GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Giugno 2016 - page 2

Ukraine: how long before the next talks?

Politics di

EU extension of sanctions against Russia is only the last chapter of the Ukrainian crisis. As appeared in the latest months, the ceasefire between Kiev and sepatists looks like a band-aid.

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The EU ambassadors from the 28 member states approved on June 21 to prolong the sanctions against Moscow until 31 January 2017. Main justifications are two: annexation of Crimea and presence in Ukraine.

Despite it’s approved unanimously, a part of Western public opinion, but also Italy, Hungary and Greece do not shared this choice. Indeed, Russia is a strategic partner in Syria against Islamic State; but also from economical viewpoint, because of several European partnerships with Moscow.

Putin trip in China on June 22, come on the heels of European sanctions, demonstrated the will to find new economical and financial partners after more than two years of sanctions. As noted by Mark McNamee, Central and Eastern Europe analyst at Frontier Strategy Group at CNBC, “Strengthening energy ties with China and India would serve Putin’s geopolitical interests further, while also stealing market share from the Saudis. In economic terms, other than energy, Russia is unable to offer much of anything to China. Of far more importance is the political support Russia offers, regarding foreign policy matters at the United Nations, Group of 20 and other venues … China, naturally, is happy to have a useful ally as it seeks to reform the existing U.S.-led order to attain its geopolitical goals. ”

“It’s clear that for the changes to be made to the constitution, preliminary conditions must be met. Russian forces must be withdrawn from Ukraine,” Poroshenko told French television. While Moscow continues to turn down every charges.

Meanwhile, the ceasefire in Ukraine is falsely going on, as demonstrated by 3 Ukrainian soldiers killed on June 18 or by the dreadful video, reported by Daily Mail, which shows Ukrainian soldiers burying alive a sepatist. And the large number of tanks in Donbass means that civil war has not already finished.

So, after Minsk II, new talks are very necessary. Islamic issue and an updated fair-trade between EU and Russia are the two main questions for International Community.
Giacomo Pratali

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Brexit: un test sull’Europa?

EUROPA/POLITICA di

La campagna già intensa ed accesa sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea ha assunto connotati di cupa tragedia, con il barbaro delitto di cui è rimasta vittima la giovane deputata laburista ed europeista Jo Cox.   Il sangue innocente di una coraggiosa paladina dell’ideale europeo alimenta, da un lato, la carica emotiva che accompagna la consultazione referendaria, dall’altro dovrebbe indurre i sostenitori delle opzioni contrapposte a recuperare serenità di analisi e di giudizio.   Credo che, innanzitutto, debba essere sgomberato il campo dalle tinte fosche e dagli atteggiamenti ritorsivi che, pure, hanno contrassegnato, in ambito internazionale, la polemica sulla Brexit.

Come ci ha recentemente ricordato un esperto del calibro di Enzo Moavero Milanesi (Corriere della Sera del 17 giugno scorso), la Gran Bretagna ha sempre rivestito una sorta di “status” particolare, all’interno dell’Unione Europea.   Patria dell’euroscetticismo, è rimasta fuori dall’Unione monetaria, dal sistema Schengen sulla libera circolazione, da taluni vincoli in materia di diritti fondamentali e di giustizia. La sua resistenza alle forme più stringenti di integrazione non le ha tuttavia impedito di concorrere ai notevoli passi in avanti compiuti dai paesi europei nella prospettiva dell’unione politica, nell’ultimo quarto di secolo. E, come la campagna referendaria ha reso evidente, buona parte della sua popolazione, che forse giovedì si rivelerà la maggioranza, crede nella prospettiva dell’integrazione europea.   Pur dosando con attenzione il suo consenso, rispetto alle decisioni comuni e caratterizzandosi, in genere, nel contrasto delle politiche più restrittive delle sovranità nazionali, la Gran Bretagna partecipa alla politica estera e di sicurezza dell’Unione e costituisce una risorsa essenziale, ai fini di consolidare il ruolo dell’Europa nei delicati scenari globali.   Trovo dunque condivisibili gli appelli diffusi contro l’opzione Brexit, ma non gli accenti vagamente ritorsivi ed intimidatori che sembrino precludere nuovi accordi e trattati con il Regno Unito o gravi ripercussioni economiche e commerciali.

Proprio così si rafforzano nell’opinione pubblica britannica, a mio giudizio, le inclinazioni più ostili all’Europa.   Come rileva puntualmente Moavero nell’articolo citato, in caso di vittoria dei fautori della Brexit, la successiva adesione del Regno Unito allo Spazio Economico Europeo (SEE) e la rinnovata sottoscrizione degli accordi commerciali di cui ora è parte, quale membro UE, attenuerebbero sensibilmente i rischi di ricadute economiche negative.   Ancorché drammatizzare e intimidire, occorrerebbe sottolineare gli effetti benefici della permanenza del Regno nell’Unione.   Per l’uno e per l’altra.   Perché, se è vero, come ha rilevato il premier Cameron, che il suo paese perderebbe taluni benefici e opportunità – soprattutto in termini di welfare -, è altrettanto vero che, per la prima volta, in caso di Brexit, un Paese membro lascerebbe l’UE, creando un precedente che potrebbe rivelarsi contagioso.

