GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Novembre 2015

Armi occidentali e terrorismo jihadista

Varie di

Il quesito è aperto e si propone con urgenza quando il terrore colpisce nel cuore dei nostri paesi occidentali dove produzione e vendita dovrebbero essere regolamentate da ferree regole di controllo: il traffico internazionale illegale di armi.  Chi produce, chi vende, chi ne fruisce, chi perisce?

Un articolo de 2013 del New York Times rapportava uno schema allora consolidato di vendita di armi croate in Giordania, con un passaggio successivo in Siria e con i ribelli anti Assad come utilizzatori finali. Uno schema deliberato e acconsentito dalla stessa CIA, secondo il quotidiano statunitense. Cosa sono diventati gran parte di quei ribelli, lo sappiamo bene: esercito jihadista dell’autoproclamato Califfato.

Le lobby delle armi non conoscono crisi. Lungi da complesse tesi complotiste senza fondamenta investigative, un dato semplice e recentissimo ci da un segno da non trascurare: l’indomani della dichiarazione ufficiale di guerra contro il terrorismo jihadista da parte del Presidente della Repubblica francese, Hollande, le borse viaggiavano a gonfie vele. Fiducia cieca nell’intensificazione delle operazioni militari o cosa?

L’entrata della Russia nel conflitto indirizza ancora meglio la via delle armi. Uno studio internazionale del 2014, Conflict Armament Research, patrocinato dall’UE, illustrava come gran parte degli armamenti utilizzati nei conflitti in Medio Oriente sono di produzione USA, Russia e Cina. Armi che in caso di avanzata jihadista nei territori finiscono nelle mani dei terroristi. Per ora solo la Cina esporta ufficialmente armi ai regolari governi siriano e iracheno.

D’altra parte, una situazione estremamente complessa è quella del traffico illegale internazionale d’armi leggere. Facendo riferimendo all’ultimo rapporto Illicit Small Arms and Light Weapons elaborato dall’ European Parliamentary Research Service in collaborazione con le Nazioni Unite, si stimano in 875 milioni le armi leggere circolanti a livello mondiale ed appartenenti a privati cittadini.

Una delle vie più gettonate al traffico d’armi leggere è la rotta dei Balcani. Il dissolvimento delle ex Repubbliche jugoslave, la guerra in Bosnia, la crisi albanese del 1997, la guerra in Kosovo nel 1999, hanno facilitato il procuramento illecito da parte di privati o di bande criminali territoriali, dalle riserve degli eserciti governativi . Armi vendute in massa e di continuo alle grandi organizzazioni criminali e oggi anche ai jihadisti radicalizzati negli stessi paesi. V’è una produzione di alta qualità di armi nei Balcani, necessità degli anni della Guerra fredda. Calcolare oggi il numero esatto di armi in circolazione nel Sud Est europeo è difficilissimo. Nel 2012 si stimavano circa 4milioni di armi leggere illegalmente in mano ai privati, 80% delle quali provenienti dai conflitti degli anni ’90. Tuttavia, la continua produzione di armi prevista nei programmi di questi paesi non sono destinati al rafforzamento delle proprie forze armate, cosa che andrebbe a preoccupare seriamente l’UE viste le recenti adesioni di Croazia e Slovenia e delle prospettive future di stabilità nell’area, ma sono ufficialmente destinate all’export internazionale. Pertanto, aldilà di ogni proposito aconfittuale dei suddetti paesi, tali armi spesso finiscono in mani pericolose, com’è naturale che sia, potremmo ben dire. Nel 2013 armi provenienti dalla guerra bosniaca finirono nelle mani di Al-Qaeda vendute da scocietà serbe e montenegrine.

Quanto all’Italia, secondo ultimi rapporti stilati anche dalla Rete per il Disarmo, si stima che circa 28% delle armi italiane sono destinate in Nord Africa e in Medio Oriente a cavallo dell’exploit della crisi siriana. La L. 185/1990, che detta il Divieto di esportazione di armamenti verso quei Paesi in stato di conflitto armato, disciplina il traffico di armi definite “militari”: le armi staccate in pezzi, le munizioni e le armi in dotazione alle forze dell’ordine, che eludono qualsiasi controllo. Fuori da questa norma rimangono le armi leggere, che possono essere smontate e vendute al pezzo. Traffico che può essere effettuato trasportando armi smontabili con semplice bolla di accompagnamento.

