GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

Monthly archive

Aprile 2015

Ue: “Nessuna missione militare in Ucraina”

EUROPA di

Questo quanto emerso nel corso del summit di Kiev tra Tusk e Poroshenko. Entro il 2020 l’ex Paese sovietico potrebbe entrare nell’Unione Europea.

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“Siamo favorevoli ad un’operazione civile, ma non militare”. Non lascia margini di interpretazione il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk nel corso del vertice di Kiev con il presidente ucraino Poroshenko, il quale aveva chiesto all’Unione Europea il sostegno armato contro i ribelli del Donbass. Apertura, invece, per quanto riguarda l’accesso all’Ue: “Entro i prossimi cinque anni potremmo raggiungere i requisiti necessari”.

Intervistato proprio su quest’ultimo punto il 21 aprile scorso da La Repubblica, il premier ucraino Arsenij Yatseniuk aveva constatato come questa ipotesi “abbia causato le offensive di Putin e dei filorussi nell’est dell’Ucraina. La nostra guerra civile ci è costata 1800 soldati e 6000 civili morti dal 2014. Inoltre, i separatisti non stanno rispettando il cessate il fuoco”.

Ma la situazione sta precipitando, a dispetto degli accordi di Minsk, a partire dalla capitale Kiev. Nei giorni scorsi, infatti, tre giornalisti vicini alle posizioni russe, Oles Buzina, Sergej Sukhobok e Oleg Kalashnikov sono stati uccisi. E le reazioni non si sono fatte attendere. Se Vladimir Putin ha bollato i fatti come “omicidi politici”, molti oligarchi e personaggi pubblici ucraini hanno incredibilmente festeggiato di fronte a questa notizia.

Giacomo Pratali

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Eu: “No military mission in Ukraine”

Defence/Europe/Policy di

Setting Ukraine entry in European Union in Kiev summit beteween Donald Tusk and Petro Poroshenko.

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“We are only thinking about civilian mission, not military”. As European Council President Donald Tusk replied to Ukraine President Petro Poroshenko, after he asked European Union an army operation to fight pro-Russians rebels in Donbass. In Kiev summit, Poroshenko said also that Ukraine could reach “necessary requirement to access to Eu in five years”.

About the Eu entry, Ukraine Prime Minister Arsenij Yatseniuk told on La Repubblica in 21st April that “it caused Putin and rebels attack in Donbass. Our civil war costed 1800 soldiers and 6000 civilians killed from 2014. Moreover, the ceasefire is not respected by separatist, who are following to use weapons and fire”, he ended. On the other hand, three pro-Russian journalists are killed in Kiev last week: Oles Buzina, Sergej Sukhobok and Oleg Kalashnikov. While Vladimir Putin told of “political assassination”, several Ukrainian big names unbelievably celebrated them.

Giacomo Pratali

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Migranti: vertice Renzi-Ban Ki Moon

Difesa/EUROPA/POLITICA di

Il premier italiano in pressing sul Segretario Generale Onu per un’operazione di polizia internazionale contro i barconi provenienti dalla Libia.

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“Fermare i trafficanti di esseri umani per evitare una catastrofe umanitaria è un’assoluta priorità su cui contiamo di avere il sostegno delle Nazioni Unite”. Si è espresso così il premier italiano Matteo Renzi nel vertice a tre con il segretario Onu Ban Ki Moon e l’alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, insignita del mandato esplorativo per constatare se ci siano le condizioni o meno per un intervento militare contro i barconi. L’incontro, avvenuto a bordo della nave S. Giusto nel Canale di Sicilia, si è svolto dopo il Consiglio Europeo straordinario di giovedì 23 aprile.

La strage di migranti e i molti sbarchi previsti nei prossimi mesi (già 25mila persone sono arrivate in Italia dall’inizio del 2015) hanno reso questo incontro necessario. Soprattutto, dopo l’aumento dei fondi destinati all’operazione Triton, Renzi ha cercato di spingere, con il sostegno di partner come Francia, Gran Bretagna e Spagna, sulla questione dei respingimenti, in una sorta di “operazione di polizia internazionale” che vada a distruggere i barconi e catturi gli scafisti.

