L’Islam in Italia. Quale patto costituzionale?

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La Sala Mappamondo ha aperto le sue porte ad un convegno che ha attraversato le tappe principali del viaggio di integrazione dell’Islam in Italia, analizzando le questioni nei diversi ambiti interessati: da quello politico con l’On. Manciulli, a quello  ministeriale  grazie alla partecipazione del prefetto Gerarda Pantalone, quello costituzionale grazie agli interventi di Stefano Ceccanti e Ciro Sbailò fino a  quello religioso rappresentato dall’Imam Yahya Pallavicini. La carta d’imbarco per questo lungo ed impegnativo viaggio è stata la proposta di legge del gennaio 2016 degli On. Manciulli, Dambruoso ed altri deputati: “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jiadista”, ancora in fase preparatoria; tale proposta è finalizzata alla costruzione di un dialogo inter-religioso tra comunità cristiana e comunità islamiche e nuove misure di prevenzione al terrorismo. Il progetto di legge, presentato da Dambruoso,  rinforza anche i casi riconducibili a condotte criminali: un uso eccessivo del web ai fini di auto addestramento o auto arruolamento o  l’organizzazione di viaggi in luoghi noti per essere sedi di incontro delle milizie, rientrerebbero nelle cause di persecuzione. Si stimerebbe inoltre la produzione di norme per una più adeguata formazione degli insegnanti nelle scuole italiane, dato l’alto afflusso di studenti islamici negli ultimi anni e il loro inevitabile aumento. “Interculturalità” dovrà essere l’aspetto chiave degli ambienti, giovanili e non, della società italiana. Dambruoso ha sottolineato gli interventi che si dovranno impiegare anche in campo giuridico-penale, rivolti specificatamente alla formazione del personale nelle carceri e all’individuazione di predicatori islamici al lato dei prigionieri; è questo un punto evidente  della necessaria cooperazione tra i rappresentanti istituzionali italiani e quelli islamici verso l’integrazione, essendo importante sia l’investimento, italiano, per queste figure sia la loro giusta selezione, compito islamico. Un ultimo elemento è una “contro narrativa” anti- jiadista, essendo sempre più un fenomeno comune quello della formazione “domestica” dei militanti che spesso riesce a raggiungere persino gli smartphone dei più giovani membri delle comunità islamiche.

Un secondo documento di viaggio fondamentale, presentato dal prefetto Pantalone, è il “Patto Nazionale per un Islam italiano, espressione di una comunità aperta, integrata e aderente ai valori e principi dell’ordinamento statale” risalente al 1 febbraio 2017,  redatto dal Ministero dell’interno ed i rappresentanti delle associazioni e delle comunità islamiche. Qui si sono poste le basi per una futura ed eventuale “intesa” tra l’Islam e lo Stato italiano, allo stato attuale ancora presentabili come due soggetti separati e per questo riconoscibili in un “patto” , ma i cui statuti si rispettano reciprocamente. È proprio questo l’elemento di forza, sottolineato dallo stesso prefetto: la natura pattizia, in quanto sintesi delle volontà dei soggetti firmatari. Il prefetto infine risponde, con grande convinzione, ad una domanda del pubblico alquanto polemica circa l’integrazione svolta solo a livello statale e non anche regionale o nel resto delle autonomie locali, replicando che invece sono sempre più i comuni e le regioni ad essere partecipi a questo processo di integrazione e di dialogo.

