La minaccia terroristica interna alla sopravvivenza di Israele

in Medio oriente – Africa by

E’ pacifico ormai interpretare il perenne conflitto in Medio Oriente come lo scontro tra uno Stato in espansione (Israele) ed un territorio in continua difesa (Gaza), nella parte del più debole. E’ indubbio, certamente, che un paragone tra i due governi (o come li si voglia definire l’uno in rapporto all’altro) non possa porsi. D’altra parte, però, senza negare la sofferenza cui gli abitanti della striscia sono sottoposti ed anzi, sottolineandone la paradossale ed incomprensibile inevitabilità, vale la pena girare intorno al tavolo e sedersi dall’altro capo.

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Mettiamo per un attimo il conflitto con la striscia di Gaza da parte. Israele sin dal momento della sua nascita ha dovuto fare i conti con vicini tutt’altro che amichevoli. Ha dovuto nel tempo e deve attualmente affrontare una minaccia terroristica di diversa provenienza e natura. Sebbene si tratti di terrorismo, esso è però caratterizzato da una pluralità di manifestazioni di cui il lancio di razzi o mortai dalla striscia di Gaza (spesso lanci alla cieca) rappresenta solo una parte e, come dimostrano le analisi ed i dati del Sommario Annuale 2013 sul terrorismo e le attività di contrasto, in alcuni periodi non rappresenta neanche la minaccia più grave. Israele deve fare i conti con dimostrazioni di ostilità che spesso sono condotte non dall’esterno verso l’interno dei suoi confini, ma con attacchi che nascono e si concludono nel suo territorio. In particolare nella città di Gerusalemme e nelle aree di Giudea e Samaria. Oltre a ciò, permane  il pericolo che la regione del vicino Sinai continui a rappresentare un focolaio incontrollato ove gruppi terroristici di matrice islamica fondamentalista possano trovare terreno fertile per accrescere la loro influenza ed aumentare dunque il rischio per la sicurezza d’Israele e non solo.

Nello specifico, Giudea e Samaria hanno visto nel 2013 un forte incremento degli attacchi terroristici, più che raddoppiati rispetto all’anno precedente, caratterizzati da lanci di granate o esplosioni di ordigni improvvisati. L’area di Gerusalemme, al contrario, ha visto un calo di attacchi. Le minacce si riferiscono ad una serie di tipologie di azioni ostili che vanno dal lancio di granate all’uso di veicoli, dal lancio di razzi ad omicidi condotti con uso di armi alla deflagrazione di ordigni improvvisati inesplosi (IED). La possibilità che alcuni gruppi appartenenti alla cosiddetta jihad islamica globale mantengano il controllo di parte dell’area della penisola del Sinai, ha inoltre spinto le autorità israeliane a cooperare con quelle egiziane al fine di ridurre la pericolosità di queste organizzazioni terroristiche, tanto che negli ultimi anni si è potuto notare una diminuzione degli attacchi provenienti da queste regioni. Il problema è infatti a doppio filo anche egiziano, poichè l’attuale governo di Al Sisi affronta gli stessi disagi: tunnel sotterranei, disordini, minaccia allo Stato, conflitti localizzati. Fortunatamente, alla riduzione degli attacchi è corrisposta una riduzione del numero delle vittime.

Un ulteriore rischio per Israele è rappresentato (con potenziali critiche ripercussioni in scala temporale) dagli arabi israeliani che abbandonano la loro terra per recarsi a combattere all’esterno. Questo esodo, sebbene ridotto, dal punto di vista di Israele è visto a ragione come possibile minaccia in quanto questi individui si recano in territori stranieri (ad esempio in Siria) per essere coinvolti in conflitti o movimenti di vario genere. Ciò implica un attivismo che spesso giunge fino al combattimento armato, che presume tra l’altro un addestramento di tipo militare. Il pericolo (come prova l’arresto di Yusef Higla nel 2013) è che questi soggetti mantengano contatti con organizzazioni o elementi  coinvolti in attività ostili ad Israele e, che possano essere poi utilizzati per condurre attacchi di varia forma contro il governo israeliano o i suoi abitanti. A questo spesso poco citato argomento,  si aggiunge il rischio politico sociale proveniente dalle ali estreme della destra e della sinistra in seno al menage politico interno, ma che si trasformano in attacchi mirati da parte di radicali contro specifici settori della popolazione (attacchi a persone quali accoltellamenti ed alle proprietà, come incendi dolosi).

Una realtà, dunque, lontana da quella che spesso ci viene proposta. Israele è al centro di numerosi possibili attacchi condotti da altrettanto numerosi soggetti singoli o organizzati i cui obiettivi sono spesso civili (nelle strutture e nelle persone che ne sono coinvolte). E’ chiaro che, in una situazione in cui ad una forte minaccia per così dire interna si aggiungono uno o più conflitti esterni (entrambi in buona parte riconducibili alla stessa matrice di rivalità storico religiosa), quel forte Stato che risponde al lancio di razzi con invasioni militari assume un aspetto più realistico, meno eroico e soprattutto più in preda ad una situazione di costante stress ed allarme. Sotto un ulteriore punto di vista, allargando la nostra visione all’area regionale in cui esso è inserito, l’esistenza stessa di Israele, poi, apparrebbe sotto tutt’altro punto di vista qualora si evidenziasse il ruolo di cuscinetto per nulla scontato che esso svolge nell’area medio orientale. Le preoccupazioni israeliane sull’esistenza di gruppi terroristi fondamentalisti ai suoi confini o al suo interno è una preoccupazione che, qualora venisse a mancare l’impegno israeliano, peserebbe interamente su parte degli stati con esso ora confinanti.

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Bookreporter Settembre

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