Sul luogo dell’incontro, scelto dal Primo Ministro italiano per fare “vedere fisicamente e plasticamente a Ban Ki Moon che cosa sta facendo l’Italia”, il Segretario Generale ha affermato che “la concentrazione di tutti sia su salvare le vite, inclusa l’area libica delle operazioni di ricerca e soccorso”, ma “la sfida” è “anche assicurare il diritto all’asilo del crescente numero di persone che in tutto il mondo scappano dalla guerra e cercano rifugio”.

Mentre sulla Libia, ha ribadito che”non ci sono alternative al dialogo. Il mio Rappresentante speciale, Bernardino Leon, e la sua squadra continuano a lavorare in maniera instancabile con le parti libiche coinvolte, per aiutarle ad arrivare insieme ad uno spirito di compromesso”, conclude Ban Ki Moon.

Giacomo Pratali

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Migrants: Renzi-Ban Ki Moon summit

Defence/Europe/Policy di

The Italian prime minister leaned on the UN Secretary General for international police operation against the boats from Libya.

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“Stopping human traffickers in order to prevent a humanitarian catastrophe is an absolute priority, and we count on UN support for this”, Italian Prime Minister Matteo Renzi said during the summit with United Nations Secretary-General Ban Ki-moon EU High Foreign Representative Federica Mogherini. They met on board the San Giusto in Sicily Channel because “I want to physically show him what Italy is doing”, Renzi reiterated.

Migrants slaughter and many landings planned in the coming months made this meeting necessary. After more funding to Triton operation, set last Thursday by the European Council, Italian premier, supported by France, Great Britain and Spain, wishes for an “international police operation” aimed at destroying vessels.

Ban Ki Moon told about an “humanitarian emergency which entire International Community have to answer defending the asylum right. While regarding to Lybian context, Un Secretary General said that “there are no alternatives to dialogue on Libya. Special UN representative Bernardino Leon and his team are following to work with the Libyan sides involved to help them reach together a compromise”, he ended.
Giacomo Pratali

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Libia: Massolo, necessaria azione politica a guida internazionale

EUROPA di

Queste le conclusioni del convegno “Il conflitto in Libia e la stabilità del Mediterraneo: strategie interne ed esterne”

“Agevolare la costituzione di un governo sentito come proprio dai libici stessi”, “lavorare con le fondamenta di questa società, ovvero le tribù” e “limitare le attività migratorie e di tipo terroristico”. Con queste frasi, pronunciate a conclusione del proprio intervento dall’Ambasciatore Giampiero Massolo, Direttore Generale del Servizio Informazioni per la Sicurezza, si possono riassumere le conclusioni del convegno “Il conflitto in Libia e la stabilità del Mediterraneo: strategie interne ed esterne”, organizzato dal Centro Studi Roma 3000 e svoltosi presso il Circolo Ufficiali Forze Armate a Roma giovedì 23 aprile. Ad aprire i lavori è stato lo stesso presidente del Centro Studi Alessandro Conte, mentre gli intervenuti al dibattito sono stati Pino Scaccia, giornalista e già inviato del Tg1, Andrew Spannaus, analista di politica internazionale e Direttore di Transatlantico, Alessandro Forlani, ex parlamentare e Presidente della Commissione Studi di Geopolitica del Centro Studi Roma 3000. A moderare la discussione, Francesco De Leo, giornalista e Direttore di Oltreradio.

La necessità di una soluzione politica e non militare è stato il leitmotiv che ha contraddistinto gli interventi. Nella parte dedicata al “Mediterraneo e le sfide alla sicurezza”, l’Ambasciatore Giampiero Massolo ha delineato un nuovo quadro geopolitico per gli Stati africani e mediorientali: “In termini di sicurezza, si sono moltiplicate le zone fuori controllo: i confini da stato a stato sono divenuti porosi, i gruppi armati si sono moltiplicati, è avvenuta una commistione tra attività criminale e attività terroristica. Questo ha portato a due conseguenze. Per prima cosa – prosegue -, la regionalizzazione di Al Qaeda, ancora più parcellizzata dalla nascita delle varie Ansar locali. In più, con la cronicizzazione dei conflitti in aree come Iraq e Siria, è venuto fuori il Daesh, conosciuto come Isis, un’organizzazione che ha avuto l’ambizione, fin da subito, di farsi Stato o, meglio, Califfato. È una minaccia nuova perché è una sfida asimmetrica, che vede un’organizzazione contro organismi statuali già esistenti, e al contempo simmetrica, dato che, avendo l’ambizione di divenire Stato, riceve finanziamenti e commercia petrolio. Inoltre, è un’organizzazione che è riuscita ad utilizzare a proprio vantaggio il nostro modello di propaganda mediatica e marketing”.

