancio sempre più aggravato quello che va registrandosi a causa della potente scossa sismica di 7.3 gradi magnitudo al confine tra Iran e Iraq. Il numero delle vittime sale costantemente giorno dopo giorno, le ultime notizie fornite dall’istituto di medicina legale Iraniano parlano di 400 morti e circa 7000 feriti. Numeri agghiaccianti che hanno spinto anche le autorità italiane a compiere azioni concrete in questo senso. Nei giorni scorsi il premier Paolo Gentiloni, con un “Tweet”, si era detto “pronto a offrire aiuti ai paesi colpiti”. “Un volo cargo boeing 767 dell’Aeronautica militare è decollato dall’aeroporto militare di Pratica di Mare per Brindisi, da dove è ripartito con un carico di 15 tonnellate tra tende, coperte, kit cucina e igienico-sanitari, destinato alle popolazioni irachene colpite dal sisma”. Così recita un comunicato stampa del dipartimento della Protezione Civile, intervenuto col ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale insieme al Comando operativo di vertice interforze, alle dipendenze del ministero della Difesa, per “contribuire all’assistenza delle popolazioni colpite dal forte terremoto in Iran e Iraq”. “Con lo stesso volo , si legge nella nota, è partito anche un team di esperti delle amministrazioni coinvolte che, attraverso il personale diplomatico italiano presente sul posto, provvederà alla consegna dei materiali alle autorità locali”. Il ministro degli Esteri Angelino Alfano, annunciando anche lui la notizia del “volo umanitario” ha aggiunto ; “stiamo valutando la concessione di un aiuto finanziario sul canale multilaterale a favore dell’Iran, attraverso un finanziamento alla Mezza Luna rossa iraniana”. Anche Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha speso parole di solidarietà per le popolazioni in difficoltà.  Il sisma ha registrato il suo epicentro vicino la città di Halabja nel Kurdistan Iracheno, che fu teatro nel 1988 degli attacchi con il gas ordinati da Saddam Hussein. Le vittime si sono tuttavia registrate, nella maggior parte, dall’altro lato del confine, dove anche il numero delle persone che hanno perso la casa si fatica a stimare, sono decine di migliaia. Il terremoto ,registrato a 23,2 km sotto terra, è stato avvertito fino a Baghdad, ma anche in Turchia e negli Emirati. Le zone che ne hanno risentito maggiormente sono quelle della città di Kermanshah, a ovest dell’Iran a pochi km dalla frontiera con l’Iraq. Qui si sono registrate la maggior parte delle vittime tanto da dichiarare il lutto cittadino per tre giorni. Inoltre secondo quanto riportato dal responsabile dei servizi di emergenza iraniani, Pirhossein Koulivand, l’ospedale principale è stato gravemente danneggiato e non può prestare cure alle centinaia di feriti. Sono da poco arrivate le prime rassicurazioni dal parte del presidente iraniano Hassan Rohani, giunto Kermanshah; “Voglio assicurare tutti coloro che soffrono che il governo ha cominciato ad agire con tutto il suo potere e che si sforza di risolvere il problema il più velocemente possibile”.

 

Immigrazione, l’accusa dell’Onu: “l’UE viola i diritti umani”

EUROPA di

Accusa pesante, quasi insopportabile, quella fatta dall’Onu, riguardante gli accordi presi dall’ Unione Europea e dall’ Italia in special modo, con la Libia per la deportazione degli immigrati.

“La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”

asserisce l’Alto commissario per i diritti umani,il principe giordano Zeid Raad al-Hussein, dando così un giudizio drastico all’intera vicenda. In tempi moderni come questi, è difficile immaginare come l’UE abbia ancora difficoltà ad affrontare questa emergenza senza riuscire a dare una soluzione che cerchi di rispettare il più possibile tutti i diritti umani, che non devono mai esser posti in secondo piano.

“La politica dell’Unione europea di assistere la guardia costiera libica nell’intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo è disumana” Dichiara il funzionario dell’Onu.