In uno scenario in cui si rafforzano i populismi e i neonazionalismi antieuropei e sembra crescere l’insofferenza verso vincoli e oneri derivanti dall’appartenenza all’Unione – basti pensare al tema della gestione dei flussi migratori – si potrebbe innescare una deriva disgregativa dagli esiti imprevedibili.   Ci ritroveremmo un’Europa “a porte girevoli”, in cui si entra e si esce, a seconda delle opportunità e del gradimento delle politiche comunitarie.   Tale condizione favorirebbe, forse, la tendenza a promuovere le cosiddette “cooperazioni rafforzate” e a stimolare nuclei ristretti di paesi di più sicura “osservanza” europeista a realizzare modelli di più stringente integrazione, soprattutto su temi centrali, sotto il profilo politico, come le relazioni internazionali, la sicurezza e la difesa, i flussi migratori, la giustizia, i diritti civili, il welfare. Ma le “porte girevoli” determinerebbero anche una condizione di permanente precarietà del processo di integrazione, la possibilità di disertare in qualsiasi momento le intese intercorse e le obbligazioni assunte, poteri decisionali sempre più sbilanciati a favore degli Stati nazionali – , pronti magari a minacciare l’uscita, in caso di dissenso dalle politiche comuni – rispetto a quelli delle istituzioni comunitarie.

In definitiva, un cammino più incerto e discontinuo che potrebbe allentare il vincolo tra i paesi membri e indurre una condizione di complessiva debolezza dell’Europa nel suo complesso e, forse, dell’intero occidente, rispetto ai giganti emergenti, in particolare la Cina, come ha rilevato in questi giorni il Premio Nobel Shimon Peres.   Più che a un modello di federazione politica, rischieremmo di tendere verso quello della CSI, sorta per conservare una solidarietà tra le repubbliche ex sovietiche e ben lontana, nel suo concreto sviluppo storico, dal disegno di integrazione dei padri fondatori dell’Europa comunitaria.   Per questo il referendum su Brexit, nell’immaginario collettivo, al di là del quesito in se stesso, ha ingenerato la sensazione di una sorta di giudizio universale sulla tenuta dell’Unione.

The political-economic strategy of Syriza

Policy/Politics di

This is the second of five articles in the series “Athens: The Crisis Within the Crisis” (click here)

The people of Greece have found ways to care for themselves, when the state entered a welfare crisis, as a result of the financial crisis. This article series shows some striking examples of community self help among citizens in Athens, even involving migrants. While the Greek people have helped themselves, their government has been stuck in an impossible political game. What was the grand strategy?

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Solidaric citizens take responsibility

Some of the most striking community efforts are found in the hands-on efforts management of the migration crisis, where citizens and migrants combine old resources in innovative ways, covering basic needs without money, and thus, generating value. In our article series, we have documented two complimentary efforts, one directed by the Syriza government, another led by the Anarchist movement. In line with recent studies in economic anthropology, we have turned the attention to “the other side” of the crisis: how do common people, out of necessity, innovate alternative infrastructures and currencies, and how do they generate economic value from scratch? One may have hope in this grass roots political economy. This undergrowth spreads unnoticed, in the shadow of the elitist political economy, with its investors, governments, banks and treaties.

Irresponsible deals between banks and elites

While recognizing the grass roots political economy, one should also not forget the elitist political economy, because its failure has caused everyday suffering and practical problems. The middle class in Greece is striving to keep up their way of life. In this situation, some of my friends are establishing a family. The father has gained a full time job, which hardly covers their expenses, while the toddler is being looked after by his mother. She also re-schools herself to qualify for jobs with predictable payment, while the kid stays with his grandparents. As in most families, care work is done on a voluntary basis, mostly by women, also by retired or unemployed men. Informal economy covers welfare needs, and generates value – but not without costs. Common people in Greece ask the simple question of why they have to pay for the irresponsible deals between Greek elites and European banks. The reformist government was voted in power in order to keep the irresponsible parties responsible of their actions. Why did it fail?

Keeping peace with the Greek elites

Why did not the irresponsible elite in Greece pay for the economic crisis? Why did the reformist government refrain from a Robin Hood policy – stealing back what the rich had taken from the poor, in order to return it to the poor? One reason might be the need to maintain peace in a country where old people still remember civil war. When the reformist Syriza Party became the largest party, their election campaign was supported by a host of radical socialist and anarchist movements. These were known for spectacular street clashes with the special police force Delta. Most members of this police force voted for the fascist Golden Down Party, according to election research. The Fascists believe in the unity of the ethnic nation, while the Anarchists are loyal to the unity of the social class. Thus, the two movements suggest two opposing ways to overcome the destructive effects of financial capitalism. In both blocs, the activists have grandparents who risked their lives in civil strife during the World War II and after. In between these two blocs, it may have been difficult to be the Syriza Party: on the one hand, trying to be loyal to the socialist bloc, on the other hand, trying to avoid antagonizing the nationalist bloc. This may explain why the Syriza Party chose to create a coalition government with the conservative nationalist Anel Party. Perhaps this move prevented civil strife? Perhaps it also made it impossible to keep the old elite responsible of their corruption?