Per capire il caso e caos libico, occorre un’analisi globale del mondo islamico e una distinzione tra lotta per il predominio nel contesto sunnita e quella tra gli stessi sunniti e gli sciiti. Partendo da questo assunto, “la Libia – afferma il Direttore Generale del Servizio Informazioni per la Sicurezza – si inserisce in un contesto emblematico per tre motivi. Il primo è che il luogo dello scontro tra gli Stati che concepiscono l’Islam come politico (Qatar, Turchia) e Stati che non hanno questa visione (Egitto, Arabia Saudita). Il secondo riguarda lo scenario interno, ovvero prendere in considerazione non solo le tribù, ma anche nuove formazioni, come le milizie di Misurata, nel futuro assetto politico del Paese. Il terzo, infine, il conflitto terroristico, in cui i protagonisti sono lo Stato Islamico e Ansar Al-Sharia. Senza considerare questi tre livelli, rischiamo di travisare il fenomeno Libia”, conclude l’Ambasciatore Massolo.

Nell’analisi sulla “Libia, prima e dopo Gheddafi, le responsabilità occidentali nell’islamizzazione dell’area”, Pino Scaccia tratteggia, in qualità di testimone sul campo, i tratti salienti della parte finale del regime del Colonnello: “Fino a quando Gheddafi è rimasto al potere, la Libia è sempre stato un Paese laico e, anche se la gente non navigava nell’oro, non c’era disperazione. Tuttavia, esisteva il problema delle risorse: infatti, la rivalità storica tra Cirenaica e Tripolitania era acuita dal fatto che la prima avesse le risorse petrolifere, ma era la seconda a dettare legge in campo economico”.

E ancora: “Sono stato ospite cinque volte di Gheddafi. Nel suo ultimo periodo, aveva riacquistato credibilità internazionale ed era riuscito a rilanciare il turismo grazie anche all’aiuto degli americani. In più, non si faceva più chiamare “colonnello”, ma “fratello leader”. Quando gli chiedevo cosa significasse per lui la democrazia e come mai, nonostante parlasse di una Libia libera, il popolo non votasse mai, egli rispondeva che non ce n’era bisogno, che era lui stesso a consultarsi con i cittadini prima di prendere una decisione. Ovviamente, era tutto una farsa”.

La rivolta del 2011, responsabile della caduta del Rais, è stata di fatto pilotata: “La rivolta è montata nel giro di un anno – dichiara il cronista -. Muri El Mishari, Generale dell’esercito a capo del cerimoniale, è stata la carta vincente per i francesi. Egli si è recato a Parigi nell’ottobre 2010, un anno prima dell’uccisione di Gheddafi, dicendo di dovere fare delle cure mediche: in realtà, non si è più spostato da lì e ha poi condotto la rivolta dall’esterno”.

“Gli Shabab (“giovani”) – prosegue – non avevano i mezzi sufficienti a condurre in porto la rivoluzione e a sconfiggere il regime di Gheddafi: essi ci sono riusciti perché dietro avevano già i jihadisti e i servizi segreti di tutto il mondo. Di fatto, la rivolta è stata guidata dall’Emiro del Qatar, il quale aspira alla creazione di un grande soggetto statuale islamico, e supportata dall’Occidente. A fronte dei 1000 morti che vedevo nel telegiornale, a Bengasi non c’erano spari: questa dicotomia è stata architettata da Al Jazeera, network qatariota, responsabile di avere costruito la rivolta a tavolino. Inoltre, Sarkozy ha voluto probabilmente iniziare la guerra per evitare che si venisse a sapere che Gheddafi era stato uno dei finanziatori della sua campagna elettorale”.