Questo scenario sommerso e cruento continua a complicarsi e ad espandersi in più direzioni, anche prevedibili. Poche ore fa è stato bloccato un carico di 800 fucili al porto di Trieste proveniente dalla Turchia e destinato in Germania e forse, Belgio e Olanda.

Armi occidentali in mano ai jihadisti e poi Parigi. Colpita al petto per la seconda volta in 10 mesi, checché se ne dica, la ciptale francese scatena la nostra empatia europea e occidentale, naturale, immediata, senza filtri. Parigi forse ci chiede etica e coscienza; con ciclicità la Ville Lumiere, ogni tanto, ci chiede di illuminarci.
Lungi da ogni moralismo stagnante e retorica impoverita, un richiamo ai fatti: per “liberare” i paesi arabi dai loro carnefici, ne abbiamo sollecitato le primavere, lo abbiamo fatto con armi e denaro.

Voilà, cosa diavolo c’entrano questi con la Primavera?!

Vertice NATO: Libia snodo cruciale per Mogherini e Gentiloni

BreakingNews di

Discorsi convergenti quelli dell’alto rappresentante dell’UE Federica Mogherini e del ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni in occasione della seconda giornata del seminario congiunto NATO a Firenze. Entrambi, infatti, hanno indicato non solo la Siria, ma anche la Libia come terreno cruciale nella lotta al terrorismo.

In collegamento da Bruxelles, Mogherini si è rivolta ai partecipanti al seminario spiegando che “non è ancora venuto il momento di un’azione militare europea congiunta in Siria. Ma è comunque indispensabile trovare una soluzione politica di concerto assieme a tutti gli altri attori politici, anche se le posizioni di partenza restano distanti”. E ancora: “Ritengo che la Siria sia sì importante, ma non inscindibile dal contesto libico, sul quale dobbiamo lavorare per combattere il Daesh. Dalla questione migratoria e dei rifugiati che arrivano in Europa fino agli attacchi terroristici di Parigi: il nostro continente deve poter gestire questa minaccia proveniente da fuori”.

Interpellata, invece, sul ricorso all’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona da parte della Francia, Mogherini ha difeso l’operato congiunto dichiarando che “è vero che i singoli stati stanno discutendo bilateralmente le soluzioni militari contro il terrorismo assieme a Parigi”, ma “l’Unione Europea – sottolinea -, fin dal 13 novembre, ha dato la sua solidarietà e il suo pieno appoggio al governo francese. Purtroppo è necessario l’uso della forza per difendere la sicurezza dell’UE”.

Dal canto suo, Gentiloni, intervenuto sul dibattito del pomeriggio sulla Libia, rilancia l’idea che, come nel caso siriano, anche in quello libico “serve una soluzione comune che porti all’accordo tra le fazioni. Dopodichè, le Nazioni Unite metteranno nero su bianco un piano d’intervento nel Paese. L’Italia, così come in Iraq e Afghanistan, è pronta ad assumersi le proprie responsabilità. Il destino della Libia, al pari di quello della Siria, è di fondamentale importanza per l’Europa e per l’Italia sia per la questione dei flussi migratori sia per la lotta al Daesh e al terrorismo”

Mentre, sui rapporti con la Francia dopo l’intervento in Siria e il ricorso all’art. 42.7, il titolare della Farnesina ha assicurato che “l’Italia è al fianco della Francia, con la quale stiamo studiando forme di collaborazione ulteriore in altri contesti geopolitici caldi”, ha concluso Gentiloni.

Lebanon, Unifil’s committment in spite of attacks

Defence/Middle East - Africa di

The Lebanon situation is getting worse. Since last September 11, three ambushes hit the Italian military forces engaged in the field. The final, against a patrol of Italian peacekeepers of UNIFIL mission, occurred in the south, on the border with Israel, near the base of Naqoura. During a routine patrol two cars blocked an armored Lynce and exploded several bursts of kalashinikov. The militiamen then looted the vehicle and fled after stealing a machine gun and some bullet-proof jackets. The General Staff of Defense denies any responsibility of IS, who instead claimed the attack in Beirut in which 41 people died of a few days before the terrorist attack against Paris. Lebanese authorities have launched investigations to clarify the sequence of events.