Keeping peace with the European banks

Why did not the irresponsible European banks pay for the economic crisis? During the negotiations about the debt crisis, the media attention was won by the Greek finance minister Yanis Varoufakis, who looked like a rock star. But the power game was won by his German counterpart Wolfgang Schäuble, a hard liner. He demanded that the Greek tax payers should pay for the Greek debt crisis – against the suggestions from those who have tried this recipe before, such as the International Monetary Fund (IMF), and former World Bank leader Joseph Stiglitz. These suggest more social liberal policies. From such a viewpoint it is rather absurd that the European Central Bank has a shared currency, the Euro, without any shared monetary policy, to counter low conjunctures. Instead of keeping the European and Greek elites responsible of their irresponsible money lending policies, the Greek tax payers are forced to pay. Drinking water is a basic human right, but the Greek government has been forced to sell this public service to private corporations based in Germany. Thus, the drinking water is no longer under democratic control. The policy making is left to a social darwinist principle of the survival-of-the-strongest – completely against the visions of Adam Smith, a founder of economic liberalism, who believed that the state should ensure equal opportunities for everyone. When the rule of the financial oligarchy is called “neoliberal”, then the language is counter-factual, and diverts attention away from the actual violence of the regime. Why could not minister Varoufakis and the IMF together turn the tide? Did they under-estimate the extremism of all the Schäubles who follow in the footsteps of Reagan and Thatcher – and Pinochet? When someone say “there is no alternative” to financial capitalism, then they actually refer to the Diktat of financial capital.

Is this a coup?

When the baby sleeps, his mother tells me that the solidarity movement talks positively about Merkel, it is not her, but Schäuble, that is seen as the enemy. When I ask her where the class struggle within Greece has gone, after the new government, she is positive about keeping the nation together. The young mother talks about civic “patriotism”, like the historical Republican movement in Latin Europe. During the Great Depression in the 1930s, a reformist Republican government was elected into power in Spain, but failed dramatically. Armed reaction from the nationalist bloc, combined with passive acceptance from liberal states, led to the Spanish Civil War. Of course, Greece in 2016 is a specific place and period, different from Spain in 1936. Nevertheless, one similarity is that in contemporary Greece, the reform movement gained governing position through a coalition between socialist parties and anarchist movements, similarly to the Republicans in Spain. However, one of the differences is that in contemporary Greece, the reformist socialist party chose to form a coalition government with a conservative nationalist party, whereas in historical Spain, the entire nationalist bloc became part of an armed reaction. Thus, with Spain during the Great Depression, the neighbouring liberal governments could sit passively and watch the Spanish Civil War. But in contemporary Greece, the reformist prime minister was forced by neighbouring liberal governments to sign “the third memorandum” – which implied that the Greek reform government had to surrender to all demands from the counterpart, even giving up democratic control over drinking water. “This is a coup!” was the shout from the socialist and anarchist movements. “The only progressive action today is to bleed”, prime minister Alexis Tsipras said recently. The good news is that even though the Syriza Party has failed, it nevertheless failed much less dramatically than others.

 

 

Helge Hiram Jensen

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Gli Usa mettono in guardia la Cina

Asia/BreakingNews di

Gli Stati Uniti hanno deciso di mostrare i muscoli nel Mar Cinese Meridionale per rassicurare gli alleati regionali e lanciare un chiaro messaggio alla Cina, le cui mire sull’area appaiono sempre più esplicite.

Due Carrier Strike Group americani, composti ognuno da una portaerei e diverse navi militari di grandi dimensioni, hanno iniziato sabato scorso una serie di esercitazioni militari nelle acque territoriali delle Filippine, alleato chiave nella disputa per il controllo dei mari asiatici meridionali.

I drill hanno coinvolto le portaerei a propulsione nucleare Ronald Reagan e John C. Stennis, 12 mila marinai, 140 velivoli e altre sei navi da battaglia, a pochi giorni dalla sentenza che una corte internazionale si appresta a emettere in merito alle rivendicazioni cinesi sul tratto di mare conteso. Il messaggio è chiaro: gli USA non intendono lasciare campo all’avversario cinese e gli alleati regionali, a partire dalle Filippine, non saranno lasciati soli di fronte alle pressioni di Pechino.

Le navi americane hanno iniziato a svolgere esercitazioni di difesa aerea, sorveglianza marittima e attacco a lungo raggio, mettendo in mostra la propria potenza di fuoco a poca distanza dalle acque contese, nelle quali la Cina continua le proprie attività costruttive di atolli artificiali a scopo civile e militare.