Adesso, la Libia si configura come un rebus per la comunità internazionale, in special modo per l’Italia. Alla minaccia terroristica, le cronache dell’ultimo mese raccontano di un esodo migratorio imponente proveniente da Tripoli e al quale era stato posto rimedio dal “Trattato di Amicizia” tra Italia e Libia, siglato da Berlusconi e Gheddafi: “Quell’accordo è stato spazzato via dalla rivoluzione del 2011 – afferma Scaccia -. Allo stato attuale, non sono a favore di interventi militare o di blocchi navali. L’unica soluzione possibile è un accordo politico con la Libia, ma la sua instabilità istituzionale complica notevolmente questa prospettiva”, conclude l’ex inviato del Tg1.

Nell’analisi della “Libia tra alleanze regionali ed equilibri geopolitici globali”, Andrew Spannaus tratteggia due modus operandi all’interno della comunità internazionale: “Il primo al fianco dei gruppi estremisti, il secondo favorevole all’unità del Paese ed contro i jihadisti. Nel 2010, Parigi diviene la cabina di regia dove viene organizzata la rivolta libica. Anche Obama prende parte al conflitto, convinto dal “right to protect” portato avanti da una parte della sua Amministrazione democratica, e sostenuto da Hillary Clinton. La decisione d’intervenire, benchè la risoluzione 1973 delle Nazione Unite parli di “no fly zone” in Libia, è andata di fatto contro la Costituzione statunitense perché si è trattata di un’azione di guerra di cui non è stato chiesto il permesso al Congresso”.

Il Direttore di Transatlantico delinea le differenti politiche internazionali in gioco: “La politica estera di Obama ha cambiato direzione dopo i casi Siria, dove l’eliminazione di Assad non è più una priorità, e Iran, con il quale è stato sottoscritto l’accordo sul nucleare. Sul fronte arabo, invece, c’è la volontà dell’Arabia Saudita di creare un’unione transnazionale sunnita in chiave anti Iran. Al contempo c’è l’Egitto, partner dei sauditi, che si è messo in una situazione particolare dopo la decisione di Al Sisi di bombardare subito i Fratelli Musulmani. Questo ha causato malumori presso la comunità interazionale. Le Nazioni Unite, infatti, vorrebbero creare una grande alleanza internazionale, mentre l’azione militare egiziana va in direzione opposta”.

Nella prospettiva di un intervento guidato dall’Onu dobbiamo “saper distinguere e poterci fidare dei diversi gruppi con cui siamo chiamati ad interagire e a chi o cosa sono legati. Questo è un grosso ostacolo al nostro intervento in Libia per riportare stabilità. In più, nel mondo cresce il numero dei Paesi che vogliono collaborare con i Brics perché non si fidano più dell’Occidente. Questa nuova condizione potrebbe delinearsi come un’occasione per Stati Uniti ed Unione Europea”, precisa Spannaus.

Le conclusioni dei lavori, affidate alle parole dell’ex parlamentare e presidente della Commissione Studi di Geopolitica Alessandro Forlani, riguardano il possibile piano d’azione odierno, ma anche le lezioni che possiamo trarre dal passato: “Io, visto la generazione a cui appartengo, non ho un ricordo favorevole di Gheddafi. Dall’espulsione traumatica di molti connazionali non militari, passando per gli attentati e le uccisioni a Roma dei dissidenti, fino ad arrivare al caso di Ustica e alle incursioni economiche nelle nostre industrie e partecipate statali. Tuttavia, questo era un regime di enorme importanza strategica per l’Italia: basti pensare, ad esempio, all’Eni, arrivata in Libia prima che il Rais salisse al potere”.

“È evidente – ribadisce l’Onorevole – che sia avvenuta una forzatura nella ribellione del 2011 per indurre le potenze occidentali ad intervenire. Il caso libico, così come l’Iraq, ci insegna che l’abbattimento di una dittatura, mediante l’intervento della comunità internazionale, deve portare con sé la previsione di un nuovo gruppo dirigente che sostituisca il vecchio regime. È chiaro che i due governi presenti adesso non esauriscono le componenti politiche e tribali del Paese. La Libia è uno Stato disgregato che sta purtroppo seguendo le orme della Somalia”.