The presence of Shiites of Hezbollah in the territory would preclude any infiltration of Sunni IS or Al Qaida terrorists. Andrea Tenenti, spokesman for the UN force, said that «The investigation is pursuing, and Lebanese authorities join Luciano Portolano, General Commander of UNIFIL, in condemning the ambush». The UN Security Council reiterated its support to UNIFIL, asking to all parties the respect of their obligations to protect security of peacekeepers and of other members of the UN staff. Meanwhile, the Italian contingent continue the activity to contribute to the stability of the country and in favor of local population. During the first month of operation, the “Taurinense” Alpine Brigade has ensured compliance with the UN Resolution 1701, through the continuous control of the territory, and daily committing its structures in joint activities with the Lebanese Armed Forces (LAF), both with patrols independent.

In addition to the activities aimed at maintaining the overall balance, the Italian contingent has promoted two new initiatives in high and middle schools of the Al Qulaylah municipality. The Italbatt Task Force led the first lesson of the Italian language course, included in the program of the school year 2015/16, while the medical staff held, on the proposal of the School Director, Mr Abdel Karim Hassan, a lesson in dental awarness.

Dispute between the US and China for control of the South China Sea goes on

Asia @en di

During the Asia-Pacific Cooperation Summit in Manila, which ended last week, President Barack Obama reiterated the US position, calling on China to stop the construction of artificial islands and new infrastructure in the area of ​​sea dispute. The answer wasn’t long in coming. At the summit of the ASEAN countries, held in Kuala Lumpur, Beijing, through the Deputy Chinese Foreign Minister Liu Zhenmin, accused Washington of wanting an escalation and defended the construction activities at sea, launched in 2013 and still in progress today.

First Obama, at the opening of the APEC summit in Manila, last Wednesday, pushed the issue of the South China Sea on the political agenda of the 21 leaders. After meeting with the President of the Philippines, Benigno S. Aquino III, Obama spoke to the press urging Beijing to cease all military activity in that part of the sea and to accept international arbitration to reconcile differences with its neighbors in South-East Asia.

“We agree on the need for bold steps to lower tensions – Mr. Obama said – including pledging to halt further reclamation, new construction and militarization of disputed areas in the South China Sea,”

Without taking a position on the front of the territorial claims made by the involved countries, the United States consider free navigation on the waters of the contended area as a vital point. For this reason, they confirmed their commitment to the side of the South Asian governments who oppose Chinese expansionism, and ensured the Allies a contribution of $ 250 million for military spending.

Beijing’s response came on November 22, during the ASEAN Summit in Kuala Lumpur. Deputy Chinese Foreign Minister Liu Zhenmin asserted the legitimacy and legality of Chinese government initiatives, reiterating that China has no intention to terminate the building of new facilities off its southern coast. Zhenmin then replied to the American accusations, denying that Beijing is proceeding to a progressive militarization of the area. From Chinese prospective, Washington should instead halt its provocations after that, last month, an American navy ship crossed a maritime area that Beijing regards as part of its territorial waters.

“Building and maintaining necessary military facilities, this is what is required for China’s national defence and for the protection of those islands and reefs,” Deputy Foreign Minister said, adding that Beijing intends to “expand and upgrade” civil infrastructure ” to better serve commercial ships, fishermen, to help distressed vessels and provide more public services.”

The two main contenders positions are, therefore, very far and nothing portends, at this time, a change of course by the Chinese battleship.

Libano, impegno UNIFIL nonostante gli attentati

Varie di

Peggiora la situazione in Libano, dove nelle scorse settimane sono stati ben tre gli agguati alle forze militari italiane presenti in loco, a partire dall’11 settembre scorso. L’ultimo, ai danni di una pattuglia di caschi blu italiani della missione Unifil, è avvenuto nel sud del paese, ai confini con Israele, vicino alla base Onu di Naqoura. Durante un pattugliamento di routine due vetture hanno bloccato un blindato Lince ed esploso diverse raffiche di kalashinikov. I miliziani hanno poi saccheggiato il mezzo e sono fuggiti dopo aver sottratto una mitragliatrice e alcuni giubotti antiproiettile.