L’intento delle esercitazioni, nel linguaggio formale dei bollettini informativi della marina militare, sarebbe quello di promuovere la libertà di navigazione e di sorvolo nelle acque e nei cieli dell’area. Le dichiarazioni che giungono dai comandi chiariscono meglio lo scopo dei drill: “Questa è per noi una grande opportunità, per prepararci ad operare con CSG (Carrier Strike Group) multipli all’interno di un ambiente conteso”, ha spiegato l’ammiraglio John Alexander.

Da parte filippina, la mobilitazione militare è la dimostrazione lampante che gli Stati Uniti sono determinati a prestare fede all’”impegno corazzato”, ribadito in più occasioni, in favore dell’alleato asiatico. “Accogliamo con favore la cooperazione e la forte partnership con i nostri amici ed alleati, alla luce della disputa nella quale i nostri legittimi diritti sono stati oltrepassati”, ha affermato Peter Galvez, portavoce del Dipartimento di Difesa filippino.

Il riferimento è alla sentenza, attesa nel giro di poche settimane, con cui la Corte di Arbitrato Permanente dell’Aia dovrà esprimersi sulla legittimità delle rivendicazioni di Pechino nei confronti delle acque del Mar Cinese Meridionale, una delle aree navigabili più importanti del mondo, sotto il profilo economico e strategico, sulla quale affacciano anche Vietnam, Malesia, Brunei e Taiwan e su cui convergono gli interessi di Cina, USA e Giappone.

La sentenza sarà probabilmente favorevole alle Filippine, che si erano rivolte al tribunale internazionale per tentare di contrastare l’espansionismo cinese. La Cina, dal canto suo, ha deciso di ignorare la corte, alla quale non riconosce alcuna giurisdizione sulla materia, e non ha preso parte al dibattimento.

 

Luca Marchesini

 

The US warn Beijing in the South China Sea

Asia @en/BreakingNews @en di

The United States have decided to flex its muscles in the South China Sea to reassure regional allies and send a clear message to China, whose claims on the area appear more and more explicit.

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Two Americans Carrier Strike Group (CSG), each composed of a aircraft carriers and other warships of large size, started last Saturday a series of military exercises in the territorial waters of the Philippines, a key ally in the dispute for the control of the South Asian seas.

The drill involved the nuclear-powered aircraft carriers Ronald Reagan and John C. Stennis, 12,000 sailors, 140 aircraft and six battleships, a few days from the judgment that an international court is preparing to issue about the Chinese claims on the disputed sea stretches. The message is clear: the US does not intend to leave field to the Chinese opponent and regional allies, from the Philippines, will not be left alone in the face of Beijing’s pressures.

The American ships began to carry out air defense, maritime surveillance and long-range attack maneuvers, showcasing their firepower not far from the disputed waters, in which China continues its constructive activities of artificial atolls for civilian and military purposes.

The intent of the drills, in the formal language of the navy information bulletins, would be to promote the freedom of navigation and overflight in the waters and on the skies of the area. The statements that come from commands better clarify the purpose of the drill: ” (This) has been a great opportunity for us to train on how we would operate multiple Carrier Strike Sroups in a contested environment” explained Admiral John Alexander .

By Philippine, military mobilization is the clear demonstration that the US is determined to give credence to their ” ironclad commitment”, reiterated on several occasions, in favor Asian ally. ” e welcome the strong cooperation and partnership we have with our friends and allies … in light of (the dispute) where our legitimate rights have been overstepped” said Peter Galvez, spokesman of the Philippine Department of Defense.

The reference is to the decision, expected in a few weeks, in which the Court of Permanent Arbitration of The Hague will speak about the legitimacy of the Beijing claims on the the South China Sea waters, one of the most important navigable areas of the world, from economic and strategic points of view, on which also overlook Vietnam, Malaysia, Brunei and Taiwan and on which the interests of China, US and Japan gather.

The ruling will likely be favorable to the Philippines, which addressed to the international court to counter Chinese expansion. China, for its part, has decided to ignore the court, to which does not recognize any jurisdiction over the matter, and did not take part in the proceedings.

 

Luca Marchesini

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CAR, ex Seleka attaccano Ngaundaye

Medio oriente – Africa di

I gravi fatti dei giorni scorsi nella Repubblica Centroafricana sono la dimostrazione di quanto sia critica la situazione nel paese. Sono i missionari cattolici che dal villaggio ci Hanno informato su quanto è accaduto nei giorni scorsi.

Venerdi 10 giugno una mandria di circa 1000 capi si è avvicinata la villaggio per proseguire verso Nzakoum, gli animali erano scortati da guardie armate appartenenti alla fazione Seleke.

Exif_JPEG_420Il gruppo si accampa a soli 3 kilometri dal villaggio e la mattina successiva alcune delle guardie armate si avvicina al villaggio e al posto di blocco della gendarmeria ottengono il permesso di entrare in città ma al loro arrivo alla stazione della polizia gli viene intimato di registrare le armi.