Il contesto politico-istituzionale libico pongono l’Italia e l’Unione Europea di fronte ad una sfida complicata: “L’Europa deve mettere in campo un apparato repressivo, sul modello di quanto avvenuto con la pirateria, e un piano di aiuti verso i rifugiati. Tuttavia, questi tipi di intervento possono essere fatti solo se dall’altra parte c’è un interlocutore istituzionale chiaro e affidabile. Va rafforzata, quindi, l’azione portata avanti in questi mesi da Bernardino Leon per la costituzione di un governo di unità nazionale. Il processo di un accordo tra le diverse componenti del mondo islamico e della comunità internazionale sarebbe necessario, ma richiede troppo tempo. Fino da oggi ritengo che sia necessaria una presenza in loco in aiuto ai migranti”, conclude Forlani.

Giacomo Pratali

Cell terror in Italy desintegrated

BreakingNews @en/Europe di

Due to a 10-year investigation which had began following a probe into illegal immigration, italian counter-terror police arrested 18 people Friday, suspected of links with Al Qaida. A terror cell that was organizing a bomb plot against the Vatican, investigators said.

The arrested are afghan and pakistani nationals, including Osama Bin Laden’s bodyguards and a spiritual leader of a minor muslim community in Sardinia.

By all of the arrested there are also some suspected of involvment in the October 2009 bombing of the Meena Bazaar in Peshawar, Pakistan, that caused the death of 100 people and more than 200 injured.

Those arrested are also suspected to be involved in a fall down design of the Pakistani government, police said.

Italian prosecutor Mauro Mura stated in a press conference in Cagliari (Sardinia) that the terror suspected, were planning an attac at the Vatican in 2010, and a suicide bomber had arranged to land in Rome. Matter of fact, the plot went no further and the suicide bomber left Italy without explication, prosecutor Mura said.

The authorities told that this operation has included the investigation on 7 italian provinces “targeting an alleged organisation dedicated to transnational criminal activities inspired by al-Qaida and other radical organisations pursuing armed struggle against the west and insurrection against the current government of Pakistan”.

Recordings indicate that the involved used to talk “ironically” about the pope, Benedict XVI and were trying to rise  jihad in the whole Italy. An unidentified imam who used to perform in Brescia and Bergamo, northern Italy, is believed to be another key leader of the terror cell.

“There was evidence that the 2009 Peshawar attack was substantially planned and financed from Olbia, Sardinia, and that Italy-based militants had taken part in it”, Mario Carta, an officer in the anti-terrorism unit behind the investigation, said.

Another weighty aspect of the terror cell involvement is the international funds deliver in Pakistan from Italy, avoiding the italian currency controls, as once happened when € 55258,00 were sent on a flight from Rome to Islamabad.

“From what it appears, this concerns a hypothesis that dates from 2010 which didn’t occur,” Federico Lombardi, the Vatican spokesman, said in a statement. “It has therefore no relevance today and no reason for particular concern.”

Back in the day, Pope Benedict XVI was facing resentment due to a 2006 speech when he only paraphrased a Byzantine emperor who characterised some of the teachings of the prophet Muhammad as “evil and inhuman”.

The Charlie Hebdoe’s offices terror attac and the ones at a Copenhagen’s speech debate and at a cafe in Sydney had raised a heavy climate all across Europe and counter terror police operations are becoming much more persevering in these days.

Ue, immigrazione: più fondi ma è spaccatura su rifugiati

Difesa/EUROPA/POLITICA di

Triplicate le risorse destinate alle operazioni Triton e Poseidon. Rimane la divisione sull’accoglienza dei richiedenti asilo.

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120 milioni di euro stanziati a Frontex per l’operazione Triton (quasi quanto quelli destinati a Mare Nostrum), aumento dell’area operativa e supporto logistico-navale all’Italia da parte dei Paesi del Nord Europa per agevolare il respingimento dei barconi provenienti dalla Libia. Nessun aiuto ad Italia, Grecia e Malta in materia di accoglienza dei rifugiati politici. No temporaneo ad un’azione militare diretta contro il porto di Tripoli. Questi i punti più rilevanti messi nero su bianco dal Consiglio Europeo straordinario, seguito prima da un vertice a quattro i leader di Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia, andato in scena giovedì 23 aprile a Bruxelles.