Lo Stato Maggiore della Difesa smentisce probabili responsabilità dell’IS nell’accaduto, che ha invece rivendicato l’attentato di Beirut in cui sono rimaste vittime 41 persone pochi giorni prima della strage di Parigi.  Sono tutt’ora in corso le indagini avviate dalle autorità libanesi per chiarire la dinamica dei fatti, tenuto conto della presenza di sciiti di Hezbollah sul territorio in questione, la qual cosa ostacola eventuali infiltrazioni di terroristi sunniti dell’Is o di Al Qaida. Andrea Tenenti, portavoce della forza ONU, ha affermato che «Sull’agguato al mezzo italiano è in corso un’inchiesta, e le autorità libanesi si uniscono al generale Luciano Portolano, Comandante dell’Unifil, nel condannare l’accaduto».

Il Consiglio di Sicurezza Onu ha ribadito l’appoggio a Unifil, appellandosi a tutte le parti coinvolte per il rispetto degli obblighi a tutela della sicurezza dei caschi blu e del resto del personale dell’Onu. Frattanto proseguono le attività del contingente italiano in loco per contribuire alla stabilità del paese e in favore delle popolazioni locali. Durante il primo mese di operazione, gli alpini della Brigata “Taurinense”  hanno assicurato il rispetto della risoluzione  ONU 1701 attraverso il controllo continuativo del territorio, impegnando giornalmente i propri assetti sia in attività congiunte  con le Forze Armate Libanesi (LAF), sia con pattugliamenti indipendenti. Oltre alle iniziative finalizzate al mantenimento dell’equilibrio generale, il contingente italiano ha promosso due nuove iniziative presso le scuole superiori e intermedie della municipalità di Al Qulaylah. La Task Force Italbatt ha condotto la prima lezione del corso di lingua italiana, inserito nel programma dell’anno scolastico 2015/16, mentre il personale sanitario ha tenuto, su proposta del Direttore della scuola Mr Abdel Karim Hassan, una lezione di  igiene dentale agli studenti.

Viviana Passalacqua

Contro il Cyber Terrorismo nasce il  “Polo Tecnologico per la ricerca e sviluppo

INNOVAZIONE di

Non è più una novità ma un dato di fatto, le minacce informatiche sono ormai una realtà  indiscutibile che coinvolge fortemente la difesa nazionale. Gli attacchi di hacker hanno un rilievo di primo piano in molte azioni terroristiche ma anche di intelligence come visto nei mesi scorsi con il caso della violazione alla società Hacking Team o più n generale ai continui attacchi alle reti informatiche istituzionali.

Per fare fronte a questa crescente minaccia nel cyberspazio nasce proprio in Italia il “Polo Tecnologico per la ricerca e sviluppo: in piena ‘guerra telematica’ al terrorismo, l’Intelligence incontra il privato e mette in campo nuovi strumenti di sicurezza. Dall’integrazione progettuale e operativa tra Intelligence, università e aziende nasce il ‘Polo Tecnologico per la ricerca e lo sviluppo che integra nella sua struttura una stretta collaborazione tra Intelligence, Università e aziende private.

L’inaugurazione del Polo è stato  inaugurato con una Tavola rotonda sul Cyber, alla quale – insieme a qualificati rappresentanti del mondo accademico e delle aziende – partecipano il sottosegretario Marco Minniti, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, il Direttore generale del  Dis, Giampiero Massolo.

Il Polo Tecnologico è un luogo unitario, fisico e logico in cui sarà possibile integrare, coordinare, sintetizzare e ottimizzare idee, esperienze e risorse tra  pubblico e privato con l’obiettivo di conseguire una maggiore  sicurezza cibernetica.

Con questo modello si vuole raggiungere l’obiettivo di accelerare  la ricerca, l’innovazione e soprattutto la  condivisione di capacità hi-tech nazionali con l’obiettivo di una difesa efficace.

Sono ormai troppe le infrastrutture vitali,  come il trasporto elettrico, ferroviario, aereo, etc, che devono assicurare la massima sicurezza delle comunicazioni, del telecontrollo della gestione logistica per erogare in sicurezza i propri servizi, senza i quali il paese verrebbe immobilizzato.

Il Polo Tecnologico non è soltanto difesa cibernetica ma costituisce una messa a terra concreta di studi e buone pratiche: declinando insieme le ricerche dell’outreach accademico con la realtà delle Pmi, questo moltiplicatore di opportunità si fa volano di sviluppo di un’ampia gamma di nuove tecnologie a supporto della sicurezza nazionale.

