Il retroscena storico della crisi in Ucraina

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Attraverso un’analisi sociologica, linguistica ed economica, la prof. Dundovich contestualizza le istanze filorusse delle regioni del Donbass e della Crimea e analizza la linea politica di Unione Europea e Stati Uniti in contrapposizione al protagonismo di Putin.

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Nel corso degli ultimi due anni l’Ucraina è divenuto il teatro di scontri su più livelli. Da quello interno tra le regioni occidentali e quelle russofone, passando dal braccio di ferro tra Kiev e Mosca, fino ad arrivare alla guerra di posizione, o addirittura fredda, tra Russia e Nato. Per approfondire meglio questi temi, abbiamo intervistato Elena Dundovich, Professoressa di Storia dell’Europa Orientale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Pisa.

Prof. Dundovich, dal punto di vista storico, quanto sono fondate le ragioni delle regioni del Donbass e della Crimea? Sono davvero zone culturalmente più vicine alla Russia?

“Il contrasto che attualmente l’Ucraina ha con la Russia, soprattutto per quanto concerne le regioni orientali, è comprensibile solo se si tiene presente la particolarità di questo Paese dal punto di vista della composizione linguistica e anche religiosa. L’Ucraina è stata a lungo soggetta al dominio di governi stranieri diversi nelle due parti del paese. La zona occidentale è stata per lungo tempo sotto il Regno di Polonia e del Granducato di Lituania, uniti a partire dal 1569 nella Confederazione polacco-lituana. Quando questa scomparve, nel 1795, parte l’Ucraina occidentale andò all’Austria. La parte orientale, viceversa, ha sempre fatto parte dell’Impero Russo: di conseguenza, è sempre stata più abitata da cittadini ucraini russofoni. Questo fatto della lingua, però, è molto complesso perché l’ucraino e il russo sono sì distinti, ma attualmente nel Paese si usano entrambi indifferentemente persino, per esempio, in tv durante la stessa trasmissione televisiva. Nella parte orientale del Paese, soprattutto nelle regioni di Donetsk e Lugansk, si arriva al 65-70% di russofoni, mentre in alcune regioni occidentali si scende al 10%. In più, dal punto di vista socio-culturale, dobbiamo tenere conto che l’unità nazionale ucraina è un fenomeno storico recente databile a metà dell’Ottocento e che ha avuto poco tempo per manifestarsi. Sicuramente nel Donbass vive la maggioranza dei cittadini ucraini di lingua russa, così come ce ne sono tanti anche in Crimea. Sono zone più legate alla Russia, vista anche la loro ricchezza mineraria sfruttata a suo tempo dalla grande industria sovietica: pertanto, oltre al legame culturale e linguistico, va aggiunto anche quello economico”.

Dalla rivoluzione arancione, passando per la deposizione di Yanukovich, fino ad arrivare al referendum in Crimea: l’Ucraina è diventato il terreno di scontro della rinnovata Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia?

“In questo momento, sicuramente l’Ucraina si presenta come un campo di battaglia per le controversie tra Stati Uniti e Russia. Quanto questo sia stato frutto di una precisa volontà da parte dei due paesi e quanto sia stato frutto del normale avvicendarsi degli eventi storici, è da appurare. Voglio dire che tutta questa situazione di tensione è nata dopo la proposta dell’Unione Europea di firmare il Trattato di Associazione con l’Ucraina. E, secondo me, è stata una scelta molto avventata perché non ha tenuto conto delle enormi difficoltà economiche e sociali sorte dopo l’indipendenza del 1991, delle istituzioni politiche molto fragili, del controllo degli oligarchi sullo Stato e sui partiti. Oltretutto, da sempre, la parte orientale viene considerata dalla Russia quasi una parte integrante del proprio territorio e la Crimea ha assunto, negli anni più recenti, un’importanza strategica e militare preponderante dopo che, con gli accordi del 1999, vi è stata dislocata la flotta della Federazione. La mossa dell’Ue non ha tenuto minimamente conto dei legami storici, politici e culturali che l’Ucraina ha sempre avuto con la Russia e non ha tenuto conto nemmeno della sua enorme fragilità. Così facendo, ha fatto di questo Paese l’oggetto di una presunta rinnovata Guerra Fredda. Gli Stati Uniti, inoltre, cercano da molto tempo di allargare la Nato fino ai confini ucraini, in modo da toccare la Russia: un’opzione da sempre vista con perplessità dagli ucraini stessi perché non consona alla loro posizione geopolitica e ai loro legami con Mosca.. Teniamo infine presente un altro elemento: fino a questo momento il più importante partner commerciale dell’Ucraina è stata la Russia. Il gas russo, inoltre, venduto a prezzi scontati ha aiutato gli ucraini da quando c’è stata l’indipendenza: quindi, il fattore economico è altrettanto fondamentale”.