Le premesse di una vera politica unitaria a livello continentale in materia di contrasto all’immigrazione e al terrorismo erano state anticipate nei giorni scorsi prima dal meeting dei ministri degli Interni e degli Esteri dell’Ue, poi dall’annuncio della riunione del Consiglio Europeo dato dal presidente Donald Tusk a seguito della strage di domenica scorsa in cui sono deceduti almeno 800 naufraghi.

Ma la realtà è ben diversa. Gli interessi e i punti di vista diversi hanno fatto sì che tra l’Italia e Paesi come Gran Bretagna e Svezia non si arrivasse ad una vera politica unica. Proprio David Cameron, offertosi di inviare la nave Hms Bulwark nell’abito delle operazioni di pattugliamento nel Mediterraneo, ha precisato di non volere accogliere nessun migrante. Mentre la cancelliera Angela Merkel ha aperto alle richieste di Roma, precisando tuttavia che «Svezia, Germania e Francia da sole accolgono il 75% dei rifugiati nell’Ue».

Insomma, l’accoglienza delle migliaia di migranti, che potrebbero attestarsi oltre le 20000 unità entro la fine del 2015, rimane su base volontaria. Renzi ha espresso soddisfazione per la volontà di collaborazione dei partner europei. Mentre, al momento, sembra essere rientrata la questione di un’azione militare contro il porto di Tripoli e con l’ausilio di droni: Merkel e lo stesso Primo Ministro italiano hanno ritenuto necessario, infatti, un pronunciamento delle Nazioni Unite su questa questione.

Ma la verità è che le differenze rimangono. Differenze che riguardano il giudizio degli Stati nordeuropei sull’operazione “Mare Nostrum” condotta dalla Marina Militare italiana e bollata come controproducente nella lotta all’immigrazione. E che influisce in maniera negativa sulla credibilità delle attuali Triton e Poseidon. Ma anche differenze per il futuro. Migranti, richiedenti asilo politico e terroristi provenienti non solo dalla Libia, ma dal resto dell’Africa e da parte dell’Asia sono di fatto le patate bollenti lasciate nelle mani della politica italiana.

Giacomo Pratali

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Il conflitto in Libia e la stabilità del Mediterraneo – Video del Convegno

Video di

La fine di Gheddafi e la guerra civile. L’analisi politica e sociale del Paese e la ricerca di ipotesi che puntino all’unità nazionale e allo sradicamento dell’Isis. Questi i temi del dibattito al centro del convegno “Il conflitto in Libia e la stabilità del Mediterraneo: strategie interne ed esterne”, organizzato dal Centro Studi Roma 3000, in programma giovedì 23 aprile, alle ore 17, presso il Circolo Ufficiali Forze Armate in Via XX Settembre 2 a Roma.
Il convegno è il momento di presentazione finale del progetto di studi sulla situazione geopolitica del mediterraneo realizzato dalla commissione Studi Geopolitici del Centro presieduta dall’Avvocato Alessandro Forlani di cui sono membri il Dottor Gianluca Ansalone, il Dottor Andrew Spannaus, che hanno coadiuvato il team di ricercatori di Roma 3000 Sabiena Stenfanaij, Giacomo Pratali, Francesco Danzi.

[youtube]https://youtu.be/IsTGbGvfKXg[/youtube]

Eu, immigration crisis: more funding to Triton operation

Defence/Europe di

European Council decided to triple Triton operation funding. But Northern countries, like Great Britain, have denied to accept asylum seekers.

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€120m to support Triton and Poseidon operations. European Council have decided to increase funds to Mare Nostrum level on 23rd April. A choice which satisfied in half Italy because James Cameron, Angela Merkel and Francoise Hollande, in the previous summit, will render army assistance but will not receive asylum seekers. The Northern Europe leader have asserted that there is no common immigrant policy.

About a possible military operation in Libya, Merkel said it could based only on international law and United Nations resolutions. While European Council President Donald Tusk said leaders had asked EU foreign affairs chief Federica Mogherini “to propose actions in order to capture and destroy the smugglers’ vessels before they can be used”.

After more than 800 died last Sunday ad several migrants who arrived to Italy from Libya, Europe lost the opportunity of a common immigration policy. Northern and Southern nations have different point of views.