Parole di forte indignazione le sue, che denunciano esplicitamente l’assistenza dell’Italia e dell’ UE a favore della guardia costiera libica nell’agevolare le operazioni sui migranti in mare, dando l’appoggio, in questo modo, alle procedure libiche fortemente irrispettose dei diritti umani.

Dichiarazioni in pieno contrasto con la linea di governo italiano del PD, il quale ha dichiarato : “il tema dei diritti umani, in Libia ed in Africa, non è in contrasto con l’azione del governo” inciso di oggi presente all’interno del discorso del leader del PD Matteo Renzi.

Eppure le dichiarazioni, rilasciate dagli “osservatori dei diritti umani”, prospettano tutt’altro scenario e non possono e non devono lasciare la nostra Nazione indifferente nel fornire delle risposte concrete ed adeguate a questa situazione di grave emergenza.

“Gli osservatori sono rimasti sconvolti da ciò che hanno visto: migliaia di uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammassati l’uno sull’altro, bloccati in capannoni”

La Cooperazione Strutturata Permanente: un punto di svolta per la Difesa UE?

EUROPA/SICUREZZA di

Negli ultimi due anni, le possibilità di integrazione aperte dal Trattato di Lisbona in ambito di azione esterna sembrano aver iniziato a concretizzarsi. Il varo della European Union Global Strategy nel giugno 2016, la Roadmap di Bratislava del settembre 2016, l’European Defence Action Plan del novembre 2016, la creazione del Fondo Europeo per la Difesa (EDF) e del Military Planning and Conduct Capability (MPCC) nel giugno 2017 sono testimonianze di un rinnovato interesse per una Difesa UE. Il paper analizza l’effettiva capacità trasformativa della Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) che dovrebbe essere lanciata entro la fine dell’anno.

di Lorenzo Termine

Clicca qui per scaricare il paper:

 

 

 

 

 

 

Iraq: un’esplosione causa diversi feriti nelle zone liberate nell’Anbar. Adesso la liberazione di Rawa segnerà la fine dello stato Islamico.

MEDIO ORIENTE di

Un’esplosione nella regione dell’Anbar occidentale ha causato diversi feriti tra le forze di sicurezza Irachene. In questo momento le truppe si trovano a fare i conti con i resti delle battaglie contro lo stato islamico. L’esplosione causate dalle mine terrestri, piantate  precedentemente, hanno ferito diversi soldati nella zona di Al-Rayhana, a est della città di Annah. La fonte non ha fornito dati precisi riguardo i feriti, perciò è difficile in questo momento quantificarli. In questa regione è presente l’ultimo bastione del “califfato”, la città di  Rawa. Qui si ritiene che i combattenti dell’Isis stiano tenendo in ostaggio circa 10.000 civili. Nel mese di settembre è stata lanciata un’offensiva per riprendere il controlo di questa città e più in generale di tutte le zone occupate da Daesh nelle aree circostanti lungo il confine con la Siria. La scorsa settimana le forze irachene hanno riconquistato la città di al Qaim in quello che il premier Haider al Abadi ha definito “un tempo record”. Le forze governative e i combattenti paramilitari erano entrati la mattina del 3 novembre nel centro di Qaim, dove prima degli scontri vivevano circa 50 mila persone, per poi annunciarne la liberazione nel pomeriggio. La cacciata dello stato Islamico dalla città di Rawa segnerebbe la fine del dominio territoriale del gruppo jihadista che ha proclamato il califfato islamico in Iraq nel 2014, e che da allora ha causato la morte di migliaia di civili. L’Anbar è la provincia più grande dell’Iraq e comprende gran parte del territorio occidentale del paese. È considerata una roccaforte della minoranza sunnita irachena e durante i primi anni dell’operazione statunitense “Iraqi Freedom” ha rappresentato una base importante per al Qaeda e altri gruppi di insorti. Inoltre la sua conformazione geografica e la sua morfologia, caratterizzata da vasti deserti, l’ha resa un territorio ideale anche per lo Stato islamico, permettendo il trasferimento di uomini attraverso il confine con la Siria.

Redazione
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