Come giudica la decisione dell’Unione Europea di inasprire le sanzioni nei confronti della Russia?

“A me sembra un provvedimento ridicolo perché noi dipendiamo dal gas russo in maniera preponderante. Proibire ad alcuni oligarchi dell’entourage di Putin di viaggiare in Europa e congelare i loro beni è irrilevante rispetto al contesto in cui ci muoviamo. Questo soprattutto per noi europei, visto che gli Stati Uniti non pagano il prezzo di una dipendenza così alta dal gas russo. E poi abbiamo tantissimi rapporti commerciali di varia natura con la Russia che non ha tardato a reagire bloccando l’importazione di molti prodotti europei, italiani inclusi. L’annessione della Crimea è stato un gesto molto forte ma comprensibile perché Putin non poteva lasciare la base più importante della flotta ad un governo debolissimo. Poroshenko stesso è un potente oligarca, ma gli oligarchi sono abituati a cambiare posizione politica continuamente: alcuni di essi erano e sono filoeuropeisti perché questo agevolerebbe le loro ricchezze, mentre altri sono più favorevoli ai russi per garantire maggiormente i propri patrimoni e le proprie posizioni di potere. Tutto ciò in un Paese in cui un abitante ha una pensione media di 80 euro al mese e uno stipendio di 120 euro al mese, ma il costo della vita è simile al nostro. Una reazione forte da parte dell’Europa e degli Stati Uniti avrebbe avuto un senso al momento dello scoppio del caso della Crimea, quando sono state violate le norme del diritto internazionale. Queste sanzioni mirate, invece, mi appaiono francamente senza fondamento. In più, c’è da considerare il motivo per cui agli ucraini interessava davvero associarsi all’Unione Europea: grazie al Trattato di Schengen, essi avrebbero potuto circolare liberamente in Europa senza il visto. . Era questo ciò che davvero gli interessava. Le manifestazioni di Piazza Majdan più che a favore dell’Europa, sono state contro il governo corrotto di Yanukovich. L’opinione internazionale è stata vittima di molti fraintendimenti e anche sui giornali ho visto molta approssimazione nell’analizzare la situazione ucraina”.

Qual è il suo parere sulle recenti elezioni nelle regioni di Donetsk e Lugansk? Quali sono le differenze rispetto a quanto avvenuto in precedenza in Crimea?

“A mio parere, bisogna distinguere due fasi distinte. La prima è quella che va dal 28 novembre 2013 all’annessione della Crimea, quando il rischio è stato molto sottovalutato dall’Unione Europea e Putin ha fatto la voce grossa. Nella seconda fase, invece, il gioco è un po’ scappato di mano anche a Putin stesso e, sull’onda dell’esempio della Crimea, altre regioni russofone hanno cercato di fare altrettanto. In questo caso, però, possiamo notare come l’atteggiamento del capo del Cremino sia stato molto più prudente. È vero che ha mandato soldati in incognito nell’Est Ucraina, ma è altrettanto vero che finora non ha fatto nessun passo ufficiale, ovvero non ha deciso alcuna annessione. Riassumendo, nella prima fase l’iniziativa è stata in mano all’Ue che ha combinato un danno. Poi, il gioco è passato in mano a Putin che ha reagito coerentemente con i propri interessi. Si sarebbe potuto evitare tutto ciò se solo si fosse accettato di discutere della posizione dell’Ucraina insieme alla Russia. Poiché anche se sulla carta l’Ucraina è uno stato indipendente, rimane pur sempre un paese, per tutte le ragioni che ho spiegato prima, che subisce fortemente l’influenza di di Mosca”.

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Bookreporter Settembre

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