Even about Mare Nostrum operation, ended last October, received different opinions. For some Eu members it was too expensive and stimulated more immigration. But Human Rights groups and Italian point of view are not in agreement because new Triton plan is “contributing to a dramatic increase in migrant and refugee deaths”.

 

Giacomo Pratali

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Europa e migranti all’ultima spiaggia

EUROPA di

“Senza speranza non è la realtà, ma il sapere che, nel simbolo fantastico o matematico, si appropria della realtà e così la perpetua” – da “Dialettica dell’Illuminismo”, T. Adorno-M. Horkheimer.

Di Chi parliamo quando parliamo di questi morti? Di Cosa parliamo quando parliamo di frontiere? Che fare? Come farlo?

Un mare di morti e di domande nei quali affoghiamo parole, sensi di colpa, fascismi latenti, xenofobie, xenofilie, valori laici o cristiani, realpolitik, analisi e cattedre che si scornano negli editoriali, emoticon con lacrimuccia nei commenti social, etc.

CHI? – Piu di 1000 morti in una settimana nel nostro Mediterraneo, il numero rimane impreciso. Impreciso perché, oggi, quelle persone sono un “dato tragico”. Sono circa vent’anni di sbarchi e più di 20mila morti nel tentativo di raggiungere le frontiere europee. Questo non basterà mai a fermare chi non ha nulla da perdere. “Dalle coste libiche sono pronti a partire circa 1milione di migranti”, sostiene oggi l’ONU, “ prevalentemente profughi siriani, i quali dovranno essere accolti in Europa nei prossimi 5 anni”. A fronte anche degli esibizionisti che giocano con certi istinti primari di sopravvivenza delle masse, modello Katie Hopkins nel Regno Unito, viene da riprendere le parole del Presidente della Croce Rossa Italiana: “Dove sono finiti gli appelli tipo Bring Back Our Girls?”, ha detto durante la conferenza stampa tenutasi ieri, a Catania, dove si accoglievano i 28 superstiti della strage del Canale di Sicilia. “Che senso hanno oggi gli appelli quando tocca salvare persone che fuggono da situazioni insostenibili come quelle?!”.

Frontiere – Si continua a parlare di “emergenza” sbarchi da anni, il che va a costituire un ossimoro data la costanza del fenomeno. Non si tratta più di emergenza, ma di flussi migratori stimati ogni anno. Un continente di persone che si muove in continuazione. Nel Mediterraneo si è cercato di far fronte a queste situazioni prima con Mare Nostrum e in seguito con Triton. Ma quali sono le differenze tra le due missioni che oggi si mettono a confronto?

Mare Nostrum era l’operazione italiana avviata il 18 ottobre 2013 all’indomani della strage di Lampedusa del 3 ottobre nella quale naufragarono 366 persone. La missione italiana vedeva impegnati Marina Militare, Guardia Costiera, Aeronautica, Guardia di Finanza. In particolare, la Marina partecipava con una nave anfibia (dotata di capacità ospedaliere e grandi spazi per accogliere i naufraghi), 2 corvette, 2 pattugliatori, due elicotteri, 3 aerei. Le navi d’altura si potevano spingere fino a ridosso delle coste libiche per soccorrere. Mare Nostrum si è conclusa il 31 ottobre 2014, accompagnando Triton fino alla fine dell’anno.

I numeri: 160mila persone soccorse; 366 scafisti consegnati alla giustizia; costo: 9,5milioni di euro al mese;

Triton è ufficialmente partita il 1 novembre 2014 ed è una missione europea, non più italiana. Dispiegata da Frontex, l’Agenzia Europea delle Frontiere, il suo mandato non è più soccorrere, ma operare il controllo delle frontiere, che è la mission istituzionale dell’Agenzia. Anche se, in caso di necessità, si operano interventi di ricerca e soccorso (Sar), per rispondere al suo mandato, le navi di Frontex si mantengono in un’area entro 30 miglia dalle coste italiane, senza spingersi a Sud verso le coste libiche, come accadeva con i pattugliamenti di Mare Nostrum. Il budget mensile è di 2,9 milioni di euro, molto inferiore a Mare Nostrum, ma i mezzi impiegati sono due aerei, un elicottero, tre navi d’altura, quattro motovedette. A oggi, Triton ha salvato 6000 migranti.