In questo senso, costituisce un incubatore di eccellenze e professionalità attraverso lo sviluppo di attività di formazione, di un confronto efficace e di un aggiornamento costante proteso anche all’acquisizione di risorse finanziarie attraverso la partecipazione a progetti europei

Il settore delle aziende che offrono tecnologie e servizi avanzati nel settore Ict è di assoluto rilievo e conta in Italia più di 75.000 imprese e 456 mila addetti, concentrati principalmente nell’ambito dei servizi (circa il 70%), nel software (23%), telecomunicazioni (5%), produzione hardware (1,5%)

Vertice NATO Firenze, Minniti: “Contro Daesh, fase militare e post-bellica indivisibili”

BreakingNews di

Nel corso dell’apertura ai lavori del seminario congiunto GSM dell’Assemblea, in corso presso Palazzo Vecchio a Firenze, il seminario del Gruppo Speciale Mediterraneo e Medio Oriente (GSM) dell’Assemblea Parlamentare della NATO, il presidente della Delegazione italiana all’Assemblea NATO, Andrea Manciulli, promotore dell’evento, ha ribadito “l’importanza di una giornata in cui le realtà europee e arabe del bacino Mediterraneo possono dialogare alla ricerca della pace”.

Dopo gli interventi del sindaco di Firenze Dario Nardella, del presidente del Senato Piero Grasso e l’apertura dei lavori da parte di Gilbert Le Bris, Presidente del GSM, Andrea Manciulli e Marco Minniti, Sottosegretario di Stato, hanno analizzato il rapporto del GSM dal titolo “Le origini ideologiche, teologiche e socio-economiche del terrorismo jihadista”.

“Lavoriamo a questo rapporto da un anno – ha spiegato Manciulli -. Esso tenta di spiegare la minaccia che abbiamo di fronte. In queste settimane, si è discusso se si tratta di terrorismo o di guerra. La prima parte del rapporto è dedicato all’evoluzione del fenomeno terroristico negli ultimi anni dopo la nascita di Daesh. È evidente che Daesh rappresenta una nuova forma di minaccia, nel rapporto definita “guerra asimmetrica”.

“In questa nuova forma di guerra, il primo fattore evidente è la costituzione di uno Stato dentro stati precostituiti. Questo costituisce un richiamo per il radicalismo, anche a migliaia di chilometri di distanza. É una guerra, pertanto, di tipo mediatica. In questa guerra atipica, l’altro elemento è il terrorismo, portato come minaccia dentro più continenti. E questo può essere fatto in modo organizzato o facendo leva sul fattore emotivo dei cosiddetti lupi solitari. Per sconfiggere questo nemico, serve una strategia su più piani, dunque, e condivisa. Qui oggi sono presenti molti attori europei e non: se arrivassimo alla definizione del nemico comune, faremmo già un grande passo in avanti”.

E ancora: “Nel rapporto redatto, viene inoltre esaminato il comportamento anche dell’organizzazione jihadista tradizionale: Al Qaeda. Più indebolita e per questo più attiva verso di noi e soprattutto in Afghanistan, dove, per questo motivo, è indispensabile rimanere. A questo, si aggiunge l’orizzonte territoriale e provinciale dello Stato Islamico: welfare, giustizia e scuola vengono gestiti proprio in maniera statale. È questo il salto di qualità di Daesh”.

“Nell’ultima parte del rapporto – conclude Manciulli -, si parla dell’espansione di Daesh dove c’è scarso controllo territoriale e mancanza di unione statuale. Questo è evidente in Nigeria, tramite l’organizzazione locale Boko Haram, Libia e Sinai, per esempio. L’obiettivo è creare una proliferazione di fronti. Daesh costituisce è una minaccia atipica per l’Occidente. In questo senso, il caso libico può divenire quello più importante. Se non ci occupiamo di zone come questa, così vicina non solo all’Italia, ma a tutti gli Stati Membri, facciamo il gioco dello Stato Islamico”.

Marco Minniti, Sottosegretario di Stato, ha sottolineato che “questo è un momento delicato non solo per il Patto Atlantico, ma per tutti gli attori mondiali. L’attacco di Parigi conferma il quadro di una minaccia già chiaro da tempo e evidenzia un salto di qualità: ci siamo trovati di fronte ad un attacco militare nel cuore dell’Europa. Eravamo abituati allo Stato Islamico in grado di mobilitare soprattutto singoli individui. Il 13 novembre, invece, abbiamo avuto l’esempio di una volontà di prendere temporaneamente il controllo militare di una capitale europea”.