Gli uomini Seleka si trovano circondati dai gendarmi e da alcuni elementi Anti – Balaka e qui soppia il primo scontro a fuoco che provoca la morte di 7 delle 8 guardie della scorta alla mandria che fugge dopo aver visto uccidere senza pietà i propri compagni. Tutto questo accade alle 10.30 del mattino del sabato dando il via alle violenze.

Le truppe Minusca della zona dichiarano di aver salvato dal linciaggio altri tre elementi della scorta alla mandria, che rubata in Ciad stava trasitando per la Repubblica Centrafricana con l’obiettivo di essere venduta in Camerun, da quel momento nelle 18 ore successive si sono sentiti sparare moltissimi colpi di armi leggere.

Exif_JPEG_420Domenica e lunedi passano con una relativa calma e registrando l’assenza dei gendarmi che sembrerebbero essere andati ad accompagnare i loro feriti in ospedale.

La situazione precipita martedì 14 quando circola la notizia che un gruppo armato di ex –Seleka si avvicina al villaggio scatenando il panico nella popolazione che comincia ad abbadmdonare le case e in molti si rifugiano presso la locale missione cattolica. Altri vengono scortati dalle truppe della missione MINUSCA verso il confine lasciando la città quasi deserta.

Lo stesso giorno finalmente arrivano da Bangui tre camion di rinforzi della polizia ben armati con circa 30 uomini vedendo i quali la popolazione acquista una certa fiducia e rientra in città per scoprire he gli stessi in serata lasceranno la città.

La popolazione di Ngaoundaye viene abbandonata lasciando gli ex Seleka alle porte della città. Il gruppo di fuoco degli Ex Seleka è composta da circa 60 persone ben armate e fortemente intenzionati a vendicare i loro compagni uccisi due giorni prima.

Il giorno dopo, il 15 di giugno, il gruppo entra in città, attraversa il quartiere Lapoundji, seminando terrore e feriti tra le poche persone rimaste. Immediatamente si cominciano a contare i feriti, otto tra cui donne, bambini e anziani che non potevano fuggire,

Il gruppo vuole raggiungere la stazione di polizia e nel tragitto hanno dato fuoco alle case dopo averle saccheggiate compresa la casa delle suore che però avevano già trovato rifugio presso la missione dei padri missionari.

Raggiunta la missione alcuni elementi del gruppo tentano di abbattere la porta ed entrare, lo stabile è colmo di persone che vi hanno trovato rifugio, il terrore li attanaglia in quei momenti di violenza appena fuori la porta dei padri missionari.

ils sont ariveesSolo con la minaccia di far esplodere le porte i padri aprono le porte lasciando vedere agli aggressori i bambini piangenti e le donne terrorizzate. I padri ingaggiano una trattiva con quello che sembra il capo degli ex- seleka, solo l’arrivo di due mezzi della missione MINUSCA evita il peggio. Gli uomini armati si allontanano velocemente prima dell’arrivo delle truppe ONU.

Mentre nella stazione di polizia si avvia una trattativa tra il leader degli Ex – Seleka e il comandante del reparto Minusca, Padre Benoit della missione riesce fare un giro in città a bordo di un auto dell’ONU e riesce a vedere lo strazio dei morti e dei feriti tra le case bruciate dal gruppo di guerriglieri.

Dopo l’installazione delle forze di Interposizione della Missione delle Nazioni Unite il gruppo armato ha lasciato la gendarmeria e si sono stabiliti nelle case di una ONG Danese la RDC.

 Nel pomeriggio dello stesso giorno il gruppo armato è uscito dal paese e hanno preso la via del ritorno verso le montagne.

Il 18 giugno arrivano in città due camion di Peacekeepers che si installano presso gli edifici scolastici e finalmente la popolazione può respirare, ma allo stesso tempo i Seleka dalla loro base minacciano di tornare se non verranno pagati 55 milioni di riscatto a risarcimento altrimenti torneranno in città.

Sebbene la missione ONU abbia rilasciato dichiarazioni seocndo le quali la sicurezza è stata ristabilita è evidente che la situazione è molto critica e l’attacco dei giorni scorsi ha dimostrato la capacità operativa e di fuoco dei gruppi armati nella zona.

 

 

AREA DI CRISI – LA CRISI SIRIANA, EPICENTRO DI INSTABILITA’ DEL MEDITERRANEO

Varie/Video di

Nella seconda puntata di AREA DI CRISI insieme all’avvocato Forlani analizziamo la situazione della crisi siriana e il suo impatto geopolitico nel quadrante.