La terza tappa è rappresentata dall’intervento del prof. Ceccanti il quale risponde in maniera chiara e schietta ai quesiti postigli: per quanto riguarda i presupposti per procedere ad un’intesa come quella discussa, essi dal punto di vista tecnico-giuridico si presentano più che sufficienti, a dimostrarlo è la stessa Costituzione italiana con la libertà religiosa e la scelta di cambiare la propria fede; sono al massimo le posizioni di alcuni parlamentari, ritiene il professore,  che rimangono ancora un po’ scettici e con una visione ancora poco “multiculturale”. Bisogna partire da ciò che si ha per poter costruire qualcosa di fondato e senza dubbio i passi svolti fino ad ora sono stati fatti nella giusta direzione, aggiunge il professore. Quanto alla seconda domanda, ritiene che l’ “identità costituzionale”, nel nostro paese, a differenza di molti altri, non è usata come una “clava” ma come piuttosto uno fra gli strumenti di confronto per la costruzione del patto con l’Islam. Ed infine il terzo quesito era relativo alla lotta al jiadismo: “bisogna stare attenti a non fare il loro stesso gioco” suggerisce Ceccanti, riferendosi al fatto che l’obiettivo dell’ISIS stesso è quello di dividere la popolazione islamica dal resto della popolazione, e bisogna dunque cercare più un’ integrazione che una separazione; la Costituzione e se si vuole anche il Corano se utilizzati correttamente non possono che essere strumenti di grande supporto per tale scopo.

La rotta del viaggio si sposta poi verso il fronte religioso, pur sempre in collegamento con le istituzioni, avendo preso la parola l’Imam Pallavicini il quale ha dato una visione dello scenario attuale delle comunità islamiche sul territorio italiano, riconoscendo le numerose iniziative che si portano avanti ormai già da qualche anno. Ciò nonostante ha parlato di un “pluralismo eterogeneo di musulmani” in Italia, che si presenta con i vari gruppi di minoranze la cui formazione è ancora molto elementare e povera. Il  livello di scarsa conoscenza e coscienza di questi gruppi è soprattutto relazionato alla mancanza di consapevolezza della loro importanza europea e mondiale, ciò che davvero sia la tolleranza religiosa; la causa di tutto ciò è la mancanza di adeguati strumenti. Le sigle come  CICI, l’unico ente con statuto riconosciuto dal Presidente della Repubblica, COREIS, UCOI, CII, sì hanno una forte valenza ma non sono solo queste a rappresentare un Islam organizzato e a poter risolvere quindi la questione. Pallavicini ha anche lui affrontato i due temi fondamentali del riconoscimento ufficiale di uno o più interlocutori dell’Islam italiano e la possibile sottoscrizione di un’intesa; conclude l’intervento con l’enunciazione di criteri, provocatori,  di selezione dell’interlocutore islamico che potrebbe essere identificato al giorno d’oggi, che si potrebbero tradurre come la forte necessità di superare tutti i  pregiudizi che ancora resistono nella nostra realtà. Alla domanda dal pubblico, anch’essa alquanto provocatoria, risponde che non si vogliono né si devono raggiungere gli estremi: la trasformazione dello Stato laico  italiano in uno Stato confessionale o l’islamizzazione della società.

Il viaggio si conclude con Ciro Sbailò, esperto di sistemi giuridici islamici che riprende la questione esposta dall’Imam secondo cui spesso le comunità islamiche non sono a conoscenza della loro dottrina e dell’ambiente che le circonda, e per tale motivo definisce questo prossimo obiettivo un’ “operazione ermeneutica”, intendendo la necessità di istruire innanzitutto l’interlocutore per poter promuovere possibili modifiche e rinnovamenti. I flussi migratori dovranno poi essere il soggetto della futura intesa, ritenendo che quella parte di popolazione che è già consapevole, istruita e quindi desiderosa di collaborare, è già firmataria del patto avviato. La disintegrazione dei sistemi di violenza deve inoltre avere una soluzione, “non si può costruire sul nulla”: secondo il professore  bisogna eliminare ma altresì iniziare a proporre per la ricostruzione, altrimenti il viaggio intrapreso non avrà mai una meta, così come ritiene sia stato il fallimento del multiculturalismo. L’ultimo elemento esposto da Sbailò per il miglioramento del  processo di intesa riguarda l’uniformazione dei soggetti: gli imam e le istituzioni dovrebbero poter comunicare più liberamente, dotati soprattutto degli stessi strumenti.

di Laura Sacher

 

Bookreporter Settembre

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