Il conto non è matematicamente ostico da fare e sono comprensibili le polemiche sorte già da qualche mese e prevedibile la proposta del Primo Ministro Renzi di “ raddoppiare Triton”.

Che fare? Come farlo? – Lunedì, 20 aprile, la Commissione dell’UE si è accordata con i Ministri degli Esteri e degli Interni dell’Unione su dieci punti d’azione per far fronte al traffico di migranti via mare. Un azione prettamente di contrasto articolata come segue:

 1. L’Unione europea rafforzerà le operazioni di pattugliamento marittimo nel Mediterraneo, chiamateTritonPoseidon, con un aumento dei fondi e delle risorse. L’Ue estenderà inoltre il proprio raggio d’azione per pattugliare una più ampia area del Mediterraneo;  L’Ue farà “uno sforzo sistematico per confiscare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti”, utilizzando come modello l’operazione dell’Unione europea Atalanta contro la pirateria, in corso al largo delle coste della Somalia. 3. Le agenzie dell’Unione europea l’Ufficio europeo di polizia (Europol), l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri (Frontex), l’Unità europea che si occupa della cooperazione tra autorità nazionali nella lotta contro la criminalità (Eurojust) e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) si incontreranno regolarmente per raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti, tracciare i loro fondi e agevolare le indagini sulle loro attività; 4. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) dispiegherà squadre operative in Italia e in Grecia per l’elaborazione congiunta delle procedure per la concessione d’asilo; 5. I governi degli stati membri prenderanno le impronte digitali di tutti i migranti; 6. L’Unione europea considererà opzioni per “un meccanismo di ricollocazione d’emergenza per migranti; 7. La Commissione europea lancerà un progetto volontario pilota sul reinsediamento dei rifugiati nell’Unione europea; 8. L’Unione europea istituirà un nuovo programma per il rapido rimpatrio dei migranti “irregolari”, coordinato dall’agenzia dell’Ue Frontex; 9. L’Unione europea si impegnerà con i Paesi confinanti e la Libia attraverso uno sforzo congiunto della Commissione e del Servizio europeo per l’azione esterna; 10. L’Unione europea dispiegherà funzionari di collegamento dell’immigrazione all’estero per raccogliere informazioni di intelligence sui flussi migratori e per rafforzare il ruolo delle delegazioni dell’Unione.

Il piano accordato ha suscitato considerazioni delle più disparate nel mondo politico e mediatico: dal Ministro dell’Interno italiano, Alfano che sostiene l’eventualità  di “ bombardare i barconi” e ancora “se l’ONU ce lo dice, andremo in guerra in Libia” alle proteste infuocate dei sindaci che chiedono “piu risorse per la ricollocazione dei profughi in arrivo”. Matteo Renzi, ha chiesto a Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo una sessione straordinaria per discutere le misure da intraprendere e che oggi dovrà esporre la posizione dell’Italia, la più unitaria possibile.

In conclusione, c’’è chi da giorni sproloquia su eventuali “blocchi navali”, ignorandone il funzionamento pratico molto particolare.  Cosa si rischia nell’attuarlo in caso di navi stracolmi di migranti lo si potrebbe spiegare con un esempio facile-facile: il 28 marzo 1997, quando migravano gli albanesi, una motovedetta stracarica di uomini,donne e bambini fu speronata da una corvetta della Marina Militare, la Sibilla, in un tentativo di harassment (misure cinematiche di disturbo). Risultato: 81 morti e 27 i dispersi a tutt’oggi nel Canale d’Otranto.

Non solo, ma Santanchè e Salvini, i più “attivi” in questi giorni, dimenticano (?) che per i fatti avvenuti tra il 2008 e i 2011, quando governavano i rispettivi partiti e quando con Gheddaffi ci si accordava, l’Italia è stata condannata da Strasburgo per respingimenti illegittimi verso la Libia.

Più ripasso del Diritto Internazionale Marittimo, della Carta dei Diritti dell’Uomo e meno partite a Risiko per chi alza il tiro della polemica sterile

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Sabiena Stefanaj
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