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CREDITS

AREA DI CRISI – settimanale di european affairs –

CONDUCE: alessandro conte, direttore european affairs magazine –

REDAZIONE: giacomo pratali, paola fratantoni, paola longobardi, giada bono – SEGRETERIA DI REDAZIONE: giacomo pratali –

MUSICA SIGLA: per gentile concessione di francesco verdinelli –

REGIA: tino franco –

IMMAGINI: nel blu studios –

MONTAGGIO: daniele scaredecchia –

REALIZZATO IN COLLABORAZIONE CON :

EUROPEAN AFFAIRS MAGAZINE – www.europeanaffairs.media

NEL BLU STUDIOS – www.nelblustudios.com –

EDITO DA: Centro Studi Roma 3000 – www.roma3000.it

 

Centrafrica, Seleka cambia nome ma continua ad uccidere

BreakingNews di

Nei giorni scorsi un grave attacco dei SELEKA, oggi “Fronte popolare per la Rinascita”, si è verificato nel villaggio si Ngaundaye dove un gruppo di guerriglieri che scortava una mandria ha rifiutato di deporre le armi quando la gendarmeria locale li ha fermati.

Ne è derivato uno scontro armato che ha provocato 7 morti tra i Seleka e un ferito tra i gendarmi locali. Naturalmente lo scontro ha provocato una reazione da parte dei Seleka che sono calati in forze sul villaggio minacciando la popolazione e bruciando le abitazioni costringendoli a rifugiarsi nella missione locale.

Molti i feriti tra la popolazione civile tra i quali anche dei bambini che hanno avuto bisogno di cure mediche nel villaggio di Bocarangia.

Le forze di pace della missione Minusca presenti in zona sono intervenuti a protezione della popolazione  mentre le Forze dell’Esercito Centrafricano FACA sono arrivati dopo quattro giorni percorrendo un  tragitto che in genere si può percorrere in 16 ore, non appena giunti, come hanno detto alcuni testimoni, sono ripartiti dopo breve tempo, forse temendo ulteriori attacchi Seleka.

La testimonianza dei missionari presenti a Ngaundaye è molto sofferta, sono stati il punto di ritrovo della popolazione terrorizzata e sono stati più volte attaccati dai gruppi Seleka che si spostavano nel villaggio combattendo con i gendarmi. Solo quattro giorni dopo con l’Intervento delle forze ONU è stato ristabilito un minimo di ordine, per il momento.

La situazione in Centrafrica continua a deteriorarsi, le bande criminali assumono ormai il controllo di gran parte del territorio nonostante la presenza dell’ONU che non riesce a fornire il supporto necessario allo sviluppo di una sicurezza generale del paese

Il paese è ormai stremato da tre anni di guerra civile che ha tra le sue principali vittime i bambini.

Lo scontro vede contrapposti cristiani a musulmani, per motivazioni religiose ma soprattutto politiche, lasciando la popolazione senza cibo, acqua, educazione, cure mediche.

È il nuovo presidente Faustin Archange Touadéra, neo eletto al ballottaggio con il 62,7% dei voti contro lo sfidante Georges Dologuele, che dovrà affrontare questa situazione in continuo degrado.

c662863a-0512-4c17-b6f1-28fb2263a499_large.jpgSono quasi un milione i cittadini della Repubblica Centrafricana in fuga da fame e guerra. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha censito circa 455mila rifugiati centrafricani, scappi in Congo, Camerun o Chad dall’inizio della nuova guerra civile. Dal dicembre 2013 si è registrata una costante crescita del numero di rifugiati, da 235mila ai 455mila di marzo 2016. Gli sfollati interni sono al momento 435mila, dopo aver raggiunto il picco di 825mila a gennaio 2014.

 

QUESTO ARTICOLO E’ STATO MODIFICATO A SEGUITO DI UN APPROFONDIMENTO SULLE INFORMAZIONI DALLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA

 

 

Venezuela moves towards a revocatory referendum

Americas di

The economic, political and social crisis of Venezuela has worsened over the last few months. People’s exasperation about food shortages and an inflation rate that hit 180%, has reached the peak. The whole country is waiting for the democratic event that seems to give a chance to change the current situation: the revocatory referendum on the presidential mandate of Nicolás Maduro, which was promoted by the political opposition last April.

President Nicolás Maduro won the elections in April 2013, thanks to the wave of emotion caused by the death of Hugo Chávez, occurred on the 5th of March of the same year. Even though Chávez appointed Maduro as his ideal successor, he immediately showed less charisma than its predecessor. In 2013 Maduro won the presidential elections obtaining a 50,61% of the votes, while the opposition’s candidate Capriles Radonski obtained the 49,12% of the votes. However, from that moment Maduro’s consensus started deteriorating. The most significant evidence of that loss of consensus are the frequent protests organized by the opposition as well as the elections for the National Assembly that took place on the 6th of December. On that occasion the opposition united in the MUD (Mesa de Unidad Democrática) obtained 109 seats out of 167.