E aggiunge: “Il punto di congiunzione tra guerra asimmetrica e simmetrica sono il foreign figheters, la più grande legione straniera del mondo che, secondo il calcolo di alcuni esperti, provengono addirittura da oltre 100 Paesi. Vanno a combattere in Siria e Iraq e poi tornano, si sganciano, diventano terroristi. Lo Stato Islamico, però, è una minaccia globale. Oltre a Parigi, dobbiamo ricordare l’aereo russo abbattuto nel Sinai, il Libano, la Tunisia. Pertanto, questa organizzazione non può essere contenuta ma sconfitta”.

Minniti parla della strategia da adottare: “Al primo posto della nostra strategia, c’è l’intelligence. Non siamo all’anno zero della collaborazione tra i diversi servizi dei Paesi occidentali. In questo momento, tuttavia, la cooperazione e lo scambio d’informazione divengono cruciali e vanno incrementati. A questo si aggiunge la necessaria interruzione dei loro canali di finanziamento. Infine, dobbiamo tenere presente che la guerra militare va di pari passo con l’iniziativa diplomatica”.

Il Sottosegretario analizza quest’ultimo aspetto: “L’importanza di tenere uniti gli aspetti militare e diplomatico è dimostrata dal caso siriano. All’inizio, l’Isis era una componente minoritaria della componente antiAssad: in 18 mesi, è divenuta la principale minaccia. Pertanto, debbo sì a pensare di liberare Raqqa, ma anche pensare al futuro politico-istituzionale della Siria In questo senso, è di fondamentale importanza il processo diplomatico in corso a Vienna, che sarebbe un peccato mortale interrompere. Infatti,i punti nodali sono due. Costituire la più grande coalizione anti Daesh possibile. E, nel momento in cui parliamo di Vienna, dobbiamo ricordare l’ultimo passaggio cruciale: solo con il confronto, può essere affrontare la transizione politico e istituzionale siriana”.

E infine: “Sul fronte europeo, ritengo fondamentale, nella lotta contro Daesh, continuare a sostenere Schengen, incrementando i controlli sulle frontiere esterne dell’Unione Europea. Ma soprattutto, bisogna sì vincere la partita militare. Tuttavia, la nostra storia recente (Libia, ndr) ci insegna che essa deve andare di pari passo con la costituzione del futuro post-Daesh. Non bisogna dunque fermarsi a pensare solo al presente”, conclude Minniti

Vertice NATO Firenze sulla lotta al terrorismo

BreakingNews di

Giovedì 26 e venerdì 27 novembre, presso Palazzo Vecchio a Firenze, si terrà il seminario del Gruppo Speciale Mediterraneo e Medio Oriente (GSM) dell’Assemblea Parlamentare della NATO, promosso dal presidente della Delegazione italiana all’Assemblea NATO, Andrea Manciulli. A seguito dei fatti di Parigi, è stato stravolto il programma originario. Il tema del terrorismo e della sicurezza saranno al centro dell’agenda. Spazio anche a questioni come il finanziamento delle organizzazioni jihadiste, la Libia, le prospettive energetiche e i riflessi economici nei rapporti di interscambio nell’area Mena.

Oltre ai circa 120 parlamentari dei Paesi Nato e degli Stati della sponda sud del Mediterraneo presenti, interverranno alcune tra le più importanti cariche istituzionali italiane: Pietro Grasso, Presidente del Senato; Laura Boldrini, Presidente della Camera; Angelino Alfano, Ministro dell’Interno; Paolo Gentiloni, Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale; Roberta Pinotti, Ministro della Difesa; Marco Minniti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e il gen. Claudio Graziano, Capo di Stato maggiore della difesa. Attesa anche Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione.

Proprio a seguito degli attacchi nella capitale francese, a Firenze sono state implementate le misure di sicurezza. Tiratori scelti e unità cinofile sono già attive nel capoluogo toscano e pronti a garantire la sicurezza delle circa 40 delegazioni Nato presenti in città.

Nella giornata di mercoledì 25 novembre, verso le 17,30, si terrà infine una manifestazione di protesta organizzata da“Assemblea fiorentina contro il vertice Nato”. Sel, Rifondazione Comunista, i No Tav e altri movimenti formeranno un corteo che si snoderà lungo le vie del centro storico della città.