Venezuelan Constitution, which was adopted in 1999 during Chavez’s presidency, stipulates, under article 72, that any elective office may be revoked by a popular referendum, after half of its mandate has passed. For this reason, in April Venezuelan opposition presented at the National Electoral Council (CNE) a referendum request on the presidential mandate. According to Venezuelan law, the procedure to organize a revocatory referendum consists of 4 phases. The first requirement has already been met, it is the submission of the request to the CNE. The second one is the collection of the 1% of signatures of the total number of people registered in the electoral lists (197.978 signatures). The 10th of June the President of CNE, Tibisay Lucena, declared that the opposition presented more that 1 million and 900 thousand signatures, and that 605 thousand of those were considered invalid (the CNE affirmed that those signatures were repeated more than once or they referred to dead people). Nevertheless the opposition obtained that 1 million and 352 thousand signatures were validated by the CNE. This allowed the CNE to move on to the third phase that is going to take place from the 20th of June to the 26th of July. During the third part of the process, the opposition will be required to collect the 20% of signatures of citizens registered in the electoral lists for a minimum of approximately 3 million and 900 thousand signatures. After that, it will be possible to schedule the date of the revocatory referendum. Venezuelan citizens will be able to revoke Maduro’s mandate if at least the same number of people who voted for him in the elections of 2013 it is no longer supporting him.

Meanwhile, the tension is increasing as well as the concrete risk of confrontations between chavistas and the opposition supporters. For this reason, the CNE’s President called on all political forces to not to use violence, declaring that in the event of an incident the CNE will halt the referendum process.

The country’s instability is mainly caused by the reduction of oil price in the international market. In fact, Venezuela is deeply dependant on oil exports. According to OPEC, Venezuela possesses the major oil reserves in the world, and it is among the 10 major oil producers. However, the country has not been able to obtain great benefits from this resource. The opposite political factions are blaming each other for the alarming situation in the country. On the one hand the opposition argues that the crisis is due to the bad policies implemented by the Socialist Party, which has been ruling the country since 17 years. On the other hand the government blames the economic élites for halting the production of goods in order to destabilize the government and convince people to sustain a regime change. As regards this issue, Maduro usually affirms in his speeches that the Venezuelan élites are conspiring with the United States by organizing an “economic war” to overthrow the government. In addition to that, another phenomenon contributed to worsen the crisis, a drought called Niño. This phenomenon reduced the functioning of the hydroelectric plants in the country, which provide the country with roughly the 70% of the electricity needed. For this reason the government decided to impose energy saving measures, such as a reduction in the opening hours of public offices.

Venezuela’s priority is to achieve conciliation, to find a compromise for the collective wealth, to overcome the violent opposition between the two political factions and to adopt measures in order to address the fundamental problems of the country. These are the high crime rate, the huge inequality between social classes, the lack of good public services (education and healthcare) and the corruption. The creation of a more extended medium class, by an attenuation of economic, social and cultural differences among the population, would solve the first and the second problem as well as it would reduce the violent political environment. Moreover, a more equal distribution of wealth would determine an increase in the consumption and it would support the birth of new businesses, bolstering the economic recovery.

In conclusion, Maduro’s government has lost the support of the majority of the Venezuelan population. If the general discontent won’t have the possibility to be expressed through the revocatory referendum, there is a concrete risk of a turmoil similar to the one occurred in 1989 (the “Caracazo”). The opposition is likely to succeed in revoking Maduro’s mandate. In that case the opposition would retake the power after 17 years of socialist government. However, these years of violent confrontations will leave open wounds on the skin of Venezuelans that remain divided into two separate blocks. The real challenge will be to cure this wound, which has been opened since a long time.

Elena Saroni

Il Venezuela verso il referedum revocatorio

AMERICHE di

La crisi economica, politica e sociale del Venezuela si è acuita considerevolmente negli ultimi mesi. L’esasperazione della popolazione che fa i conti tutti i giorni con la scarsità di prodotti alimentari, beni di prima necessità e con un’inflazione che ha raggiunto il 180%, è ormai giunta al culmine. Tutto il Paese è in attesa dell’evento di partecipazione democratica che sembra prospettare un cambiamento di rotta: il referendum revocatorio sul mandato presidenziale di Nicolás Maduro, promosso dall’opposizione lo scorso aprile.

Il Presidente Nicolás Maduro vinse le elezioni nell’aprile 2013, sull’onda di commozione che attraversava il Paese per la recente morte di Hugo Chávez, avvenuta il 5 marzo dello stesso anno. Maduro, pur essendo stato indicato come auspicabile successore da Chávez, non ha mostrato lo stesso carisma del suo predecessore. Se nel 2013 vinse le elezioni ottenendo il 50,61% dei voti, contro un 49,12% del candidato dell’opposizione Capriles Radonski, da quel momento il consenso attorno alla sua figura non ha fatto che sgretolarsi lentamente.Il segno più evidente di tale perdita di consenso, oltre alle numerose manifestazioni dell’opposizione, sono state senza dubbio le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale tenutesi lo scorso 6 dicembre. In tale occasione l’opposizione riunita nel MUD (Mesa de Unidad Democrática) ha ottenuto 109 seggi su un totale di 167.

La Costituzione venezuelana, che è stata riscritta nel 1999 sotto la presidenza Chávez, prevede, all’articolo 72, la possibilità di sottoporre ad un referendum revocatorio qualsiasi carica pubblica elettiva una volta trascorsa metà del mandato. Per questa ragione, ad aprile l’opposizione venezuelana ha sottoposto al Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) la richiesta per indire un referendum sulla permanenza in carica del Presidente Maduro. La procedura per organizzare il referendum secondo la legge venezuelana si articola in 4 fasi: la prima consiste nel sottoporre la richiesta al CNE. La seconda fase consiste nel raccogliere le firme dell’1% degli iscritti al registro elettorale di tutto il Paese (197.978 firme) e consegnarla al CNE il quale procede a verificare la validità di tali firme. Il 10 giugno scorso la Presidente del CNE, Tibisay Lucena, ha reso pubblici i risultati del processo di convalida delle più di 1 milione e 900 mila firme presentate dall’opposizione. Sono state ritenute invalide circa 605 mila firme (sostenendo che si tratta di firme ripetute più volte o nominativi riferiti a persone decedute), permettendo comunque all’opposizione di ottenere la convalida di un milione e 352 mila firme (a fronte delle 197.978 richieste). Questo ha permesso al CNE di passare alla terza fase che avrà luogo dal 20 giugno al 26 luglio prossimo e che prevederà la raccolta di almeno il 20% delle firme degli iscritti ai registri elettorali (si tratta di un minimo di circa 3 milioni e 900 mila firme). Una volta completata anche tale fase, potrà essere fissata la data per il referendum revocatorio. Il referendum potrà dunque decretare la fine anticipata del mandato presidenziale se voteranno per la revoca un numero di elettori almeno uguale a coloro che nel 2013 votarono per l’elezione di Maduro.

Nel frattempo la tensione è elevata ed il rischio di scontri tra chavistas e opposizione nel Paese è concreto, tanto che la Presidente del CNE ha invitato le forze politiche a non intraprendere nessun atto di violenza, pena la sospensione del processo di convalida della richiesta referendaria.

L’instabilità del Paese è causata in primo luogo dalla crisi economica provocata dal basso prezzo del petrolio a livello internazionale, il quale rappresenta la principale fonte di sostentamento per l’economia venezuelana. Il Venezuela possiede secondo le stime dell’OPEC le maggiori riserve di petrolio a livello internazionale ed è tra i primi dieci Paesi produttori nel settore. Tuttavia, il Paese non è riuscito a trarre sufficientemente profitto da questa risorsa. Le opposte fazioni politiche si incolpano l’un l’altra della situazione di emergenza in cui versa il Paese. Da un lato l’opposizione ritiene che la crisi sia dovuta alla cattiva gestione del Partito socialista Unito del Venezuela al governo ormai da 17 anni, dall’altro il governo incolpa le élites economiche del Pase di aver volontariamente interrotto la produzione di alcuni beni per far collassare il governo ed indurre la popolazione a preferire un cambio di regime. A tale proposito, Maduro ha spesso parlato nei sui discorsi di una “guerra economica” messa a punto dalle élites locali con il sostegno degli Stati Uniti. Ad aggravare la crisi si è inoltre aggiunto il fenomeno del Niño, una siccità che ha ridotto il funzionamento delle principali centrali idroelettriche del Paese (da cui dipende circa il 70% delle forniture energetiche del Paese). Ciò ha costretto il governo ad imporre un risparmio energetico a tutto il Paese, riducendo per esempio l’orario di lavoro dei dipendenti pubblici.

La prima necessità del Venezuela è oggi ritrovare un clima di conciliazione, un compromesso per il bene collettivo, superare la violenta e cieca opposizione tra sostenitori di forze politiche opposte e sostenere insieme le misure per risolvere i problemi di base del Venezuela: la criminalità, la forte disuguaglianza tra classi sociali, la carenza di servizi pubblici di qualità accessibili a tutti (istruzione e sanità) e la corruzione. La creazione di una classe media più numerosa, attenuando le differenze economiche sociali e culturali tra la popolazione, non solo andrebbe a risolvere il primo ed il secondo problema, ma creerebbe anche le condizioni per attenuare il clima di polarizzazione e violenza nelle posizioni politiche. Infine, dal punto di vista economico una redistribuzione della ricchezza a sostegno della classe media favorirebbe un incremento dei consumi, delle piccole attività imprenditoriali e dunque sosterrebbe la ripresa economica di un Paese che si trova all’orlo del collasso.

Ad oggi il governo di Maduro ha perso il sostegno della maggioranza della popolazione venezuelana e se l’insoddisfazione generale della popolazione non troverà espressione nel referendum revocatorio, vi è il rischio di una sollevazione popolare simile a quella già avvenuta nel 1989 (Il “Caracazo”). Il probabile successo del referendum revocatorio apre dunque la strada al ritorno dell’opposizione al governo dopo 17 anni di chavismo, ma lascia aperte le ferite di un popolo socialmente diviso in blocchi contrapposti. La vera sfida consisterà nel riuscire a sanare questa ferita aperta da tempi immemori.

di Elena Saroni

Redazione
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