Papa Francesco: i rischi del viaggio in Africa

Massima allerta per la visita del Papa in Africa, in programma dal 25 al 30 novembre. Si inizia domani con il Kenya, per proseguire poi con l’Uganda e terminare con la Repubblica Centrafricana, dove il rischio attentati è alto, come ribadito, da almeno due mesi, dai servizi francesi presenti nel Paese.

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Nonostante i 148 morti di aprile nel campus universitario in Kenya, è la Repubblica Centrafricana a destare le maggiori preoccupazioni sia presso la Santa Sede sia presso l’esercito francese, capofila della missione delle Nazioni Unite. Il picco di massima allerta sarà raggiunto il 29 novembre, in occasione dell’apertura del Giubileo per l’Africa da parte del Pontefice.

Se il rischio per Francesco I è già evidente da molte settimane, i fatti di Parigi e, in special modo, gli attentati all’Hotel Radisson in Mali alzano ulteriormente il livello della tensione.

Tensione palpabile nelle parole pronunciate dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano: “Il Papa vuole fortemente fare il viaggio in Africa, anche nella sua tappa più critica, la Repubblica Centrafricana, dove sono ripresi gli scontri”, ma “se ci dovessero essere scontri in atto, sarebbe difficile pensare di andare per la sicurezza del Pontefice, ma anche della popolazione”.

Tensione, tuttavia, che non scoraggia il Pontefice, “pronto – come dichiarato ieri – a sostenere il dialogo interreligioso per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese”.

La Repubblica Centrafricana, come altri Stati africani, convive un conflitto interno a causa della guerra civile scoppiata due anni e mezzo fa. Inizialmente, non era un conflitto di tipo religioso, ma di stampo politico tra le milizie presenti nel Paese. Dopo la deposizione dell’ex presidente Bozizè, la guerra civile è divenuta uno scontro confessionale.

Facendo un breve excursus, analizzando la geografia della Repubblica Centrafricana, il Centro-Sud è più sviluppato e abitato in prevalenza da cristiani, i quali rappresentano l’80% della popolazione totale. Il Nord, invece, è meno sviluppato e a maggioranza musulmana. La mancanza di attenzione e di politiche verso quest’area da parte della capitale Bangui, hanno favorito il riversarsi di milizie non regolari dall’estero attraverso la parte settentrionale del Paese.

Dal 2003 al 2013 il protagonista della scena politica centroafricana è stato l’ex presidente Bozizè, eletto per due volte e per due volte protetto dall’esercito francese (nel 2003 e nel 2006) nel corso delle due guerre civili.

La prima, nel 2003-2007 in cui aveva come rivale il politico e militare Michel Djotodia. La seconda, malgrado gli accordi di pace, nel 2012, quando le guardie presidenziali lo abbandonano. Dopo la crisi umanitaria che deriva da questi anni di guerra civile, Bozizè scappa in Camerun. A cacciarlo è il gruppo ribelle “Seleka” (coalizione), composto da centrafricani, ma anche da ciadiani e sudanesi. Prima di andarsene dal Paese, l’ormai ex presidente aveva richiesto l’intervento della Francia a sua protezione, ma Hollande ha rifiutato.

L’altro fattore che ha contribuito alla deposizione di Bozizè è stato il mancato appoggio del presidente del Ciad Deby, il quale, dal 2010, gli aveva tolto l’appoggio esterno e aveva favorito la creazione di un gruppo ribelle di matrice islamica che si dirigesse contro la capitale Bangui.

Nel 2013, i ribelli diventano esercito regolare. Tuttavia, questa nuova situazione non fa altro che esasperare gli animi e le violenze all’interno del Paese. Violenze che sfociano nella terza guerra civile dal 2003. Nel dicembre dello stesso anno, però, l’Onu vota una risoluzione per un intervento militare nella Repubblica Centrafricana a guida francese.

Nel gennaio 2014 viene eletta presidente Catherine Samba-Panza, prima donna a ricoprire quella carica, cristiana ma neutrale. Le violenze tra musulmani e cristiani però continuano fino ad oggi. Le Nazioni Unite, l’UNICEF e altre ONG denunciano una escalation di scontri che vedono coinvolti i bambini sia nelle vesti di soldato sia nelle vesti di vittime.

 

Giacomo Pratali

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